Carlo e Licia

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venerdì 31 dicembre 2021

Dickens - Phiz (Hablot Knight Browne). Il Circolo Pickwick e Licia Collobi.

Chiudere anche quest'anno, terzo inverno di Covid 19, ventunesimo di un altro secolo pieno di guerre, di soffrenze, di inammissibili disuguaglianze, con la rievocazione di un libro, sia pure un capolavoro, può sembrare malevolmente ben misera scelta, altrimenti insignificante e arbitrario.

Debbo quindi riconoscere che si tratta di una scelta di carattere affettivo privato, però significativa in un blog intestato a Licia Collobi.

Mia madre, infatti, agli albori dell'estate di cinquant'anni fa morì per sette volte, risorse per otto, fatto che gli consentì di restare con noi altri confortanti diciotto anni, per lei importanti per la qualità della sua esistenza, fondamentali per quelle del coniuge Carlo Ludovico e dei suoi figlioli. Già in due precedenti interventi chirurgici la mamma portò con sé, per leggere nella degenza postoperatoria un libro - di mole cospicua, per altro - soltanto: Il Circolo Picwick di Charles Dickens, sempre nella edizione Bianchi-Giovini, giugno 1943, illustrato da Phiz (dopo il suicidio di Seymour, autore delle primissime tavole).

Mi corre l'obbligo di un chiarimento; il libro fu tra i non molti salvati dalle vicissitudini del primo dopoguerra. Sempre collocato nello scaffale in alto a sinistra del luminoso studio della mamma in viale Petrarca, dove finalmente dopo un sofferto incontro con David Copperfield (ancor oggi quando odio qualcuno lo paragono a Huriah Heep), lessi con entusiasmo Il Circolo Picwick.

Avvenne così che dovendosi ricoverare per un controllo nella clinica del prof. Greppi a Careggi, la mamma mi chiese di portarle un libro da leggere scelto in quel suo speciale scomparto. Presi Pickwick sull'onda del mio entusiasmo soprattutto per poterne parlare con lei. Da allora l'opera di Dickens illustrata da Phiz divenne la simbolica presenza di casa nelle tristi degenze via via manifestatesi. Ripresasi dalla tremenda esperienza, nella lunga degenza successiva (più di un mese) finì di leggere l'intero volume, iniziato ancora una volta il mattino del giorno precedente l'intervento.

Quel libro le era stato regalato dal coniuge nel 1944, in prima edizione, durante la bimestrale attività iperclandestina preparatoria della insurrezione dalla fine di giugno al fatidico 11 agosto, Liberazione della città di Firenze  per opera loro, dei loro commilitoni partigiani e dei patrioti fiorentini che cacciarono i camerati nazisti fuori dalla cinta urbana, prima dell'intervento delle truppe alleate attestate di là d'Arno. In quel periodo i coniugi Ragghianti non 

dormirono mai due notti nello stesso posto, salvo quelle poche passate in una vasca da bagno dell'albergo Porta Rossa, requisito dal Comando tedesco, secondo la teoria di R. che per un ricercato il miglior nascondiglio fosse stare nei pressi della tana del nemico. Successivamente negli altri drammatici interventi operatori o nelle degenze riabilitative dalle crisi polmonari, Licia Collobi portò come da abitudine sempre con sé quel Circolo Picwick, salvo nelle due permanenze alle operazioni alle cateratte in stato di quasi cecità perché non fu possibile intervenire prima per altri drammatici tormenti quali, per dirne uno soltanto, la rottura del femore. Portò il libro con sé – e lo rilesse! - anche nell'estate del 1988 quando, anziché andare in un albergo, volle trascorrere un mese nella clinica a Montecatini Alto gestita dal compagno Tiziano Palandri dove Carlo trascorse i primi quattro mesi del 1987. Ci andò caparbiamente per rendersi conto di persona di cosa aveva sofferto e di come e da chi era stato curato suo marito, l'unica volta in cui lei non aveva potuto assisterlo personalmente.

Sono state tante le volte che, tra un malanno e l'altro, con la mamma abbiamo parlato del Circolo Pickwick, dei suoi personaggi (Sam Weller, il ragazzo grasso, il candidato alle elezioni che “ne bacia uno...li bacia tutti”) ed anche degli emblematici racconti intercalati alla narrazione principale. Penso poi come ci saremmo divertiti ad apprendere che le invincibili pennichelle postprandiali che tanto disturbavano il babbo nei suoi ultimi tempi sono note come “sindrome di Pickwick”... di cui anche il suo figlio maggiore, ora che è vecchio, ne è afflitto

Oggi il volume, passato per le mani credo (e spero) di tutti i membri della famiglia è completamente sfascicolato con la brossura originale inesistente e i sedicesimi praticamente sciolti. Per questo motivo ho deciso di riprodurre le graziose, incisive e apprezzate illustrazioni, tanto amate da mia madre, che da esse ha tratto tanta consolazione e nei limiti di quelle sue circostanze speciali inusuali, oggetto di affettuosa partecipazione quali spaccati dell'umanità esterna universale e atemporale nelle sue gioie e nei suoi patimenti. Per ignoti motivi mancava soltanto una illustrazione, chissà quando e dove perduta, che ho sostituito con la riproduzione da un esemplare della tiratura numerata dell'edizione, acquistato dopo la morte di Licia Collobi, per l'organicità della mia biblioteca. Della presente edizione Bianchi-Giovini del 1943, edita un mese prima del crollo del fascismo, riproduco anche la Nota bibliografica.

