Carlo e Licia

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martedì 31 ottobre 2017

John Pope-Hennessy

Ogni volta che apro il nostro blog "Ragghianti&Collobi", atto che compio almeno una volta al giorno, subito guardo la fotografia di "copertina" con i miei genitori sul terrazzo di Villa La Costa, sorridenti e già maturi, proprio come li ricordo in quegli anni quando avevo iniziato a collaborare con loro, riordinando anche la Fototeca dopo la confusione lasciata dal precedente – e pagato – incaricato Raffaele Monti. Oggi, finalmente e fortuitamente, focalizzo l'attenzione sul libro che Carlo L. Ragghianti tiene sottobraccio e mi par di riconoscerlo per uno dei tre volumi del monumentale Catalogue of Italian Sculpture in the Victoria and Albert Museum: ingrandisco l'immagine e vedo che si tratta proprio del terzo volume dell'opera di John Pope-Hennessy, 1964. Ciò pone la fotografia in una data immediatamente posteriore, al 1965 come conferma il taglio di capelli della Mamma, siccome il parrucchiere Primo la acconciò in occasione della festa al Forte del Belvedere per il trentesimo anniversario di "Critica d'Arte".
Questa circostanza bibliografica mi ha fatto tornare in mente un breve testo che scrissi in corsia del Pronto Soccorso di Careggi durante la settimana di degenza che vi trascorsi nel 1994, in seguito ad una grave melena dovuta alla componente acetilsalicilica di un farmaco antinfluenzale. E' un testo che redassi per scacciare la noia e fu motivato dalla notizia, letta nella cronaca di Firenze, della morte di sir John della cui esistenza in verità mi ero scordato. Questa nota mi è anche cara perché divenne la prima di quella serie di "dramatis personae" che iniziai per fissare la memoria di circostanze interessanti o di una certa importanza. Proprio in quei giorni, in un non casuale riesame della propria esistenza, decisi che – una volta tornato a casa – avrei distrutto ogni traccia di tutto ciò che avevo prodotto come "negro" o comunque per conto terzi perché costretto dalle necessità derivate dalla disoccupazione e poi dal part-time. Si trattava di testi che in parte non avrei potuto divulgare per il contratto di riservatezza col committente, in parte, e soprattutto perché estranei ai miei interessi e convincimenti.Riporto nella sua integrità il suddetto contributo:

