Carlo e Licia

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lunedì 28 dicembre 2020

Conscience et connaissance de l'individualité – Langage artistique – Histoire (1960). Testimonianza a un Maestro.

 


Ho premesso, a mo' di testo introduttivo redazionale, la nota con cui Carlo L. Ragghianti chiuse la riproposta del saggio Conscience... nella edizione 1980 di L'arte e la critica. In questa postilla sono spiegati sia la destinazione iniziale del saggio che il suo utilizzo per l'omaggio a C.L.R. in occasione dei trenta anni di attività scientifica e dei venticinque anni dalla fondazione della rivista “Critica d'Arte”

A Eugenio Luporini, militante socialista spettò il compito di inviare al quotidiano “L'Avanti!”, organo del P.S.I., la sua Testimonianza che ricordava le circostanze dell'omaggio a C.L.R., allora già vicino al partito e molto considerato proprio da Pieraccini, direttore della storica testata. Eugenio Luporini era politicamente socialista fin da prima della guerra e agli inizi degli anni Sessanta simpatizzava per la sinistra del partito, pur non essendo “carrista”. Fu da lui, quando manifestai attorno al 1958 l'intenzione di iscrivermi al P.S.I., che ricevetti incoraggiamenti e i primi opuscoli orientativi e propagandistici. Perciò ricordo ancora bene la sua indignazione e il rabbioso sdegno nei confronti del “pusillanime” e “governativo”, che conosceva da sempre, Giovanni Pieraccini (1918-2017), l'esponente per altro più colto e riflessivo della mediocre leadership toscana sia di “destra” che di “sinistra” (si veda il post – benevolo – del 2 giugno 2017). Il babbo e Daddo Detti faticarono non poco a fargli sbollire quello che – giustamente, penso – riteneva oltretutto un'offesa personale anche e soprattutto nei suoi riguardi.

E proprio in questa sua Testimonianza si trova sintetizzato il significato del saggio scritto direttamente in francese da C.L.R. là dove Luporini scrive: “...nel quale Ragghianti ha ricapitolato alcuni suoi motivi più originali e fecondi del suo storicismo estetico, ed ha per tema la coscienza dell'individualità, e il suo rapporto con la storia nella forma di linguaggio artistico; un saggio densissimo di argomenti e di prove, nell'estrema brevità e concisione volute dall'autore, che sviluppa temi a lui cari sin dalla sua prima meditazione...”.

Rileggendo la Testimonianza a un Maestro di Luporini, il tarlo solitario che mi aveva disturbato nella prima lettura trova conferma. Effettivamente direi che in questo caso C.L.R. ha collaborato alla stesura del testo, probabilmente tramite alcune osservazioni e integrazioni. Era sua consuetudine, infatti, comunicare le sue puntualizzazioni il più delle volte formalmente, ma talvolta con fogli volanti 



sia che si trattasse di correzioni, che di osservazioni problematiche o integrazioni necessarie.  Ciò poteva avvenire sia durante la gestazione di una tesi di laurea, o anche dopo la prima lettura di un testo proposto per la rivista; dava suggerimenti non soltanto scientifici per corrispondenze, collaborazioni a giornali ecc. Il tutto non per “arroganza” ma per “servizio” e non soltanto agli allievi e ai collaboratori diretti o più stretti. Nel presente (come scrivono tanti studiosi) caso comunque l'impronta mi pare proprio esserci, però non soverchiante un impianto già formulato.

In conclusione, ricordo ancora una volta che il titolo del saggio è stato modificato dall'autore in occasione della ristampa del medesimo nella edizione 1980 de L'arte e la critica e che il titolo originale del libretto del 1961 è da considerarsi comunque quello “ufficiale”.

F.R. (8 novembre 2020)

giovedì 24 dicembre 2020

Il “Desiderio da Settignano” di Ida Cardellini.

Questo libro ha 58 anni e come tutti i libri riusciti, ben fatti, di contenuto importante e innovativo non li dimostra. Anzi, praticamente non solo non ha data di scadenza ma nemmeno rughe di vecchiaia; e nel caso se ne vedesse qualcuna è ruga soltanto “d'espressione”.