Considerando il fatto che Phiz, che i compatrioti preferiscono indicare negli scritti col nome anagrafico di Hoblet Knight Browne, non è molto apprezzato altrove, riporto le voce che lo riguarda dalla sezione bibliografica dell'utile e ben illustrato volume di Ed. Hodnett Five Centuries of English Book illustration, Scolar Press, 1988.

Sul binomio affiatato, molto collaborativo, Dickens-Browne (Phiz) è stato pubblicato anche un libro di Michael Steig, molto documentato, da Indiana University Press, 1980, che fu recensito anche in “SeleArte”, allegato a “Critica d'Arte”, n.172-174, lug.-dic. 1980. Riproduco il breve testo con le due illustrazioni, il quale non era dei coniugi Ragghianti ma del sottoscritto perché, col fascicolo praticamente in stampa, C.L.R. aveva ritirato una sua nota necessitante di una successiva aggiunte “lunghetta”, almeno tanto da spaginare la intera rubrica. Siccome questo libro era appena arrivato ed era ancora sul mio tavolo per lo smistamento tra quelli da dare a Carlo L. e quelli a Licia, lo presi e lo recensii o, per meglio dire, segnalai ai lettori direttamente dal banco del prato delle officine grafiche ex Vallecchi. L'argomento mi aveva incuriosito, però dato il livello elementare del mio inglese non potevo certo approfondire sia per le poche righe e disposizione, sia per la frettolosità del caso. Per di più il diavoletto tipografico, sempre in agguato, combinò un macroscopico pasticcio: fece iniziare il mio “pezzullo” con la parola “microscopico” 

in luogo dell'esatto contrario. Il bello è – si fa per dire – che grazie nella urgenza e alla dislessia strisciante non me ne accorsi. Me ne scuso oggi. Da questa monografia accurata, con puntuale e dettagliato apparato illustrativo, traggo la prima parte del secondo capitolo riguardante Il Circolo Pickwick (pp. 28-38) e alcune illustrazioni dei disegni preparatori delle incisioni, degli stati successivi dei soggetti poi pubblicati. Da questo libro, infine, riprendo anche l'Appendix con l'elenco di tutte le collaborazioni tra Dickens e Phiz.

Altra grande, comune affezione di Licia Collobi e del suo maggiore pargolo a suo tempo era stata la lettura di altri libri di Dickens, soprattutto il David Copperfield. L'unica differenza – oltre a quella temporale – tra la loro prima full immersion nel romanzo fu che la madre lo lesse in inglese in una edizione con illustrazioni di Phiz/Browne, il figlio lo divorò nell'edizione Einaudi, traduzione di Cesare Pavese, priva di illustrazioni.

Per sottolineare questa loro comune avventura libresca, dopo la riproduzione totale delle illustrazioni del Pickwick, riprodurrò nel post la scelta più numerosa che mi è stato possibile reperire delle illustrazioni scelte del duo Dickens/Phiz per il Copperfield, quel bellissimo libro prossimo a compiere duegento anni, benissimo portati.

F.R. (24 novembre 2021)


martedì 28 dicembre 2021

Pisa e Carlo Ludovico Ragghianti.

 UNA PRIMA DOCUMENTAZIONE STOCASTICA.

Non mi pare che sia stato notato che Carlo L. Ragghianti ha vissuto concretamente per almeno otto anni – scaglionati nel tempo – nella città di Pisa. Quattro, e forse qualche mese in più, sono stati gli importanti anni di studio all'Università e alla Scuola Normale Superiore e poi di volontariato in attesa della nomina di Assistente, respinta perché antifascista. Altrettanto tempo complessivamente C.L.R. lo ha trascorso quale professore di ruolo, dopo il Concorso vinto nel 1949. Egli, infatti, come si potrà riscontrare nella lettera inviata a Franco Russoli (di seguito qui riprodotta), soggiornò in Pisa da due a tre giorni consecutivi la settimana per l'esercizio dell'insegnamento ordinario.

Tenendo conto che i primi suoi sedici anni mio padre li ha passati a Lucca in famiglia; che cinque o sei li ha vissuti a Roma prima e subito dopo la guerra; che sei anni li ha vissuti tra Bologna, Londra, Modena; e che i rimanenti 41 anni li ha trascorsi con la sua famiglia a Firenze, la presenza in Pisa è stata ragguardevole e impegnativa nella sua esistenza sia per durata che per intensità di attività e di presenza sociale.

Alla quantità di anni famigliari in Firenze bisogna toglierne qualcuno per assenze ulteriori quali la conseguenza della Presidenza dell'ADESSPI con 2/3 dì alla settimana passati a Roma nei primi anni Sessanta. Tutti i non rari viaggi a Venezia, Milano e altre località vanno calcolati come sottratti alla vita familiare e alle attività svolte a Firenze. Mentre le vacanze estive non vanno considerate perché vissute in famiglia. Nemmeno i quasi cinque mesi di degenza a Montecatini Alto perché essi furono confortati dalla accessione quotidiana di almeno uno di noi quattro figli. La moglie Licia non poté andarlo a trovare perché impedita da terapia intensiva, rottura del femore e calo totale di cateratte.

Queste cronologie mi sono venute in mente in seguito al ritrovamento di un dossier d'archivio intitolato “Pisa” infilatosi in altro incartamento di tutt'altro argomento. Il conseguente computo temporale è approssimativo ma attendibile. Ne consegue l'impressionante dato della ridotta presenza in famiglia, da quando essa fu costituita nell'autunno del 1938.

