Carlo e Licia

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mercoledì 23 febbraio 2022

Il Moro di Garibaldi – Andrea Aguyar – nei sonetti di Cesare Pascarella.

1. Andrea Aguyar

Prima del funzionamento dell'Autostrada del Sole, se ben ricordo, ho accompagnato in macchina mio padre a Roma, tre volte, più una quarta con anche la mamma; però essi tornarono dopo qualche giorno, mentre io – dopo aver dormito e visto il vicino Arco di Tito – tornai subito a Firenze. Non rammento la cronologia esatta: nell'ondata mediana venne con noi anche il prof. Walter Binni, mio docente a Lettere e vecchio amico del babbo. Il tempo del viaggio fu praticamente dedicato a commentare la strepitosa ascesa di Yuri Gagarin, appena avvenuta (12 aprile 1961).

Nel viaggio successivo, pochi mesi dopo, una volta mangiato C.L.R., prima degli appuntamenti, mi indicò come arrivare al Piazzale panoramico del Gianicolo dove salutammo il monumento all'Eroe dei Due Mondi e i busti dei garibaldini e altri patrioti dell'Unità d'Italia. Quindi mi mostrò il sottostante carcere di Regina Coeli, rievocando gli amici e compagni martiri della cospirazione antifascista e della Resistenza con parole e pensieri commossi, tra i quali ricordò speficamente il suo legame amicale con Leone Ginsburg.

Si scusi la premessa, però penso sia debita perché sul piano monumentale il Gianicolo non è certo una delle mete più significative della Magnificenza capitolina; è invece un luogo più che importante per la storia patria. E' un fondamento per un cittadino italiano, specie se giovane (com'ero allora) per saldare con la verifica personale dei luoghi quali il Gianicolo e altri siti resi sacri dai tanti caduti (eroi come Mameli, Manara, Cairoli, Medici, e tutti i garibaldini) in difesa della Repubblica romana del 1949, con la coscienza che essi sono i pilastri su cui vive la nostra Repubblica democratica ri-basata sulla Resistenza al nazi-fascismo.

Al Gianicolo, né negli altri monumenti, non si trova traccia né in spoglie né altrimenti di Andrea Aguyar, il Moro di Garibaldi.

Questo ufficiale dell'esercito uruguayano, figlio di schiavi d'origine africana, combatté agli ordini di Giuseppe Garibaldi e lo seguì in Italia nel 1948, dove partecipò alle battaglie della Prima Guerra d'Indipendenza, in Lombardia e Piemonte.



Seguì poi Garibaldi a Roma come ufficiale di collegamento in battaglia, assumendosi anche il ruolo volontario di "guardia del corpo" del suo Eroe.

Cadde in servizio, ferito mortalmente da una granata francese dell'infame Napoleon le Petit (viva Orsini!), durante un banale spostamento urbano.

Andrea Aguyar non fu celebrato equamente dai contemporanei – compagni garibaldini compresi – non a causa di consapevole razzismo, nel senso in cui l'intendiamo oggi, ma a causa di una mentalità "eurocentrica", che ben poco operò a favore dell'abolizione della schiavitù prima, poi per contrastare (anche in Italia) la tabe del colonialismo, implicitamente e chiaramente razzista.

Ho, infine, un interrogativo circa questo gagliardo antesignano della libertà per tutti, anche per le popolazioni oppresse in base al colore della loro pelle: Che Guevara ne conobbe l'esistenza e le gesta?




Oltre agli otto sonetti di Cesare Pascarella, si riproducono una serie di immagini di Aguyar e Garibaldi – tra le quali una tavola forcaiola e razzista coeva – cui fanno seguito due articoli di giornale. Il primo, da "La Nazione", Firenze (31 maggio 1982) di Fabio Negro relazione del contributo di stranieri (tra cui Aguyar) nell'epopea garibaldina, con qualche approssimazione dovuta alla ristrettezza di spazio disponibile. Il secondo articolo, da il "Corriere della sera" (22 febbraio 2012) a firma del noto e benemerito Gian Antonio Stella, ha per titolo Perché "Andrea il Moro" che morì per l'Italia merita di entrare nei libri di storia, merita di entrare nelle antologie scolastiche, grazie al coinvolgimento emotivo che suscita. Seguono due pagine esemplari di come viene ricordato in patria Aguyar, come "Una lucha por la libertad" e su come la grafia dell'eroe sia controversa. Chiude la documentazione una veduta del famedio Mausoleo Ossario Garibaldino di Roma.

