Carlo e Licia

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lunedì 25 settembre 2017

Donazioni alla Fondazione Ragghianti

Nell'alacre rivisitazione delle carte e delle pubblicazioni di e su Carlo L. Ragghianti, incontro il Catalogo Le donazioni alla Fondazione Ragghianti, edito nel 1994 per l'omonima esposizione fortemente – e un po' anche avventatamente – voluta da Grazia Lanzillo, segretaria del Centro Studi Ragghianti e sua “reggente” dopo la morte improvvisa del Direttore Pier Carlo Santini. Furono in molti a giudicare precoce ed antiproducente questa iniziativa, dettata da slancio affettivo e perciò – almeno ai miei occhi – onorevole. Al contempo mi è venuto in mente, volendo illustrare per questo blog un saggio su Aldo Borgonzoni, che (benché assenti nel Catalogo) dovevano esserci un paio di opere di questo pittore donate alla Fondazione. Di conseguenza ho chiesto all'attuale Segretaria la scannerizzazione di foto a colori di queste tele, che avevo visto riprodotte in b/n in una monografia con l'indicazione “Collez. Fondazione Ragghianti, Lucca”. Non avevo dubbi perché rammentavo l'impegno dell'artista, ribadito anche dopo la morte di mio padre. Scordavo, invece, che dopo la morte del babbo fino a che l'Istituto non si stabilizzò con nuovi organi, permanendo la Direzione di Santini, avvenne in generale qualche pasticcio, ci fu qualche incomprensione e qualche permale, per cui Borgonzoni come altri soprassedette all'invio dei dipinti. Ora invece apprendo che il figlio ed erede dell'artista bolognese, qualche anno fa mandò comunque un quadro che, a prima vista, mi sembra di qualità espressiva e storica meno significativa rispetto a quelli precedenti. Pazienza. Voglio subito sottolineare il fatto che successivamente alla pubblicazione del citato catalogo, sono state offerte ed acquisite donazioni artistiche e bibliografiche di un certo rilievo e di sicura importanza e altre, mi pare d'aver capito, sono gestite e progettate ex novo da Paolo Bolpagni, l'attuale Direttore della Fondazione. Mi sembra opportuno ripetere che dopo la scomparsa di C. L. Ragghianti la mancanza o l'interruzione di contatti con gli artisti, i loro eredi, i galleristi, aveva creato il risultato della perdita di numerosi gesti di liberalità impostati da R. o a lui rivolti. Si trattava di donazioni dovute a stima, riconoscenza, ammirazione per il critico lucchese, non di atti legati al suo supposto “potere” nel mondo dell'arte. Perciò, rivedendo i documenti dell'epoca, nonostante la notevole distanza temporale, potrebbe darsi che sia possibile riannodare qualche filo spezzato. Prima di concludere faccio una parentesi inerente a quanto detto: ci fu un caso vergognoso, e perciò voglio ricordarlo con riprovazione. Tale Sauro Cavallini, scultore, era un insistente abituale tampinatore di Ragghianti per ricevere (come ebbe) considerazione e “presentazioni”. Costui due giorni due dopo la morte di C.L.R. chiese insistentemente ed ottenne, da un esterrefatto ed indignato Bruno Tassi 
(Presidente dell'Associazione), la restituzione di due milioni di lire che a suo tempo egli aveva donato alla Associazione per l'Edizione delle Opere di Carlo Ludovico Ragghianti. Questo quadro di circostanze legate alle donazioni induce a proporre qui di seguito la presentazione al Catalogo 1994 nella quale Raffaele Monti descrive opportunamente e affettuosamente lo stato d'animo presente in Fondazione e le aspettative per il futuro. In particolare trovo ammirevole quanto scrive: “è infatti dovere di noi allievi di Ragghianti (e Santini aveva cominciato a farlo donando anche l'intera sua biblioteca) a trovar maniera di dar corpo a questo settore della Fondazione...”, cioè all'auspicabile arricchimento dei nuclei fondanti. Oggi posso constatare che l'appello di Monti non è stato ascoltato abbastanza (sorprendente e per certi versi clamorosa l'assenza di Alfredo Righi tra i donatori), anche se è un piacere ricordare che per loro debita fortuna gran parte degli allievi diretti e indiretti di Ragghianti è viva e, come si suol dire, vegeta. Non mi sorprende nemmeno la contraddizione tra il dire e il fare in Raffaele Monti (definito dall'amicone Righi “patologico modificatore della realtà”), il quale – qualificato collezionista e bibliofilo – al momento opportuno s'è scordato della Fondazione. Predicare bene, razzolare male è una divisa araldica che si attagliava perfettamente al barone (o conte?) Raffaele Monti. Constatando che il Centro Studi sull'Arte Fondazione Licia e Carlo L. Ragghianti è già adesso considerato uno dei feudi bibliotecari specialistici e archivistici più importanti del Paese (e per logica conseguenza una conosciuta e significativa istituzione a livello Europeo), reputo che sia indispensabile che venga vieppiù consolidata la struttura dei suoi servizi al pubblico, dei suoi programmi, delle sue iniziative espositive scientifiche e problematiche, della produzione editoriale e delle collaborazioni pedagogiche. Vedo, poi, con soddisfazione che ci sono collaborazione e qualche sintonia con Enti ed Istituti di Pisa e Viareggio e altrove che vanno – se possibile – consolidati; vedo anche la possibilità di ripristinare qualche eredità dello studioso lucchese. Stante il disfacimento in corso dell'Università Internazionale dell'Arte, infatti, si prospetta l'opportunità di aprire o incrementare altri spazi di metodologia ragghiantiana. Perciò voglio concludere con l'auspicio che la Fondazione possa disporre, oltre a fondi ordinari adeguati alle esigenze e ai programmi, anche a maggiori disponibilità reperite dal Consiglio di Amministrazione, nonché di qualificate “donazioni” (un modo esemplare ed encomiabile per provvedere ad “eternare” il proprio ricordo tramite la presenza negli scaffali, nei muri o negli spazi di un illustre Istituto) di opere d'arte, di pubblicazioni e di immagini onde ovviare ad inevitabili squilibri e carenze.