Oltretutto vanno anche considerate altre assenze dal domicilio famigliare: per primi i due forzati soggiorni (1942 e 1943) nelle patrie galere per motivi politici, presunti, perché non provati dal Tribunale Speciale. Reali però, stante l'attività cospiratoria e organizzativa intensa e di alta qualificazione anti regime esplicate incessantemente dal 1935/36 al 25 luglio 1943, con responsabilità cospirative crescenti in cinque regioni del Paese.

Riguardo alla città di Pisa non intendo relazionare in analogia a quanto fece C.L.R. stesso per la dedizione alla città di Firenze (vedasi Un residente per Firenze, 1929-1986 in “SeleArte”, n.20, 1994, pp.6-17; riprodotto in questo blog il 9 novembre 2017).

Circa l'intero insieme dei soggiorni pisani, riporterò in questo post soltanto i casi contenuti nella citata cartellina. Sono marginali ma significativi, con una documentazione esemplare contenuta, sufficiente, che può essere integrata dalle carte conservate nell'Archivio Ragghianti di Lucca. Ricordo per primo il caso della progettazione e realizzazione del nuovo Istituto di storia dell'Arte dell'Università, attività “enorme” durata molti anni, nella quale R. fu coadiuvato da Luporini, Cardellini, i primi assistenti ereditati da Marangoni e altri. Un carteggio importante negli Archivi dell'Istituto (si spera), di cui a Lucca sono presenti soltanto tracce episodiche. Sempre a Pisa dovrebbero trovarsi altre pratiche ed iniziative con notevoli documentazioni (le Esposizioni, ad es.) oltre ad altre realizzazione che conosco poco e di cui non ho documentazione significativa (soprattutto le Scuole speciali, tanto apprezzate da Federico Zeri che ne fu docente). Di notevole importanza, poi, la collezione Timpanaro, che fu molto ampliata e che adesso credo non graviti più intorno all'Istituto. Poi le collane di libri e cataloghi, ecc. ovviamente. Ignoro il sussistere delle documentazioni delle attività didattiche e scientifiche di mio padre e a lui collegate (registrazioni audio e trascrizioni di lezioni, ad es., così dei seminari) e tutto ciò che non è accessibile agli estranei (famigliari compresi) per norme stabilite dall'Ateneo. Ricordo che, dopo aver accompagnato C.L.R. all'Istituto di Firenze, non ho mai potuto assistere a lezioni, seppur defilato, perché non ero auditore registrato e pagante.

venerdì 24 dicembre 2021

Antonio Gramsci. Emigrazione - Traduzione testi italiani - C.L. Ragghianti - Marginalia, 1.

Considerando la data natalizia prevista per la pubblicazione di un contributo in questo blog, avevo progettato un post riguardo un aspetto poco noto ma di toccante affettuosità familiare di Antonio Gramsci. Egli fu un uomo di reale e prestigioso passato rivoluzionario, individuo piccolo e gracile ma gigante del pensiero. Egli fu un leader, uno dei martiri causati dal fascismo, uno di coloro che hanno ispirato l'insurrezione partigiana, la Repubblica, la Costituzione e settantacinque anni di democrazia imperfetta, incompiuta, gracile ora più che mai, forse di nuovo in autentico pericolo di sopravvivenza.

Controllando su Internet ho constatato che sull'argomento individuato sono stati riproposti anche di recente (2018) gli aspetti principali. D'altra parte la raccolta della documentazione presenta difficoltà di reperimento e ostacoli o problemi di utilizzazione libera. Perciò ho accantonato il progetto iniziale.

Però l'esigenza di ricordare, sia pur con osservazioni staccate e con documentazioni non omogenee, talora isolate, questo granduomo prima svilito, poi spesso tradito da troppi di coloro che si dicevano suoi seguaci e di riferirsi al suo pensiero politico e sociale, oggi mi sembra perlomeno doveroso. Anche perché dalla miseria morale e politica di troppi rappresentanti degli ideali storici – in eterna mutazione come i virus – di quella parte della popolazione che dal 1789 si indica come sinistra politica (radicale, riformista, rivoluzionaria, ex comunista, socialista, socialdemocratica, socialista liberale, liberalsocialista) non si ricava più niente di costruttivo, di dedicato ai bisogni dei lavoratori di ogni ordine e grado, dei pensionati, dei malati, degli incapienti. Per non parlare degli ideali tanto traditi che fa vergogna nominarli.

Insomma occorre ricordare e tener presente che Gramsci non è stato e non rimane soltanto un comunista, egli ha sviluppato e rielaborato, anche in chiave rivoluzionaria non leninista, il socialismo nella libertà. Allora anche solo citare Gramsci deve diventare una sorta di scossa elettrica. Solo ricordare che è esistito costringe a vergognarsi per la propria ignavia e costringerci a cercare, a creare vie e metodi di riscatto.

Nel blog, di conseguenza, cercherò anche di fornire documenti stimolanti e formativi oltre a qualche curiosità come, ad es., una singolare proposta editoriale formulata in termini analoghi indipendentemente da Gramsci e Carlo L. Ragghianti.