Di questo eccezionale scultore il percorso riconoscitivo dell'opera si è svolto con una certa linearità, anche se prevalentemente più determinato da fattori contenutistici che da comprensione per l'originalità dell'artista.

Non diversamente la ricostruzione del Catalogo delle opere attribuibili a Desiderio è stata faticosa e non del tutto codificata in una unanime accettazione delle sculture dell'artista. Perciò il complesso lavoro critico di Ida Cardellini è tuttora da considerarsi basilare riferimento per la comprensione di Desiderio da Settignano.

Riporto perciò nel blog dalla grande monografia delle Edizioni di Comunità l'intero capitolo Desiderio e la critica, vuoi perché si tratta di una ricerca e di una analisi assai complessa e articolata, particolarmente esemplare in concezione e svolgimento, vuoi perché è indice del modus operandi che mio padre insegnava e richiedeva ai suoi collaboratori e agli allievi a partire dalle tesi di laurea, ritenendo storiograficamente essenziale la ricostruzione dei problemi critici.

Il 9 ottobre 1964 la studiosa viareggina – nella lettera qui di seguito riportata integralmente – scriveva a C.L.R. che la collega Ann Markam “toglie a Desiderio quasi tutte le opere, lasciandogli...”. Con la conseguenza, viene da pensare, che è facile indovinare a chi l'Istituto Treccani abbia assegnato la voce Desiderio del grande Dizionario Biografico degli Italiani: ad Ann Markam Schulz. (A proposito di “voci” bibliografiche, noto che Ida Cardellini risulta assente in tutte le sedi testate). Ho anche visto che A. Pinelli, “a lungo Direttore del Dipartimento di Storia delle Arti all'Università di Pisa” (fino al 2005/6) in una sua recensione del 30 aprile 2007 su “Repubblica” della Mostra su Desiderio al Bargello di Firenze, non cita la Cardellini, già docente e responsabile di settore nello stesso organo dell'Ateneo.

Per quel che riguarda il libro, in questa sede propongo nel blog la Presentazione di C.L.R., la Nota biografica e oltre al detto capitolo Desiderio e la critica, la scheda critica sulla scultura L'Ignota, a mo' di esempio della struttura del Catalogo critico delle opere. Mi permetto anche di inserire – quali divisori degli argomenti – alcune riproduzione a colori di opere dell'artista.

Come documentazione inerente questa bella pubblicazione, oltre alla citata lettera, posto quella della Cardellini a C.L.R. del 24 marzo 1964; e poi la lettera del 19 novembre 1967 di R. a Ugo Procacci di cui ignoro la risposta. Unisco anche la bozza e la stampa della nota Patologie, pubblicata su “Critica d'Arte” (n.62, maggio 1964, p.64) in seguito ad un altro pretestuoso e ingiustificato atto denigratorio da parte della banda dei soliti noti.

Dato il titolo di questo blog, ripropongo quanto d'altro mi risulta scritto sull'argomento Desiderio da Settignano da Carlo L. Ragghianti: Un saggio biografico: la breve esperienza di Desiderio, pubblicato su “L'Espresso” del 13 gennaio 1963 (con titolo del redattore) e la recensione di questo libro pubblicata in “SeleArte” (n.63, mag.-giu. 1963, pp.41-43).

Volendo ricordare che il libro di Ida Cardellini è stato pubblicato in una collana (che anche grazie al Desiderio si può definire prestigiosa) osservo, per la precisione, che si tratta del n.3. Dato che il n.2 è stato il “bestseller” Mondrian e l'arte del XX secolo di C.L.R., mi si pone il problema di quale sia il primo volume della serie secondo l'ineffabile gestione di dati di mio padre. Dopo tre giorni di (modesto, a dire il vero) rovello ho l'illuminazione – verificata positivamente – che il n.1 della Collana deve essere considerato il grosso libro Studi in onore di Matteo Marangoni (Vallecchi, 1957). Riferisco questo per certi versi insignificante enigma, il quale però nella Bibliografia degli scritti di C.L.R. viene aggirato e quindi resta irrisolto. Il che non è fatto marginale, giacché gli Studi in onore di Matteo Marangoni hanno anche una dicitura differente (“Studi di Storia dell'Arte”) e non hanno numerazione. Se, poi, il saggio della Cardellini su Desiderio e la critica fosse stato condotto scansando le “piccole” (ma fattualmente concrete) acribie non sarebbe esemplare, come invece l'ho convintamente definito.

