Carlo e Licia

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giovedì 30 aprile 2020

Arte italiana al 1960, 4. Arti decorative e industriali (design).

Riguardo il contenuto di questa quarta postazione – “Arti decorative e industriali” – va ricordato che essa è preceduta dalla traduzione integrale in tedesco del saggio di Carlo L. Ragghianti, anziché dal “riassunto” tradotto come nelle due precedenti uscite in francese e poi in inglese. Ciò si è verificato perché per alcuni anni la soc. Olivetti (editrice di “seleArte”) promosse la diffusione specialmene in Germania.
Da notare che soltanto con l'occhio odierno la presente documentazione delle opere di “Arte decorativa e industriale”, per definirle in modo tradizionale, o di “Design”, come è invalso anche nell'uso comune, può apparire meno ampia delle precedenti pittura, scultura, architettura.
Storicizzando occorre tener presente che l'attenzione specifica alla forma degli oggetti nel 1960 era, al di fuori degli operatori, assai meno considerata sul piano della loro definizione artistica.

Ciò in analogia, per altro, con la relativa marginalità dell'indagine critica circa mobili, orificerie, porcellane ecc. antiche e ottocentesche. (Ricordo a proposito che la Mostra “La Casa italiana nei secoli”, impostata criticamente, fu una straordinaria proposta di storia del Design: si vedano nel blog i post del 21 novembre 2017 e del 23 dicembre 2017, nonché quello del 16 gennaio 2018 su “La sedia italiana nei secoli). Infine anche tra i produttori industriali e artigianali negli anni '50 l'attenzione alla forma dell'oggetto non era così pervasiva come lo è stata successivamente e lo è tuttora. Infatti la consapevolezza dell'importanza qualificante della forma nella funzionalità dell'oggetto progettato era meno diffusa e valutata di quanto lo sia stata in seguito proprio grazie agli studi e alle valutazioni dei critici d'arte al tempo decisamente pionieristici. E' fuor di dubbio che fra di essi si deve annoverare Carlo L. Ragghianti, il quale fin dalle sue iniziali riflessioni critiche sull'architettura ha inteso il “Design” come elemento costitutivo del complesso metodologico che stava elaborando negli anni Trenta anche tramite l'amicale “dialogo” con Persico e Pagano. Non si scordi poi la costante attenzione e gli studi su Bruno Munari (si veda anche nel blog il post del 4 maggio 2018) e Enzo Mari. Comunque su questo argomento e su questi architetti e designers seguiranno altri post con testi di C. L. Ragghianti.
In “seleArte” l'attenzione rivolta dai coniugi Ragghianti alla qualità del “design” contemporaneo fu infatti sempre 

attenta vuoi alla forma “artistica” degli oggetti d'uso, vuoi mobili ecc. Inoltre, vagliando le documentazioni ricevute o acquisite per l'uso redazionale, anche i collaboratori operativi di “seleArte” furono convinti dell'importanza, dell'originalità dello sviluppo del “design” contemporaneo.
Tanto che Pier Carlo Santini, il quale esordì (1952) come primo redattore della pubblicazione, dalla metà degli anni Sessanta a Milano fu considerato unanimemente un esperto ed uno studioso apicale, soprattutto sotto gli aspetti collegati con l'architettura. Anche Lara Vinca Masini, la mia prima “aia”, il primo confronto intellettuale estraneo alla famiglia, di formazione letteraria e allieva di De Robertis, collaboratrice di C.L.R. per la redazione di “Criterio” (1957-1958), esordì nella critica artistica scrivendo di “design”. Collaborando con Maria Luigia Guaita, curò una rubrica pionieristica di “design” su di un settimanale concorrente de “L'Espresso” – persino nel formato a lenzuolo – di cui mi sfugge il nome.
Concludendo, per la focalizzazione ulteriore del ruolo del “design” nel Novecento interpretato da artisti e architetti definiti “designers”, propongo la seguente citazione da Arte come mestiere di Bruno Munari:

F.R. (22 marzo 2020)

lunedì 27 aprile 2020

I due pseudo-Marini di Raffaele Monti.

Ritengo opportuno, ricordando un personaggio come Raffaele Monti (1933-2008) che egli è stato una persona piena di contraddizioni, le quali si manifestavano con momenti di entusiasmo – anche eccessivi – o con depressioni e pentimenti talmente estremizzati da divenire – talvolta – un po' grotteschi, caricaturali quasi. Il tutto frammisto di cocenti verità nonché di menzogne spudorate e vissuto con apparente compatta adesione, tanto più convinta quanto più discordante. Sia chiaro, comunque, una cosa: Monti non era una persona mentalmente disturbata, clinicamente malata. La sua intelligenza, assolutamente al di sopra della media, riusciva a far funzionare il suo complesso – e chissà quanto faticoso – modo di vivere fornendogli volta volta una via di scampo (talvolta molto soggettiva e a scapito di altri) che gli ha consentito di rimanere a galla fino alla morte senza aver patito particolari sacrifici reali.
A proposito del curioso episodio che segue, mi sento di dire che in un certo senso è emblematico del procedere di Monti di fronte a un problema. Tra il 1960 e il 1963 (mi si perdoni l'approssimazione mnemonica) Lele, che imitava i longhiani nel bazzicare i mercatini di cianfrusaglie, anche artistiche, raccontava che individuò, e acquistò, due sculture di terracotta rappresentanti due personaggi in divisa. Entusiasta, li associò a Marino Marini. Quindi cominciò a cercare fonti e conferme a suffragio della sua ipotesi. Dopo un paio d'anni questo argomento scomparve dalle sue sostenute esternazioni abituali, sostituito da altre trouvailles e altre passioni estemporanee quale, ad esempio, l'eccitazione per il romanzetto Emanuelle, più che pruriginoso francamente osceno.
Dopo la chiusura della storica Mostra Arte Moderna in Italia 1915-1935, ci fu restituito il materiale, prevalentemente fotografico, prestato dalla Fototeca di mio padre, che allora ancora curavo, sia pure in modo informale e soprattutto per mia formazione visiva. Naturalmente per l'indifferenza burocratica della Azienda Autonoma di Turismo ricevemmo alcune scatole di materiali organizzativi della Mostra e della Segreteria Generale, di cui Monti era stato il responsabile. Fatto presente che questo in più ci fu detto di tenerlo pure perché non interessava la loro organizzazione. Una gran parte di queste carte (quelle assicurative e amministrative) finì negli uffici 
de La Strozzina. Successivamente, quando la vera e propria Strozzina fu soppressa (essendo ancora chiusa la sede espositiva dopo oltre dieci anni dall'Alluvione di Firenze), precipitosamente tutti i beni dell'Associazione furono consegnati all'Università Internazionale dell'Arte di Firenze, sita ancora in villa Tornabuoni, di fronte al C.T.O. di Careggi.
Fui interpellato come “esperto” anche per darmi un incarico mentre soffrivo la mia seconda disoccupazione lavorativa, conseguente al dissesto definitivo della Vallecchi, passata dalla Montedison alla gestione del faccendiere Bevilacqua e successivi maneggioni sempre democristiani. Dovevo quindi discernere tra le carte amministrative ciò che era conservabile da ciò che doveva essere distrutto. Anche in questo caso la burocrazia impiegatizia tendeva a liberarsi dell'onere eventuale. Naturalmente non aderii a questa richiesta e riuscii a far conservare quelle carte all'Università, la quale poco dopo cambiò sede e li trasferì nel sottotetto di Villa il Ventaglio. Per l'Archivio di mio padre recuperai quanto (poco) sopravvissuto della gestione Strozzina e quanto potenzialmente direttamente integrabile alla Fototeca, cui io volevo unire opuscoli, recensioni, ritagli, e l' Archivistica in una sola gestione fisica. Tra le molte carte saltò fuori anche una busta bianca con le sei fotografie dei due busti che Lele Monti pretendeva essere opera di Marino Marini. Allegata c'era anche una lettera di Franco Russoli che comunicava la ripulsa del Maestro, il quale proponeva per le due opere una ricerca nell'ambiente fiorentino da Quinto Martini a Oscar Gallo e vicinanze.
Ritrovato oggi questo materiale, lo riproduco integralmente qui di seguito.
Ciò che non so e che, forse, rimarrà un piccolo mistero è l'ubicazione delle due sculture di terracotta, sia che fossero ancora di proprietà di Lele Monti (e ora di qualche erede?) sia che egli le abbia cedute ad altri. Interessante e di qualche importanza sarebbe il fatto di sapere se dopo il 1966 i due militi abbiano trovato un autore attendibile sia a coronamento di ricerche di Lele, che di attribuzione da parte di altro studioso dell'argomento.
Interrogativi leciti, anche perché se gli entusiasmi iniziali di Monti erano eccessivi, le due sculture qualche pregio lo mostrano, di modo che possono aspirare ad avere un autore certo.
F.R. (19 gennaio 2020)

giovedì 23 aprile 2020

C.L. Ragghianti e Alois Riegl (8).

Premesso che l'articolo Ma Riegl era un'altra cosa va considerato – anche se non fu numerato – il settimo intervento, postato il 18 ottobre 2019, su questo argomento, con questa ottava postazione sull'opera di Alois Riegl (1858-1905) si conclude la pubblicazione che riguarda questo studioso austriaco in relazione alla bibliografia dei coniugi Ragghianti. La serie 1-6 di scritti riguardanti Alois Riegl, riguarda la traduzione e lo studio di Licia Collobi Ragghianti di Arte tardoromana, postata integralmente:
    1. il 24 settembre 2019;
    2. il 24 ottobre 2019;
    3/I. il 24 novembre 2019;
    3/II. il 15 dicembre 2019;
    4. il 15 gennaio 2020;
    5. il 14 febbraio 2020;
    6. il 13 marzo 2020.

Ritengo opportuno ripetere ancora una volta che C.L.R. certamente, Licia C. probabilmente, si sono espressi sulla materia anche all'interno di libri o studi incentrati su altri assunti. A questo proposito riporto in questa sede alcuni dei punti salienti nei quali C.L. Ragghianti cita Riegl ne Il profilo della critica d'arte in Italia (1942, pubbl. 1948) e sull'edizione del 1974 – aumentata dei Complementi europei – riedita nel 1990 in anastatica di maggior formato e migliore leggibilità. In questo post anticipo anche il capitolo Riegl, tratto dal volume La critica della forma. Ragione e storia di una scienza nuova (1986). Naturalmente l'ampia trattazione per essere compresa nella sua interezza secondo gli intenti dell'autore va completata con tutti gli altri scritti del libro. Ciò vale anche per il Profilo e in generale per tutte le estrapolazioni operate da un contesto articolato ma omogeneo. Mi riferisco, ad es. e in particolare, a Commenti di Critica d'arte, Bari 1946, comprendente scritti anteriori alla guerra. Mi duole, poi dirlo, ma reputo vada considerato – come avverte Licia Collobi nell' Introduzione a Arte tardoromana – anche Archeologia evoluzionistica (in “La Critica d'Arte”, 1936) ripubblicata in Storicità dell'arte classica di Ranuccio Bianchi Bandinelli, più volte riedita.

Riproponiamo anche l'importante "commento” di C.L.R. Ritorno al Riegl (da “Critica d'Arte”, a. XIII, n. 80, ago.1966), successivamente pubblicato col titolo Una grammatica della forma: involuzione del Riegl nel volume Arti della visione. III. Il linguaggio artistico, pp. 76-82, Saggi Einaudi, 1979.
Riportiamo anche due ”schede” di C.L.R. da “Biblioteca” (“Critica d'Arte”, IV s., n. 8, gen.-mar. 1986, p. 22) di cui la prima di carattere generale, Storici d'arte critici, in un certo senso introduce la seconda e successiva Grammatica storica delle arti.
Conclude il post la riproduzione di parte di due delle numerose lettere scambiate tra Licia Collobi, C.L.R., e Giulio Einaudi o i suoi redattori, riguardanti la pubblicazione di Arte tardoromana. L'intero carteggio è consultabile presso l'Archivio della Fondazione Ragghianti di Lucca e (forse) in quel che resta della casa editrice torinese.
F.R. (27 febbraio 2020)


Da Profilo della critica d'arte in Italia:

lunedì 20 aprile 2020

Storia della pittura. Il Quattrocento europeo, di Licia Collobi.

Il Quattrocento in Europa, nella sua complessa interezza, è nella storia della pittura una ricostruzione e una analisi da far tremare ogni studioso men che ferrato specialisticamente, men che poliglotta oltre che in grado metodologicamente, per esercizio ed abituale frequentazione, di spaziare nel continente, il quale per molti secoli è stato – è fattuale! – l'ombelico del mondo.
Licia Collobi, benché più che valitudinaria per molteplici problemi di salute, nonché sopraffatta dalla gestione del marito e di tre figli conviventi e dalla grande magione – con assistenza domestica precaria – che ospitava la famiglia, e per non insistere sui suoi abituali impegni e carichi di lavoro professionale, affrontò questa sfida del destino con serenità, riuscendo a portare a termine nei tempi auspicati dall'editore questo Quattrocento europeo.
Non soltanto perché suo figlio, mi sento di affermare che questo impegnativo studio è un bel libro, un'opera riuscita, agile e compatta. Uno di quei libri, insomma, che vengono chiamati “classici” non soltanto perché non invecchiano o sono “superati”, come si suol dire, già all'epoca del loro autore.
A mo' di presentazione, in questo post riporto la recensione che fece del libro Decio Gioseffi su “Critica d'Arte” (VI s., n. 9, apr.-giu. 1986, pp. 88-90).
Del caro amico Gioseffi – storico e critico integerrimo, quindi non sospettabile di compiacenza amicale – nel frontespizio di questo quarto volume della Storia della pittura compare il nome come autore di un “saggio”, non meglio specificato. Non si tratta di un coautore, il suo scritto tratta della Prospettiva nella pittura, con la consueta profondità ed eleganza di stile che contraddistinguono lo studioso triestino.
Egli è stato – e probabilmente lo è tuttora – lo specialista più attendibile dei fenomeni riconducibili al termine Prospettiva, materia cui ha rivolto la propria ricerca per tutta la vita.
Segue il Sommario degli argomenti trattati nel volume, dal quale abbiamo già postato nel blog la scheda critica su Nuňo Gonçalves sul Polittico di San Vincenzo (vedi 11 febbraio 2020). Dallo studio di Licia Collobi abbiamo estratto anche la scheda riguardante I coniugi Arnolfini di van Eyck, che pubblicheremo con altre inerenti ricerche dell'autrice. In futuro, da questa ricca miniera del Quattrocento europeo, trarremo altri materiali, esemplari per la qualità e l'originalità di esposizione.
Come elementi di utile consultazione, qui riportiamo la Tavola cronologica, accurata ed esauriente, seguono le Schede biografiche, con i profili dei principali artisti di questo grande secolo di pittura europea. Chiude la documentazione relativa a questo quarto volume della Storia della Pittura della benemerita casa editrice De Agostini di Novara, l' Indice degli artisti e delle opere, un apparato (spesso indispensabile) con cui – già allora, 1986 – sempre meno molti Editori concludono libri ed opere complessi e/o importanti come questa Storia.

F.R. (9 febbraio 2020)



venerdì 17 aprile 2020

Storia della pittura dal IV al XX secolo.

La Storia della pittura dal IV al XX secolo è stata metodologicamente un'opera collettiva ideata dalla Casa Editrice De Agostini di Novara alla fine degli anni Settanta da diffondere in un primo tempo a dispense settimanali, successivamente offerta in dieci volumi rilegati. Carlo L. Ragghianti e i suoi collaboratori dell'Università Internazionale dell'Arte di Firenze, nonché altri studiosi accademici a lui vicini editorialmente, erano inizialmente del tutto estranei all'iniziativa De Agostini. Questo editore, evidentemente, incontrò una serie di difficoltà esecutive e produsse una carente quantità di testi sulla base dei quali si decise di soprassedere sospendendo la preparazione dell'edizione.
Carlo L. Ragghianti di consueto non aderiva ad iniziative editoriali di indirizzo diverso dalle proprie impostazioni di metodo. I documenti disponibili dimostrano che questo caso eccezionale di adesione fu dovuto all'intervento di Silvio Locatelli – dirigente De Agostini – persona di rara amabilità, un uomo veramente concreto però rispettoso e partecipe della cultura e intenzionato sempre a promuoverla. La tramitazione avvenne alla fine degli anni Settanta quando Locatelli era dirigente dell'Editoriale Nuova (consociata De Agostini) editrice di Marxismo 
perplesso e di Traversata di un trentennioTestimonianza di un innocente scritti da C.L. Ragghianti. Furono così coinvolti i coniugi R., dapprima con l'incarico di approntare una scelta di illustrazioni non convenzionale relative alla ri-progettazione dell'opera, mentre alcuni “ragghiantiani” venivano incaricati dall'editore – su suggerimento informale di R. – di realizzare alcuni volumi dell'opera. Anche C.L.R., in seguito, fu invitato a collaborare per la parte moderna e contemporanea.
Il 17 novembre 1981, il dottor Locatelli scrisse a Ragghianti che “letto e riletto” il testo di Raffaele Monti e quello di una accademica pisana attiva all'Università dell'Arte, non “mi sono sentito di avallare né l'uno né l'altro.”
Quindi il dirigente editoriale aggiunge: “Personalmente la debbo ringraziare per la sua generosa proposta di assumersi senza compenso la direzione della collana, compito che significa lavoro e impegno, e mi auguro di tutto cuore che sia possibile raggiungere l'obiettivo”. Il 6 dicembre '81 Ragghianti risponde, anche un po' piccatto, con una lettera manoscritta di quattro pagine dalla quale si evince che lo studioso si sentiva ormai coinvolto nella realizzazione della collana editoriale. Infatti:



Circa i due collaboratori più discosti dalla linea, anche organizzativa, dei materiali – nonostante la “difesa d'ufficio” da parte di C.L.R. – Raffaele Monti (le cui inadempienze erano già state spesso nefaste e la capacità di trascuratezza, disinvoltura – “cialtronaggine” l'aveva definita in precedenza scuotendo la testa con rassegnazione Ragghianti – riuscivano più volte a sorprendere anche chi lo conosceva bene) fu comunque cassato senza appello, mentre l'altro autore riorganizzò il proprio contributo secondo le linee portanti e comuni degli 
altri volumi. Alcuni altri collaboratori incaricati in precedenza o confermati dopo il coinvolgimento di Ragghianti, furono via via sostituiti, anche con qualche affanno, ma convintamente. Diverso il caso di Giuseppe Mazzariol: fu colpito da un secondo brutto infarto e dovette sospendere ogni attività.
La lettera del 06.12.1981 continua e si conclude attorno ai temi del linguaggio divulgativo e dei contenuti originali con queste considerazioni:


giovedì 16 aprile 2020

{glossario} Pittura.



Il testo che precede questo redazionale è una nota normativa e, al contempo, indicativa stesa da Carlo L. Ragghianti per uniformare e coordinare il lavoro di più autori sia all'interno di ciascun volume che per una intera collana editoriale. Si tratta di un foglio isolato rinvenuto nel mio Archivio, per di più in condizioni conservative tali da rendere necessaria la trascrizione per procedere alla sua riproduzione.
In un primo momento ho avuto qualche dubbio circa l'iniziativa editoriale alla quale questa sintetica nota si potesse riferire. Due le plausibili destinazioni: Musei d'Italia, Meraviglie d'Italia, edizioni Calderini di Bologna o Storia della pittura, edizioni De Agostini di Novara.
L'accenno nel testo agli “elenchi forniti” mi ha riportato alla memoria quanto è risultato dalle ricerche per il post – il quale sarà in rete domani – circa l'apporto originale di C.L.R. alla iniziativa della De Agostini, anche prima di assumere (a titolo gratuito) la direzione di un progetto già avviato e incagliato per difficoltà insite nella propria impostazione originale. Riflettendo e comparando su quanto qualche tempo fa ho appurato a proposito di questa Storia della pittura non ho più dubbi sul fatto che la nota sia stata elaborata per gestire la ripresa del 
progetto altrimenti sospeso o eliminato dai programmi dell'editore. I citati “elenchi di illustrazioni ” – di impostazione originale, con notevoli innovazioni rispetto all'utilizzo di immagini consueto – non si trovano nel mio Archivio. Spero siano conservati tuttora in quello della De Agostini, oppure in quello della Fondazione Centro Studi Licia e Carlo L. Ragghianti di Lucca, forse senza destinazione precisa.
Intendo, infine, insistere sulla rilevanza e sulla originalità di questa nota di C.L.R., sottolineando che essa non è di routine, di ordinaria amministrazione.
Si tratta di un testo con indicazioni brevi, essenziali ma importante per comprendere meglio la metodologia di Ragghianti da un lato, dall'altro contenente una indicazione per certi versi di novità, direi quasi di sovvertimento (espressa con decisione, nonostante l'apparente accettazione di interpretazioni diverse – presenti in saggi già consegnati – da parte di alcuni partecipanti che in altre condizioni R. non avrebbe certo scelto), tale da contenere in nuce una revisione del concetto di pittura nel suo intero svolgimento, iniziato – come documentazione – nelle caverne preistoriche.
F.R. (14 marzo 2020)


lunedì 13 aprile 2020

{Lo Scaffale di Irene} Le "zie" in letteratura...e non.

Un articolo scritto da Colm Tóibín, noto scrittore e critico letterario irlandese classe 1955 ( Brooklyn; Nora Webster; Il testamento di Maria) per il London Review of Books vol.33 n.6 del 17 marzo 2011 intitolato The Importance of Aunts (in the 19th century novel) fa luce su un interessante cambiamento di prospettiva da parte dei romanzieri, in questo caso prevalentemente britannici o comunque di madrelingua inglese, nella visione e quindi nell'elaborazione letteraria della struttura familiare dell'epoca. Già nel 18° secolo, riporta Tóibín citando il volume Novel Relations: The Transformation of Kinship in English Literature and Culture 1748-1818 di Ruth Perry:

le madri nei romanzi dell'epoca sono notoriamente assenti – morte o in altro modo assenti. Proprio quando la maternità stava diventando centrale alla definizione della femminilità, quando la concezione moderna della madre come fonte di calma, tenerezza, guida e conforto si stava consolidando nella cultura inglese, era rappresentata in letteratura come un ricordo piuttosto che una realtà attiva e presente”.

A questa figura materna dispensatrice di saggezza femminile e di guida morale si fece provvedere invece alle zie che pullulano nei romanzi ottocenteschi e di inizio novecento, soprattutto nella forma di anziane vedove o zitelle eccentriche che seguono in qualche modo il venire alla maturità dell'eroina elargendo consigli e provvedendo a garantire la rispettabilità delle giovani.
E' una figura affascinante quella della zia, alla quale lo scrittore può attribuire una quantità svariata di stravaganze, sfumature di personalità che vanno dall'imperiosa freddezza di una Lady Catherine de Bourgh austeniana (Jane Austen è come sempre Maestra quando si tratta di creare personaggi archetipici e universali di varia umanità, disgiunta dai legami del periodo storico) alla eccentrica ma benevola Betsey Trotwood di David Copperfield, ed è proprio la zia che spesso viene usata come personaggio focale alla creazione di escamotage e risoluzioni di trama altrimenti difficili da intessere. 
Quello dell'insegnamento da parte della donna anziana, del tramandare i segreti della natura femminile dalla saggia alla giovane per renderla una Donna in grado di navigare questo mondo pilotato dalla mascolinità con grazia ma uscendone quanto meno incolume – allora – e magari anche appagata oggi, è un tema ricorrente in ogni declinazione della cultura umana e anche della letteratura che ne consegue, dai racconti ancestrali tramandati a voce, le fiabe popolari attraverso ogni latitudine, fino alla narrativa moderna e contemporanea. In questo processo che ha del mistico, del primordiale e del quale purtroppo la donna moderna è sempre meno consapevole, hanno un ruolo centrale non solo le madri e le nonne, ma anche le zie che come figure femminili a latere, disgiunte dalla responsabilità primaria della maternità e spesso capaci di raggiungere anche i cuori giovani più ribelli. Tante donne l'hanno molto probabilmente provato in prima persona, l'autrice di questo articolo è certamente una di queste fortunate che hanno potuto sperimentare direttamente la preziosità di un legame del genere.
Uno tra gli esempi letterari che preferisco, nonostante racconti il legame tra zia e nipote maschio, è certamente Zia Mame, liberamente ispirato alla storia personale dell'autore Patrick Dennis e pubblicato nel 1955 in lingua originale e nel 1958 in italiano.



Mame Dennis è un'eclettica, ricca, avvenente e moderna donna prodotto della mondana società anni '20, abituata a mantelle di zibellino e feste in tema giapponese con alcool a fiumi che si ritrova a far da figura materna, a suo modo, ad un frugoletto decenne dopo la morte del fratello nonché padre del ragazzo. In un periodo di silenziosa rivoluzione del ruolo della donna nella società, portata avanti per lo più a livello individuale da una manciata di donne abbienti che potevano permettersi di ribellarsi alle regole sociali imposte alle donne del popolo e vivere uno stile di vita considerato eccentrico, immorale e vizioso senza tremende conseguenze, la figura di Zia Mame è emblematica di una donna intelligente, capace di mostrarsi un'intellettuale e sfoderare un "feroce senso dell'umorismo, che non risparmia niente e nessuno", senza rinunciare alla propria femminilità. affidabile nella sua inaffidabilità.

L'eccentrico autore Patrick Dennis


Il romanzo è in realtà una serie di racconti che seguono le avventure di Mame Dennis dal Proibizionismo americano agli anni Cinquanta circa, racconti nati scollegati e che furono uniti dall'editor della prima casa editrice che accettò il manoscritto, la Vanguard, grazie allo stratagemma narrativo che introduce il personaggio dell' "indimenticabile zitella del New England", le cui vicende fanno da spunto, all'inizio di ciascun capitolo, per la narrazione di un analogo episodio con protagonista zia Mame ed l'alter-ego dell'autore.
Irene Francis (aprile 2020)

venerdì 10 aprile 2020

Arte Moderna in Italia 1915-1935 - Testi dei Critici, 13. ENRICO CRISPOLTI, III (ORIANI, PANNAGGI, PRAMPOLINI, MINO ROSSO).



Post Precedenti:

1. RAFFAELE MONTI ( I ) - 16 giugno 2018
2. IDA CARDELLINI (LORENZO VIANI) - 28  settembre 2018 
3. UMBRO APOLLONIO (NATHAN, BIROLLI) - 19 settembre 2019
4. MARCELLO AZZOLINI (GUERRINI, CHIARINI, VESPIGNANI)  6 ottobre 2019
5/I. FORTUNATO BELLONZI (BOCCHI, D'ANTINO)  12 novembre 2019
5/II. FORTUNATO BELLONZI (MORBIDUCCI, SAETTI)  28 dicembre 2019
6. ALDO BERTINI (CREMONA, MAUGHAM C., PAULUCCI)  22 gennaio 2020.
7. ANNA BOVERO (BOSWELL, CHESSA, GALANTE)  5 febbraio 2020.
8. SILVIO BRANZI (SCOPINICH, BALDESSARI, NOVATI, SPRINGOLO, RAVENNA, KOROMPAY, ZANINI)  23 febbraio 2020.
9. GIOVANNI CARANDENTE (COMINETTI, MARINI)  4 marzo 2020.
10. ITALO CREMONA (REVIGLIONE). 7 maggio 2020
11. ENRICO CRISPOLTI, I (BALLA, EVOLA, ALIMANDI, BENEDETTA). 2 aprile 2020.
12. ENRICO CRISPOLTI, II (COSTA, DIULGHEROFF, DOTTORI, FILLIA). 6 aprile 2020.


lunedì 6 aprile 2020

Arte Moderna in Italia 1915-1935 - Testi dei Critici, 12. ENRICO CRISPOLTI, II (COSTA, DIULGHEROFF, DOTTORI, FILLIA)



Post Precedenti:

1. RAFFAELE MONTI ( I ) - 16 giugno 2018
2. IDA CARDELLINI (LORENZO VIANI) - 28  settembre 2018 
3. UMBRO APOLLONIO (NATHAN, BIROLLI) - 19 settembre 2019
4. MARCELLO AZZOLINI (GUERRINI, CHIARINI, VESPIGNANI)  6 ottobre 2019
5/I. FORTUNATO BELLONZI (BOCCHI, D'ANTINO)  12 novembre 2019
5/II. FORTUNATO BELLONZI (MORBIDUCCI, SAETTI)  28 dicembre 2019
6. ALDO BERTINI (CREMONA, MAUGHAM C., PAULUCCI)  22 gennaio 2020.
7. ANNA BOVERO (BOSWELL, CHESSA, GALANTE)  5 febbraio 2020.
8. SILVIO BRANZI (SCOPINICH, BALDESSARI, NOVATI, SPRINGOLO, RAVENNA, KOROMPAY, ZANINI)  23 febbraio 2020.
9. GIOVANNI CARANDENTE (COMINETTI, MARINI)  4 marzo 2020.
10. ITALO CREMONA (REVIGLIONE). 7 maggio 2020
11. ENRICO CRISPOLTI, I (BALLA, EVOLA, ALIMANDI, BENEDETTA). 2 aprile 2020.




Il pittore Franco Costa è morto nel 1980. L'orientamento critico su di lui non sembra diverso da quello espresso da Crispolti nella scheda. La Regione Piemonte nel 1990 ha promosso un'Antologica su di lui presso il Circolo degli Artisti a Torino.
Ho riscontrato su Internet l'esistenza di un pittore omonimo (1934-2015), discreto autore di serigrafie e di pitture in acrilico. La sua comunicazione visiva è nitida, geometrizzante, con netta tendenza decorativa, idonea alla diffusione pubblicitaria.
F.R. (26 gennaio 2020)



giovedì 2 aprile 2020

Arte Moderna in Italia 1915-1935 - Testi dei Critici, 11. ENRICO CRISPOLTI, I (BALLA, EVOLA, ALIMANDI, BENEDETTA).



Post Precedenti:

1. RAFFAELE MONTI ( I ) - 16 giugno 2018
2. IDA CARDELLINI (LORENZO VIANI) - 28  settembre 2018 
3. UMBRO APOLLONIO (NATHAN, BIROLLI) - 19 settembre 2019
4. MARCELLO AZZOLINI (GUERRINI, CHIARINI, VESPIGNANI). 6 ottobre 2019
5/I. FORTUNATO BELLONZI (BOCCHI, D'ANTINO). 12 novembre 2019
5/II. FORTUNATO BELLONZI (MORBIDUCCI, SAETTI). 28 dicembre 2019
6. ALDO BERTINI (CREMONA, MAUGHAM C., PAULUCCI). 22 gennaio 2020.
7. ANNA BOVERO (BOSWELL, CHESSA, GALANTE). 5 febbraio 2020.
8. SILVIO BRANZI (SCOPINICH, BALDESSARI, NOVATI, SPRINGOLO, RAVENNA, KOROMPAY, ZANINI). 23 febbraio 2020.
9. GIOVANNI CARANDENTE (COMINETTI, MARINI). 4 marzo 2020.
10. ITALO CREMONA (REVIGLIONE). 7 maggio 2020



Allievo di Lionello Venturi, Enrico Crispolti (1933-2018) è stato uno specialista d'arte moderna e contemporanea, con particolare dedizione al Futurismo e alle sue conseguenze. E' stato docente a lungo presso l'Università di Siena.
Nel 1954, appena maggiorenne, scrive a “seleArte” in relazione alla libera docenza in Storia dell'Arte contemporanea e ai regolamenti ministeriali vigenti. Pubblicando la lettera nel fascicolo n. 13 (lug.-ago., p. 3), Carlo L. Ragghianti svolge un'analisi su necessità e carenze della cultura accademica e degli insegnamenti impartiti nei confronti dell'interesse generale del Paese.
Di nuovo, nel 1956, Crispolti invia a C.L.R. un suo intervento su “Nuova repubblica” (n. 51, 16 dic.), che con il titolo Un grido di allarme relaziona sulla difficoltà e gli ostacoli frapposti alla “Commissione parlamentare per la tutela e la valorizzazione del patrimonio artistico, culturale e del Paesaggio” e sulle molte e articolate proposte in essa sostenute da Ragghianti “perché tutte da sottoscrivere”. Segue un cortese, breve scambio epistolare.
Nel fascicolo n.75 (lug.-sett. 1965, p.58) di “SeleArte” è stata pubblicata – direi scritta da Carlo L. Ragghianti – la recensione della monografia che Crispolti ha dedicato al ciclo “Il Concilio”, che, con piglio Baconiano, ha impiegato Segio Vacchi tra il 1962 e il 1963. Questa particolare ricerca dell'artista viene definita dal recensore “oltre che un nodo problematico, di grande rilievo e forse anche, per molti aspetti, condizionante per una nuova maturità del pittore”
Dal giugno 1966, in merito alla mostra Arte Moderna in Italia 1915-1935, nella quale Crispolti dal febbraio fa parte del Comitato nazionale su designazione di Ragghianti, egli invia una fitta corrispondenza collaborativa alla Segreteria e a C.L.R.
Dopo questa esperienza le esigenze accademiche di Crispolti, ancorate a “cordate” estranee, quando non antitetiche alle convinzioni di mio padre, divergono vieppiù, sia pur senza prese di posizione evidenti.
Sempre un concorso universitario per la cattedra di professore ordinario, quello in cui era candidato Crispolti, nel 1977 dà adito ad una corrispondenza tipicamente accademica, dalla quale in data 30 giugno C.L.R. compiega una copia a Giuseppe Mazzariol “con postilla”. Non è dato conoscere il carattere di questa nota, di cui pertanto ignoro il contenuto.





Comunque il comportamento di Crispolti nei confronti di R. è già da tempo freddo perché egli si è allineato alle posizioni di G.C. Argan, ordinario a Roma e capofila di una cordata nazionale di addetti alle arti i cui membri venivano comunemente designati come “arganizzati”. In effetti bisogna riconoscere che questa “massoneria” era piuttosto efficiente e invadente.
Il rapporto tra i due studiosi risulta chiudersi nel 1985 (3 gennaio) quando R. scrive a C. a proposito della “cagnara” sulle false sculture di Modigliani per chiarimenti e informazioni (lettera che riproduco insieme alle pagine su “SeleArte” del 1954). Non mi risulta esserci stata una risposta. In caso contrario deve essere finita in qualche incartamento relativo a quella sporca storia. Non penso, infatti, che Crispolti si sia permesso di essere scortese con Ragghianti. Se non altro perché il suo sopra citato capocordata era implicato nella “beffa”, e in modo piuttosto imbarazzante, e di conseguenza aveva tutto l'interesse di uscire dall'occhio del ciclone mediatico sulla scia di altrui dimostrazioni e giustificazioni.
In definitiva il C. è stato uno degli ordinari professori universitari, ossequiosi per crescere, arroganti per resistere, dimenticati una volta pensionati.
F.R. (3 febbraio 2020)