  


La prima documentazione riguarda la ristampa della sezione L'emigrazione negli scritti di Gramsci dalla rivista “emigrazione” (n.4 aprile 1977). L'argomento, sempre presente più o meno drammaticamente, nel nostro quotidiano si presenta oggi su due piani uguali e contrari: 1. Quello della gioventù studiosa e laureata e quella determinata professionalmente verso l'estero con l'intento di trovarsi un avvenire migliore di quello corrotto che i giovani trovano tanto spesso in patria. Ciò in diretto confronto con quanto analizzato da Gramsci rispetto all'emigrazione interno sud verso nord; 2. L'emigrazione dei derelitti e di profittatori stranieri verso il nostro paese. Illusi o disperati immigrano in Italia per restarvi (pochi, sembra) o proseguire verso altri paesi europei; anche queste presenze (per lo più illegali) hanno analogie con le ondate italiane pre (anche in quel caso c'era fuga verso l'estero) o post belliche.

Il fascicolo è introdotto da un lungo partecipe saggio di Carlo Levi (del quale proprio in questi giorni si apre nei locali della Fondazione Ragghianti di Lucca la mostra “Un volto che mi somiglia”. Carlo L. Ragghianti e Carlo Levi: storia di una amicizia, come recita il titolo provvisorio della scheda promozionale che mi è pervenuta).

Nel volume delle “opere di Antonio Gramsci” Letteratura e vita nazionale, edito da Einaudi nel 1954, alle pp. 134,135 si commenta il libro Spartaco di Raffaele Giovagnoli. Per inciso, io di recente ho cercato di leggere questo libro scritto da un garibaldino, senza portarlo a termine a causa del linguaggio prolisso ed antiquato della scrittura, consolandomi con le tante fini illustrazioni di Nicola Sanesi (1885). Tornando in argomento, riporto integralmente il testo di Gramsci dal quale si evince la proposta che “Spartaco si presterebbe specialmente a un tentativo che, entro certi limiti, potrebbe diventare un metodo: si potrebbe cioè tradurlo in lingua moderna...”. Impressionante la coincidente analogia della seconda proposta di “idee per Vallecchi” che Carlo L. Ragghianti nel 1954 inviò all'amico editore, il quale “ovviamente” non dette seguito ai suggerimenti ricevuti e qui riprodotti.

A proposito di traduzioni in linguaggio post manzoniano, voglio ricordare un caso evidente di questa pratica, congiunta con una drastica riduzione del testo originale. Da ragazzo, nel 1953, mio padre mi regalò il libro in 16°, cartonato, le Confessioni di un ottuagenario di Ippolito Nievo, editore Bietti, Milano (1951) a cura di E. Fabietti. Il babbo mi avvertì che si trattava di un'edizione tradotta e ridotta, perché l'originale era di scrittura ostica, specie per un ragazzo. Il titolo vero, quello imposto dall'autore, era Confessioni di un Italiano (il cui manoscritto fu ultimato nel 1858 e mai rivisto da Nievo, morto in un naufragio al ritorno della spedizione dei Mille del 1860). Effettivamente la lingua del libro è di faticosa lettura come ho verificato nella monumentale e lussuosa edizione critica Treves-Treccani-Tumminelli del 1931, a cura di Fernando Palazzi, con 232 illustrazioni di Gustavino.

Non molta, anzi, la documentazione reperita negli scritti Carlo L. Ragghianti su Antonio Gramsci. C'è la lunga lettera, molto importante e dettagliata al normalista Giancarlo Fasano, in data 26 giugno 1953, che pubblicai sul “domestico” “SeleArte” (IV s., n.9, feb.1991, pp.31,32; fascicolo successivamente postato nel web il 4 febbraio 2017). Constatandone a suo tempo la mancanza di riscontro e stante la “miniera” di input che contiene, oggi la ripropongo in questo blog “Ragghianti&Collobi”.

Aggiungo a questa testimonianza anche tra altri interventi epistolari di R. riscontrati finora. La prima missiva (9 agosto 1954) è rivolta a Francesco Campagna, giovane meridionalista, e si riferisce soprattutto alla “revisione del marxismo in Italia”. Ad Antonio Gramsci è dedicato un paragrafo nel quale si precisa che egli “ebbe così viva e precisa l'ispirazione alla verità intellettuale”. Nella seconda lettera (26 aprile 1956) inviata a Giuseppe Mazzariol, si riporta lo stralcio che riguarda Gramsci, trascritto a causa del cattivo stato dell'originale fotocopia.

Altro stralcio proviene dalla lettera a Leo Valiani (23 ottobre 1976). Naturalmente altri e più diffusi riferimenti a Gramsci, alla sua opera, alla sua distinzione oggettiva dal leninismo/stalinismo si trovano in articoli, saggi, e soprattutto nel volume Marxismo perplesso (al quale si fa riferimento nella lettera a Valiani). Di questo libro dal febbraio 2022 inizieremo la ripubblicazione integrale, con l'aggiunta della documentazione relativa nei carteggi e nelle recensioni.

Su Antonio Gramsci, questo Padre della Patria, onorario perché non poté partecipare direttamente a quanto aveva seminato: alla redenzione del popolo italiano tramite la Resistenza; alla ricostruzione della nazione in Repubblica, fondata sul lavoro, riporto alcuni documenti significativi. La loro importanza non è soltanto documentaria, né aneddotica, riguarda aspetti singolari sia sul versante culturale che su quello biografico e di cronache che hanno investito l'indomito piccolo uomo di statura ma grande uomo d'animo, coraggioso e tenace, di cultura profonda, tale da segnare il pensiero del suo secolo e di essere indispensabile per sopravvivere in questo Duemila disastroso e disastrato.

Apre la rassegna Gramsci di Mario Berlinguer (1891-1969, antifascista Partito d'Azione, dal 1947 P.S.I., padre di Enrico indimenticabile segretario del P.C.I.) il quale su “Mercurio” (n.11, luglio 1945) traccia un commosso ritratto del conterraneo che con la sua azione e il suo pensiero “affermava così che i supremi valori sopravvivono alla nostra vita terrena”.