Talora la puntigliosa verifica e/o ricostruzione di dati marginali può essere importante. In questo caso di serialità si può pensare che non sia poi così determinante. A pensarci bene, però, mi domando se in un elenco bibliografico una Collana comincia dal n.2 nella totale assenza del n.1, lo studioso, il lettore, il potenziale acquirente cosa penseranno della competenza, della serietà e delle qualità di quella impresa editoriale?

F.R. (15 novembre 2020)





lunedì 21 dicembre 2020

Arte Moderna in Italia 1915-1935 - Testi dei Critici, 20. MARIO LEPORE (DEL BON, LILLONI).

    


Post Precedenti:

1. RAFFAELE MONTI ( I ) - 16 giugno 2018
2. IDA CARDELLINI (LORENZO VIANI) - 28  settembre 2018 
3. UMBRO APOLLONIO (NATHAN, BIROLLI) - 19 settembre 2019
4. MARCELLO AZZOLINI (GUERRINI, CHIARINI, VESPIGNANI). 6 ottobre 2019
5/I. FORTUNATO BELLONZI (BOCCHI, D'ANTINO). 12 novembre 2019
5/II. FORTUNATO BELLONZI (MORBIDUCCI, SAETTI). 28 dicembre 2019
6. ALDO BERTINI (CREMONA, MAUGHAM C., PAULUCCI). 22 gennaio 2020.
7. ANNA BOVERO (BOSWELL, CHESSA, GALANTE). 5 febbraio 2020.
8. SILVIO BRANZI (SCOPINICH, BALDESSARI, NOVATI, SPRINGOLO, RAVENNA, KOROMPAY, ZANINI). 23 febbraio 2020.
9. GIOVANNI CARANDENTE (COMINETTI, MARINI). 4 marzo 2020.
10. ITALO CREMONA (REVIGLIONE). 7 maggio 2020.
11. ENRICO CRISPOLTI, I (BALLA, EVOLA, ALIMANDI, BENEDETTA). 2 aprile 2020.
12. ENRICO CRISPOLTI, II (COSTA, DIULGHEROFF, DOTTORI, FILLIA). 6 aprile 2020.
13. ENRICO CRISPOLTI, III (ORIANI, PANNAGGI, PRAMPOLINI, MINO ROSSO), 10 aprile 2020.
14. RAFFAELINO DE GRADA I (BOLDINI, ANDREOTTI). 22 giugno 2020.
15. RAFFAELINO DE GRADA II (BERNASCONI, CARPI, CARENA, FUNI). 6 luglio 2020.
16. ANTONIO DEL GUERCIO (MAZZACURATI, MENZIO, RICCI). 8 agosto 2020
17. TERESA FIORI (INNOCENTI). 1 settembre 2020.
18. CESARE GNUDI (FIORESI, PIZZIRANI, PROTTI). 2 ottobre 2020.
19. VIRGILIO GUZZI (MANCINI, CAVALLI, MONTANARINI, PIRANDELLO). 19 novembre 2020.


Di Mario Lepore (1908-1972) si veda la scheda postata il 23 luglio 2019, nella quale egli è analizzato soprattutto come pittore. Fu anche però critico d'arte e giornalista per il “Corriere d'Informazione”, quotidiano pomeridiano di Milano. E come tale, Lepore fu coinvolto nel Comitato incaricato di redarre le schede degli artisti esposti, dimostrando un equilibrio critico notevole (come risulta anche dal suo libro Il pittore, Vallecchi 1962) ed equanime, se si considera la sua pittura stilisticamente così diversa, distante da quella operata da Angelo Del Bon e Umberto Lilloni da lui esaminata nell'ambito della Mostra 

“Arte Moderna in Italia 1915-1935”.