POPE HENNESSY, sir John
<<Anche sir John se n'è andato, in punta dei piedi come quel vero gentlemen inglese che era. Non so bene quali rapporti intellettuali avesse avuto col babbo, certo conosceva meglio di tanti altri longhiani il suo lavoro e le sue capacità di connoisseur, poco note perché esercitate en passant, ma penetranti. E lo stimava – anche questo tramite Berenson? – come d'altra parte il babbo apprezzava il suo lavoro filologico sulla scultura italiana. L'ho conosciuto proprio alle esequie del babbo, quando arrivammo a Trespiano al seguito immediato del carro funebre. Parcheggiai l'auto pochi metri oltre il furgone, per non intralciare la cerimonia del commiato dalla salma al cospetto del Gonfalone, insignito della medaglia d'oro che proprio Ragghianti, nel 1945 da Roma, gli fece attribuire per il valoroso comportamento della popolazione fiorentina, di cui lui stesso aveva coordinato e guidato la resistenza. 
Isolato, accanto ad una signora che mi pareva di conoscere – era Alessandra Pandolfini, ormai da molto vedova Marchi – , c'era un signore canuto, alto e 
dinoccolato. Mentre le sorelle procedevano verso Fanfani e Spini già accanto alla bara, la Marchi mi fermò dicendo: 'Questo è sir John. Vuole farvi le condoglianze.' Le fece in perfetto italiano; ci stringemmo la mano con un reciproco inchino molto "vieux-jeu". (3/11/1994, dall'ospedale)
Per completare questo Post mi sono un po' documentato, colmando le lacune del testo precedente, e ho riscontrato che Ragghianti su "Critica d'Arte", sett-dic. 1937, p. XLIV, dedica una nota di sedici righe a Predella da Giovanni di Paolo, pubblicato dal Pope-Hennessy; poi sul fascicolo XIV (Aprile 1938) della rivista a p. XI c'è la breve recensione dello studio sui pittori lucchesi Zacchia. Nel viaggio di studio e di cospirazione antifascista del 1939 in Gran Bretagna R. non conobbe P.-H. di persona, cosa che avvenne forse in precedenza a Roma, come si deduce da una lettera del critico inglese datata 20 agosto. Nel dopoguerra ci sono stati sicuramente contatti non frequenti, stanti le differenti frequentazioni sociali tra i due studiosi, come attesta la loro stringata corrispondenza, conseguenza anche del fatto che sir John abitò a lungo a Pisa (dove R. insegnava), poi a Firenze (dove R. abitava).
Nel penultimo fascicolo della prima serie di "seleArte" (n. 76, ott.-dic. 1965, pp 29-34) mio padre recensì l'opus da cui prende spunto questo Post, con queste positive considerazioni: "Più che un catalogo, e sia pure quanto mai approfondito nell'analisi storico-critica, e larghissimo di informazione, è una vera e propria storia della scultura italiana dal XI al XIX secolo. La raccolta del museo londinese, infatti, è per la scultura italiana la più grande del mondo, e quasi tutti i grandi e minori artisti vi sono rappresentati, spesso con opere fondamentali per la loro conoscenza. Particolarmente ampia è la documentazione delle "scuole" di Civitali, di Amadeo, dei Lombardi e numerosa la collezione degli scultori fiorentini del Cinquecento.
Poiché è impossibile dare qui una anche sommaria relazione sul vastissimo compito svolto dall'A., né sarebbe il luogo, questo, per discutere ed esaminare le tante attribuzioni, i molti riconoscimenti che gli si debbono, ci limitiamo ad illustrare, per i nostri lettori, pochi esempi delle opere da lui schedate...".
Dopo la pubblicazione di questo testo non risultano – salvo un invito, declinato per impegni, a tenere un corso di lezioni alla neonata Università Internazionale dell'Arte – particolari contiguità tra i due studiosi fino al 1986, quando l'antico amico e collega all'Università di Pisa Tristano Bolelli chiese a Ragghianti di presiedere la Giuria del Premio Galilei, del quale il glottologo insigne era il fondatore e promotore. Nella sua 25ma edizione il premio di questa prestigiosa manifestazione doveva essere attribuito a uno Storico dell'Arte. La Giuria attribuì l'ambito riconoscimento a Pope-Hennessy, con la motivazione finale che riprendiamo dal manoscritto del suo Presidente (e che comunque riproduciamo nelle sue due pagine) che si concludeva con questo giudizio di Ragghianti: "il contributo dato da John Pope-Hennessy allo studio e alla conoscenza dell'arte italiana fra i secoli XIV e XVII non ha confronti sul piano internazionale, e pochi riscontri nella stessa Italia, alla cui arte lo studioso ha dedicato un impegno di cinquant'anni, coronato da risultati che hanno agito in modo determinante e sempre significativo per ristabilirne le componenti e la storia".