Su “L'Europeo” (n.34, agosto 1947) Sandro Volta (1900-1986) fa la cronaca del Premio Viareggio assegnato all'opera postuma di Antonio Gramsci assai contestato sia in Giuria che tra l'opinione pubblica. 

Enzo Forcella (1921-1999) su “il Mondo” (5 giugno 1975) è intervistato sul lavoro teatrale femminista Nonostante Gramsci, accusato di avere opinioni tradizionali persino sulla prostituzione. Il noto giornalista scrive anche

la pagina Conobbe Julca nel “Bosco d'Argento” centrato sul rapporto di Gramsci con le sorelle Schucht (Giulia fu sua moglie e madre di Delio e Giuliano). Nel reportage è presente anche un riquadro firmato dall'allora giovane Dacia Maraini che indagò l'alienazione delle sorelle Schucht e le contraddizioni in cui vivevano.

Nel 2003 (11 febbraio) su “La Repubblica”, Nello Ajello torna sull'argomento delle tre sorelle e del sanatorio “Bosco d'Argento” recensendo il romanzo di Adriana Brown L'amore assente. Gramsci e le sorelle Schucht nel quale si descrivono quaranta giorni di furore erotico di cui sono protagonisti, nel 1922, Gramsci e Eugenia Schucht. Insomma un Gramsci faunesco. L'articolista conclude “purtroppo non accadde, non poteva accadere. Occorre rassegnarsi. Non sempre la realtà è così romanzesca”. Mi vien da pensare che se non c'è scandalo, bisogna inventarlo, altrimenti non c'è gusto ad occuparsene. Perciò persino Gramsci può venire impunemente vilipeso.

Da “Storia illustrata” (nov.1979), mensile a cui fui abbonato dal primo numero negli anni '50, nella rubrica “società segrete” Giovanni Vannoni (1949-2017) rferisce su Gramsci e massoneria. Da leggere con amarezza, dato l'argomento in Italia per lo meno ambiguo. Sciogliere le società segrete da parte di Mussolini significava in realtà colpire i comunisti, i mazziniani e con preveggenza paranoide la “cospirazione antifascista”, la quale di fatto nacque proprio in seguito a questa legge e il Tribunale speciale.

Definirei increscioso infortunio la pubblicazione su “il Giornale” di Montanelli (14 dicembre 1979) della lettera al direttore titolata redazionalmente “Il fratello di Gramsci”. Oltre l'evidente intento denigratorio nei confronti di Antonio Gramsci, mettendo sullo stesso piano le opinioni iperfasciste e la detenzione in campo di concentramento in Australia del fratello Mario prigioniero di guerra. Costui viene definito “il fratello maggiore”. Tutto ciò non sembra possibile perché Antonio Gramsci morì nel 1937 a 46 anni; questo figuro fascista – fratello o omonimo - “a cinquant'anni compiuti fu liberato e rimpatriato”. Anche se questo ritorno fosse stato “anticipato” entro il 1945, Antonio Gramsci avrebbe avuto 54 anni. Inoltre di questo Mario nella lettera si scrive “morì a 52 anni”. Quindi certamente non era il fratello maggiore. Temo che questa pubblicazione fosse soltanto una fake news, grossolana per di più.

Il successivo documento, sempre estratto da “il Giornale” (9 aprile 1987) è un articolo di Massimo Caprara (1922-2009) già segretario personale di Palmiro Togliatti dal 1944 al 1964, deputato P.C.I., uscito dal partito nel 1968 in seguito ai misfatti di Cecoslovacchia. L'articolo è centrato su un incontro con Delio e Giuliano, figli di Antonio Gramsci, in occasione dei 50 anni dalla morte del padre. Una storia dolorosa, indegna conseguenza del contraddittorio comportamento dei dirigenti comunisti italiani e di altri paesi nei confronti di un “gigante” come Antonio Gramsci.

Da “Tempo Presente” (n.85-86, 1988) lo scritto di Vittoriano Esposito (1929-2012) critico letterario, La presenza del De Sanctis e del Croce nelle “Lettere dal carcere”. Si tratta di un buon contributo alla comprensione del pensiero gramsciano “con tutte le sue interconnessioni politico-culturali”.

­In prima pagina su “La Stampa” di Torino (25 maggio 1995) compare come articolo di spalla destra il breve contributo su Polemiche sull'egemonia. Il Vescovo, Gramsci e la scuola firmato da Geno Pampaloni (1918-2001). Questo intervento su Gramsci e la scuola ha un taglio particolare, tipico dell'acume critico dell'A., anche se un po' troppo ecumenico per i miei gusti. D'altra parte il Pampa (così lo chiamavamo spesso noi suoi collaboratori e “dipendenti” della Casa Editrice Vallecchi di cui egli era il Direttore editoriale) era sovente pungente e discutibile mai però oltre il primo sangue. E' consolante, comunque, che a fine secolo XX, si sostenga che il pensiero di Gramsci è tuttavia rilevante nella nostra cultura. Anche se il documento seguente è già sulla difensiva, dato che dimostra che per onorare la memoria di ciò che sono stati l'azione e il pensiero di Antonio Gramsci si deve ricorrere a provvedimenti costrittivi.

Infatti, concludo questa panoramica marginale però significativa con la riproposta di un articolo, ancora da “La Stampa” (1 marzo 1997) intitolato Ricordare Gramsci? A scuola è obbligatorio. Già imperava il Berluskaiser, quindi tempi cupi per le figure carismatiche di pensiero e d'azione di matrice socialista (quella vera, non Craxi che è stato il Renzi del P.S.I.) nonché martiri quale è stato Antonio Gramsci. Un grand'uomo per l'Umanità tutta. Pensando a lui mi consolo della turpe possibilità che un pregiudicato per reati comuni divenga tra un paio di mesi Presidente della Repubblica.

F.R. (1 dicembre 2021)

lunedì 20 dicembre 2021

Licia Collobi "La pittura del Quattrocento nell'Europa settentrionale e orientale".

Precedenti:

  1. Storia della pittura. Presentazione di Carlo L. Ragghianti: 17 aprile 2020.

  2. Storia della pittura. "Il Quattrocento Europeo" di Licia Collobi Ragghianti: 20 aprile 2020.

  3. La pittura spagnola del Quattrocento: 25 novembre 2021.


Come sostenuto nel post precedente, (25 novembre 2021) la Storia della pittura europea del Quattrocento scritta da Licia Collobi Ragghianti, edita nel 1985 da Istituto Geografico De Agostini di Novara, è un'opera di carattere "divulgativo", nell'accezione propria dell'autrice. Ella infatti affinò il proprio stile, comunque estraneo a certa gergalità professionale, nella lunga esperienza di autrice principale di "SeleArte" (1952-1966). Questa storica ed innovativa pubblicazione concepita da Carlo L. Ragghianti, rivoluzionò l'approccio di tutte le forme d'arte nei contenuti e nel linguaggio privilegiando un'informazione non italiana e formò una conoscenza critica coerente svincolata dai prototipi italocentrici da un lato, metodologicamente innovativa dall'altro.

Durante la preparazione dei materiali, data la vastità degli argomenti di questa sezione dell'opera, ho pensato di integrare il presente testo in sé completo, ma al cui interno ci sono fenomeni importanti giocoforza un po' sacrificati al 

complesso del libro e della collana. Integrare, ovviamente con altri scritti di Licia Collobi editi per "SeleArte" e, dopo la sua cessazione,nell'omonima rubrica di "Critica d'Arte". Però, meditantoci sopra e facendo qualche sondaggio, ho verificato che così operando si verificherebbero squilibri ancor maggiori di quelli che nella veste attuale sono soltanto impliciti e ipotetici.

Constatato quindi che anche questo capitolo (come i successivi) risulta tuttora di interesse cognitivo notevole, come è esauriente per quel che riguarda gli argomenti, ho deciso che la soluzione migliore è quella di non intervenire nei testi e nelle illustrazioni dell'edizione 1985.

Nei prossimi mesi posteremo anche le altre civiltà e storie della pittura del Quattrocento europeo, fino a completare l'intero panorama del continente di un mondo che era ancora Eurocentrico, anche se in maniera decrescente.

F.R. (20 novembre 2021)

giovedì 16 dicembre 2021

Arte Moderna in Italia 1915-1935 - Testi dei Critici, 33. AGNOLDOMENICO PICA (DEPERO, BOLAFFIO, MARTINI, SIRONI, D'ALBISOLA, GHIRINGHELLI, USELLINI)

 


Post Precedenti:

1. RAFFAELE MONTI ( I ) - 16 giugno 2018
2. IDA CARDELLINI (LORENZO VIANI) - 28  settembre 2018 
3. UMBRO APOLLONIO (NATHAN, BIROLLI) - 19 settembre 2019
4. MARCELLO AZZOLINI (GUERRINI, CHIARINI, VESPIGNANI). 6 ottobre 2019
5/I. FORTUNATO BELLONZI (BOCCHI, D'ANTINO). 12 novembre 2019
5/II. FORTUNATO BELLONZI (MORBIDUCCI, SAETTI). 28 dicembre 2019
6. ALDO BERTINI (CREMONA, MAUGHAM C., PAULUCCI). 22 gennaio 2020.
7. ANNA BOVERO (BOSWELL, CHESSA, GALANTE). 5 febbraio 2020.
8. SILVIO BRANZI (SCOPINICH, BALDESSARI, NOVATI, SPRINGOLO, RAVENNA, KOROMPAY, ZANINI). 23 febbraio 2020.
9. GIOVANNI CARANDENTE (COMINETTI, MARINI). 4 marzo 2020.
10. ITALO CREMONA (REVIGLIONE). 7 maggio 2020.
11. ENRICO CRISPOLTI, I (BALLA, EVOLA, ALIMANDI, BENEDETTA). 2 aprile 2020.
12. ENRICO CRISPOLTI, II (COSTA, DIULGHEROFF, DOTTORI, FILLIA). 6 aprile 2020.
13. ENRICO CRISPOLTI, III (ORIANI, PANNAGGI, PRAMPOLINI, MINO ROSSO), 10 aprile 2020.
14. RAFFAELINO DE GRADA I (BOLDINI, ANDREOTTI). 22 giugno 2020.
15. RAFFAELINO DE GRADA II (BERNASCONI, CARPI, CARENA, FUNI). 6 luglio 2020.
16. ANTONIO DEL GUERCIO (MAZZACURATI, MENZIO, RICCI). 8 agosto 2020
17. TERESA FIORI (INNOCENTI). 1 settembre 2020.
18. CESARE GNUDI (FIORESI, PIZZIRANI, PROTTI). 2 ottobre 2020.
19. VIRGILIO GUZZI (MANCINI, CAVALLI, MONTANARINI, PIRANDELLO). 19 novembre 2020.
20. MARIO LEPORE (DEL BON, LILLONI). 21 dicembre 2020.
21. LICISCO MAGAGNATO (NARDI, PIGATO, FARINA, TRENTINI, ZAMBONI, BERALDINI, SEMEGHINI). 21 gennaio 2021.
22. CORRADO MALTESE (GERARDI). 4 marzo 2021.
23. FRANCO MANCINI (PANSINI, NOTTE, BRESCIANI, CRISCONIO, CIARDO, GATTO, VITI).  3 aprile 2021.
24. GIUSEPPE MARCHIORI, 1 (ROSSI, LICINI). 3 maggio 2021.
25. GIUSEPPE MARCHIORI, 2 (SEVERINI, SPAZZAPAN). 28 maggio 2021.
26. MICHELANGELO MASCIOTTA, 1 (LEGA, VENNA LANDSMANN, CALIGIANI, COLACICCHI). 7 giugno 2021.
27. MICHELANGELO MASCIOTTA, 2. (DE PISIS, PEYRON, LEVASTI, CAPOCCHINI). 18 giugno 2021.
28. GIAN LORENZO MELLINI. (VITTORINI, SALIETTI, SANI, DE JURCO, BUGIANI). 23 luglio 2021.
(Il numero 29 sarà prossimamente pubblicato).
30. ALESSANDRO PARRONCHI (CARLINI, MOSES LEVY). 14 settembre 2021
31. GIACINTO NUDI. (RAFFAELE CASTELLO). 16 agosto 2021.
32. GUIDO PEROCCO (CADORIN, MARTINI, MOGGIOLI, PELLIS), 1. 23 ottobre 2021
32bis. GUIDO PEROCCO (ZECCHIN, CAVAGLIERI, GARBARI, CAGNACCIO DI S. PIETRO), 2. 6 novembre 2021