 1. Andrea Aguyar

venerdì 18 febbraio 2022

Pittura del Quattrocento in Germania e nell'Europa centrale.

Precedenti 

1. Storia della pittura. Presentazione di Carlo L. Ragghianti: 17 aprile 2020 
2. Storia della pittura. "Il Quattrocento Europeo” di Licia Ragghianti: 20 aprile 2020 
3. La pittura spagnola del Quattrocento: 25 novembre 2021 
4. Pittura dell'Europa settentrionale e orientale nel Quattrocento: 20 dicembre 2021.
5. Pittura francese del Quattrocento: 13 gennaio 2021.
 

L'autrice, Licia Collobi, all'inizio del volume su la Pittura del Quattrocento in Europa dice che: “La varietà delle definizioni con le quali la pittura europea di quel periodo è stata descritta dagli studiosi è, di per sé, indice della diversità dei punti di vista, dei metodi di analisi, persino dei pregiudizi (nazionalisti od ideologici) con i quali la si è esaminata e giudicata”.

Da questa osservazione è conseguita una approfondita ricerca di controllo delle fonti, ricavandone dati conseguenti a configurare un'interpretazione originale dei fenomeni artistici del periodo.

Questa complessa operazione critica è stata possibile anche grazie al bilinguismo italiano e tedesco dell'autrice, nonché dalla profonda conoscenza delle lingue francese e inglese. Inoltre mia madre nell'adolescenza aveva approfondito l'apprendimento del croato in Istria, per motivi di radici familiari, e a Spalato (dove il padre diresse un cementificio per alcuni anni). Successivamente la studiosa ha esteso la propria conoscenza sul piano culturale a tutte le lingue slave. In questa maniera le è stato possibile trovare un equilibrato metodo critico ed espositivo durante la formazione universitaria e poi con l'adesione a l'impronta originale degli studi rappresentata dal pensiero di Carlo L. Ragghianti, divenuto suo coniuge.

In questo caso, quindi, questi strumenti formativi sono serviti a dare una soluzione originale e stimolante al complesso di problemi storiografici di quella vasta area geografica e plurilingue d'Europa, qui presa in esame.

Così, come nelle sezioni precedenti di questa sistemazione organica, i fenomeni storici sono esaminati e valutati con la sigla del proprio collaudato linguaggio espositivo, divulgativa ma priva di concessioni semplicistiche. Di conseguenza i problemi e le connessioni critiche sono risolti escludendo pregiudizi e partigianerie, i quali non solo rappresentano l'antitesi della ricostruzione storica metodologicamente critica, ne sono il letale veleno che comporta inevitabilmente barbarie.

F.R. (24 gennaio 2022)

P.S. - Credo opportuno precisare che l'apprendimento della lingua croata da parte di Licia Collobi avvenne – come detto sopra – in due tempi. Il primo, quello dell'infanzia fu elementare, derivante dai soggiorni estivi ad Abbazia e dalle escursioni nell'interno del Carso nei possedimenti dei familiari della nonna Anna De Franceschi. Il secondo, quello con residenza a Spalato in Dalmazia – allora provincia del Regno d'Italia, come Torino o Agrigento – fu soprattutto apprendimento scolastico, poi approfondito da insegnamento privato a casa.