Questi due artisti furono sostenuti da Edoardo Persico (1900-1936), trasferitosi da Torino a Milano per dirigere “Casabella”. Intorno al 1932 il critico d'arte teorizzava una poetica – indicata come chiarismo – derivante da Ranzoni, Preziati ed Alciati, i quali avevano dipinto particolare umanità e una Lombardia palpitante di un'atmosfera che sarà ripresa appunto da Del Bon, Lilloni, De Rocchi, Spilimbergo e De Amicis.

F.R. (9 novembre 2020)

giovedì 17 dicembre 2020

L'opera grafica di Edvard Munch.

Grazie alla scheda n.7, siglata da Silvia Massa e che riproduciamo qui di seguito, dal recente volume – originale per concezione ed importante per contenuti e per metodologia filologica - “Mostre permanenti” Carlo Ludovico Ragghianti in un secolo di esposizioni siamo in grado di ricostruire la genesi di una esposizione tenuta settantuno anni fa da una associazione (La Strozzina) che ha cessato di esistere definitivamente da quasi quarant'anni e il cui patrimonio di documenti è andato disperso in varie sedi (compreso il nostro Archivio) e in parte (soprattutto “amministrativo” riguardante le singole mostre) distrutto.

Il corpus che ricostruisce analiticamente le esposizioni effettuate, progettate ma senza esito concreto, ospitate o patrocinate da Carlo L. Ragghianti è stato curato da Silvia Massa e Elena Pontelli nel 2018 per le edizioni della Fondazione Centro Studi sull'Arte Licia e Carlo L. Ragghianti di Lucca. Nel corposo volume (XII+336 pp. In formato A4), oltre a dieci saggi di valenti studiosi e al Catalogo, sono pubblicati l'Elenco

delle Mostre, l'Indice dei nomi (sempre più raro da trovare nei libri che ne necessitano) e l'imponente Bibliografia. Su questa, per me utilissima opera, penso prossimamente di postare uno specifico intervento.

Oltre alla citata Scheda n.7, nel post viene riprodotto integralmente il Catalogo dell'esposizione, di piccolo formato, dati i tempi post-bellici. Segue la riproduzione di ventotto opere grafiche di Edvard Munch, quindici delle quali esposte – in diverso esemplare – nella mostra di Palazzo Strozzi.

Quanto ad Antonio Paolo Antony de Witt posso testimoniare che è stato in eccellenti rapporti con C.L.R., il quale conosceva ed apprezzava non soltanto l'artista ma anche l'intellettuale, lo scrittore e soprattutto lo studioso e conoscitore di opere grafiche italiane e straniere. Sulla figura di questo artista di rara autenticità e coerenza presto nel blog sarà postata la Scheda della sua partecipazione alla Mostra “Arte Moderna in Italia 1915-1935”, con la consueta integrazione di documentazione visiva e critica.

F.R. (8 novembre 2020)




lunedì 14 dicembre 2020

Dipinti fiamminghi in Italia 1420-1570.

Sono passati trent'anni dalla pubblicazione del Catalogo Dipinti Fiamminghi in Italia 1420-1570 (Calderini, Bologna 1990), l'ultima fatica di studiosa – complessa e assorbente, già dai primi anni Cinquanta del secolo scorso – pubblicata postuma pochi mesi dopo la sua morte. L'autrice, infatti, finì di correggere il secondo giro di bozze pochissimi giorni prima del decesso. Quest'opera, che in quella occasione dedicò a Carlo, il marito spentosi un anno e 51 settimane prima di lei, compagno di una vita intensa e di studi ininterrotti. Si deve a C.L.R. il progetto iniziale che si concluse con questo corpus, progettato come thesaurus cui avrebbe dovuto attendere lo Studio Italiano di Storia dell'Arte di Firenze. Prematura, come talvolta avveniva in Ragghianti, la ricerca di un editore con cui dividere il percorso realizzativo, non si concluse per la complessità e il costo del lavoro (fotografie inesistenti o quasi) che spaventò alcuni editori. L'ultimo, Einaudi, dopo una prima fase di accettazione si defilò perché, insieme alla maggior parte dei suoi illustri redattori, stava divenendo organico al Partito Comunista. Di conseguenza, basta laici, socialisti minoritari di Giustizia e Libertà rimasti coerenti agli ideali del socialismo liberale di Carlo Rosselli. Il volume nei “saggi” Cinema arte figurativa di Ragghianti fu ristampato perché era insistentemente richiesto dai lettori.