mercoledì 18 ottobre 2017

Mario Nigro

Già prima della importante ed esauriente esposizione che si sta tenendo presso la Fondazione Ragghianti di Lucca dal 29 Settembre al 7 Gennaio 2018 e del relativo Catalogo – che ancora non conosco – avevo preparato la seguente scheda su Mario Nigro, di cui ricorre il centenario della nascita. A far ciò ero stato stimolato dal curatore di questa Mostra, Paolo Bolpagni, che in un colloquio telefonico m'aveva parlato della speranza di riuscire a realizzare questa sua iniziativa.
Il nome, e in parte l'opera, di Nigro mi erano noti dalla fine degli anni Cinquanta perché ne avevo sentito parlare da Lele Monti, proveniente da Livorno dove l'artista lavorava come farmacista (evidentemente anche all'epoca la vita di un artista si basava sul precariato e gli era difficile “campare” di sola arte), e da Vinicio Berti con la solita vis polemica spesso inattendibile e paradossale. Rinvangando ricordi lontani e smarriti, ho voluto controllare quali fossero – e se ci fossero stati – i rapporti con Carlo L. Ragghianti. Che si conoscessero lo avevo constatato durante non so più quale inaugurazione di Mostra (Chiattone?) nei locali dell'Istituto di Storia dell'Arte dell'Università di Pisa, dove il babbo mi presentò l'artista.
Dal mio Archivio riscontro tre lettere e due superstiti acquerellini augurali, che pubblico in questo post. La prima comunicazione è del 2 ottobre 1955, scritta in occasione della Mostra pratese 60 Maestri del prossimo trentennio (vedi il nostro post del 28 settembre 2017), dalla quale risulta che egli non conosceva di persona Ragghianti, cui tra l'altro si rivolgeva con il lei. Si tratta di una lettera garbata, con un pizzico di malinconia ma non di risentimenti, così presenti e diffusi in tanti artisti, specialmente quelli ideologicamente “impegnati”, ma non per questo migliori di altri contigui ed affini.
Di dopo l'Alluvione del 1966 (15 dicembre) è la seconda missiva, nella quale l'artista risponde positivamente all'appello di Ragghianti di donare una propria opera d'arte per il “costituendo” Museo d'Arte Contemporanea di Firenze (di cui ero parte non marginale nella informale segreteria operativa) e alla richiesta di segnalare “colleghi” ritenuti validi ed idonei. Da questo foglio si deduce che Ragghianti e Nigro avevano ormai anche una certa dimestichezza, come dimostra il darsi del tu, cosa – per altro – più che probabile dato che tra Pisa (dove C.L.R. risiedeva come minimo due giorni alla settimana per insegnare, sì ma anche dove aveva una inevitabile vita sociale) e Livorno 
intercorrono 10 chilometri di strada statale e altrettanti di ferrovia assai trafficata da frequenti convogli. Ciò fino al 1958, quando Nigro si trasferisce a Milano, dove per altro in quegli anni Ragghianti si recava abbastanza spesso. Da notare il piglio sicuro ma non arrogante, consapevole della propria originalità professionale.
La terza lettera (14 febbraio 1967) conferma una certa confidenza tra il pittore e il critico.
Siccome sono stato apprezzatore della PopArt, dello OpArt e, sia pur con perplessità sull'autentica vocazione di alcuni protagonisti, del coacervo espressivo della fenomenologia detta astrattismo, intendo dire qualche parola di apprezzamento per questo pittore. Trovo una certa consonanza con la ricerca di Piero Rambaudi (di una decina d'anni più anziano) seppur in Nigro ci siamo momenti meno lineari, meno “architettonici”, probabilmente derivanti dal suo eclettismo giovanile e dagli spiccati interessi musicali con le loro sinuosità di ritmi. Così ci sono concomitanze col fiorentino (in realtà, se ben ricordo, pistoiese come Nigro) Gualtiero Nativi, laureato in architettura, permanentemente dolente vittima dell'incomprensione togliattiana. Con i fiorentini, specialmente del gruppo “Arte d'oggi” può aver avuto in comune l'ideologia politica, la cui derivante estetica è da lui declinata comunque con maggiore consapevolezza critica, più che “eretica” diversa, al contempo di matrice ed orientamento differenti e non dissenzienti. Quando a Dorazio e altri artisti e non tali citati, trovo corretto quanto Nigro dice di loro nella seconda lettera. Ho letto di una derivazione cubista, direi inevitabile, però non “derivante” dalle esperienze di Mondrian, il quale come un clown bianco non ha guizzi e comportamenti improvvisi e sperimentali che, invece, in Nigro paiono elegantemente espressi. Non voglio fare altri accostamenti internazionali, cito solo Albers e Soto che mi frullano in mente.
Concludo con una nota di colore: nel dépliant della mostra lucchese qui sotto riprodotto, noto che l'opera di Nigro “Rivoluzione 1981” ha un andamento che appare ripreso (affinità?) nella troppo celebrata Passerella sul lago d'Iseo, e nel conseguente art-merchandising di quel furbacchione tanto strombazzato dai media qual è il bulgaro Christo. 

F.R. [4 ottobre 2017]

