Carlo e Licia

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sabato 31 luglio 2021

martedì 27 luglio 2021

"Andrea Semino disegnatore" di Licia Collobi Ragghianti.

Questo artista, pittore modesto e retorico, attivo nella seconda metà del Cinquecento giustamente non ha riscosso molta attenzione dalla critica, perché c'è ben poco da dire sulle sue qualità di pittore circa originalità e distinzione. La filologia ha individuato la date anagrafiche nel 1525 c. o 1526 c. per la nascita e 1594 o 1595 per la morte.

Licia Collobi Ragghianti, invece, ha scoperto, studiando il Cambiaso (vedasi post del 4 settembre 2020) e la cerchia

artistica in cui ha operato, che Andrea Semino ha “una tempra sottile, ricercata, finissima di disegnatore di buona razza”. Questo studio rappresenta lo svolgimento di questa intuitiva osservazione che, ritengo, rimane la fonte cui riferirsi per la storicizzazione dell'artista.

Il contributo è stato pubblicato su “Critica d'Arte” (n.2, feb. 1954, Vallecchi editore, Firenze).

F.R. (23 giugno 2021)

venerdì 23 luglio 2021

Arte Moderna in Italia 1915-1935 - Testi dei Critici, 28. GIAN LORENZO MELLINI. (VITTORINI, SALIETTI, SANI, DE JURCO, BUGIANI)

 


Post Precedenti:

1. RAFFAELE MONTI ( I ) - 16 giugno 2018
2. IDA CARDELLINI (LORENZO VIANI) - 28  settembre 2018 
3. UMBRO APOLLONIO (NATHAN, BIROLLI) - 19 settembre 2019
4. MARCELLO AZZOLINI (GUERRINI, CHIARINI, VESPIGNANI). 6 ottobre 2019
5/I. FORTUNATO BELLONZI (BOCCHI, D'ANTINO). 12 novembre 2019
5/II. FORTUNATO BELLONZI (MORBIDUCCI, SAETTI). 28 dicembre 2019
6. ALDO BERTINI (CREMONA, MAUGHAM C., PAULUCCI). 22 gennaio 2020.
7. ANNA BOVERO (BOSWELL, CHESSA, GALANTE). 5 febbraio 2020.
8. SILVIO BRANZI (SCOPINICH, BALDESSARI, NOVATI, SPRINGOLO, RAVENNA, KOROMPAY, ZANINI). 23 febbraio 2020.
9. GIOVANNI CARANDENTE (COMINETTI, MARINI). 4 marzo 2020.
10. ITALO CREMONA (REVIGLIONE). 7 maggio 2020.
11. ENRICO CRISPOLTI, I (BALLA, EVOLA, ALIMANDI, BENEDETTA). 2 aprile 2020.
12. ENRICO CRISPOLTI, II (COSTA, DIULGHEROFF, DOTTORI, FILLIA). 6 aprile 2020.
13. ENRICO CRISPOLTI, III (ORIANI, PANNAGGI, PRAMPOLINI, MINO ROSSO), 10 aprile 2020.
14. RAFFAELINO DE GRADA I (BOLDINI, ANDREOTTI). 22 giugno 2020.
15. RAFFAELINO DE GRADA II (BERNASCONI, CARPI, CARENA, FUNI). 6 luglio 2020.
16. ANTONIO DEL GUERCIO (MAZZACURATI, MENZIO, RICCI). 8 agosto 2020
17. TERESA FIORI (INNOCENTI). 1 settembre 2020.
18. CESARE GNUDI (FIORESI, PIZZIRANI, PROTTI). 2 ottobre 2020.
19. VIRGILIO GUZZI (MANCINI, CAVALLI, MONTANARINI, PIRANDELLO). 19 novembre 2020.
20. MARIO LEPORE (DEL BON, LILLONI). 21 dicembre 2020.
21. LICISCO MAGAGNATO (NARDI, PIGATO, FARINA, TRENTINI, ZAMBONI, BERALDINI, SEMEGHINI). 21 gennaio 2021.
22. CORRADO MALTESE (GERARDI). 4 marzo 2021.
23. FRANCO MANCINI (PANSINI, NOTTE, BRESCIANI, CRISCONIO, CIARDO, GATTO, VITI).  3 aprile 2021.
24. GIUSEPPE MARCHIORI, 1 (ROSSI, LICINI). 3 maggio 2021.
25. GIUSEPPE MARCHIORI, 2 (SEVERINI, SPAZZAPAN). 28 maggio 2021.
26. MICHELANGELO MASCIOTTA, 1 (LEGA, VENNA LANDSMANN, CALIGIANI, COLACICCHI). 7 giugno 2021.
27. MICHELANGELO MASCIOTTA, 2. (DE PISIS, PEYRON, LEVASTI, CAPOCCHINI). 18 giugno 2021.


Benché di solito l'assegnazione delle schede sugli artisti fosse decisa sulla base di competenza specifica, la redazione del Catalogo della mostra ricorse a altri studiosi – o sopperì redazionalmente – in casi di abbandono o per altri motivi singolari. Così fu il caso di Gian Lorenzo Mellini, il quale accettò un modesto aiuto perché rimasto con la casa allagata durante l'alluvione del 4 novembre 1966. Ciò ovviamente non toglie nulla alla qualità e attendibilità dei suoi elaborati.

Di Gian Lorenzo Mellini (1935-2002) sono stato amico, credo che anche lui mi considerasse tale, o perlomeno persona gradita, degna di qualche attenzione ma non della sua considerazione paritetica. Il fatto sta che egli in realtà alla fin fine non riconoscesse la dignità a nessuno, nemmeno ai “grandi” incontrati, casomai invece la concedeva a volenterosi collaboratori. Già, il problema di G.L.M., nobiluomo di Verona (dico così perché ho visto che ci teneva molto e poi perché non so se il conte fosse lui o il fratello, il titolare della distinzione o – come detta la Costituzione – “predicato del nome”) era l'opinione di sé: alta, indiscutibile, sempre offesa dall'insufficiente riconoscimento degli altri.

Per la realizzazione del secondo volume e l'impostazione di altri segmenti de L'Arte in Italia per l'editore Gherardo Casini – dopo l'abile abbandono della nave in cattive acque del topo tattameo – G.L.M. Fu capo redattore con me redattore adiutore per il biennio 1968-69. Non solo non litigammo mai, ma non ci furono nemmeno screzi, perché l'indubbia grande intelligenza di Gian Lorenzo era anche fattiva (non dispersiva come quella – ad es. – di Raffaele Monti). Procedeva tutto bene in ufficio anche perché per quasi tutto il periodo quello fu l'unico reddito certo di Mellini, fino cioè all'incarico presso l'Università di Torino – dove si trovò malissimo, facendomi relazioni veramente cupe delle agitazioni operaie e studentesche – che gli procurò Carlo L. Ragghianti tramite “zio” Aldo Bertini.

Naturalmente la crescente insoddisfazione nei confronti di Casini – talvolta persino inadempiente nel pagare i compensi pattuiti – portò ad un improvviso litigio telefonico, cui dall'altro lato del tavolone redazionale assistei sgomento, divertito, partecipe. Infatti, di fronte al'arrogante tono del Casini, G.L.M. perse le staffe e gli cantò un'intemerata da togliere il pelo ad una tigre. L'altro, incredulo, indignato, furibondo ebbe quasi un infarto; ansante riattaccò la cornetta del telefono. Questo è un vero patatrac, un casino gigantesco, pensai che la redazione e l'opera fossero spacciate, pensai al babbo (che già aveva l'arma la piede nei confronti del Casini; però anche noi prestavamo il fianco scoperto grazie a collaboratori ritardatari. Tutti allievi di C.L.R., faccio notare!). Però pensai anche che al posto di Gian Lorenzo, dato il mio carattere collerico, anche violentemente in certe circostanze, avrei reagito altrettanto fuori dalle righe.

Quindi, siccome anche G.L.M. alla fin fine era stravolto e … consapevole del casino suscitato, finì che lo consolai.

Personalmente, come ho detto, m'ero affezionato a G.L.M. anche al di là della stima, perché avevo intuito che la sua costante frustrazione era spontanea, caratteriale ma fondata su una certa moralità. Non aveva nulla a che spartire con la volgare ambizione carrieristica di altri allievi di mio padre. Tant'è vero che – e lo scrive anche G.L.M. – a differenza di altri che tradirono mio padre (anche bassamente, addirittura inutilmente perché avrebbero raggiunto i loro desiderata comunque in terra caecorum) lui non lo tradì e – ritengo – nemmeno lo lasciò per banali motivi di personale incompatibilità, come avvenne dolorosamente per Eugenio e Giacinto. Quando avvenne il distacco con C.L.R. ciò fu dovuto all'irrefrenabile volontà del suo ego di non volersi – equilibratamente, dico io – confrontare serenamente con l'altro, considerato “ermeneuticamente” quindi metodologicamente superato. Si veda, comunque, su “Labyrinthos” (n.35-36, 1989, pp.171-227) l'interessante intervista di Loredana Raucci intitolata Sull'ermeneutica delle arti figurative.

Effettivamente credo che la chiave distintiva del pensiero di G.L.M. Consistesse in una concezione ermeneutica della storia dell'Arte. La parolona in sé è di semplice spiegazione: arte o scienza dell'interpretazione. Il che, tramite Heidegger (detestato da me perché nazista, da C.L.R. anche per motivi teoretici) sarebbe secondo il vocabolario Treccani “l'istituzione di continue correlazioni tra il sé e l'essere in un processo dove dalla totalità delle manifestazioni umane alle sue parti e viceversa”. Ciò consentì al critico “attraverso un processo di interiorizzazione, di raggiungere un contatto interpretativo con l'autore [o l'oggetto] studiato”. Certamente un modo di ragionare corretto, anche se non direi proprio rivoluzionario né ulteriore, tanto per non andar lontano, al pensiero – ad es. – di mio padre.

Oltre l'esperienza Casini, nel 1968 Gian Lorenzo mi fece conoscere un suo amico pittore, Gino Corsi, agente in servizio della polizia ferroviaria presso Firenze-Leopolda. Dopo averlo conosciuto e apprezzato, interessai C.L.R., il quale scrisse volentieri una pagina di presentazione di questo sconosciuto, sul quale se riesco a trovare ulteriore documentazione farei volentieri un post. Poi, buso (come si dice a Trieste): per molti anni di Mellini seppi soltanto vaghe notizie indirette e dirette come la querelle sull'autoritratto di Raffaello, nella quale nel mio piccolo reputo avesse ragione.

Dopo la morte del babbo (1987) e dopo alcuni miei vani tentativi di trovare un editore per il manoscritto dello studio su Caravaggio respinto senza fosse nemmen letto con cocenti rifiuti, pensai di rivolgermi a Mellini che sapevo essere fondatore e direttore di una rivista. Interpellato lui consentì ad incontrarmi. Al corrente che nel frattempo G.L.M. aveva avuto problemi cardiaci, lo trovai in apparente ottimo stato. Nel suo studio – a dire il vero un po' teatrale, con un tavolo da lavoro lungo una dozzina di metri, sopra una pedana alta da terra mezzo metro, con una zona salotto appartata con poltrone di cuoio stile club britannico – mi accolse cordialmente, come se ci fossimo visti l'ultima volta la settimana precedente, non oltre vent'anni prima. Dopo il cordiale incontro, concluso con una cena al vicino Fagioli, gli affidai il manoscritto su Caravaggio.

Debbo riconoscere che feci un errore. E non è abbastanza giustificazione il fatto che mi trovassi in condizioni di esasperazione continua, di preoccupazione economica, di ansia per un futuro tutt'altro che roseo. E' vero che avevo subito il trappolone uiesco, e ne vivevo gli strascichi; è vero che ero ferito dalla mancanza della pur minima solidarietà da parte di chi me la doveva, vicino o lontano che fosse. Senza parlare della squallida faida familiare in fieri che ha sputtanato la famiglia Ragghianti senior. Comunque errore fu: mea culpa.

In effetti G.L.M. Pubblicò il dattiloscritto (in “Labyrinthos”, n.29, 1996-97, pp.123-200 più una nota al testo di G.L.M., pp. 200-206) con filologia acribia esemplare, però come un articolo tra gli altri, cioè senza il rilievo “editoriale” che avevo chiesto e che era stato concordato. Anche il titolo (c. frammento … 1973) ha un che evidente di riduttivo, quasi di marginale. Va bene che io mi posso sbagliare, ed anche di molto, su argomenti complessi, filologici e controversi, però escludo che mio padre si fosse speso per tanto tempo per realizzare un saggio “marginale”. Che lo scritto fosse realizzato a pezzi a intervalli di tempo, corrisponde a una caratteristica quasi costante nella sua operatività. Quando accennai a qualche rimostranza mi resi conto subito che Gian Lorenzo credeva di aver agito come previsto. Però secondo se stesso, personaggio nel quale una piccola ritorsione editoriale, allusiva non di sostanza (giacché il testo era integro), era come uno scherzo, o un non cale. Eccolo il nocciolo del mio errore: fu appunto scordare che Mellini riduceva al proprio metro di giudizio ogni situazione intellettuale, escludendo alternative o punti di vista differenti. Avrei dovuto anche sospettare che egli su Caravaggio avesse idee proprie ben precise e che di conseguenza, sia pur rispettosamente come in questo caso, non valutasse le altrui opinioni oggettivamente. Non a caso la sua nota a pie' di pagina 206 recita: “spero di poter pubblicare quanto prima mie vecchie analisi ermeneutiche su alcune opere del C. ...”.

Dal fatto, invece, che la pubblicazione del saggio di Ragghianti non abbia allora avuto nessuna risonanza non imputo la sede di pubblicazione e non mi meraviglia: l'articolo n.1 dell'ostracismo denominato damnatio memoriae è tacere, ignorare l'attività di chi si vuol eliminare, così facendo non potendo sopprimerlo.

Più o meno nello stesso periodo con Gian Lorenzo e Sergio (se ben ricordo) Tacchi – funzionario per il PCI all'assessorato alla Cultura di Firenze e già Proto delle Officine Grafiche (cooperativa stampatrice di “Critica d'Arte” fino al 1980) – proponemmo l'organizzazione di un Convegno su C.L. Ragghianti e altre concrete iniziative al presidente della Cassa di Risparmio di Lucca (e della Fondazione Ragghianti) ing. Giurlani. Le proposte, di cui Mellini garantiva la serietà scientifica, erano volte a riportare al centro della Fondazione il promotore C.L.R., stante la crisi dell'Ente irrisolta dopo la morte di Santini. Potrei anche risparmiarmi di scriverlo: non ci fu nessun esito positivo. Naturalmente, pensai allora.

In definitiva voglio comunque ricordare che, anche per mio padre, Gian Lorenzo Mellini è stato un intellettuale e uno storico dell'arte originale, senz'altro con Pier Carlo Santini e Raffaele Monti il più dotato tra gli allievi maschi di C.L. Ragghianti.

G.L.M. fu davvero un personaggio umorale, bizzarro ma non strampalato, anzi meticoloso, il cui ingegno autenticamente superiore alla media s'è rovinato spesso in conseguenza di una sorta di albagia, spontanea, naturale, non coltivata né tanto meno proterva.

Mancò forse di caritas intellettuale, per cui nonostante l'ermeneutica fu come sordo a forme di comprensione della cultura del prossimo e del fare dell'uomo, nel quale occorre anche sapersi immedesimare con francescana pietas.

F.R. (29 giugno-1 luglio 2021)


Nota – Il testo di Caravaggio di Carlo L. Ragghianti conto di riproporlo nel blog, possibilmente illustrato puntualmente. Conto anche di aggiungere ai due post di Necrologi, ricordi, resoconti (31 dicembre 2017; 31 dicembre 2018) un'altra raccolta contenente lo scritto pubblicato da Mellini dopo la morte di R. prima su “Labyrinthos” (n.11, 1987) poi nel volume Pietramala (Ed. Bolis, 1991, pp.118-136).




lunedì 19 luglio 2021

Licia Collobi Ragghianti e la Mesoamerica, 4. Le culture Azteca, Mixteca, Huasteca e di Casas Grandes.

 Post precedenti:

Licia Collobi Ragghianti e la “Mesoamerica, 1” - Notizia redazionale - culture di Tlatilco, olmeca e zapoteca. 15 aprile 2021

Licia Collobi Ragghianti e la “Mesoamerica, 2” - culture Totonaca, di Teotihuacan, di Colima, di Nayarit e Zapoteca. 200-600. 25 maggio 2021

Licia Collobi Ragghianti e la "Mesoamerica, 3"- Le culture Zapoteca, di Teotihuacan, Maya, Tolteca e Huasteca. 15 giugno 2021.

giovedì 15 luglio 2021

Napoleone gatto Ragghianti (1953-1971).

Sono trascorsi 50 anni dalla morte del nostro primo animale domestico accettato nel nucleo familiare. Era un gatto rosso, subdolamente castrato da una gattara della vicina via Giano della Bella, non ancora completamente cresciuto fisicamente quando lo conoscemmo. Prima di entrare nei dettagli, ritengo opportuno riportare quanto si scrivono a proposito della sua morte i genitori Ragghianti. Licia con Rosetta ed Anna era in vacanza nelle Dolomiti, Carlo L. era ancora a Firenze dove stava lavorando al saggio su Giuseppe Gorni pubblicato in “Critica d'Arte”.

Napoleone morì la notte tra il 9 e il 10 luglio, dopo una giornata di sofferenze dovute soprattutto al calore, sopportate con stoicismo degno di un antico, come 

posso testimoniare avendogli assicurato giaciglio al fresco relativo dell'ingresso per l'ex garage e acqua abbondante prima, durante l'intervallo e dopo la giornata lavorativa (una delle prime in Vallecchi, la mia prima occupazione stabile). Anche il babbo lo accudì durante la mia assenza, come relazionato di seguito.

Riporto, per non sprecare parole e scivolare nel sentimentalismo, le righe conclusive della lettera che l'11 luglio 1971 Licia – avvertita per telefono – inviò a Carlo e che descrivono con sintetica efficacia il ruolo in famiglia di questo gatto che non abbiamo mai considerato una bestia.





 

Il 13 luglio il babbo scrive alla mamma una lunga lettera che contiene anche la “cronistoria” del decesso del nostro  

povero gattone, ridotto assai di peso a dire il vero negli ultimi quindici giorni. Riproduco questo testo esauriente e partecipe:





 

Voglio precisare che in precedenza c'era stato un tentativo di adozione felina. Pochi mesi prima, in primavera, di domenica o, comunque, di un giorno festivo Ottone Rosai era venuto a trovare il babbo inaspettatamente. Andatosene, dopo un paio di minuti alla scampanellata decisa rispose la Maria ed io a ruota per vedere chi era: era Rosai, trafelato, che ancora sul portone (abitavamo al piano terreno in viale Petrarca 14) ansimò chiamando la Maria, a cui consegnò un batuffolo nero con queste parole: “L'ho trovato per via, ha fame e bisogno, tenga!”. Voltò le terga andandosene velocemente. Non c'è male per un ex Caimano del Piave!

Il batuffolo nero era un gattino già svezzato subito chiamato Ottone. Durò poco, pochissimo, questa vittima probabilmente della solita nota gattara. Graffiò Giacomo, perfino Rosetta, rubò in cucina, dove si ostinava a salire sul tavolo, non faceva i bisogni nei luoghi deputati subito allestiti dall'esperta Maria Landi, la quale era da noi da poche settimane, se ben ricordo. Mamma, babbo ed io, nonché Bertocci (il nonno materno che dormiva nello stesso edificio della gattara e mangiava da noi) poco confidenti con gli animali, fummo informati dalla Maria, accodata da Rosetta e Giacomo, che quella bestia non era possibile che rimanesse tra noi. Assenso immediato della mamma, che finalmente aveva trovato una collaboratrice domestica più che soddisfacente. Il povero Ottone, vero coglione, fu consegnato alla comunità gattaiola del Conventino di via Giano della Bella e così sia.

Dopo aver rintracciato le poche fotografie sparse tra me, Rosetta ed Anna, penso di distribuire queste immagini tra le schede che ho pensato di alternare per caratterizzare la personalità complessa di Napoleone: descrivere il suo rapporto con ciascuno di noi separatamente. Dato il tempo trascorso temo che tralascerò diversi ed interessante episodi. D'altra parte ciascuno degli altri 

superstiti può e potrà dare il suo contributo sulle nostre vicende napoleoniche. Non sarà comunque un effetto Rashomon perché la personalità evoluta del micio era dignitosamente coerente.

Scordavo: mentre il nome del gatto Ottone non ha bisogno di spiegazioni, quello di Napoleone, volendo, ha un riferimento specifico. Il nome lo indicai io, mentre ancora non era stato deciso: dibattuto, fu sì. Ecco perché mi venne in mente questo nome piuttosto incongruo: avevo appena terminato l'esame di terza media, abbastanza sofferto more solito; in storia, il mio forte scolasticamente, ero stato interrogato su Napoleone Bonaparte, dandone una visione difforme dall'osannato “ei fu”. Che fosse stato era certo, che fosse un grand'uomo, no. Per lo meno non in una accezione etica. Se si considera soltanto il successo, Napoleone era stato come poi Mussolini, Franco, Hitler, Lenin, Stalin: un assassino seriale. Per fortuna all'acida Ademollo (sorella del germanista Vittorio Ned Santoli) mia prof. Inviperita e male intenzionata, si contrappose, come poi raccontò a mia madre, la prof. Elisa Forti di francese (claudicante causa poliomelite, ebrea convertita sinceramente al cattolicesimo), che – bontà sua – mi trovava delle qualità per cui l'interrogazione non degenerò e su input del prof. di disegno (ex partigiano) cavalcai brillantemente assieme a Garibaldi. Tutto ciò per dire che il nome Napoleone mi rimase in testa, perciò lo suggerii perché ridotto ad individuare un animale. Per fortuna la mia iniziale e congenita avversione per il contatto diretto con le bestie fu poi smussata dalla humanitas del gatto.

In conclusione mi sembra necessario precisare che Napoleone – provvisto di tutti i lati misteriosi della propria specie – fu un essere che seppe farsi benvolere unanimente, fatto anche questo forse non straordinario. Quello che trovo eccezionale è che egli è riuscito a lasciare un'impronta davvero profonda e duratura in tutti coloro che condivisero la sua esistenza.





domenica 11 luglio 2021

Tono Zancanaro, 7. Disegni del Gibbo, 1943.

Come avvertito nel post del 11 maggio 2021, proseguo la pubblicazione di una ampia scelta dei disegni di Gibbo operati da Tono Zancanaro durante l'anno 1943. Anno cruciale che vide il crollo del regime fascista, la monarchia arresa agli alleati e la creazione della fascista Repubblica Sociale, dal nord alla Toscana, Umbria, Marche.

In questi durissimi frangenti Tono, a suo tempo richiamato sotto le armi, tornò a casa con lo scioglimento dell'esercito dopo l'8 settembre. 

Di lì lavorò intensamente a questa bellissima serie di Gibbi, con la lucidità del tratto degna dei grandi del passato, suoi punti di riferimento costante.

Il prossimo posto (l'ottavo della serie) comprenderà una silloge altrettanto vasta della presente, effettuato con l'unico rammarico di non poter riprodurre tutte le opere registrate nel Catalogo sesquipedale de “La Loggetta”, Ravenna 1971.

F.R. (22 giugno 2021)

mercoledì 7 luglio 2021

Mostra in Germania (1950-51) della pittura italiana contemporanea, 1. Catalogo e scritti di C.L. Ragghianti.

Qualche mese fa Piero Pananti mi passò la richiesta del critico ed esperto d'arte Luigi Cavallo circa un dipinto riprodotto nel Catalogo dell'ormai “archeologica” mostra di Pittura italiana in Germania (1950-51). Dopo aver inviato i dati cortesemente richiesti, col Catalogo in mano mi persi in lontani pensieri. Allora avevo quasi 11 anni, la prima media era appena iniziata con disagio e fastidio, perciò di quel periodo ricordo soltanto i piccoli regali che il Babbo ci portò di ritorno dall'inaugurazione della mostra a Monaco di Baviera ( di cui conoscevo soltanto il motto di Maccari: “M. di B., mutande di lamiera”, di cui per altro all'epoca non conoscevo il significato allusivo). Divagando e sfogliando ho concluso che quell'esposizione fu davvero una pietra miliare circa la conoscenza della pittura italiana del primo dopoguerra.

Politicamente, inoltre, quella mostra fu di fatto la prima manifestazione concreta sul territorio del compromesso storico – sancito dai Patti Lateranensi del Truce poi inseriti in Costituzione (1948) – tra Dc e PCI. Inoltre, culturalmente quest'esposizione risultò non convenzionale e non provinciale per i vari motivi che si evincono dai testi di Ragghianti e i documenti (pubblicati nel secondo post sull'argomento). Infine perché risultò un sasso gettato nello stagno del conformismo vigente nell'ambiente artistico.

Accadde anche che un certo numero di artisti per zelo antifascista fuori luogo, altri per ordine di scuderia ideologico e critico rifiutarono lì per lì di partecipare, poi – naturalmente – furono i critici più acerbi e invidi della manifestazione, come documenta per Venezia la gustosa lettera di Giuseppe Marchiori a C.L. Ragghianti (26 nov. 1959, riprodotta nella documentazione). Persino Giorgio Morandi, in un primo momento (25 giugno) declinò l'invito a far parte del Comitato esecutivo della mostra, poi (il 18 luglio) comunicò la propria disponibilità a C.L.R. con l'ambigua frase: “Usi pure il mio nome per il Comitato Generale della Mostra d'Arte in Germania”.

La seconda parte, con la documentazione verrà postata nel blog il mese prossimo. Vi pubblicherò alcuni docc. inerenti la preparazione della Mostra, compreso un verbale della riunione del Comitato, riesumato tra le carte dell'Archivio. 

Credo che sia materia già stata indagata, comunque ricordo che nella corrispondenza di mio padre conservata nell'Archivio della Fondazione Ragghianti di Lucca si trovano gli scambi epistolari di C.L.R. con Argan, Sforza, Tocchini, Marchini, Ivan Matteo Lombardo, Silvio Branzi ed altri.

Concludo ricordando il coraggio non conformista nei confronti del suo stesso partito del sindaco comunista di Firenze Mario Fabiani, e sottolineando che la Mostra in Germania ebbe veramente vasta risonanza e un notevole successo in tutte le città dove fu esposta. Non ultima considerazione positiva deriva da ciò che sentii dire da Stefan Burger (lettore di tedesco all'Università di Pisa). In parole povere sostenne che questa manifestazione italiana per i germanici rappresentò l'opportunità di sentirsi di nuovo accettati in Europa. Atteggiamento confermato anni dopo dal pachidermico studioso Georg Weise, nonché da Raffaele Castello e dallo stesso Degenhard partecipe copromotore dell'iniziativa proposta al Comune dallo Studio Italiano di Storia dell'Arte.

F.R. (24 aprile 2021)


Riguardo a questa esposizione, segue l'estratto dal lungo articolo che C.L. Ragghianti scrisse per “Rassegna del Comune 1944-1950” a proposito delle mostre realizzate dallo Studio Italiano di Storia dell'Arte in Palazzo Strozzi. Quindi si pubblica l'intervento – probabilmente inedito – che C.L.R. scrisse con lo pseudonimo Lorenzo Ferro, per relazionare sull'inaugurazione a Monaco di Baviera in modo ironico e pungente. Soprattutto sottolineando in conclusione che l'intendimento da parte degli organizzatore (cioè di R.) della Mostra non era stato quello di celebrare i dilaganti -ismi, ma “l'emergere chiaro di un complesso di personalità differenti e forti...”. Guarda caso, lo stesso intendimento distintivo e metodologico che sta alla base della famosa e celebrata mostra “Arte Moderna in Italia 1915-1935” del 1967.

sabato 3 luglio 2021

“Criterio”, 2 – Carlo L. Ragghianti e il centro-sinistra democratico. 1956-58.

Raccolgo dalla rivista “Criterio”, mensile di “cultura, società, politica” diretto da Carlo L. Ragghianti gli editoriali e gli altri interventi che egli scrisse nel 1957 con l'intento di far giungere le varie formazioni politiche di centro-sinistra se non ad una unificazione almeno ad una alleanza elettorale per le elezioni del 1958.

Ragghianti aveva progettato “Criterio” in seguito a discreti incontri politici, soprattutto con Ferruccio Parri (già assertore di un “seleArte politico”) e poi l'aveva realizzato grazie al sostegno economico coordinato da Bruno Visentini (garante per Neri Pozza) e al mecenatismo di Adriano Olivetti, il quale aveva grande stima e fiducia per C.L.R..

L'idea di questa pubblicazione deriva dall'osservazione della coeva situazione in Francia che aveva prodotto il governo e la grande avventura di Pierre Mendes-France prima, poi la esaltante campagna elettorale (sostenuta soprattutto da “L'Express”) che consentì il governo socialista-radicale di Guy Mollet, naufragato nell'assurda ostinazione a negare con la guerra la indipendenza all'Algeria.

I propositi della rivista, infine, volevano configurare uno schieramento di centro-sinistra il più possibile unitario e costituire un'alternativa stabile da un lato all'imperante Democrazia Cristiana, sempre più orientata verso il “forno” monarchico e fascista, dall'altro all'egemonia culturale del PCI ancora legato indissolubilmente all'Unione Sovietica.

In proposito si veda il post del 13 gennaio 2021 sul Convegno “Libertà e Società” (fasc. spec. n.12, dic. 1957) nel quale si conferma la genesi di “Criterio” e si riportano tutti gli interventi dei quali le più esplicite e valide voci da centro-sinistra produssero una serie di proposte per equilibrare in senso democratico l'orientamento politico della Nazione. Si veda, a fianco, l'elenco di collaboratori a “Criterio”, che fece all'epoca esclamare ad giovane archeologo (e caro amico) Pamir (Paolo Emilio) Pecorella: “Ci sono tutti! È un parterre des rois!”.

Naturalmente per completamento del pensiero di C.L.R. e dell'indirizzo della rivista bisogna tener conto anche degli altri editoriali e dei saggi su argomenti affini o complementari. 



Il fatto che gli editoriali non siano firmati non è un ostacolo alla conoscenza degli autori perché nella sua copia personale della rivista R. ha assegnato ad ogni autore gli scritti di pertinenza. Quindi, non so quando, mi riprometto di ristampare gli scritti di Leo Valiani perché spesso complementari e perché, come sempre per questo autore, chiari e storiograficamente significativi. Così per altre sezioni della rivista sarà necessario attingere complementi e contributi per quanto riguarda il Partito Repubblicano “conquistato” da Ugo La Malfa, il Partito Radicale di Ernesto Rossi, il Movimento di Comunità di Adriano Olivetti, il Partito Socialista nel quale gli autonomisti stavano consolidando la maggioranza appena conquistata, il Partito Socialdemocratico di Saragat ancora sano nei vertici ma con elettori destrorsi spesso monarchici.

Dopo l'esperienza nel Governo Parri (1945), C.L.R. si era impegnato nuovamente in politica ma part-time e saltuariamente, dedicandosi preferibilmente all'attività professionale fonte indispensabile di reddito per la propria famiglia. Nel 1946 lasciato il P. d'Azione, aiutò Parri e La Malfa nella Concentrazione Democratica, poi li spalleggiò per la fusione nel Partito Repubblicano di Conti e Pacciardi (1947). Si spese anche nel fallito tentativo della “Terza Forza” (dai liberali di Villabruna ai socialdemocratici indipendenti). Infine nel 1956 propose e poi accettò di gestire il progetto “Criterio”. Nel contempo C.L.R. fu attivo protagonista dell'organizzazione riformatoria del mondo della scuola pubblica, nel quale spadroneggiavano retrivamente i cattolici. Questo suo ennesimo sforzo per preservare e promuovere il patrimonio culturale laico e democratico della nazione si concretizzò nella fondazione (sett. 1959) dell'ADESSPI (Associazione per la Difesa e lo Sviluppo della Scuola Pubblica Italiana), di cui fu il presidente.



Tutto ciò sostenuto come indipendente anche nel contesto pubblicistico e culturale. Soltanto nel 1962 (o 63?) aderì al P.S.I. di Nenni e Lombardi, vuoi per far pesare ulteriormente l'ADESSPI nei processi riformatori della scuola e dell'Università, vuoi per rafforzare, migliorare e proporre nuovi orientamenti per le sporadiche e saltuarie proposte socialiste, affidate a singoli leader e competenti però poco sostenute dal diviso partito e quindi deboli nei confronti del gioco al ribasso offerto dal PCI alla Democrazia Cristiana, sempre tentata di forzature clericali e retrive.

F.R. (20 giugno 2021)

Articolo: La sinistra democratica in Italia da "Criterio", 1, 1957.