Non so se questo Catalogo della Calderini ha avuto un buon riscontro di acquisti, né se il libro sia ancora in circolazione distributiva. Spero di sì, anche perché questi “dizionari” fanno parte delle opere di consultazione di ogni Biblioteca e di ogni studioso interessato alla materia trattata; sono libri – inoltre – senza data di scadenza anche se ritenuti, a torto o a ragione, “superati”, perché indispensabili per le storicizzazioni delle opere d'arte.

Forse non è abbastanza esplicito il fatto che questo Catalogo di Licia Collobi è impostato in pratica soltanto sulle opere presenti in Musei e in Collezioni pubbliche del nostro paese. La presenza di dipinti in collezioni private è spiegata nella Premessa (che riportiamo). Il fatto che il libro sia stato pubblicato nella collana “Musei d'Italia-Meraviglie d'Italia” delle edizioni Calderini dovrebbe essere una indicazione sufficiente dell'ambito nel quale si è svolta la ricerca. Avendo constatato che non sempre è stato avvertito l'ambito dell'opera, ho reputato opportuna questa precisazione.

D'altro canto circa il collezionismo italiano privato l'autore precisa che esso è “a me del tutto estranea ogni ricerca personale sul mercato e presso il collezionismo attuale”. Ciò per il semplice motivo che la studiosa era stata funzionaria delle Belle Arti e come tale assente per “conflitto di interessi”, oltre a quelli di carattere etico circa certe pratiche dell'antiquariato e del collezionismo privato. Quest' ultimo, poi, in un paese di altissimo tasso di evasione fiscale è praticamente “clandestino” e quindi inaccettabile – e vietato – ai ricercatori scientifici che sono docenti o funzionari pubblici.

In questo post riporteremo la sovracoperta, e la copertina, e i dati del volume; quindi la Premessa dell'autrice e, a mo' di esempio delcontenuto ordinato cronologicamente , qualche pagina del Catalogo, nonché l'importante Bibliografia e l'Indice generale. Riproduco, sia pure a malincuore, la recensione che fece di questo Corpus il subentrato al defunto C.L. Ragghianti come direttore della collana “Musei d' Italia-Meraviglie d'Italia” sulla rivista “Critica d'Arte” serie baldinesca (n. 2-3, 1990). Mi scuso per le evidenziazioni in giallo, a suo tempo eseguite per un dimenticato utilizzo volto alla promozione del Catalogo.

Si ricordano i collegabili recenti post sul volume Pittura fiamminga (Mondadori, 1962): prima parte 27 luglio 2020, seconda parte 24 agosto 2020, al quale libro intendiamo far seguire altri contributi di Licia Collobi (e di C.L.R.) riguardanti quest'ambito della Storia dell'Arte nel quale i due studiosi sono riconosciuti specialisti. Infatti il 24 novembre sarà postato lo studio (anch'esso pubblicato postumo, ma controllato dall'autrice anche nella impaginazione) Originali, repliche, copie e derivazioni (1,2),  nel quale si approfondisce il fenomeno, che risulta diffuso, di replicare opere particolarmente apprezzate dal “mercato”. In proposito alle riproposte fiamminghe, sto recuperando una copia del Catalogo della Mostra d'Arte Fiamminga olandese dei secoli XV e XVI (Firenze, 1948) le cui opere esposte e illustrate costituiscono le prime acquisizioni di dipinti inerenti il progetto Thesaurus e quindi questo Catalogo/Corpus di Licia Collobi Ragghianti: se questa acquisizione risulterà in buono stato costituirà la base di un apposito post.

F.R. (24 ottobre 2020)



lunedì 7 dicembre 2020

Sergio Sasso, scultore.

Qualche mese fa mentre preparavo la postazione della sezione “scultura” proposta da Carlo L. Ragghianti nel saggio Arte italiana al 1960. Avviamento critico, pubblicato nel fascicolo speciale n.48 di “SeleArte” (ott.-dic. 1960, n.308; quindi nel blog il 26 febbraio 2020), fui sorpreso che tra i nomi degli illustri e noti scultori italiani comparisse l'ignorato (e comunque non mediaticamente noto) Sergio Sasso scultore.

Nella sezione Fototeca Artisti/opuscoli/estratti ecc. del 1900-2000 del nostro Archivio di Vicchio non trovai nessun documento riguardante questo scultore. Poi, in una cartellina “sospesi” rinvenni un biglietto con una piccola riproduzione a stampa e un manoscritto firmato Sasso, che riproduco in questo post. Quindi, in un catalogo di libri “usati” - uno dei pochi che ancora ricevo – qualche giorno dopo acquistai la monografia (1965) Sasso scritta da Aurelio T. Prete. In questo libro (di formato intermedio tra A3 e A4) ho riscontrato che contiene molte illustrazioni e dà – finalmente – qualche notizia sullo scultore, la sua formazione, nonché sulla critica precedente che lo ha indagato. Manca però il richiamo visivo di “SeleArte”, importante perché C.L.R. non è certamente stato studioso da citare artisti per motivi esulanti la loro qualità e lo specifico contesto.

Scopro, con qualche meraviglia tutto sommato, che Sasso non è uno scultore, bensì la scultrice Rosa Maria Sasso, la quale ha adottato il nome del fratello morto in guerra. Scopro anche che a proporre l'artista all'attenzione di mio padre è stato “zio” Cesare Gnudi. Egli è stato anche il presentatore del Catalogo – minuscolo, come allora consuetudine – della Vetrina a “La Strozzina” di Firenze nel 1952.

Ciò evidentemente spiega il motivo per cui C.L.R. conoscesse l'opera di questa scultrice d'indubbia originalità espressiva.

Di conseguenza spiega anche perché nella Fondazione Ragghianti di Lucca sia presente un gruppo di riproduzioni nella fototeca (da poco tempo sul web relativamente al Novecento). Nell'Archivio lucchese, poi, si conserva una 

copia del catalogo presentato da Gnudi. Questi documenti mi sono stati gentilmente forniti tramite via telematica per l'utilizzo in questo post.

Controllando Internet vidi che nel 2018 a Roma è stata allestita una Mostra di Sasso presso la Galleria Monserrato Arte 900 con l'edizione di un Catalogo nella cui promozione viene scritto che Sasso è “una scultrice che ci porta in mondi remoti, resi contemporanei da un dolore e da un eros sotterraneo che ci mostra una nuova strada per la scultura italiana degli anni '50. In questa Mostra viene presentato un corpus di opere che è vera testimonianza storica, vero valore aggiunto per la storia dell'arte”. Questo introvabile catalogo è a cura di R. Ruscio, con interventi di Achille Bonito Oliva, V. Mazzarella e R. Giulieni.

Per acquistare questo catalogo ho cercato invano di contattare per email e per telefono la Galleria, la quale ha evidentemente cessato l'attività.

Pur essendo presente in internet, però la Tim dichiara inesistenti i telefoni indicati. La curatrice, invece, non s'è degnata di rispondere ad una cortese email di un anziano sconosciuto (nonostante il cognome e la dichiarata discendenza da uno studioso che ai docenti d'arte contemporanea dovrebbe essere noto).