Addendum alla grafica di Emilio Greco

Alle mancanze e alle imprecisioni che ebbi a rilevare nell'articolo Il Catalogo dell'opera incisoria di Emilio Greco (“SeleArte”, IV serie, n.23, 1996, pp.17-23, fascicolo che sarà tra qualche mese interamente riprodotto in questo blog) debbo aggiungere anche l'incisione qui di seguito riprodotta.
Essa era allegata alla copia “riservata” della Cartella/volume I commiati nell'arte incisoria di Emilio Greco, stampata egregiamente nel 1983 dalla Galleria La Bezuga, benemerita nella diffusione di grafiche seriali originali.
L'incisione, di cui non è indicato il titolo, è una prova d'artista di mm. 222X214h; se ne ignora, inoltre, la tiratura. Per verificare questi dati abbiamo fatto, mia nipote Irene (tra l'altro consulente elettronica) ed io, una ricerca sul Web tramite Google senza alcun riscontro. C'è quindi la possibilità che questa grafica – al di là dei notevoli valori espressivi – sia da considerarsi una rarità, con maggiore soddisfazione di coloro che ne detengono un esemplare.
A suo tempo, essendoci in biblioteca due o tre esemplari del libro, non citai l'incisione nel breve scritto del 1996 perché evidentemente avevo sfogliato una copia ordinaria, senza l'incisione originale. Già nel 1995 mi stupì che nel Catalogo delle incisioni di Emilio Greco – approntato lui ancor vivente – ci fossero delle lacune così numerose immediatamente percepite dallo sguardo di un cultore della materia con conoscenze limitate dell'attività e della 
produzione dell'artista. Pensai anche, non a torto dico oggi, che non fosse casuale l'assenza delle opere pertinenti le iniziative di C.L.R., secondo il diffuso mal costume “ambientale” di ignorare, negare, sottacere tutto ciò che riguardava mio padre. Siccome Emilio era morto da pochi mesi non volevo certo polemizzare con l'amico defunto e quindi scrissi soltanto che “le pecche e le omissioni riscontrate in queste pubblicazioni sono tutt'altro che inconsuete in opere analoghe, alcune addirittura condotte con l'attiva collaborazione dell'artista, ancor vivo e compus sui”. E ciò, lo confermo anche adesso, può risultare valida interpretazione, considerando che negli ultimi tempi Greco era afflitto da disturbi e malanni che, data l'età, lo distoglievano da secondarie occupazioni professionali, come ebbi a verificare nella nostra corrispondenza finale, da parte mia scrittoria e da parte sua esclusivamente telefonica.
Comunque le lacune del Catalogo 1994 continuo a pensare siano state conseguenza di quanto detto nelle righe precedenti, e cioè che non ci fosse soltanto una generica consuetudine accademica e pubblicistica di svalutare fino ad ignorare le pertinenze di studiosi sgraditi ai compilatori e/o ai curatori di una determinata opera, ma anche frettolosità mercantile e approssimazione dilettantesca. E queste cose si possono riscontrare in diversi casi di analoghi cataloghi.