Agnoldomenico Pica (1907-1990) è stato un prolifico e originale architetto prima della guerra ed al contempo uno studioso che “dalla pratica di architetto” ha derivato una “singolare vivacità ed aderenza nel trattare argomenti storico-architettonici”. Così osserva Sergio Samek Lodovici nel volume dell'Enciclopedia Biografica e Bibliografica “Italiana” (sic!, tra virgolette) a lui affidata sugli Storici, teorici e critici delle Arti Figurative (1800-1940), un'opera sorprendentemente singolare e coraggiosa. Infatti nelle oltre, fitte, 400 pagine del libro egli relaziona con profondità di informazione studiosi non solo allora giovani, come lo stesso Pica, ma anche non fascisti o addirittura noti antifascisti senza tessera come Carlo L. Ragghianti. L'autore segnala addirittura giovani promesse come Licia Collobi, nata nel 1914. Da questa impresa editoriale riporto l'intera voce su Pica. Nel dopoguerra A. Pica (da non confondere con l'omonimo Vittorio Pica, n.1866) dopo aver collaborato con Persico e Pagano, continuò l'attività professionale di architetto e quella di studioso e critico delle arti figurative contemporanee. A questo proposito mi piace riprodurre una pagina de “Il Giornale” di Indro Montanelli, pubblicata il 5 agosto 1984. In essa Riccardo Mariani illustra l'opera di Pica, ricordando e deprecando la rimozione del fatto che egli era uno dei “grandi dimenticati” dell'architettura novecentesca.

Fino alla preparazione della Mostra Arte Moderna in Italia 1915-1935, i rapporti di Agnoldomenico Pica con Carlo L. Ragghianti erano di una conoscenza formale, senza significativi punti di contatto.

Nella prima lettera del loro carteggio (3 febbraio 1967), riprodotta – come le altre – in questo post, Pica esprime alcuni scrupoli che mi paiono dettati dall'inevitabile incombenza del fascismo sull'impronta dell'esposizione. In effetti, nonostante la dialettica crociana, io – ad es. – faccio fatica ad accettare la presenza di contenuti di esegeti del regime come Rosai o Sironi (amico di Pica), Ferrazzi, Maccari, ecc., pur consapevole che in progetto storico vanno comunque salvaguardati i valori espressivi autentici. 


Devo quindi esercitare lo sforzo coercitivo ma moralmente doveroso della distinzione tra arte e non arte. Di conseguenza devo ammettere che quando le singole opere sono espressioni originali esse non sono corresponsabili della eventuale “criminalità” comportamentale ed anche intellettuale del loro autore. Decisamente più interessante il carteggio brunelleschiano, la cui prima lettera è del 13 aprile 1974 e l'ultima è di C.L.R. il quale il 6 dicembre 1978 ricorda il suo rapporto con Persico e Pagano. L'ultima missiva del 5 marzo 1981 è di Agnoldomenico Pica, che ricorda quanto sia stata avversata la sua concezione del restauro architettonico. Informa anche C.L.R. che la propria compagna Mia Cinatti gli scriverà a proposito di certe ricerche caravaggesche.

F.R. (18 novembre 2021) 
 

domenica 12 dicembre 2021

Castello, 3.

 I. Antologia della critica.


Indice

Enrico Prampolini, 1937;

Curzio Malaparte, 1947;

[Carlo L. Ragghianti, 1960: "La Strozzina"; "SeleArte" n.46];

Giancarlo Vigorelli, 1961;

Luigi Carluccio, 1961;

Pierre Courtion, 1962;

Lara Vinca Masini, 1963;

Mario Novi, 1965;

[Giacinto Nudi 1965, Opere Grafica; 1966 schede 1915-1935];

Giuseppe Ungaretti, 1968;

Donata Devoti, 1968;

Jurgen Claus, 1968;

Virgilio Lilli, 1969;

Francesco Vincitorio, 1969;

Giuseppe Ungaretti, 1969;

[Rita Selvaggi, 1992, Cat. 1935-1955].