venerdì 22 settembre 2017

{bacheca} Europa a pezzi

Ieri, all'inizio degli anni Ottanta, il Potere, qui emblematizzato da Craxi, individuava il"capro espiatorio" di tutti i problemi e di tutte le sue inadempienze e, perché no, malversazioni.
Oggi i diretti discendenti dei potentati di allora, trasformatisi solo nominalmente, per giustificare la propria incompetenza, le proprie inosservanze ingannatrici, le proprie diffuse ruberie invocano la sovranità della patria, il rifiuto (che nelle bocche "moderate" suona trasformazione) dell'Europa (ipocritamente di questa Europa), deprecano le orde di migranti 
che tolgono il pane ai concittadini (soprattutto agli evasori fiscali e gli infingardi, I presume). Loro tutti innocenti, gli altri tutti "rosiconi" o peggio.
Domani, quando i nodi verranno al pettine, e ci saranno davvero le sempre scongiurate "lagrime e sangue", gli immarcescibili detentori del Potere, in mutate spoglie, si offriranno (da destra a sinistra, tanto non esistono più, sostengono serafici) quali salvatori della Patria, dell'Europa (se ancor ci sarà) indicando un altro "capo espiatorio", sostanzialmente debole e indifeso.
F.R.

mercoledì 13 settembre 2017

Più Europa per contenere la Germania

Scritto nell'Ottobre del 1943, in seguito alle devastazioni tedesche e alla gloriosa insurrezione di Napoli, questo saggio in sostanza riguarda la distinzione tra il dovere etico (kantianamente inderogabile) e i doveri, cioè gli obblighi che gli esseri umani hanno ma che molto spesso devono subire secondo le circostanze della loro vita pratica, e qualche volta – come in guerra – per cercare di salvare detta vita (per quanto miserabile) a danno di altri incolpevoli, vittime involontarie: quindi martiri.
Queste pagine di Benedetto Croce acquistano oggi un valore significativo in rapporto alla necessità obbligatoria di non consentire alla Germania di assumere una leadership politica esorbitante, fuori controllo perché ottenuta colla potenza economica. 
Paradossalmente è buona cosa che i teutoni per esercitare una politica di predominio continentale (antipasto del globale?) abbiano bisogno assoluto del nucleare militare francese e non possano più contare per una “politica dei due forni” sul nucleare britannico.
Quindi più forte sarà l'europeismo nei singoli paesi dell'Unione, meno forte sarà la supremazia germanica nei loro confronti e, soprattutto, la loro meritata egemonia economica dovrà essere anche solidale con i paesi più deboli. 
Perché ciò avvenga occorreranno comportamenti “virtuali” per l'Italia, paese leader continentale di deficit, criminalità organizzata e criminalità sociale, evasione ed elusione fiscale. 
Non sarà possibile “riformare” seriamente con l'attuale classe politica di vertice, in tutti gli schieramenti partitici attuali. Occorre un “miracolo” della storia, il decantato “stellone”, una resipiscenza profonda, collettiva che ci doti di statisti degni del nome, di uomini dediti al dovere verso la Patria di Campanile, cioè tutti gli esseri umani che abitano lo stivale. Solo in queste – praticamente impossibili – condizioni l'Italia potrà sopravvivere con dignità ed aspirare ad un mondo migliore. Essere cioè ciascuno di noi, tale e quale la stragrande maggioranza dei “migranti”.


lunedì 4 settembre 2017

Arti Figurative Contemporanee (1953) e loro comprensione

Questa inchiesta su “ Come si presenta alla comprensione del pubblico il panorama delle arti figurative nelle tendenze, scuole, raggruppamenti? ” fu nell'autunno 1953 effettuata su “Il Nuovo Corriere”, il quotidiano nato per volontà degli Alleati che, nell'immediato dopoguerra, volevano avere una propria voce per far controcanto alla sequestrata “La Nazione” che il Comitato Toscano di Liberazione Nazionale gestì col nome “Nazione del Popolo”. Successivamente i proprietari dell'epoca fascista riottennero “La Nazione” e gli Alleati se ne tornarono a casa lasciando il loro giornale che fu acquistato dal Partito Comunista Italiano (credo tramite una società fiancheggiatrice).
Romano Bilenchi, scrittore veramente notevole ma uomo di poca coerenza caratteriale e intellettuale, dopo una più che brillante carriera giornalistica
organica ai dettami del Regime fascista, nel dopoguerra – e non fu certo l'unico – si scoprì comunista e fu premiato con la direzione del “Nuovo Corriere”. I rapporti tra Bilenchi e Carlo L. Ragghianti, dati i moltissimi amici e compagni che avevano in comune e un certo reciproco rispetto, furono cordiali ma sempre piuttosto formali. Bilenchi, ad esempio, prestò a Ragghianti diversi fascicoli della rarissima rivista “Il Selvaggio” di Mino Maccari perché il critico potesse studiarli ed utilizzarli per il suo libro Il Selvaggio (Copyright 1955, edito 1959, ripubblicato tale e quale nel 1994 senza previa autorizzazione, ma questo è un altro discorso). Comunque sulla relazione epistolare tra questi due intellettuali ci riproponiamo di intervenire in seguito.
F.R.

venerdì 1 settembre 2017

{glossario} Migrazione 1 - "Aiutiamoli a casa loro"

La migrazione, cioè l'insieme di immigrazione e di emigrazione, costituisce fin dagli albori della specie il più importante motivo di dissidio e di guerra tra gruppi costituiti e in qualche modo socialmente organizzati di esseri umani.
In questo momento storico, soprattutto per il mondo cosiddetto occidentale (prevalentemente vissuto da l'uomo bianco), è soggetto di bruciante attualità e, per di più, è gravido di disastrose conseguenze.
Per cercare di evitare catastrofi certe ed incalcolabili nelle terrificanti conseguenze è imperativo che le “classi dirigenti”, tutti i detentori del potere nazionale, contribuiscano ad individuare vie di attenuazione e di soluzione efficaci – seppur inevitabilmente temporanee – che consentano una prospettiva di sviluppo alternativo ai regressi verso antiche e recenti (1933-45) barbarie.
Il nostro Presidente della Repubblica nello scorso luglio ha sottolineato la gravità della situazione e, in alcuni stringenti interventi, ha manifestato la propria preoccupazione per l'avvenire della Patria, dei cittadini, dell'Europa. Egli – “con insolita durezza”, rileva un noto cronista politico – a proposito di immigrazione ha detto che “battute estemporanee al limite della facezia non si addicono al dialogo e al confronto internazionale”, che “il mondo di oggi non  

può essere considerato un'arena nella quale siano in brutale competizione sovranità impugnate come clave in una logica di antagonismo o addirittura di scontro”. Il nostro blog non si occupa di politica se non in un'ottica storica o che implica Ragghianti, non “milita” in nessuna area dello schieramento partitico o associativo contemporaneo, però non può sottrarsi da considerare il futuro di chi scrive, di chi ci è caro, dell'avvenire collettivo comunque inevitabile. Vittime si può divenire, complici no. 
Per questo motivo sulla migrazione vogliamo almeno contribuire a “smontare”, a ridicolizzare, a vanificare la capziosa panzana dell' “aiutiamoli a casa loro”. 
Quindi, per sgombrare il campo “minato” di questo colossale problema analizziamo almeno questo argomento più, troppo gettonato come soluzione possibile. Indicarlo come panacea, infatti, è soltanto ipocrisia, superficialità o malafede irresponsabile. 
Di conseguenza per dimostrare la mistificazione insita in “aiutiamoli a casa loro” ci sembra opportuno citare le convincenti, esemplari parole che il direttore di “Internazionale”, Giovanni De Mauro, ha espresso il 14 luglio 2017 nel suo articolo di fondo, che di seguito riportiamo.
“Le frasi di Matteo Renzi sui migranti (“Noi non abbiamo il dovere morale di accoglierli, ma abbiamo il dovere morale di aiutarli a casa loro”) non sono un inciampo o un errore di comunicazione. Sono invece un buon indicatore dell'umore generale, perfino a sinistra. Un umore che Renzi asseconda e cerca di sfruttare, anziché combattere. Ma l'idea di “aiutarli a casa loro” è un bluff, un modo neppure troppo elegante di lavarsi le mani della questione. Perché se si fanno due conti, come li ha fatti Ilda Curti, esperta di relazioni internazionali e in passato assessore di Torino, si capisce subito che “aiutarli a casa loro” comporterebbe costi, non solo economici, di gran lunga superiori ad “accoglierli in casa nostra”. Bisognerebbe smettere di vendere armi e tecnologie militari ai regimi autoritari (l'Italia è l'ottavo paese al mondo per esportazione di armi); sospendere ogni forma di sostegno economico ai governi corrotti; interrompere lo sfruttamento delle regioni da cui proviene gran parte delle materie prime di cui hanno bisogno le nostre industrie; affrontare e combattere seriamente il cambiamento climatico; investire in scuole, ospedali, sviluppo locale, infrastrutture, tecnologia, energia rinnovabile, reti di mobilità sostenibile; combattere l'economia dello sfruttamento, quella che ci fa trovare i pomodori a un euro al chilo nei supermercati; aprire canali umanitari che tolgano ossigeno a trafficanti e mafie; riformare e dare autorevolezza alle istituzioni internazionali, cedendo tutti un po' di sovranità nazionale. E molto altro ancora, con l'obbiettivo di combattere le disuguaglianze globali e pronti a rinunciare a parte dei privilegi dell'essere nati casualmente da questa parte del mondo. Ecco, per aiutarli davvero “a casa loro” bisognerebbe fare tutto questo. Ma è chiaro che nessun leader europeo ha realmente intenzione di farlo. Perché vorrebbe dire fare la rivoluzione.”