domenica 15 ottobre 2017

GIOTTO 2017, 4

Carlo L. Ragghianti (1937-1966) / Giotto Architetto



Proseguendo, in occasione del 750° anniversario dalla (supposta) nascita di Giotto, la ri-pubblicazione degli scritti dei Ragghianti concernenti l'artista, dopo i tre post (di cui il secondo presentava in veste grafica modificata la monografia di Licia Collobi), riproponiamo una serie di scritti di Carlo L. Ragghianti, articolati in tre puntate, direttamente o strettamente collegati con il pittore e architetto vicchiese. Curiosamente nella Bibliografia degli scritti di C. L. Ragghianti, Giotto prima del 1969 è citato soltanto tre volte, due delle quali in contesti stringati, marginali. Eppure nel pensiero dello storico lucchese l'opera di Giotto è sempre stata un punto di riferimento cruciale, permanente. E certamente la riflessione sulla grandiosa attività dell'artista mugellano è ricorsa in lezioni, conferenze, ecc., molto spesso; però – purtroppo – di queste espressioni verbali all'epoca rimaneva raramente traccia, tanto meno documentazione. Si tratta, comunque, di un breve resoconto su Note Giottesche (in “Critica d'Arte”, XI-XII, sett.-dic. 1937, p. XL-XLI) della polemica tra Luigi Coletti – che R. rispettava come persona e come studioso – e altri storici dell'arte (Brandi in particolare). Così anche nella successiva recensione (“Critica d'Arte”, III s., n. 3, sett. 1949, p. 246) in 14 righe si riferisce che lo studio del Peŝina Spazio tettonico e architettura in Giotto “contiene osservazioni e spunti originali”. Nella Bibliografia si risale al 1964 quando su “SeleArte” (n. 70, lug.-ago., pp. 35-40) Ragghianti esamina il volume Giotto architetto (Edizioni di Comunità, 1963, pp. 234) opera di Decio Gioseffi, nella quale R. – per altro direttore della collana editoriale – aveva scritto la presentazione e le risguardie di sopracopertina. Riproduciamo questi tre documenti in calce alla presente nota. Comunque, qualcosa del “disperso” pensiero di C.L.R. su Giotto lo abbiamo rintracciato, altro si può desumere dalla citazione del nome in contesti in cui l'artista compare per qualche motivo; basta avere la pazienza di riscontrare gli Indici dei libri scritti da R. e delle riviste da lui dirette. A questo proposito, da un veloce confronto ho trovato una notevole presenza dell'artista nel saggio Fine del Medioevo: profili differenziati scritto nel 1941 (in Miscellanea minore di Critica d'Arte, Laterza, Bari 1946, pp. 59-68); così anche in Artisti e “civiltà” (ne Il pungolo dell'arte, Pozza, Venezia 1956, pp. 56-90) scritto nel 1955. Sono certo che in altri testi qualcosa di significativo circa Giotto sia accertabile. Dall'Archivio ho ricavato un testo (pubblicato in “SeleArte”, IV serie, n. 21, 1955, pp. 27-29) con il titolo Professionalità, che verrà riprodotto in questo blog tra qualche tempo, sulla pittura giottesca degli inizi del Trecento, che R. rivolge al laureando GianPaolo Gandolfo in data 17 giugno 1953. Ancora su “SeleArte”, IV serie, n. 21, marzo 1995, p. 30 (che sarà ripubblicato in questa sede entro l'anno) a G.P. Gandolfo vengono indirizzati degli Appunti metodologici (“Vedere, vedere, vedere e rivedere”, ad es. ) riguardanti il periodo storico in esame. Sempre in Archivio ho rintracciato le osservazioni che R. rivolge a James Stubblebine – borsista Fulbright – nell'ambito di una “tesina” per lo Studio Italiano di Storia
dell'Arte (1954). Questo testo è stato pubblicato e postato il 10 ottobre 2017 col titolo Magisterio di Ragghianti, 4. Giotto, Duccio e Postilla sullo Studio Italiano di Storia dell'Arte. Nel 1956 viene pubblicato Pittura del Dugento a Firenze con una nota sul retro della copertina in cui si precisa che: “ Questa monografia dedicata alla pittura del Dugento a Firenze ha volontariamente escluso l'attività di GIOTTO ed i suoi effetti a partire dal 1280 almeno, salvo quelli che si veggono nel tardo Cimabue. Nella illustrazione si è preferito richiamare l'attenzione dei lettori su Maestri ed anche su opere meno ben note per quanto di grande significato, piuttosto che sui fatti più comunemente acquisiti (ciò vale ancora per CIMABUE, di cui si può trovare una larga documentazione in ogni manuale; ed anche per la presenza a Firenze di DUCCIO DI BUONINSEGNA [vedere il qui citato post del 10.10.2017] con la Madonna Rucellai del 1285). Così si è preferito, spesso, il dettaglio indicativo o probante, pure fornendo al lettore l'insieme degli esemplari pittorici più rappresentativi. Possiamo tuttavia assicurare che questa monografia, con le sue riproduzioni originali a colori ed in nero, fornisce la più ampia raccolta di opere pittoriche del Dugento fiorentino sinora apparsa”. Il libro è stato poi ri-pubblicato integralmente in Arte in Italia Vol. III, secoli XII e XIII, Casini Editore, Roma 1969. A Pittura del Dugento si riferisce anche Riassunto dei risultati critici (titolo con calligrafia di Ragghianti): sono tre pagine pubblicate in “SeleArte”, (IV serie, n. 7, estate 1990, pp. 9-11) già postato nel nostro blog il 19 gennaio 2017. A p. 2, nell'introduzione ai contenuti del cit. fascicolo 7, scrivevo che “come detto non siamo in grado di indicare la destinazione originaria”, poi – beata ingenuità – pensavo che “questo scritto sarà utile complemento alla prevista (come allora assicurato) riedizione critica del libro che comprenderà anche il percorso di Giotto nel secolo XIII...”. Accadde invece che soltanto venti anni dopo, nel 2010, verrà pubblicato dalla Fondazione Ragghianti il volume Prius Ars. Questa edizione del Medioevo di Ragghianti però escludeva i da lui previsti e voluti scritti sui secoli XII e XIII. A questo travisamento delle intenzioni dell'Autore e nostre si aggiunge il fatto che la veste tipografica dell'edizione è piuttosto lussuosa, certo, però graficamente e “didatticamente” si pone alle antipodi della volontà, più volte manifestata, di C.L.R. e delle indicazioni precise e stringenti date dalla famiglia sua erede al grafico Leonardo Baglioni, che oltretutto era sempre stato da noi designato nel Comitato Scientifico della Fondazione. Una faccenda tutto sommato squallida che riferisco con tristezza. Sempre dall'Archivio di casa rendo nota una lettera del 28 luglio 1966 che Ragghianti rivolse all'amico Alberto Mortara produttore della serie dei critofilm “seleArte”. In essa si propone la realizzazione di un filmato su Giotto, con diffuse indicazioni per la sua concreta realizzazione che fanno pensare ad un'opera di largo respiro e complessità non dissimile dal Michelangiolo del 1964.
Purtroppo per le vicissitudini della Olivetti, che già stentò a sostenere la realizzazione michelangiolesca, la proposta non ebbe seguito: un vero peccato! In conclusione, circa Giotto architetto e l'interessamento di Ragghianti per l'argomento penso sia opportuno qui ricordare lo studio dell'architetto Corrado Verga, ospitato in due fascicoli del 1974 di “Critica d'Arte” (n. 134, pp. 35-52; n. 135, pp. 19-34) col titolo Giotto e compagni “optic art”. Lo studioso vi svolge tesi piuttosto interessanti ed originali e considera che “i punti storici principali della cultura architettonica teorica o grafica di Giotto sono riconoscibili nelle strutture edilizie di inquadramento o di campo inserite nei cicli di Assisi, del mosaico sampietrino di Roma e delle Cappelle Bardi e Peruzzi nella Santa Croce fiorentina”. Verga si riferisce spesso al libro di Gioseffi, considerato basilare, avvertendo che “l'autore quanto ai problemi metodologici generali e in particolare alla considerazione dell'architettura pur se dipinta, quando sia architettonicamente costituita, si riferisce al Ragghianti (Problemi padovani: Battistero e Capelli Belludi, 1959, in “Critica d'Arte”, 1961, n. 45) il quale aveva precisato le prospettive, le persistenze ambientali e soprattutto le vedute multiple di edifici di Giotto, e poi di Altichiero”. Nella seconda parte della nota 37, conclude “Sulle qualificazioni di Giotto ed a lui riconosciute vedi Ragghianti, Stefano da Ferrara, p. 46 sg. (1972)”. La nota prosegue con “C.L.Ragghianti mi informa di avere scritto vari anni fa uno studio su Arnolfo e Giotto urbanisti e sul loro intervento nella sistemazione trecentesca di Firenze, che sarà quanto prima pubblicato”. In realtà il saggio non fu pubblicato: mi risulta che fu consegnato dattiloscritto ad un architetto collaboratore dell'Università Internazionale dell'Arte di Firenze in vista di uno studio nel quale affiancasse Ragghianti, di modo che costui potesse svolgere il proprio intervento sulla base delle conclusioni già raggiunte. L'architetto è morto, il dattiloscritto non è mai stato restituito alla famiglia dopo la dipartita di mio padre. Spero, ma non ci conto, che si trovi nell'Archivio della Fondazione di Lucca o, almeno, che questa ricerca sia ricostruibile con le carte ivi depositate. Un'ultima considerazione: su “L'Espresso” del 5 gennaio 1964 (p. 19) anche Bruno Zevi recensì il libro di Gioseffi nell'articolo Giotto architetto/incorniciava gli affreschi col compasso. Dopo averlo riletto penso che non sia centrato né equilibrato, manifesti anzi una sorta di risentimento per l'intrusione di uno storico dell'arte nel “sacro” recinto dell'architettura. Ragghianti, poi, con biro rossa pone a fianco del testo dei punti interrogativi, uno esclamativo: ci sono poi diverse sottolineature (una con a lato “fraintende” là dove Zevi scrive di Giotto “opaco architetto”. Il tutto con evidente intento di disapprovazione critica.