Per ciò che riguarda questa antologia di testi critici su Raffaele Castello, occorre precisare che, salvo altra indicazione editoriale, essi sono tratti dall'affettuosa monografia Raffaele Castello. Maestro dell'astrattismo italiano ed europeo. Questo volume rilegato con sovraccoperta, è molto documentato e contiene un apparato illustrativo con le opere – moltre delle quali inedite – illustrate a colori.

Gli autori di testi tra parentesi quadra sono stati ripubblicati in due post comparsi nel web il 16 agosto 2021 e il 15 ottobre 2021.

Per Raffaele Castello (1905-1969), artista vissuto e operante tra Italia e Germania, vedasi i precedenti post: 

1. Arte Moderna in Italia 1915-1935 - Testi dei Critici, 31. GIACINTO NUDI. (RAFFAELE CASTELLO). 16 agosto 2021

2. Raffaele Castello "opera grafica" a cura di Giacinto Nudi. 15 ottobre 2021


mercoledì 8 dicembre 2021

[glossario] Verme.



Come epiteto di persona spregevole

(magari anche proprio amico o familiare)

Verme sintetizza egregiamente

tutte le bassezze, i difetti insiti in

un personaggio negativo, cui si fa o si vuol fare riferimento.

Infatti i sinonimi recitano:


Anellide, parassita intestinale, essere abbietto,

ascaride, bruco, vile,

lombrico, larva, vigliacco,

canaglia, furfante,

nullità, tarlo, mascalzone,

sciocco, tormento, farabutto,

assillo, cialtrone


secondo il “Dizionario fraseologico delle parole equivalenti, analoghe e contrarie” di Giuseppe Pittàno.


sabato 4 dicembre 2021

Mostra Storica del Futurismo (1960), 2 – Documenti e altri scritti di Carlo L. Ragghianti.

 

Premetto che le due seguenti "antologie" (cioè: 1. Documenti inerenti la Mostra storica del Futurismo del 1960 progettata da C.L.R. e 2. lettere e interventi di Ragghianti su singoli aspetti del Futurismo) non hanno pretese di completezza, possono però risultare di utile orientamento. Si tratta di testi che via via ho radunato sotto il termine Futurismo.

Da eventualmente vedere in Archivio trascrivo l'elenco di lettere citate nel documento precedente: lettera a Gino Ghiringhelli (24.02.1960); a Marcello Nizzoli (24.02.1960); a Anton Giulio Bragaglia (24.02.1960); a Mario Melino (24.02.1960); a Enrico Vallecchi (26.02.1960); a Umbro Apollonio (09.01.1960).

Nella corrispondenza di mio padre si trovano certamente altri nominativi da affiancare ai su citati; così come anche in articoli e libri che l'autore non ha citato esplicitamente alle pp. 210,211 del progetto "Prima mostra storica sul Futurismo", pubblicato su "Critica d'Arte" (172-74, 1980) e postato il 10 novembre 2021 su questo blog. Riproduco anche gli ultimi scritti di C.L. Ragghianti sul Futurismo, pubblicati in "Critica d'Arte", IV serie edita da Panini, Modena. Il primo, Futurismo, resoconta il libro di Fanette Roche-Pezard, giovane studiosa con la quale C.L.R. ha avuto la corrispondenza formativa, qui precedente, nel 1971. Segue la concisa e severa nota Prosopografia marinettiana. L'ultimo scritto di R., Marinettiana, circoscrive l'esperienza del "guru" futurista alla sua reale incidenza culturale di fronte a "la sua illusione ignara e la sua pretesa, mentre erano in atto o si preparavano come troppo più grandi di lui".

A queste documentazioni ho aggiunto la riproduzione prefuturista di un'immagine da "Natura ed Arte" (settembre 1901), che non ho visto riprodotta altrove. Allego, infine, anche il breve scritto dell'amico Giovanni Spadolini (1925-1994) Ritorna il Futurismo? da "Nuova Antologia" (n.2158 del 1986). Queste pagine "illustrano la proiezione politica complessa, sfaccettata e contraddittoria del fenomeno futurista sullo sfondo della società italiana nel Novecento". Di conseguenza lo storico fiorentino e giornalista moderato – però assieme ad Azeglio Ciampi e pochissimi altri loro contemporanei tra gli ultimi esponenti politici ed intellettuali coerenti e consapevoli di credere in una democrazia laica, sociale, decente e pensante – prefigura il panorama sconfortante di una situazione politica che di lì a poco creerà ex abrupto Berlusconi e le premesse di un crescendo filofascista, che attualmente potrebbe tornare al potere apertamente fascista, grazie alla viltà corrotta della classe dirigente che ci ritroviamo. Gli sviluppi più che storici, cronistici e di bassa lega, hanno portato l'Italia odierna ad un regime di trita e trista operetta, che non può nemmeno fregiarsi di scontri di personalità come quelle di Giovanni Gentile e di Benedetto Croce (con le sue debolezze borghesi radicate in un mondo che fu sì ma peggiore di quel che lui credesse) o dei limiti ed errori di un pensatore – e martire! – quale fu Antonio Gramsci. Il popolo italiano, noi, io, allora risulta affidato alle mani incerte e incoerenti di un singolo drago sfiatato.

F.R. (15 agosto 2021)