A causa di queste mancate risposte non ho potuto rintracciare il Catalogo né – quindi – a mostrare in questo post fotografie nuove (forse) a colori d'opere (forse) assenti nella monografia del Prete. Sarà dunque da questo libro del prolifico scrittore che attingeremo gran parte delle sculture riprodotte in questo post. Riporterò anche il saggio di Aurelio T. Prete perché – se non altro – egli è stato convinto sostenitore della qualità scultorea, espressa con determinazione e colta duttilità dalla scultrice attorno alla metà del Novecento. Nelle opere di Sasso, infatti, si può osservare la riflessione matura delle espressioni plastiche consolidate dalla tradizione europea più illustre, però declinata in maniera personale, ben individuabile nel pur ricco panorama scultoreo del suo secolo.

F.R. (7 novembre 2020)

martedì 1 dicembre 2020

Arnaldo Cantù 1912-1914.

A tracciare questo profilo mi spinge il silenzio che vige ancora sugli scritti e il nome di Arnaldo Cantù...” scrive nel 1977 su “Critica d'Arte” Raffaele Bruno constatando la “dimenticanza...pressoché totale salvo il necrologio, doveroso, apparso nella Cronaca di Belle Arti del dicembre 1915 (supplemento del Bolletino d'Arte ministeriale, II, n.12, pp.88-89) e il caso affatto eccezionale di Ragghianti...”.

In effetti a questa “dimenticanza” durata un sessantennio ne è seguita una di più di quaranta anni. Oggi su Internet sul critico d'arte Cantù risultano soltanto il citato necrologio e una voce su “Enciclopedia Bresciana”. Anche dell'indispensabile e chiarificante saggio su “Critica d'Arte” (Arnaldo Cantù 1912-1914, 1, n.154-156, lug.-dic. 1977, pp.29-41; 2, n.157-159, gen.-giu. 1978, pp. 7-20) non c'è traccia; non c'è una voce di Wikipedia e nemmeno nel Dizionario Biografico degli Italiani della Treccani.

Quanto al “caso affatto eccezionale di Ragghianti”, le indicazioni date da Bruno nella Postilla (p.19, II parte) non sono accessibili se non attraverso la lettura dello scritto su Cantù, di cui riportiamo il paragrafo:



Si consideri, infine, che nel periodo 1977-78 la casa editrice Nuova Vallecchi attraversava un momento di particolare crisi economica ed editoriale da cui conseguiva che la rivista “Critica d'Arte” fu malamente diffusa soltanto tra gli abbonati. Così il saggio di Raffaele Bruno non poté fruire né della consueta diffusione, né della risonanza – sia pur modesta – del servizio stampa e dei lanci d'agenzia perché non furono effettuati. Tutte queste circostanze sommandosi alla nascita e alla crescita esponenziale del web, rendono a mio avviso più che opportuna, necessaria la postazione su internet in modo che almeno esista lo storico e critico d'arte Arnaldo Cantù (morto trentenne nel 1915) e possa essere conosciuto tramite l'autorevole passione dell'importante saggio di Raffaele Bruno, il quale avrà così il merito di resuscitare uno scrittore che altrimenti sarebbe stato se non perduto, nascosto alla cultura dell'umanità presente.

Per i pochi superstiti anagrafici della lettura su “Critica d'Arte” dello studio di Raffaele Bruno sarà una gradita conferma dell'importanza di un pensiero il cui “orientamento di fondo si basa sulla rivendicazione del potere liberatore dell'arte come conoscenza e della critica come compresione e possesso della forma e delle sue ragioni interiori”. E tale orientamento, quindi, deve far riflettere gli studiosi maturati in questi quarant'anni, specialmente adesso in una temperie morale e sociale di esplicita violenza e irrazionalità così simile a quella di un secolo fa, che tante sciagure ha scatenato.

Si rifletta e si trovi la forza di reagire e di agire in sintonia con l'affermazione di Arnaldo Cantù circa “il concetto che l'arte è la forma unica della conoscenza del reale” (1914); e altrettanto si faccia quando si legge quel che scrive (1977) Raffale Bruno circa l'arte che è “una liberazione ed è insieme un atto di fede nell'unica verità e conoscenza che rimanga o sembri rimanere in un mondo come quello sconvolto dall'odio e dalla violenza, dal credito all'irrazionale e all'inconscio...”.

F.R. (14 novembre 2020)