Francesco Ragghianti

sabato 7 ottobre 2017

{bacheca} Arricchitevi!

E' purtroppo attuale questa bella caricatura che come scopo prioritario della vita indica l'arricchimento incondizionato, costi quel che costi come mostrano l'euforia degli astanti, l'accanimento degli operatori di borsa, la miseria appartata della derelitta vittima senza solidarietà.
Anche negli anni '30 e '40 dell'Ottocento le operazioni atte a drogare l'economia verso una espansione illimitata comportavano gravi e durature conseguenze. La più consueta era la guerra tra nazioni o tra interposte nazioni alleate; altrimenti si cercava di scongiurare la crisi con un conflitto spudoratamente coloniale. (Di cui, a proposito, ancora oggi sentiamo l'oscillazione metaforica del pendolo di Vico, la cui conseguenza è 
l'incontrollabile invasione migratoria, solo in parte spontanea ma occultamente gestita con impudenti profitti all'interno, all'esterno soprattutto contro le imbelli e indecise democrazie, ritenute facili da depredare e spolpare.
Però tra l'ieri e l'oggi c'è una differenza fondamentale: le armi e le tecnologie di tutti i tipi sono esponenzialmente più micidiali.
La morale religiosa, l'etica severa del laico sono di fatto praticamente scomparse, ininfluenti, sono sopraffatte dai “vitelli d'oro” costruiti da irresponsabili però colpevoli, plaudenti masse spesso plebiscitarie. Nel frattempo l'1 per cento dei veri abbienti se la gode …
Francesco Ragghianti

giovedì 5 ottobre 2017

“Sulle mura / Frontiere dell'arte". Costretti al silenzio.

