Carlo e Licia

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giovedì 2 aprile 2020

Arte Moderna in Italia 1915-1935 - Testi dei Critici, 11. ENRICO CRISPOLTI, I (BALLA, EVOLA, ALIMANDI, BENEDETTA).



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1. RAFFAELE MONTI ( I ) - 16 giugno 2018
2. IDA CARDELLINI (LORENZO VIANI) - 28  settembre 2018 
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4. MARCELLO AZZOLINI (GUERRINI, CHIARINI, VESPIGNANI). 6 ottobre 2019
5/I. FORTUNATO BELLONZI (BOCCHI, D'ANTINO). 12 novembre 2019
5/II. FORTUNATO BELLONZI (MORBIDUCCI, SAETTI). 28 dicembre 2019
6. ALDO BERTINI (CREMONA, MAUGHAM C., PAULUCCI). 22 gennaio 2020.
7. ANNA BOVERO (BOSWELL, CHESSA, GALANTE). 5 febbraio 2020.
8. SILVIO BRANZI (SCOPINICH, BALDESSARI, NOVATI, SPRINGOLO, RAVENNA, KOROMPAY, ZANINI). 23 febbraio 2020.
9. GIOVANNI CARANDENTE (COMINETTI, MARINI). 4 marzo 2020.
10. ITALO CREMONA (REVIGLIONE). 7 maggio 2020



Allievo di Lionello Venturi, Enrico Crispolti (1933-2018) è stato uno specialista d'arte moderna e contemporanea, con particolare dedizione al Futurismo e alle sue conseguenze. E' stato docente a lungo presso l'Università di Siena.
Nel 1954, appena maggiorenne, scrive a “seleArte” in relazione alla libera docenza in Storia dell'Arte contemporanea e ai regolamenti ministeriali vigenti. Pubblicando la lettera nel fascicolo n. 13 (lug.-ago., p. 3), Carlo L. Ragghianti svolge un'analisi su necessità e carenze della cultura accademica e degli insegnamenti impartiti nei confronti dell'interesse generale del Paese.
Di nuovo, nel 1956, Crispolti invia a C.L.R. un suo intervento su “Nuova repubblica” (n. 51, 16 dic.), che con il titolo Un grido di allarme relaziona sulla difficoltà e gli ostacoli frapposti alla “Commissione parlamentare per la tutela e la valorizzazione del patrimonio artistico, culturale e del Paesaggio” e sulle molte e articolate proposte in essa sostenute da Ragghianti “perché tutte da sottoscrivere”. Segue un cortese, breve scambio epistolare.
Nel fascicolo n.75 (lug.-sett. 1965, p.58) di “SeleArte” è stata pubblicata – direi scritta da Carlo L. Ragghianti – la recensione della monografia che Crispolti ha dedicato al ciclo “Il Concilio”, che, con piglio Baconiano, ha impiegato Segio Vacchi tra il 1962 e il 1963. Questa particolare ricerca dell'artista viene definita dal recensore “oltre che un nodo problematico, di grande rilievo e forse anche, per molti aspetti, condizionante per una nuova maturità del pittore”
Dal giugno 1966, in merito alla mostra Arte Moderna in Italia 1915-1935, nella quale Crispolti dal febbraio fa parte del Comitato nazionale su designazione di Ragghianti, egli invia una fitta corrispondenza collaborativa alla Segreteria e a C.L.R.
Dopo questa esperienza le esigenze accademiche di Crispolti, ancorate a “cordate” estranee, quando non antitetiche alle convinzioni di mio padre, divergono vieppiù, sia pur senza prese di posizione evidenti.
Sempre un concorso universitario per la cattedra di professore ordinario, quello in cui era candidato Crispolti, nel 1977 dà adito ad una corrispondenza tipicamente accademica, dalla quale in data 30 giugno C.L.R. compiega una copia a Giuseppe Mazzariol “con postilla”. Non è dato conoscere il carattere di questa nota, di cui pertanto ignoro il contenuto.





Comunque il comportamento di Crispolti nei confronti di R. è già da tempo freddo perché egli si è allineato alle posizioni di G.C. Argan, ordinario a Roma e capofila di una cordata nazionale di addetti alle arti i cui membri venivano comunemente designati come “arganizzati”. In effetti bisogna riconoscere che questa “massoneria” era piuttosto efficiente e invadente.
Il rapporto tra i due studiosi risulta chiudersi nel 1985 (3 gennaio) quando R. scrive a C. a proposito della “cagnara” sulle false sculture di Modigliani per chiarimenti e informazioni (lettera che riproduco insieme alle pagine su “SeleArte” del 1954). Non mi risulta esserci stata una risposta. In caso contrario deve essere finita in qualche incartamento relativo a quella sporca storia. Non penso, infatti, che Crispolti si sia permesso di essere scortese con Ragghianti. Se non altro perché il suo sopra citato capocordata era implicato nella “beffa”, e in modo piuttosto imbarazzante, e di conseguenza aveva tutto l'interesse di uscire dall'occhio del ciclone mediatico sulla scia di altrui dimostrazioni e giustificazioni.
In definitiva il C. è stato uno degli ordinari professori universitari, ossequiosi per crescere, arroganti per resistere, dimenticati una volta pensionati.
F.R. (3 febbraio 2020)













Dalla esauriente scheda di Enrico Crispolti si ricava che Giacomo Balla è stato un ideologo di spicco e un attivista, per così dire, del Futurismo fino dal 1910. Valutando che la sua pittura è praticata con differenti modulazioni nel corso del tempo, il critico romano conclude la sua analisi scrivendo che “dagli inizi degli anni Trenta Balla ripiega su una figurazione naturalistica sempre più piatta e descrittiva”.
E' certo che prima di aderire al Manifesto dei pittori futuristi, l'artista fu tra i protagonisti del “divisionismo” con opere schiettamente legate al realismo sociale ed anche illustrativo. Riuscì ad esprimersi anche con accenti poetici, come nel ritratto della moglie Elisa (1906).
Dopo i suoi “capolavori futuristi” degli anni precedenti la guerra mondiale (che non riproduciamo tra i documenti aggiuntivi perché notissimi e antecedenti il periodo indagato nella Mostra 1915-1935), l'operato di Balla è abbastanza coerente, con qualche nostalgia figurale (Verso la notte, 1920). Al 1930 Crispolti data un disegno (firmato e datato sul foglio “14”) degno dei papiri goliardici e del peggior Grosz.
Del 1933 è il dipinto (eseguito con la figlia Luce) Colori, luce, dissonanza e armonia che sembra più un cartellone pubblicitario che un Dudovich o un Sacchetti si sarebbero vergognati di firmare, oppure un'illustrazione per un racconto di rivista femminile dell'epoca.
Carlo L. Ragghianti, almeno seguendo la Bibliografia degli scritti, ha pubblicato un unico intervento (v. la p. 10 di “Critica d'Arte” n. 73, 1965) Balla e la fotodinamica di Bragaglia. In relazione a quel testo, su invito di Marco Scotini, Daniela Fonti svolge un'analisi critica (anch'essa qui riportata) che parte dalla constatazione che “l'approccio ragghiantiano a Balla e il suo giudizio siano sorprendentemente riduttivi”. Togliendo alla frase della studiosa l'avverbio, si può ritenere che si tratta di una affermazione esatta. Per il resto viene rivendicata una qualità espressiva di Balla che non condivido perché una parentesi di rivelazione, di intensa espressività e qualità deve essere sì riconosciuta, però – casomai – indagata chiedendosi come può accadere che un personaggio “volgare” come Balla riesca ad essere anche l'ideatore formale di “eccezioni” valide ed espressive.
Dell'attenzione di Carlo L. Ragghianti per il percorso di Balla ci sono certamente accenni in altri contesti della ricca bibliografia dello studioso lucchese, lì dove si è occupato di Futurismo in generale o di altri artisti aderenti o vicini al 
movimento. Ricordo soltanto: Mondrian e l'arte del XX secolo, 1962; Futurismo, un rivoluzionario esibizionista, in “L' Espresso”, 4 febbraio 1962; Forma senza figura e figura senza forma.Sintassi e grammatica della visionein “La Nazione”, 21 gennaio 1980; Marinettiana, in “Critica d'Arte”, IV, n.13, apr.-giu. 1987. Oltre naturalmente all'importante saggio La prima mostra storica del futurismo. Progetto per la Biennale di Venezia 1960, in “Critica d'Arte”, n. 172-174, lug.-dic.1980, pp. 181-211.
Dall'Archivio ho rinvenuto la fotocopia della lettera che il 22 settembre 1971 C.L. Ragghianti inviò a una studiosa francese, di cui purtroppo non sono riuscito a individuare i dati anagrafici, che gli aveva inviato in visione un suo scritto su Balla, il quale dovrebbe essere tra gli estratti conservati nella Fondazione di Lucca.
Siccome questo significativo documento è scritto in francese, lo riproduciamo con a fronte la traduzione in italiano.
Ripropongo anche la scheda del Catalogo/Mostra Arte in Italia 1935-1955 redatta da Antonello Trombadori, con l'ausilio di Valerio Rivosecchi. Tutto sommato si tratta di considerazioni pilatesche circa i contenuti dei dipinti spesso degni della volgarità di Boccasile. Ciò non toglie – questo va riconosciuto – che Balla è capace anche di un ductus pittorico di rara perizia.
Nell'articolo de “L'Espresso” intitolato Qui c'è in Balla la realtà,Maurizio Calvesi ricorda che questo pittore “fu l'ultimo a disertare negli anni Trenta, ma lo fece con la maggior violenza, come se troppo a lungo avesse represso la propria scontentezza. Definì i colleghi in futurismo individui opportunisti e arrivisti e gridò che l'apertura è nell'assoluto realismo”. Quindi, anche senza dissentire o polemizzare con i ragionamenti abbastanza giustificativi dell'autore dell'articolo, si può comunque asserire che Balla fu traditore, anche, e denigratore vigliacco.
Per concludere devo dire che ho tratto l'impressione circa Balla in particolare e gli altri futuristi – Boccioni escluso; lui era un artista autentico e di ben altra caratura – che molti studiosi e critici, specie se militanti – fossero “intimiditi”, condizionati perché può essere controproducente, sconsigliabile, rischioso – forse – approcciarsi con riserve o negativamente ad analisi e giudizi che turbino un mercato enorme, interessi consolidati, che galleggia su decine di opere quotate in modo spropositato – spesso del tutto arbitrario – sugli autentici ed intrinseci valori dell'arte.
F.R. (2 febbraio 2020)

















Intellettuale di estrema destra, purtroppo con capacità scrittorie ed evocative notevoli, Julis Evola (1898-1974) è stato fin da adolescente pittore con le caratteristiche che descrive l'estensore della scheda iniziale.
Penso sia plausibile ritenere che questa sua vena espressiva vada considerata una esperienza intellettualistica, intrapresa nella prima fase fino al termine della Guerra mondiale (1915-1918), nella quale Evola fu imberbe ufficiale dell'ultima leva, durante la quale per qualche tempo ebbe per collega Giuseppe Bottai (1895-1959), il futuro ministro fascista dell'Educazione nazionale. Successivamente all'iniziale dinamismo futurista si spostò verso il “dadaismo” e altre forme di moda. Per questo percorso, pur riconoscendogli una vena abbastanza originale, mi pare che la sua stesura pittorica sia tutto sommato abbastanza dilettantesca.
Siccome però nel 1966 la Commissione Esecutiva della Mostra 1915-1935 ritenne Evola degno di far parte dell'Esposizione con una sola opera, cioè simbolicamente, vale a dire, visto che il suo curriculum è senz'altro eccezionale rispetto a quello praticamente di tutti gli altri 
artisti presenti in Palazzo Strozzi, si può concludere che nella sua inclusione si voleva sottolineare l'aspetto culturale, critico addirittura, da distinguere dalle altre componenti del suo ingegno speculativo di scrittore e di ideologo.
Per questo motivo ritengo che vada ricordato ed esemplificato la complessità della figura intellettuale di Evola, anche perché i veleni sono tossici, però conoscendone la natura si possono evitare o contrastare con efficaci antidoti.
Ho scelto, quindi, per questo scopo un profilo di Evola scritto dal noto storico della Massoneria Aldo A. Mola (n. 1943), studioso cauto, moderato, conservatore – è ancora monarchico! – ma non fazioso o fuorviante. Il suo testo, che si può leggere qui dopo le illustrazioni, è stato edito nella “colossale” opera – concepita e realizzata su impulso di Giovanni Spadolini – Il Parlamento italiano 1861-1988. Le pagine su Evola sono estrapolate dal XII volume, 2° tomo, pp. 546, 547 della serie di ventisette volumi.
F.R. (25 gennaio 2020)



Nella scheda di questo pittore torinese non vengono forniti i dati anagrafici, il che dimostra come spesso i critici e talvolta gli storici si occupino di persone e di accadimenti con certa superficialità e approssimazione. Comunque, se non gli vengono forniti certi dati, la Redazione dovrebbe segnalarlo spiegando anche perché lei non li abbia rinvenuti. Inoltre nelle biografie oggi disponibili in Web non sempre viene indicato lo stesso anno di nascita di Alimandi: quello prevalente è 1906; la morte è indicata nel 1984.
Altra discrepanza non da poco si riscontra nella grafia del cognome del pittore: Alimandi (come in tutti i dipinti che ho visto) e Allimandi come in tutti gli scritti delle bibliografie successive alla Mostra del 1967. Anche in questo caso i signori biografi dovrebbero almeno fornire il motivo perché ciò è avvenuto. Una firma è una scelta individuale, un atto di volontà; una grafia multipla è segno di ignoranza – se non indagato il perché – di chi scrive sul soggetto in esame. Non siamo più nei secoli fino al XVII nei quali si riscontrano grafie multiple (esempio: Brueghel, Bruegel, Breugel..); oggi questi casi si verificano soltanto nelle traslitterazioni da scritture differenti.
D'altra parte su questo Alimandi c'è poco da dire: la sua pittura è mediocre e piuttosto lugubre, il ductus esprime, più che “cupe tonalità riconducibili alla maniera espressionista”, pesantezza e opacità; talora è volgare negli “accenni surrealisti”. Si vede che il cosiddetto Secondo Futurismo e il successivo Surrealismo italiano non avevano di meglio da mostrare.
F.R. (26 gennaio 2020)






A differenza del precedente Alimandi, nel caso di Benedetta Cappa Marinetti l'assenza di dati anagrafici sulla scheda del Catalogo dipendono dal malinteso omaggio muliebre di non indicare l'età esatta delle donne. Quasi sempre ciò è dovuto a vanità femminile, presuntuosa ed arrogante verso le altre donne specialmente coetanee: all'anima del femminismo e della sororità! Comunque Benedetta Cappa è nata nel 1897 ed è morta nel 1977.
Di Benedetta – anche aeropoetessa (1939) – come pittrice si può concordare con Crispolti, il quale scrive fosse di “un cromatismo terso e prezioso di assai notevole qualità pittorica”.
L'ultima affermazione, però, non tiene conto di “cadute” stilistiche alla Balla, cioè di un descrittivismo figurale che banalizza l'impianto visivo e la qualità di diversi dipinti.
Infine riproduco anche il Ritratto simultaneo di Benedetta (1938) dipinto dalla “camicia nera futurista e primo battaglista del mondo” Mario Menin (1896-1962) perché è un notevole esempio di culto della personalità, degno della retorica che il fascismo di fatto condivideva con il bolscevismo staliniano.

F.R. (26 gennaio 2020

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