Carlo e Licia

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venerdì 30 novembre 2018

"Ragghianti & Collobi" ha venticinque mesi!

Questo blog è entrato nel terzo anno di pubblicazione – pardon, postazione – con alle spalle 267 interventi o post. Non male per l'attività di un quasi ottuagenario e di sua nipote Irene che gli fornisce assistenza tecnica nel tempo residuo di un'intensa vita di neo sposa, di neo casalinga, di blogger in proprio e di collaborazione letteraria e – finalmente s'è decisa – di matricola universitaria.
I 267 post sono di vario genere, comprendendo persino l'intera pubblicazione “anastatica” della quarta serie di “SeleArte” (1988-1999) – di cui a cura di Rosetta Ragghianti si sono realizzati gli Indici dei nomi, dei luoghi, degli argomenti, agevolmente consultabili in rete. Perché apportassero un rinnovato interesse ai testi e ai documenti originali riproposti si è resa necessaria una notevole mole di lavoro, dall'essenziale scannerizzazione alla ricerca e elaborazione dei materiali integrativi quali fotografie, altre documentazioni, commenti informativi nonché corredi biografici e bibliografici, ecc. Tutta questa attività copre e ricorda già una buona parte dei settori culturali ed artistici di cui si sono occupati i coniugi Ragghianti durante la loro indefessa azione, sempre operante, anche durante le non infrequenti malattie, di Licia soprattutto. Particolare attenzione è stata dedicata, ed è tuttora in corso, alla riproposta dell'intera Mostra Arte Moderna in Italia, 1915-1935, del 1967 in Palazzo Strozzi, con integrazioni inerenti gli studi di Carlo L. Ragghianti, di nuove fotografie e altri materiali con persino un po' di aneddotica secondo le mie residue rimembranze.
Più che per fare il punto della situazione, per chiarezza d'intenti sarebbe opportuno definire che tipo di mezzo di comunicazione è, o vorrebbe essere, la nostra presenza in rete.
I blog, per loro indefinizione, sono di vario tipo, di contenuti ancor più vari. Si va dal diario personale, al commento del mondo dal proprio punto di vista, all'organo di propaganda organizzato, a mezzo di comunicazione gratuito ma sovvenzionato altrimenti (pubblicità, ma – direi – non solo), a vero e proprio organo d'informazione alternativo oppure integrativo della carta stampata e altri media strutturati.
Il nostro “Ragghianti e Collobi” è un contributo informativo e critico che intende proseguire con altri mezzi l'esperienza e gli scopi di “SeleArte” (quarta serie), rivista per noi oggi economicamente insostenibile senza “sponsor”. Questi però, persone o enti o ditte che siano, non sono come lo sono stati Sergio e Luisa Perdisa – editori ma soprattutto ammiratori dei Ragghianti – o come l'amico di famiglia Bruno Tassi (sempre col consenso del socio Roberto Cecchi), cioè persone che mi hanno economicamente aiutato senza chiedere in cambio alcunché. I pochi – e in punta di piedi – tentativi che ho esperito sono sempre stati accolti ma a condizioni inaccettabili. Non perché mi venisse chiesto di inserire la loro pubblicità (il che sarebbe stato ovviamente doveroso, purché fosse esplicita e pertinente al marchio) ma perché invece mi è sempre stato chiesto – informalmente, verbalmente of course – di aderire anche a campagne di sostegno più o meno esplicite però sostanzialmente non palesi ed identificabili o comunque non coincidenti con le idealità di Ragghianti.
Quindi posso affermare che già più di vent'anni fa ho accertato che in questo paese non esiste stampa libera, salvo che non si consideri “libertà” difendere e promuovere gli interessi di un proprietario e/o di chi lo finanzia.
Il blog è un mezzo sostanzialmente economico da gestire, anche per me che tecnologicamente sono un plantigrado dell'era Gutenberg, di conseguenza un analfabeta e-qualcosa. “SeleArte” (IV serie) era una fanzine dell'operato di Carlo L. Ragghianti e Licia Collobi, un organo di stampa utile e anche necessario, nonostante l'esistenza a Lucca della Fondazione Centro Studi Licia e Carlo L. Ragghianti, la cui quasi quarantennale attività è da ritenersi tutto sommato positiva per quanto riguarda i fondatori.
“Ragghianti e Collobi” indubbiamente vuol proseguire sul binario di “SeleArte” (IV serie), ed essere un medium indipendente, distinto ma se necessario alleato della Fondazione di Lucca. Il blog intende anche potenziare l'attività e introdurre alcune novità.
L'innovazione più significativa è quella di mettere via via a disposizione dell'indefinito (ma potenzialmente infinito) “pubblico” di studiosi, di studenti, di persone colte, di residui amici e stimatori dei coniugi R., ed anche di semplici curiosi, l'accesso ad opere scritte sempre più rare da rintracciare nel mercato (e comunque non gratuite, nonostante il crollo del prezzo dei libri inattuali), oppure nelle scomode – spesso burocraticamente frustranti – biblioteche, purtroppo temo concettualmente sempre più lontane dalla mentalità internettiana. E di rendere accessibili non solo gli scritti ma anche la conoscenza della vita personale, sociale, politica, delle relazioni con artisti e personalità, delle iniziative di ogni genere dei coniugi Ragghianti. Tutto questo per me e le sorelle ha la sua importanza sia  
emblematica che esemplare, oltre che documentale. L'immissione in rete delle fonti parrà un po' disordinata e casuale, e in parte lo è il mio personale eclettismo; in parte – ma non del tutto volutamente – rispetta il tipo di metodo espressivo caro a mio padre e a Benedetto Croce, spesso, di asistematicità nei confronti del modello manualistico, per dirla in soldoni. Comunque io non sono in grado di procedere in quel senso e preferisco astenermene piuttosto di fare pastrocchi a danno della cultura.
Mi si può obiettare circa la preoccupazione di non immettere in rete materiali sufficienti in relazione alla loro mole complessiva, colmando così le lacune tra i post pubblicati e quelli in attesa di esserlo, o di essere organizzati. A ciò non rispondo positivamente. Cioè non si possono immettere pari pari tanti scritti che son lì ad aspettare: prima di tutto di essere riconosciuti nel contenuto al di là della loro titolazione, quindi eventualmente dotati di note esplicative e di commento per non lasciare completamente all'utente del post la pena di fare i riscontri e i collegamenti necessari.
Altra notazione di qualche rilevanza connessa al mio lavoro sui singoli contributi del blog è che per me c'è molto da imparare e/o da capire. Perciò va considerato anche questo aspetto – soprattutto rilevante per il tempo che assorbe – di un “non è mai troppo tardi”, che noto con soddisfazione può rimanere capacità attiva anche nella vecchiaia. Devo riconoscere, infatti, che da un lato non sono mai stato un particolare conoscitore dell'opera dei miei genitori, per naturale inclinazione a certa mediocrità e certo ostacolo a fronte di quel che concerne la speculazione teoretica. Dall'altro ha ostato la naturale superficialità giovanile, l'illusorio rimandare al domani, i tanti casi della vita lì per lì considerati importanti. Adesso, di fatto, passo abbastanza tempo a leggere quanto ignorato e a rileggere quanto non compreso o non interamente afferrato. (E devo confessare – anche se mi brucia – che estesi sono i margini di approfondimento ancora da esplorare e – questo lo so per certo – non avrò né il tempo né l'energia per farlo).
Tutto questo – anche se un po' imbarazzante – dovevo scriverlo perché si collega piuttosto intrinsecamente alla mia partecipazione diretta nel blog. Ricollegandosi a quanto in precedenza scritto circa la frammentazione degli argomenti, ecc., sarebbe indecoroso immettere in rete testi e documenti senza conoscerne il contenuto effettivo ed anche senza lettura di controllo su carte note ma di lontana o lontanissima prima lettura. Verifiche necessarie, quindi, non per il merito (ovviamente intangibile) ma per agevolare la lettura fornendo ulteriori informazioni o quant'altro possa essere necessario per la migliore comprensione del lettore.
Mi sono accorto, poi, che via via la presenza dei miei interventi, di ricordi, di osservazioni, di precisazioni si è infittita. Oltre al fatto che alla fin fine figlio dei Ragghianti e Collobi sono e che anch'io – come le sorelle e nipote – ritengo che almeno in buona parte queste interpolazioni possano interessare e risultare utili alla complessa ricostruzione di una storia famigliare che non è stata ordinaria né tanto meno insignificante.
Avevo in programma di rendere note con una certa frequenza anche “corrispondenze” (intere o parziali) di Carlo L. Ragghianti con i suoi significativi ed importanti interlocutori. Purtroppo, stando lo stato di degrado di molte fotocopie (i cui inchiostri spesso non reggono il passare del tempo), ma anche di veline originali (il cui inchiostro dal nastro tende a sbiadire) le lettere risultano non riproducibili o praticamente illeggibili Occorrerebbe trascrivere queste missive con non poco dispendio di tempo e denaro. Ciò non ci è possibile. Perciò, almeno per il momento, dobbiamo accantonare il progetto di rendere accessibile anche questo veramente unico materiale dell'Archivio. Spero comunque nella concomitante, continua e del tutto indipendente attività di studiosi affermati e di laureandi che svolgono e concludono ricerche presso l'Archivio della Fondazione Ragghianti di Lucca. Confido che esse ci saranno comunicate, così da renderle ulteriormente note tramite questo blog.
Anche in un altro post ho accennato al fatto che questa attività è piuttosto impegnativa e smisurata, con l'evidente conseguenza che il sottoscritto potrà parteciparvi più o meno a lungo, ma non concluderla. A questo punto spero che le sorelle individuino come e con chi proseguire questo compito che abbiamo affrontato consapevolmente (seguito allo sbandamento fisico ed emotivo conseguito ai 34 giorni di degenza in ospedale) sia per continuare a significare la filiale ammirata devozione a Ragghianti-Collobi, sia per la banale necessità di avere uno scopo per cercare se non proprio di evitare almeno di ritardare, attutire le orrende conseguenze sulla memoria e sulla consapevolezza di sé, le quali possono venir meno anche prima dell'inevitabile decesso.
Nel frattempo: cotidie laboremus.
F.R. (26 novembre 2018)