Peccato. Appena ricevuto il Catalogo “Sulle mura/ frontiere dell'arte/ Disseminazioni/ L'arte in città” di una impegnativa manifestazione espositiva avvenuta sotto l'egida della Fondazione intitolata ai genitori Ragghianti, e, dopo una prima veloce scorsa all'apparato illustrativo, ho pensato di farne una recensione dato l'indubbio interesse di quanto – e come – esposto in luoghi tra i più suggestivi della affascinante città di Lucca. Subito dopo, nel controfrontespizio, leggo: “Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma e con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico, o altro senza l'autorizzazione scritta del proprietario dei diritti e dell'editore”. Si tratta di una dichiarazione intimidatoria e confusa: certo l'editore è uno soltanto, ma il “proprietario” citato? Se è uno solo ci troviamo di fronte ad una operazione promozionale ai fini di privato profitto. Altrimenti per i terzi (studiosi o altro) diviene ulteriormente umiliante il dover chiedere persino a chi chiedere il diritto di relazionare, di fare informazione circa opere d'arte esposte in pubblico (e gratuitamente, si suppone). Oltre che intimidatoria, la dichiarazione è inaccettabile. Se non altro perché questo blog riconosce i principi del copyleft, cioè accetta che i propri materiali possano essere riprodotti a patto di citare la fonte, di non usarli per fini commerciali, di essere utilizzati integralmente o citati in maniera non distorsiva del loro significato originale. La cultura, come la musica e le immagini soprattutto, esistono solo se conosciute, diffuse. Diversamente il sapere diviene esclusiva disponibilità elitaria, censitaria. E' ovvio che bisogna pagare un originale, sia esso libro, cartolina, manifesto, cd, filmato quale ne sia il supporto. Ma la tramitazione, la diffusione non ingiuriosa, offensiva o infamante deve poter essere gratuita, soprattutto quando chi la fa non ne ha tornaconto. Ogni onesta e “lecita” diffusione diviene anche una forma di propaganda, di reclame, quindi un elemento altamente positivo per chi è coinvolto in un evento, chi ha creato 
un'opera d'arte. In conclusione relazionando si rende un servizio gratuito che diversamente sarebbe stato oneroso. Sia chiaro che questo blog non ha pregiudizio, e tanto meno risentimento, nei confronti della Fondazione e di chi ci svolge la propria attività. L'Ente e le persone in esso implicate si trovano ad operare, come tutti i lavoratori dipendenti, in situazioni che possono risolversi in modus operandi concepito sostanzialmente secondo una logica hobbesiana: chi detiene il potere (i soldi) può fare e far fare quello che vuole e il risultato finale deve rispondere soltanto alla loro vanagloria (anche se, come quasi sempre, si tratta di personaggi incompetenti nello specifico). Pertanto una minuscola organizzazione come la nostra, che raggiunge un pubblico ignoto ma – quando non puramente casuale – certamente interessato, qualificato o intenzionato a diventarlo, non ha i mezzi per gestire e tanto meno il tempo di piatire autorizzazioni. Purtroppo nemmeno abbiamo le qualità, la spavalderia di Carlo L. Ragghianti, il quale rifiutò di piegarsi a richieste di indebiti (secondo lui, e noi, ovviamente) diritti d'autore. Anzi minacciò di escludere i detentori (artisti come Picasso … ) da “SeleArte” se avessero proseguito nei loro intenti di sopraffazione nei riguardi della diffusione della cultura. Avvenne, quindi, che “SeleArte” e “Critica d'Arte” pubblicarono sempre quel che vollero e nessuno osò accampare pretese economiche al riguardo. Noi purtroppo, non abbiamo l'autorevolezza né la forza di carattere di C.L.Ragghianti. Perciò, in circostanze che presentassero analogie con quelle suddette, saremmo (e in questo caso preventivamente lo siamo) costretti a subire queste imposizioni che sono legali ma illegittime, come per altro lo sono tante leggi, tanti regolamenti e altro di questo e di ogni altro Stato, sia esso democratico, autoritario, totalitario. Quindi, almeno in via ordinaria, tacere l'evento o l'opera singola, là dove indotti da ingiuste od inique circostanze.
F.R.