Difatti, in quella bella terra Adriatica, salvo minoranze costiere, coloro che parlavano italiano (o meglio veneto italianizzato) erano una minoranza piuttosto esigua. La stragrande maggioranza dei croati odiava palesemente il dominio italiano. Erano esclusi rapporti sociali, salvo gli obblighi di lavoro. Mia madre adolescente fuori di casa girava sempre accompagnata da almeno un adulto armato. Persino lei, in una fondina alla vita portava una calibro 22 (in certi percorsi più “pericolosi” senza sicura, per poter reagire subito), che ancora possediamo e usiamo come posacarte, perché rotta e assolutamente innocua.


domenica 13 febbraio 2022

Arte Moderna in Italia 1915-1935 - Testi dei Critici, 35. GIUSEPPE RAIMONDI (ROMAGNOLI, BERTOCCHI,COLLIVA,CORAZZA). Con Appendice 1946, del 16 febbraio 2022.

 


Post Precedenti:

1. RAFFAELE MONTI ( I ) - 16 giugno 2018
2. IDA CARDELLINI (LORENZO VIANI) - 28  settembre 2018 
3. UMBRO APOLLONIO (NATHAN, BIROLLI) - 19 settembre 2019
4. MARCELLO AZZOLINI (GUERRINI, CHIARINI, VESPIGNANI). 6 ottobre 2019
5/I. FORTUNATO BELLONZI (BOCCHI, D'ANTINO). 12 novembre 2019
5/II. FORTUNATO BELLONZI (MORBIDUCCI, SAETTI). 28 dicembre 2019
6. ALDO BERTINI (CREMONA, MAUGHAM C., PAULUCCI). 22 gennaio 2020.
7. ANNA BOVERO (BOSWELL, CHESSA, GALANTE). 5 febbraio 2020.
8. SILVIO BRANZI (SCOPINICH, BALDESSARI, NOVATI, SPRINGOLO, RAVENNA, KOROMPAY, ZANINI). 23 febbraio 2020.
9. GIOVANNI CARANDENTE (COMINETTI, MARINI). 4 marzo 2020.
10. ITALO CREMONA (REVIGLIONE). 7 maggio 2020.
11. ENRICO CRISPOLTI, I (BALLA, EVOLA, ALIMANDI, BENEDETTA). 2 aprile 2020.
12. ENRICO CRISPOLTI, II (COSTA, DIULGHEROFF, DOTTORI, FILLIA). 6 aprile 2020.
13. ENRICO CRISPOLTI, III (ORIANI, PANNAGGI, PRAMPOLINI, MINO ROSSO), 10 aprile 2020.
14. RAFFAELINO DE GRADA I (BOLDINI, ANDREOTTI). 22 giugno 2020.
15. RAFFAELINO DE GRADA II (BERNASCONI, CARPI, CARENA, FUNI). 6 luglio 2020.
16. ANTONIO DEL GUERCIO (MAZZACURATI, MENZIO, RICCI). 8 agosto 2020
17. TERESA FIORI (INNOCENTI). 1 settembre 2020.
18. CESARE GNUDI (FIORESI, PIZZIRANI, PROTTI). 2 ottobre 2020.
19. VIRGILIO GUZZI (MANCINI, CAVALLI, MONTANARINI, PIRANDELLO). 19 novembre 2020.
20. MARIO LEPORE (DEL BON, LILLONI). 21 dicembre 2020.
21. LICISCO MAGAGNATO (NARDI, PIGATO, FARINA, TRENTINI, ZAMBONI, BERALDINI, SEMEGHINI). 21 gennaio 2021.
22. CORRADO MALTESE (GERARDI). 4 marzo 2021.
23. FRANCO MANCINI (PANSINI, NOTTE, BRESCIANI, CRISCONIO, CIARDO, GATTO, VITI).  3 aprile 2021.
24. GIUSEPPE MARCHIORI, 1 (ROSSI, LICINI). 3 maggio 2021.
25. GIUSEPPE MARCHIORI, 2 (SEVERINI, SPAZZAPAN). 28 maggio 2021.
26. MICHELANGELO MASCIOTTA, 1 (LEGA, VENNA LANDSMANN, CALIGIANI, COLACICCHI). 7 giugno 2021.
27. MICHELANGELO MASCIOTTA, 2. (DE PISIS, PEYRON, LEVASTI, CAPOCCHINI). 18 giugno 2021.
28. GIAN LORENZO MELLINI. (VITTORINI, SALIETTI, SANI, DE JURCO, BUGIANI). 23 luglio 2021.
(Il numero 29 sarà prossimamente pubblicato).
30. ALESSANDRO PARRONCHI (CARLINI, MOSES LEVY). 14 settembre 2021
31. GIACINTO NUDI. (RAFFAELE CASTELLO). 16 agosto 2021.
32. GUIDO PEROCCO (CADORIN, MARTINI, MOGGIOLI, PELLIS), 1. 23 ottobre 2021
32bis. GUIDO PEROCCO (ZECCHIN, CAVAGLIERI, GARBARI, CAGNACCIO DI S. PIETRO), 2. 6 novembre 2021
33. AGNOLDOMENICO PICA (DEPERO, BOLAFFIO, MARTINI, SIRONI, D'ALBISOLA, GHIRINGHELLI, USELLINI). 16 dicembre 2021
34. ATTILIO PODESTA' (MERELLO, RAMBALDI, SACCOROTTI). 24 gennaio 2022

Prima di trasferirsi a Bologna nel 1939, non so se Carlo L. Ragghianti conoscesse Giuseppe Raimondi (1898-1985) di persona. Certamente gli era nota l'attività di scrittore e di critico d'arte locale, onorato dalla grande amicizia di Giorgio Morandi fin dalla loro giovinezza. La corrispondenza di C.L.R. con G.R. mi risulta iniziata nel 1945 (8 - ? - maggio) con la cordiale richiesta, quale direttore delle Edizioni U(omo) di Firenze, di pubblicare un libro di saggi progettato nel 1942. La piuttosto corposa corrispondenza tra i due studiosi si svolse fino al 1967 e fu interrotta perché il pittore Sughi, promosso dal critico bolognese, non aveva vinto il Premio Marzotto 1967, di cui C.L.R. era presidente della giuria. Questo incidente, dovuto a permalosa considerazione di sé, è documentato anche nella seguente nota redazionale dedicata al pittore Giovanni Romagnoli. Vedasi in calce a questa nota redazionale le sette lettere che ho scelto come indicative del loro rapporto. Ricordando questo carteggio ho notato che nel nostro Archivio mancano 5 lettere spedite da C.L.R. (26 dic. 1953; 4 apr. 1953; 30 sett. 1954; 9 feb. 1956 e 14 lug. 1957) che mi auguro siano invece presenti nell'Archivio della Fondazione Ragghianti di Lucca, oppure sopravvivano tra le carte di Raimondi, di cui ignoro la sede di conservazione.

Raimondi era un patito, un malato del pettegolezzo letterario, attività che ad alto livello dei protagonisti si può considerare uno strumento utile per gli storici. Era, tutto sommato, un epigono dei fratelli Goncourt, con orizzonti culturali e temporali più vasti e variegati.

Le non poche volte che da ragazzino ho avuto l'occasione di frequentare Raimondi rimanevo basito ascoltatore, perché nonostante la giovane età e la naturale ignoranza, certi nomi e cognomi di personaggi viventi o di personalità ormai storicizzate li conoscevo comunque. Ricordo in particolare un incontro a Bologna e alcune occasioni a Firenze nelle quali in Palazzo Strozzi quando ero presente mi accodavo ad Alfredo Righi, segretario dal 1946 del babbo, il quale veniva spesso incaricato di "spupazzare" certi ospiti, mentre il "capataz" (da Totò; così, persino in mia presenza – anche se non l'ho mai detto a C.L.R. – tra loro l'Alfredo, il Federici, Santini e poi Lo Vullo, con altri assidui frequentatori dello Studio Italiano di Storia dell'Arte e de "La Strozzina", così chiamavano C.L. Ragghianti) svolgeva altre attività più urgenti ed importanti. Con Emilio Greco, ad esempio, vidi per la prima volta la Garbo interprete della spia Mata Hari. Con altri personaggi la "missione" risultava spesso istruttiva e rilassante da Donnini o alle Giubbe Rosse, con altri ancora però poteva essere anche noiosa e imbarazzante per Alfredo. Così con Raimondi, sempre infervorato e di tutti curioso (cosa fa Rosai? E Santi? e...) la faccenda mi sembrava asfissiante e il povero Alfredo stava al gioco fino allo sfinimento e quasi alla maleducazione.

Nelle mie visite con soggiorno alla "nonna" Rosina e a "zio" Cesare Gnudi a Bologna – imposte dallo stato di salute della mamma – Cesare mi portava spesso in giro: a visitare la Casa del Carducci; a salutare la mia tata 1940-42, l'indimenticabile Rina, morente per un cancro lungo e doloroso; a parlare (lui) con Morandi all'Accademia e persino in via Fondazza. Il Maestro era sempre contento e gentile con me, giacché – penso – sono stato l'unico bimbo che Morandi abbia frequentato dal giorno dopo la sua nascita (avvenuta dopo le 20) e visto abbastanza spesso anche a Firenze. Cesare mi portava anche a vedere film che reputava adatti alla mia età (ma non lo erano, io vedevo volentieri western, storie di guerra, Totò), con l'assistenza del caro Giancarlo Cavalli. Il Momi Arcangeli, che ricordavo benissimo perché tipo insolito, era sempre malato. Al punto da farmi ora sospettare che le beghe longhiane investissero anche la mia allora insignificante (persino di statura) persona. Infine lo zio mi portava con sé anche in ufficio, alla Soprintendenza, comunicante con la Pinacoteca Nazionale, nella quale ho percorso in lungo e in largo le sale da solo e molto felice. Capitò persino nel 1948 o inizi 1949 che zio Cesare mi portasse a trovare Raimondi nel suo "mitico" negozio di stufe invendute ed invendibili (i modelli più recenti erano come

quelli "russi" presenti anche nella mia vetusta scuola elementare). L'ambiente dava davvero più l'impressione di un agreste museo antropologico (tanto cari allora ai comunisti, che inondarono le nostre campagne e città rurali con questi rifugi di smessi strumenti di lavoro e sopravvivenza) che di un negozio. Fatto sta che fui mollato lì per un paio di lunghe ore da Cesare, impegnato altrove, in compagnia di Raimondi e di una signora silente – non ricordo se moglie o dipendente. Non c'era la figlia, credo un po' più "vecchia" di me, di cui già conservavo una fotografia sul retro della quale il genitore (secondo una detestabile usanza dell'epoca) dedicava "a Cecchino" l'immagine della propria discendenza. Non la riproduco qui per non mettere in imbarazzo una ormai anziana signora, cui auguro d'essere in vita e in salute. Ne ho ricevute altre di foto di questo genere, guarda caso sempre di bambine, compresa una dell'incolpevole vittima figlia di Argan, ripresa nell'innocenza della nascita da poco avvenuta. Sono sicuro e, comunque, voglio credere che i miei genitori non abbiano mai partecipato a questa volgare pratica borghese divulgando mie e nostre fotografie.

Tornando al negozio-antro ordinato ma trascurato, quasi surreale e presenza culturale retroattiva fiocamente illuminata, salvo l'abat-jour sul tavolo di lavoro del proprietario, Raimondi mi fece un interrogatorio ininterrotto, "garbatamente" inquisitorio, su quando, come, con articolo di chi, con copertina illustrata o no, ecc., riguardante la prevista edizione della nuova serie di "La Critica d'Arte". Della quale, tra parentesi, ricordò d'esser sottoscrittore e d'essere di conseguenza preoccupato. Pidocchio! pensai già allora. Quindi volle sapere dello Studio di Storia dell'Arte, di Parronchi, di Federici, di Forti, di Righi e de "La Strozzina", di Rosai, di Capocchini, di Farulli e di altri molto dei quali conoscevo solo di vista, alcuni solo per sentito dire. Non tralasciò insistenti domande sui "progetti" (!) di C.L.R., sulle mostre del I° Piano di Palazzo Strozzi, persino sull'attività di Licia Collobi (la mia mamma) funzionario delle BB. AA. E di comuni conoscenti o amici quali Enrico Vallecchi, Maria Luigia Guaita, i Papi (di cui non sapevo l'esistenza in quanto tali, li consideravo Contini Bonacossi) di Sandrino e via spettegolando.

Meno male che sono sempre stato presente ed attento alle faccende non domestiche dei miei genitori, perché comunque – non saprei proprio nei dettagli dire come – ressi l'inquisizione piuttosto brillantemente. Avevo, ripeto, 8 o 9 anni appena compiuti!

Mi rendo conto che anche questo mio resoconto può sembrare un pettegolezzo, del quale però sono soltanto un testimone che – allora – aveva tanta memoria. D'altro canto ho tentato, per riequilibrare, di rileggere alcune pagine dei romanzi di Raimondi e qualche estratto degli articoli da lui pubblicati ne “Il Mondo” di Pannunzio. Però li ho trovati prevalentemente verbosi e soporiferi, letteralmente.

Nella consueta parte documentaria, perciò, riporterò soltanto tre scritti, due dei quali legati in qualche modo a mio padre.

Cronologicamente il primo, insistentemente richiesto, è Osservazioni sui Promessi Sposi, pubblicato su “Criterio” (n.5, maggio 1957), riguardo al quale mi par di ricordare un certo fastidio di Lara Vinca Masini, studi con De Robertis, nei confronti dell'autore. Il secondo documento è un articolo in occasione della morte di Raimondi, pubblicato dal poligrafo Giorgio Zampa ne “Il Giornale” di Montanelli (5 agosto 1985). Anche Zampa era un letterato col virus della letteratura partecipata in tutti i suoi aspetti, anche reconditi. Il suo testo riequilibra certamente le mie radicate sensazioni riduttive circa lo spessore della personalità di Raimondi. Il terzo scritto, pubblicato anch'esso in occasione della dipartita del letterato petroniano, è un breve saggio che Giancarlo Cavalli chiese di poter stampare in “Critica d'Arte” (n.6, 1985) riguardante il carteggio Morandi-Raimondi. Ad esso associo il ricordo del volume di Raimondi Anni con Giorgio Morandi (Mondadori, 1970), che non ho letto per scaramanzia circa l'alta opinione che nutro nei confronti del Maestro di Via Fondazza.

F.R. (8 gennaio 2022)





giovedì 3 febbraio 2022

[glossario] La parola 'professore' come epiteto.

Avevo avuto notizie verbali fin da bambino nel 1952 o 53 (Gaetano Salvemini quando venne a pranzo a casa nostra in Viale Petrarca 14), poi da mio padre, quindi da Dino Pieraccioni autocritico, della dichiarazione definitoria di Benedetto Croce sul termine professore, piuttosto dileggiante ma chiara.

Non a caso Carlo L. Ragghianti si riteneva offeso se considerato e interpellato “professore”. Salvo che dai propri discenti e nell'esercizio della sua funzione, la quale già allora in generale tendeva a burocratizzarsi in carriera rigida a vari livelli (mentre fin'allora c'erano solo i docenti di ruolo, gli incaricati e i liberi docenti, questi ultimi soppressi eliminando anche energie e cultura esterna alla corporazione). Questa intenzionale “regressione” tendeva a limitare, disdire fino alla negazione l'essenza antica della professione di insegnamento libero da vincoli di 

sudditanza, carriera e via cedendo la propria assoluta libertà di cultura attraverso la docenza. Fino ad arrivare alla infamante “peer review”, la quale – forse utile nelle scienze per impedire “bufale” – però omologa il più vergognoso conformismo (e il “ricatto” ancor prima dei concorsi!) e cristallizza l'esistente.

Casualmente, in un post della prof. Emerita Emma Giammattei, trovo finalmente il testo che Benedetto Croce pubblicò ne “La Critica”, 1941, XXIX. Lo ripropongo in questo blog come materia di riflessione dei docenti di ogni ordine e grado affinché pensandoci rivendichino – anziché privilegi e “scorciatoie” (ad es. assunzioni senza concorso) – la loro piena libertà di insegnamento nell'ambito di programmi orientativi, non coercitivi.

F.R. (29 agosto 2021)