Addendum
Questo blog "Ragghianti & Collobi" è anche equivalente di un messaggio in bottiglia lanciato in mezzo al mare, in balia delle onde finché qualcuno lo pescherà e lo aprirà. Vuol essere quindi e soprattutto un messaggio potenziale con destinatario preferibilmente stocastico, dato che chi è predisposto dagli ordinari mezzi di formazione e informazione culturale a voler conoscere o studiare Carlo L. Ragghianti o Licia Collobi generalmente viene orientato alla bisogna in sedi accademiche. Comunque anche per costoro la frequentazione del blog "Ragghianti & Collobi" può risultare di qualche interesse ed addirittura tornar utile.

mercoledì 28 novembre 2018

Per fatto personale. - Firenze. Conferma razzista di una città matrigna.

Con dispiacere personale e rabbia nei confronti dell'ottusità corriva dei più ho avuto una conferma di come il razzismo, la discriminazione siano un virus endemico che riesce – mutando volto – a colpire profondamente e a far soffrire le vittime: con la religione, con il sesso, con l'indigenza, con il colore della pelle, soprattutto.
Premetto: per abitudine ogni sera prima di andare a dormire do un'occhiata ad alcuni blog d'informazione per avere un sintetico panorama degli accadimenti. Alcuni li guardo tutti i giorni come l' “Huffington Post”, il “Corriere della sera”, “Le Monde”, “Liberation” e “Il Fatto quotidiano” (“La Repubblica” no da quando è diretta – verso la catastrofe – dal Mario Pio sconfortante successore di Ezio Mauro) e 
persino – dico così perché è capitato che quando l'ho nominato si è manifestato scandalo –  l'incredibile “Dagospia” figlio di un curioso personaggio che lo inonda di pettegolezzi e pseudo/sesso che salto (per disinteresse e fastidio dato che, come si sa, sono un “moralista”, e me ne vanto), mentre invece leggo quei pochi post che spesso riprende nel web di notizie e servizi giornalistici – originali o riportati da fonti poco note, inusuali ma attendibili – con fatti e commenti altrimenti per me introvabili. E' un'informazione dissacrante di ciò che i potentati preferirebbero che il popolo bue – cui appartengo – non sapesse. Questa premessa vuole spiegare come mai un anziano eremita abbia potuto trovare il post che riproduco qui di seguito.




Il controllo dell'articolo in lingua originale pubblicato dalla giornalista sul New York Times, rivela che l'esperienza dell'allora giovane studentessa universitaria con il profondamente radicato razzismo – nel senso proprio del non limitarsi alla superficie – della gente di Firenze (esempio di una ahi-noi generalizzata natura del popolo italiano) fu più estesa di quanto si evince dagli spezzoni di articolo riportati sull'Huffington Post. Nell'articolo originario i numerosi e piuttosto gravi episodi di schifosa e gratuita discriminazione sono inoltre corredati da una riflessione sulle tradite aspettative che si hanno all'estero nei confronti del nostro paese (ed in questo caso, della nostra città) e sull'apparente – ma non sostanziale 
– differenza di forma che il razzismo assume dagli Stati Uniti ad un paese come l'Italia, entrambi ingiustificabili e imperdonabili ma che richiedono all'individuo strumenti interiori diversi per riuscire a gestirli e reagirvi in modo da non esserne distrutti. Si invita quindi chi possieda abbastanza conoscenza della lingua inglese a ricercare l'articolo in questione di Nicole Phillip per accedere ad una visione più esaustiva del pensiero e dell'esperienza dell'autrice, ma anche per aprire una piccola finestra – l'appetito vien mangiando! - su una discussione fondamentale, troppo ignorata e scomoda a tanti ma vitale per la crescita ed il progresso morale ed etico della società umana. [I.M.F.]


La mia indignazione per quanto sopra descritto non è soltanto “normale” ripugnanza nei confronti dell'inciviltà del mostruoso razzismo in fase di incontrollata (e incoraggiata) espansione, nella fattispecie diviene rabbia feroce per fatto personale.
Rosetta ed io, oltre a nostra sorella Anna, abbiamo da tempo come affetto familiare soltanto nostra nipote Irene, bella e brava ragazza virtuosa perché anche religiosa senza ipocrisia.
Irene, che ha 24 anni, è sposata con un uomo statunitense, il quale ha la particolarità di essere nero di carnagione. Persona riservata, poco espansiva anche per ragguardevole disciplina derivante dall'essere stato “marine” – quindi in grado di difendersi e di offendere qualora necessario senza temere gli avversari. Egli, che io sappia, ha già dovuto subire qui in Italia alcuni comportamenti razzisti espliciti ma soprattutto impliciti sia da persone con pubbliche funzioni che da stronzi privati, senza – per fortuna – conseguenze reattive verso l'altrui offesa, portata con prudenza viscida all'Uriah Hepp e con vigliaccheria. Però dopo due anni si è stufato di Firenze, dove insegna inglese, ed ha deciso di tornare negli USA, a New York City.
A dire il vero io pensavo che Kevin volesse tornare (“goire to home” nel mio inglese maccheronico) se non proprio, anche perché insoddisfatto dell'ambiente familiare italiano e per naturale nostalgia.
Ora, finalmente, grazie – si fa per dire – alla testimonianza di Nicole Phillip ho capito il perché di questa scelta di Kevin: è stato il razzismo, quello peggiore, subdolo, strisciante, degli sguardi obliqui o assenti, delle persone che via via conosci e ti evitano maldestramente, delle piccole spostature, dei non inviti, delle esclusioni. E qui mi fermo perché conosco sulla mia pelle rugosa la discriminazione, di tipo analogo seppur di differente gravità: discriminazione religiosa la mia.
Dalle elementari – additato durante l'iniziale preghiera cui assistevo silente in piedi, dalla maestra congiunta del “martire” fascista Piazza con la frase “guardate R., quel bambino non andrà in Paradiso!” – alle medie dove avevo come compagno di banco un altro “capro espiatorio” oppure proprio nessuno, nemmeno l'ebreo o il valdese. Per dovere d'onestà devo riconoscere che non si mostravano ostili soltanto due ragazzi cattolici: Paolo Blasi (poi Rettore magnifico dell'Università di Firenze) e Mario Primicerio (poi Sindaco di Firenze). Al ginnasio e in prima liceo l'esclusione era meno palese e mi rompevano i coglioni più per essere figlio di un capo della Resistenza che per essere ateo. Certo quei tanti figli di genitori conniventi, forse “mandanti”, mi hanno fatto patire per 13 anni non poco. E i comportamenti di rivolta, e le scazzottate anche violente e vincenti con più nemici allora non mi consolarono e ancora oggi non lo fa il ricordo.
La partenza dei miei nipoti, indubitabilmente ma legittimamente ci priverà della presenza quasi quotidiana dell'unica persona giovane che rasserena la nostra vecchiaia, che la riempe di speranza, di vita.
Ciò sarà, se non per sempre – esistono gli aerei... – quasi, data la nostra età e il fatto che per me perfino andare a Figline è spostamento fastidioso: andare a “Broccolino” (New York) è escluso.
Maledetti razzisti – d'ogni genere e grado – vi auguro di ricevere moltiplicato per mille ciò che avete compiuto e ciò che state facendo da chi pregiudizialmente temete e vilmente odiate.
Rampognare la detestata, ignobile Firenze l'ha fatto una volta per tutte efficacemente Dante Alighieri. Io posso confermare a quei sordidi bottegai lo sdegno e augurarmi che finisca il turismo di massa e la città sia costretta a riqualificarsi.

F.R. (14/15 novembre 2018)

lunedì 26 novembre 2018

!!! Addendum a "Studio sull'arte".

Abbiamo aggiunto un testo, dall'identico titolo, al post del 13 settembre 2018 intitolato "Studio dell'arte", di contenuto complementare a quello già proposto. 
Per consultarlo, cliccare qui.


domenica 25 novembre 2018

Il 1948 dei critici d'arte – Il Convegno di Firenze, Atti (V) – Comunicazioni, 1.

Post precedenti:
23 luglio 2018. n.1 - Preliminari e inaugurazione.
26 agosto 2018. n.2 - Sezione 1A. Indirizzi, metodi e problemi di critica d'arte.
25 settembre 2018. n.3 - Sezione 1B. Spazio, critica d'arte e critica architettonica. Discussione (Sezioni A e B).
25 ottobre 2018. n.4 - Sezione 1C e 1D. Le arti figurative e il cinema. Arti figurative e stampa quotidiana.


Questa sezione – da noi suddivisa in due parti – concerne esclusivamente studi e ricerche espressamente dedicate al Convegno, in analogia alle pubblicazioni miscellanee per onoranze, ecc. Data l'eterogeneità dei temi non è facile riassumere il contenuto di ogni comunicazione senza il rischio di fraintendimenti, stante anche l'uso di lingue diverse dall'italiano. Perciò riferiremo soltanto qualche dato (quando e quanto reperibile) e nota essenziali per ciascuno studioso.
Charles Rufus Morey (1877-1955, p.90), storico dell'arte statunitense affermato, è stato Addetto Culturale dell'Ambasciata di Roma dal 1945 al 1947. Di lui voglio dire soltanto che fu legato a tutti gli ambienti nostrali antipatizzanti nei confronti di Carlo L. Ragghianti, il quale fu anche ostacolato quale Sottosegretario alle Belle Arti non poco da costui nella sacrosanta esigenza di riportare sotto le competenze egida del Ministero della Pubblica Istruzione il recupero delle opere d'arte trafugate dai nazisti o disperse durante gli eventi bellici.
Giuseppe Fiocco (1884-1971, p.101), laureato in legge, quindi in Storia dell'Arte con Supino di Bologna, è stato un noto dispensatore seriale di expertises, spesso improprie. Definito da R. “lo Sciocco”, fu un importante barone universitario.
Stefano Bottari (1907-1967, p.105) catanese è stato il successore

all'Università di Bologna di Roberto Longhi. Non so perché C.L.R. avesse con lui buoni rapporti (per sostenere Gnudi?!). Per me è soltanto il laureatore di un personaggio detto il Tattamea, che detesto.
Renzo Federici (1921-1990, p.116) è stato un collaboratore stretto di Ragghianti e segretario de “La Strozzina” fino a quando R. riuscì a farlo approdare quale redattore alla Einaudi di Torino. Persona timida ma altezzosa, d'umore bizzoso e sarcastico ma discontinuo, secondo Righi (e altri) lasciò la casa editrice perché ossessionato da Cesare Pavese (suicida) di cui aveva “ereditato” la scrivania. Questo saggio è probabilmente collegato con la sua tesi di laurea, giacché allora Federici si occupava di arte contemporanea. E' stato traduttore anche di noti (e secondo R. “deleteri”) studiosi stranieri, non so quanto costretto dalle circostanze editoriali o quanto per convinzione deviata dalle proprie origini. Tornato a Firenze ha insegnato alla Accademia di Belle Arti ed è stato collaboratore assiduo di Maria Luigia Guaita per “il Bisonte”, azienda primaria e scuola di incisione artistica prestigiosa. Quanto sopra detto a proposito dello scritto qui pubblicato è convalidato dalla lettera che egli inviò a Ragghianti a proposito del suo testo da correggere della relazione che a suo tempo fece al convegno. Un precoce esempio della discontinuità balzana di questo personaggio per molti versi assai intelligente.



venerdì 23 novembre 2018

{glossario} CLASSE, lotta di,

A domanda: "Il concetto di classe ha ancora senso? Oggi molte persone non si considerano classe operaia anche se sono tra i poveri."

Risponde:
Ken Loach, 2018.

(Da "L'Espresso", 2 sett. 2018, p.48)




martedì 20 novembre 2018

L'Arte Moderna in Italia, 1915/1935 - 10. LEVI, MAFAI, RAPHAEL MAFAI (1 parte)


Post precedenti:

1. 30 dicembre 2017
Presentazione di Carlo L. Ragghianti.
Criteri del Catalogo, Bibliografia generale. Comitato d'onore; Comitato esecutivo; Comitato tecnico; Comitato di consulenza nazionale; Consiglio A.T.T. di Firenze; Consiglio de “La Strozzina”;  organizzatori percorso museografico; segreterie; fornitori dell'esposizione.
2. 31 dicembre 2017
Criteri assegnazione schede critiche; criteri per la consultazione del Catalogo e quelli distintivi di questa rievocazione.
Artisti: ALCIATI, Nino BARTOLETTI, Pasquarosa BARTOLETTI, BIASI, BONZAGNI, BOSIA, BUCCI, CHECCHI, COSTETTI, FERRO.
3. 28 febbraio 2018
Artisti: GALIZZI, GEMITO, GRAZIOSI, Piero MARUSSIG, OPPI, PENAGINI, PRENCIPE, SPADINI, WILDT.
4. 25 marzo 2018
Artisti: BACCI, DUDREVILLE, GOLA, MAGRI, PARESCE, RAMBELLI, BARTOLI NATINGUERRA, GUIDI.
5. 15 aprile 2018
Artisti: BARTOLINI.
6. 4 maggio 2018
Artisti: SAVINIO, TROMBADORI, MONACHESI, FONTANA, MUNARI, FRANCALANCIA.
7. 3 luglio 2018
Artisti: FURLOTTI, METELLI, BARBIERI, BROGGINI, CAGLI, CAPOGROSSI.
8.
Artisti: CESETTI, FAZZINI, GENNI WEIGMANN, GENTILINI, GUTTUSO.
9. 16 settembre 2018
Artisti: Edita e Mario BROGLIO.

sabato 17 novembre 2018

La Strozzina, 2. 1955-1971

In questa seconda parte (la prima è stata postata il mese scorso, stessa data ) cercheremo di dare, sia pur sommariamente, un quadro dell'attività de “La Strozzina” dal 1955 all'alluvione di Firenze del 4 novembre 1966, e poi delle saltuarie riprese fino al 1971 in sedi differenti dello storico sottosuolo, rimasto incomprensibilmente devastato, però sempre a Palazzo Strozzi. E' del 20 dicembre 1954 il secondo Statuto de “La Strozzina”, che riproduciamo non solo come documento ma anche come esempio della pratica costante di C.L.R. di garantire giuridicamente le iniziative, proprie o condivise, di attività culturali e sociali. A questo aspetto si associa la sua curiosa caratteristica di predisporre come primo atto di ognuno di questi progetti la carta intestata, fossero essi già esecutivi o appena in nuce. Segue l'elenco delle esposizioni effettuate nel periodo.
Nella lista sono comprese anche mostre particolarmente importanti e impegnative, effettuate con collaborazioni di prestiti anche internazionali, quali quelle relative agli architetti Le Corbusier e Alvaar Aalto, avvenute nel primo piano del palazzo, come già quella del 1951 di Frank Lloyd Wright.
Riproduciamo poi tre documenti superstiti. 
Nel primo, databile tra il 1960 e i 1963, si può constatare il livello e la qualità delle personalità che facevano parte del “Consiglio Direttivo Tecnico”. Nel secondo foglio riscontriamo l'elenco dei Cataloghi pubblicati per conto della Galleria dallo Studio Italiano di Storia dell'Arte; la postilla manoscritta in calce al primo foglio è di C.L.R. con
l'indicazione della sciagurata distruzione e/o dispersione operata da Nino Lo Vullo su parte dei materiali quanto consegnò quelli residui d'Archivio e di magazzino de “La Strozzina” all'Università Internazionale dell'Arte (vedasi post “La Strozzina, 1” pubblicato il mese scorso). In relazione a questa consegna effettuata in condizioni d'emergenza (la Strozzina, soppressa da l'AAT doveva sgomberare la sede amministrativa immediatamente) è di questi giorni la notizia che dà adito a sperare in un'opportunità di ritrovare, almeno in parte, i materiali depositati all'UIA. Infatti la Fondazione Centro Studi Ragghianti di Lucca ha acquistato dalla liquidazione di quella scuola l'Archivio, la fototeca e il “magazzino”. Quindi è lecito sperare di riscontrare i materiali superstiti attualmente disponibili. Il terzo documento qui riprodotto rappresenta una sintesi programmatica delle “Strutture e attività” de La Strozzina negli anni 1965-1971. In questo programma “La Strozzina” fungeva da volano alle iniziative che C.L.R. intendeva realizzare e raggruppare nella loro rispettiva autonomia nel “Palazzo dell'Arte” di cui aveva strutturato funzioni e attività, individuandone anche sedi successive cui adattare la struttura. Purtroppo l'accanita ostilità della parte retriva della politica cittadina, la ondivaga solidarietà socialista e la schizofrenica approvazione del P.C.I. resero vani tutti questi notevolissimi e – posso assicurarlo con forza – importanti progetti che avrebbero fatto di Firenze veramente un faro internazionale per le arti visive.
F.R. (3 agosto 2018)


mercoledì 14 novembre 2018

{artisti misconosciuti} Ruggero Falanga.

Un contingente interessamento di mia sorella Anna riporta in memoria l'esistenza di questo pittore praticamente sconosciuto, anzi misconosciuto. Ci si può domandare come mai Carlo L. Ragghianti si occupasse su sollecitazione dello storico, e collega all'Università di Pisa, Giuseppe Are di questo artista a lui allora ignoto. Domanda lecita anche perché non era, come non è oggi, inconsueto che storici dell'arte, critici, scrittori più o meno saltuari sull'arte scrivano presentazioni per vari motivi estranei ai loro reali interessi professionali. Questi scritti d'occasione a volte sono vere e proprie “marchette”, come vengono definiti in gergo, cioè prestazioni di puro mercimonio. A volte, invece, si tratta di scambi tra colleghi o tra editore e autore; a volte non è estraneo il sesso, e via discorrendo.
Beh! queste cose C.L.R. non le faceva: al massimo ha scritto qualche riga per non deludere un richiedente insistente ma legittimato da circostanze “oneste” e nell'ambito di condivise strategie culturali. E' accaduto, ma assai raramente, che per raggiungere un più importante obiettivo Ragghianti accettasse di indagare l'opera di un artista marginale. Però se ne ha scritto era perché, conoscendo la persona o il suo lavoro, ne apprezzava le qualità sufficientemente per uno scritto non solo di circostanza ma formalmente e storicamente corretto e giustificato.
Questo è stato il caso, per fare un esempio concreto, della indagine su Arturo Momoli Longhini, artista genovese, già nel 1958 invitato a “La Strozzina” con una vetrina. Quindi essendo costui fraterno amico ( e co-massone?) dell'ing. Alberto della Ragione, lo indusse a parlare di lui a C.L.R. in una delle occasioni d'incontro per definire i termini della “grandiosa” donazione a Firenze della sua collezione. Ne conseguì, nel dicembre 1970, che il critico dedicò due pagine – ovviamente dignitose – alla pittura di Momoli. Per quanto successivamente l'artista lo solleciti per una monografia, soltanto nel 1980 – e solo perché ne è convinto – C.L.R. consegnerà un testo lungo ed articolato di analisi e valutazione dell'opera del pittore genovese. Questo testo si trova poi pubblicato nel 1981 dall'editore Carpena.
Questa lunga premessa che vuol chiarire la distinzione tra testo storico-critico spontaneo e testo “estorto” per una ragione qualsiasi però impropria, il che tra l'altro è moralmente riprovevole ed equivale alle expertises che nobilitano “croste” e “cerotti” a opere d'arte di qualità. Il che è anche un reato.
Tornando a Ruggero Falanga (1914-1970), dopo aver riguardato le sue opere nell'unica pubblicazione nota, cioè il catalogo monografico edito nel 1978 per l'esposizione in Palazzo Strozzi (15 novembre – 
15 dicembre) a cura dell'Azienda Autonoma di Turismo di Firenze, mi sento di concordare con chi sostiene la piena validità dell'operato di questo pittore. Il 29 settembre 1978 Carlo L. Ragghianti scrisse ad Andrea vòn Berger (giovane e dinamico Presidente dell'A.A.T. Di Firenze, anni dopo travolto in consueto scandalo di socialismo craxista): “... Per quanto riguarda Falanga (da me presentato) si tratta di un artista pressoché ignoto ma dotato singolarmente e suggestivo. Prego comunicare al prof. Are la disposizione che hai preso e concordare con lui quanto occorra”.
Giuseppe Are (1930-2006), già normalista e allievo di Cantimori e Passerin d'Entréves, poi professore ordinario di Storia contemporanea a Pisa, all'epoca della mostra era – se così si può dire – il capofila degli apprezzatori del pittore scomparso nel 1970 e come tale chiese al collega Ragghianti un interessamento che confermasse o meno la sua ammirazione per Falanga. Evidentemente C.L.R. valutò positivamente quell'operato tormentato da una continua ansia di approfondimento nel cambiamento e oltre al parere richiestogli si offrì di scrivere un breve saggio sul lavoro del pittore che “è stato sempre un temperamento eccessivo, come mostra, oltre alla sua biografia e al suo lasciarsi morire, il bisogno frequente di concentrarsi in quelle che chiamava forme alternative” e che “come molti artisti di questo secolo si richiamavano a Picasso … per virtù del quale si è affermato il diritto contemporaneo al rifiuto di un centro, al sondaggio illimitato dell'essere”.
Giuseppe Are nel suo scritto in Catalogo L'itinerario di Falanga (uomo di molte letture) traccia una sintesi del tormentato percorso artistico del pittore, caratterizzato da “cicli” e da una costante ricerca di valori estetici.
Anche il breve intervento del giovane Geoffrey Hinton (n.1947) intitolato Conflitto e paradosso sottolinea la complessità della psicologia di Falanga, comunque non contraddittoria, e conclude ricordando la scritta che l'artista dipinse su una parete del suo studio: “io cerco qualcosa che è come la luce di dio”.
Geoffrey Hinton, inglese divenuto canadese, in seguito è diventato un importante psicologo cognitivo e scienziato informatico che dal 2013 lavora contemporaneamente per Google e l'Università di Toronto.
I cenni biografici di Ruggero Falanga sono illustrati con partecipe commozione dalla psicoterapeuta Angela Margherita Sacchi, che ricostruisce il tormentato ma tenace svolgimento artistico ed umano di un pittore originale ed inconsueto.
F.R. (7 settembre 2018)

domenica 11 novembre 2018

Artisti "misconosciuti".

Lavorando ormai da diverso tempo per allestire i post delle serie “Arte Moderna in Italia, 1915-1935”, mi rendo conto che l'impresa è ancora di lunga durata. Siccome ho 78 anni e rotti, realisticamente – se non altro per diminuite facoltà fisiche – constato che ci sono concrete possibilità che io non possa terminare l'impresa. Pazienza. C'è però un aspetto che mi fa dispiacere in modo particolare, cioè di non poter avere riproposto (o in altro ambito proposto) alcuni artisti che considero misconosciuti, cioè come recita il Devoto-Oli “vittime di ostile incomprensione o di sorda ingratitudine” cui aggiungerei “vittime di ingiustificato oblio”, cioè dimenticati. Mi riferisco in particolare a coloro di cui nella Mostra suddetta già nel 1967 il recupero fu difficoltoso nel reperimento di riproduzioni di opere e notizie critiche, e quindi la cui risonanza mediatica anche in quel contesto fu assai meno considerata dalla critica e dal pubblico. Tanto per fare un esempio: Siro Penagini (vedi post del 28 febbraio 2017) ricevette apprezzamenti e immediati recuperi espositivi e commerciali; Eugenio Viti (tanto per citare un nome) non fu preso in considerazione allora né apprezzato, oggi – dopo riscontro su internet – c'è silenzio tombale. Eppure è un artista di qualità certa. Eccetera.
Non voglio illudermi che questa sede possa incidere in maniera significativa, però l'individuazione di questi artisti e l'indicazione di ricostruire la loro attività nell'ottica di un nuovo presente può portare a una “scoperta” soltanto se in qualche sito o ufficio qualificato c'è traccia di loro. Quello che vorrei fosse recepito, specie da Istituzioni artistiche e da Enti locali – unici luoghi dove ancora c'è la possibilità non onerosa di avere visibilità – che a questi “misconosciuti” o dimenticati fosse data considerazione da un lato e dall'altro “caccia” alle loro opere, ora disperse o rintanate nei magazzini, rintracciandole. Almeno se ne avrà una mappatura della conservazione privata e pubblica. Ciò sarebbe anche più possibile se le risorse disponibili, troppo spesso spese per l'acquisto di un'altra (mediocre e superflua) opera di un artista affermato e presente in collezione/catalogo, fossero invece destinate ad acquisizioni di opere dei “Viti”, in modo che anche gli artisti negletti possano essere conosciuti, conservati per la vichiana riconsiderazione dei posteri.
Nel nostro piccolo mi affido quindi alla curiosità, alla perspicacia e anche – purtroppo, ma può tornare indirettamente utile – alla avidità di guadagno di ignoti presenti e futuri cliccatori di questo blog, perché si “appassionino” di questo o quel “misconosciuto o dimenticato”. Di conseguenza, siano essi storici e critici, collezionisti, discendenti, apprezzatori spontanei anche non qualificati, addirittura speculatori, 
contribuiranno a scovare e promuovere opere e attenzione su di questi artisti del passato ormai spesso più che prossimo. Da considerare anche che di artisti “misconosciuti o dimenticati” ce ne sono sicuramente tantissimi confusi nel numero veramente imponente, impressionante, di coloro che hanno praticato e oggi praticano le arti visive con intenti professionali o con dedizione continuativa. Questi “misconosciuti o dimenticati” del XIX, del XX e del XXI secolo, se e quando di qualità espressiva non comune, di originalità evidente e di impronta problematica nei confronti del passato e del presente, sono degni di considerazione e di indagine. Come caso esemplare di quanto qui asserito, a questo post ne seguirà uno con la riproposta di un artista casualmente incontrato da C.L. Ragghianti e da lui preso in considerazione ed analizzato: Ruggero Falanga.

Concludo facendo un elenco, molto approssimativo e che riflette soltanto il mio gusto e il mio giudizio, che include gli artisti presenti nel Catalogo 1915-1935 già pubblicati o da pubblicare e la cui scheda critica è stata o sarà a suo tempo qui riproposta.
Essi sono: Nicola Dantino, Cesare Ferro, Rubaldo Merello, Alberto Caligiani, Lea Colliva, Luigi Crisconio, Edoardo Pansini, Mario Reviglione, Gustavo Sforni, Lucio Venna, Deiva de Angelis, Marco Novati, Umberto Vittorini, Nino Bertocchi, Antonio Bresciani, Franco Dani, Antonio A. De Witt, Nicola Galante, Arturo Nathan, Ennio Pozzi, Juti Ravenna, Nino Springolo, Eugenio Viti, Mario Legore, Nino Rosso, Raffaele Castello, Galliano Mazzon, Pietro Bugiani, Anton R. Giorgi, Filli Levasti, Giacomo Vespignani, Jesse Boswell, Ugo Capocchini, Francesco De Rocchi, Genni Weigmann, Onofrio Martinelli, Daphne Casorati.

Lo stesso discorso fin qui sviluppato può valere per gli artisti presenti nel Catalogo Arte in Italia 1935-1955, in parte cronologicamente più vicini ad oggi, ma comunque quasi tutti vissuti nel secolo Ventesimo.

Elenco alcuni “misconosciuti” o dimenticati anche in questo caso secondo un criterio del tutto personale: Carlo Conte, Guglielmo Janni, Francesco Menzio, Enzo Morelli, Guido Peyron, Carlo Sbisà, Carlo Socrate, Oscar Gallo, Bruno Innocenti, Angeletto Modotto, Gastone Panciera, Attilio Rossi, Arnaldo Ciarrocchi, Lorenzo Guerrini, Berto Lardera, Piero Martina, Armando Pizzinato, Neri Pozza, Ilario Rossi, Italo Valenti, Enzo Brunori, Dino Caponi, Arturo Carmassi, Fernando Farulli, Franco Francese, Carlo Hollesch, Francesco Tabusso.

martedì 6 novembre 2018

Stragi nazifasciste in Italia. Memoria e consapevolezza per affrontare il futuro.

Chi mi conosce avverte e sopporta il pessimismo congenito, rafforzato e razionalizzato dalla metodologia storiografica derivata dal Tolstoj di Guerra e Pace e dalla formazione universitaria improntata su Cantimori, che pervade spesso le mie osservazioni sociali, sociologiche e storiche.
Oggi non c'è dubbio – purtroppo – che stiamo assistendo alla disgregazione dell'Europa tendente a divenire federazione, mentre sembra sussistere in affanno la tendenza a una confederazione fragile, non paritetica, a guida diarchica di Germania e Francia, se tutto va bene. Non è da escludere quindi il dissolvimento del nobile intento del pensiero europeista scaturito dalla catastrofica, orrenda Seconda Guerra Mondiale in suolo europeo. La causa principale di questa non escludibile ipotesi va individuata nell'ottuso risveglio nazionalsovranistico, dilagante in ogni angolo del continente, ben foraggiato da “concorrenti” come U.S.A., Russia, e perché no, Cina. Per non dire degli integralismi islamici e degli zombies francamente nazisti.
Nell'immediato è necessario, penso, come con un vaccino antirabbico richiamare e quindi ricordare e chiarire gli effetti concreti dell'orrore derivante dalla presunzione di purezza razziale e di superiorità nazionale del passato nazifascista, il quale prima di tutto va contrastato colla e nella propria consapevolezza di coscienza etica.
Questo “richiamo”, tra non molti altri, può essere il libro Zone di guerra, geografie di sangue tristemente oggi indispensabile non solo a ricordare – documentato – un doloroso aspetto della nostra storia, ma per meglio conoscere e rintuzzare la sfacciata, sbandierata volgarità neofascista e neonazista annidiata tra i cosiddetti moderati di centro-destra. In questa larga fascia della popolazione italiana prolifera in modo subdolo il culto “sovranista” (nazionalista ed autoritario). Esso sta risultando certamente più pericoloso per la democrazia di quanto non lo siano i movimenti ostentatamente derivati dal nazifascismo sconfitto nel 1945.
E' dal 1948 – settanta anni fa! – che “le forze della reazione in agguato” (talvolta persino il retoricume può essere efficace) attentano alle libertà riconquistate con la Resistenza – acquistate poi via via con migliorie e nuovi diritti civili – con ininterrotti tentativi eversivi fino ad ora fortunatamente, e spesso fortunosamente, respinti e sconfitti. Ricordare che cos'è la Guerra in generale e quella civile in particolare e cosa siano le loro estreme manifestazioni, quali ne siano le conseguenze poi, è oltretutto un dovere della dignità di noi stessi, nei
confronti della nostra responsabilità verso i figli (che troppo spesso non abbiamo saputo educare civilmente) e quelle nei confronti degli inconsapevoli nipoti che saranno i testimoni … e i giudici della nostra esistenza trascorsa in questo minuscolo pianeta.
Zone di guerra, geografie di sangue è perciò un libro importante, che va conservato accanto ai testi fondanti della nostra comunità democratica e che si configura anche come un discrimine da una parte tra cittadini responsabili, disponibili a cercar di capire le conseguenze di un futuro (tramite il passato) pieno di oscure e negative minacce, dall'altra tra cittadini irresponsabili, pronti a qualsiasi fanatismo e nefandezza pur di non affrontare razionalmente e, sì, anche secondo Costituzione, l'avvenire.
F.R. (20 settembre 2018)



venerdì 2 novembre 2018

Simone Viani, 1.

Non è che mi fossi scordato del fatto che sono passati trenta anni della prematura scomparsa a causa di un tumore al cervello dell'amico di famiglia, caro a C.L. Ragghianti quasi come un altro figlio, Simone Viani (1948-1988), né che avessi dimenticato l'intenzione di ricordarlo ancora una volta. E' avvenuto invece – accidenti alla vecchiaia – che non ricordavo più dove all'inizio di quest'anno avessi dall'Archivio riposto il dossier che lo riguarda. Finalmente l'ho ritrovato assieme a quello massiccio di Geno Pampaloni, sepolto da scartoffie itineranti da un mucchio all'altro.
Quando Simone morì in seguito ad una breve, inesorabile sofferenza, ero responsabile e redattore capo di “Critica d'Arte”, IV serie, editore Panini, e quindi imposi l'opportunità di ricordare la sua dolorosa scomparsa, a prescindere da certe perplessità dell'ambiente, almeno con una pagina della rivista che dovetti scrivere io nonostante mi sentissi inadeguato alla bisogna. La riproduco comunque in questo post dal fascicolo n.17 (giugno-agosto 1988) insieme al ponderoso saggio Kunstwollen-Aurea-Kunstwerk, rappresentativo delle capacità e del prevalente interesse – per naturale inclinazione e per la sua consuetudine con Massimo Cacciari – degli aspetti filosofici riguardanti le arti figurative. A proposito di quel breve mio testo voglio fare due precisazioni: nel terzo paragrafo scrivevo che Giuseppe Mazzariol (altro amico veneziano carissimo) sarebbe intervenuto da per suo per illustrare la personalità dell'amico e discepolo, cosa che non poté fare per la sua repentina morte da infarto. L'altra precisazione è una imbarazzata ammissione di maleducazione per non aver ricordato nelle condoglianze la sorella Eva, cui Simone era molto affezionato. Unica scusante, sempre che sia ammissibile, è che mentre conoscevo la mamma, benissimo il padre, non avevo mai incontrato la sorella.
Nel 1998 Simone Viani fu ricordato con il volume Decorazioni (Edizioni della Laguna, Monfalcone 1998, pp.262 con 45 ill., s.i.p.) prefato da Giuseppe Pilo, con saggi di Elia Bordignon Favero e Elio Franzini, mentre Mario Piantoni introduceva l'ampia sezione Nota bio-bibliografica degli artisti, dei critici e glossario curata da Giusi Sartoris in collaborazione con M. Dalla Mura, Cr. Leva, G. Semeraro. La parte più corposa del libro è la riedizione dal testo omonimo Decorazioni, pubblicato nel 1983; di grande interesse l'illustrazione composta dagli inediti Cartoni disegnati da Alberto Viani dal 1956 al 1983. Nel libro c'è poi la sezione che ricorda un colloquio intellettuale d'argomento inerente la “decorazione” tra il maestro Carlo L. Ragghianti e l'allievo Simone Viani (pp.167-179). In questa importante testimonianza è presente anche la bibliografia degli scritti di Simone, che ritengo utile riprodurre per l'oggi in questo post, assieme a qualche riproduzione di Cartoni.
Nel 2008 non mi risulta nessuna iniziativa, cosa che però può dipendere dalla mia ignoranza accresciuta dall'isolamento – per altro panacea per la salute, specialmente spirituale – con cui mi compiaccio di vivere in Vicchio di Mugello e dintorni. Di Simone Viani mi riprometto di pubblicare altri post di suoi scritti sia su Carlo L. Ragghianti e le sue opere, sia su “Critica d'Arte”, sia su suoi interventi speculativi di non agevole lettura per chi non ha solide basi filosofiche, 
però illuminanti una personalità intellettuale di rara perspicacia. La bibliografia di Viani mostra uno studioso operoso e prolifico, con qualche dispersione e qualche argomento e svolgimento non troppo graditi da Carlo L. Ragghianti. Si sviluppò così un dialogo fecondo, non privo di divergenze però affrontate con dialettica condivisa in un dibattito costruttivo che trova il suo riscontro oggi soltanto nella fitta, voluminosa e complessa corrispondenza tra i due studiosi, che ritengo tuttora inedita. In proposito non sono da escludere anticipazioni in questo blog.
Sul piano famigliare e personale non posso e non voglio – per non cadere nell'arbitrario – riferire particolari notizie. Simone era un giovane brillante, sicuro di sé all'apparenza, sapeva vivere nel suo tempo con agio e disinvoltura ma sempre con lineare aderenza ai propri saldi principi di costruzione morale di sé. Era la pupilla degli occhi del padre Alberto, uomo burbero nel sembiante ma affettuosissimo; si era spontaneamente avvicinato a C.L.R., senza però né piaggeria, né secondi fini. Praticamente soprattutto all'Università Internazionale dell'Arte di Firenze (è defunta ufficialmente. Una prece) e nella controffensiva nei riguardi della querela di C.L.R. con Argan, dove il suo contribuito era stato indispensabile, fu un aiuto per Ragghianti, che ripeto lo considerava praticamente un altro figlio (quello con doti d'intelletto speculative più affini). Personalmente devo confessare che in un primissimo tempo, dopo il suo stabilirsi a Firenze perché docente all'Accademia di Belle Arti, ero diffidente nei suoi confronti temendo che anche Simone fosse un altro promettente studioso che approfittava della generosità di nostro padre, che qualche volta era sembrata non solo a me ma anche alle sorelle e persino alla mamma – ma solo sembrata – discriminante nei nostri confronti. Sono fiero di me per poter affermare che non sono stato geloso di Simone, né invidioso stante la forte disparità dei nostri caratteri. Quindi per mio padre Simone è stato quasi come un figlio, per me tutto sommato penso di poter dire che egli è stato (sia pur brevemente) come il fratello che avrei voluto avere.
Comunque mi dispiace tuttavia, e non poco perché credo d'avere un solo vero amico superstite, che la sua precoce morte mi abbia privato di una sana e salda amicizia basata su lealtà e comprensione.

F.R. (7 ottobre 2018)

P.S. - Mi accorgo che nel testo sovrastante ho sempre chiamato Viani con il nome proprio di Simone, come naturalmente è giusto che sia. Però i suoi familiari, mia madre e mio padre (anche nella corrispondenza) e di conseguenza le mie sorelle lo chiamavano praticamente sempre soltanto Ciccio, derivante da evidente sua puerilità paffutella. Il mio distinguo su questo particolare marginale dipende dal fatto che nell'infanzia tutti mi chiamavano Cecco, lucchesemente come il nonno, cosa che ho detestato visceralmente finché fui abbastanza grande da chiedere impositivamente di non essere così interpellato. Quindi, considerando Simone un amico, non lo ho allora né adesso afflitto con il Ciccio, che per altro lui accettava di buon grado, credo.