martedì 3 ottobre 2017

Chiara Elisa Ragghianti

Per quel che ne sappiamo in famiglia, questa Chiara Elisa Ragghianti non è una parente o potrebbe esserlo alla lontana, stanti le poche informazioni che abbiamo sui consanguinei lucchesi con lo stesso cognome di nostro padre. E', però, una pittrice di un certo talento e con una vena espressiva di indubbia freschezza, di cui ignoravamo l'esistenza fino al 30 giugno 2017. Come al televisore capita di fare zapping, al computer un seminalfabeta digitale quale sono effettua scorrerie casuali (navigazioni?) partendo da un punto ritenuto al momento interessante. Capitò, così, di cercare nelle immagini un riscontro iconografico da utilizzare in un post: non trovando quanto desiderato in questa sezione (dove, in genere, dopo poche illustrazioni pertinenti alla ricerca si annega in tante, troppe riproduzioni impertinenti, addirittura incongrue), l'occhio mi cadde su una figura pittorica per me intrigante perché in qualche modo ricordava miei, antichi, inadeguati ma convinti tentativi pittorici, e – soprattutto – mi sembrava discendere dalla figurazione di Alex Kats (1927, Brooklyn N.Y.) che mi fascinò fin dai primi anni Sessanta su “Art News”. La visione successiva di altre opere di Chiara Elisa Ragghianti mi confermò queste immediate impressioni, e, quindi, nei dipinti riscontrai un andamento più mosso, con tagli risoluti delle inquadrature, nonché qualche sottolineatura ironica ed “affettuosa”, non scevra di un guizzo di ispirazione naive; forse persino un lontano richiamo al patriarca Ben Shahn (1898 – 1969). Comunque, proseguendo la ricerca cliccando su questa isolata immagine incuriosente, capitai nel sito della stranota “Saatchi Art” e lì mi imbattei nelle riproduzioni di grafiche e dipinti di questa ignorata omonima. Naturalmente stampai subito le tre pagine che qui di  
seguito al testo riporto. In seguito riuscii a scovare anche riproduzioni più grandi e meglio leggibili che mi confermano l'aver immediatamente intravisto un autentico talento pittorico. Qualche giorno dopo, in una conversazione telefonica su altro argomento, segnalai a Paolo Bolpagni – direttore della Fondazione Ragghianti di Lucca – questa artista chiedendo al contempo, dato che egli non la conosceva, di cercare notizie su di lei e sul suo lavoro così genuinamente interessante. Date le vacanze estive, non so che cosa sia poi successo a Lucca, certo in me è rimasta la gradita sorpresa di vedere queste opere d'arte. Mia nipote Irene, più esperta (anzi l'esperta del nostro blog) mi ha trovato qualche notizia sul web – e che qui sotto riproduco – dato che nonostante l'appartenenza alla celebre galleria londinese (traguardo comunque importante, indice di successo professionale, soprattutto dal punto di vista economico nonché di una notorietà in ambiti qualificati se non altro dal punto di vista collezionistico) mi sembra che Chiara Elisa Ragghianti non sia adeguatamente e debitamente conosciuta e rimanga immeritatamente affogata nell'immenso numero di concomitanti “operatori” artistici. Anche se non ho voce in capitolo, infine, mi permetto di far presente a Bolpagni e al Comitato Scientifico questa, a mio avviso, sorprendente pittrice perché la si faccia conoscere meglio (in patria soprattutto) con un'esposizione. Sempre che ciò sia fattibile e non ostacolato da contratti e vincoli dirimenti che opprimono oggi più che mai la libertà di manovra di operatori e artisti contemporanei. Seguono le 3 pp. di illustrazioni e, forse, altre illustrazioni scelte tra quelle che Irene ha conservato nel computer.
F.R.

domenica 1 ottobre 2017

{glossario} ARTE, 1


Questa rubrica ha l'intento di definire, con un aforisma, un esempio, un'argomentazione essenziale e possibilmente stringata, un concetto che altrimenti per essere svolto richiederebbe uno studio complesso ed articolato. Perciò per il lemma ARTE, che implica una complessità veramente impressionante, viene proposto qui un aforisma di Carlo L. Ragghianti. Naturalmente nel tempo seguiranno altre interpretazioni generali e particolari, anche dello stesso autore. Mi fa piacere ricordare che il testo è riprodotto dal volume Per mio conto e fuori dalle convenzioni scientifiche. Carlo L. Ragghianti, scritti 
sull'architettura del XX secolo (bel titolo, molto suggestivo) edito nel 2015 dalla Fondazione Ragghianti di Lucca. Questa citazione è stata posta in “esergo” - parola che da qualche tempo vedo esser cara a molti accademici, usata in luogo di “citazione di apertura” in un libro – dell'eccellente antologia, ben stampata, forse un po' carente di illustrazioni, curata da Valentina La Salvia con affettuosa partecipazione nei confronti dello scomparso studioso lucchese. Difatti questa giovane e valida studiosa a p. 12 del libro pone la seguente motivazione circa il proprio lavoro: