Carlo e Licia

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venerdì 24 dicembre 2021

Antonio Gramsci. Emigrazione - Traduzione testi italiani - C.L. Ragghianti - Marginalia, 1.

Considerando la data natalizia prevista per la pubblicazione di un contributo in questo blog, avevo progettato un post riguardo un aspetto poco noto ma di toccante affettuosità familiare di Antonio Gramsci. Egli fu un uomo di reale e prestigioso passato rivoluzionario, individuo piccolo e gracile ma gigante del pensiero. Egli fu un leader, uno dei martiri causati dal fascismo, uno di coloro che hanno ispirato l'insurrezione partigiana, la Repubblica, la Costituzione e settantacinque anni di democrazia imperfetta, incompiuta, gracile ora più che mai, forse di nuovo in autentico pericolo di sopravvivenza.

Controllando su Internet ho constatato che sull'argomento individuato sono stati riproposti anche di recente (2018) gli aspetti principali. D'altra parte la raccolta della documentazione presenta difficoltà di reperimento e ostacoli o problemi di utilizzazione libera. Perciò ho accantonato il progetto iniziale.

Però l'esigenza di ricordare, sia pur con osservazioni staccate e con documentazioni non omogenee, talora isolate, questo granduomo prima svilito, poi spesso tradito da troppi di coloro che si dicevano suoi seguaci e di riferirsi al suo pensiero politico e sociale, oggi mi sembra perlomeno doveroso. Anche perché dalla miseria morale e politica di troppi rappresentanti degli ideali storici – in eterna mutazione come i virus – di quella parte della popolazione che dal 1789 si indica come sinistra politica (radicale, riformista, rivoluzionaria, ex comunista, socialista, socialdemocratica, socialista liberale, liberalsocialista) non si ricava più niente di costruttivo, di dedicato ai bisogni dei lavoratori di ogni ordine e grado, dei pensionati, dei malati, degli incapienti. Per non parlare degli ideali tanto traditi che fa vergogna nominarli.

Insomma occorre ricordare e tener presente che Gramsci non è stato e non rimane soltanto un comunista, egli ha sviluppato e rielaborato, anche in chiave rivoluzionaria non leninista, il socialismo nella libertà. Allora anche solo citare Gramsci deve diventare una sorta di scossa elettrica. Solo ricordare che è esistito costringe a vergognarsi per la propria ignavia e costringerci a cercare, a creare vie e metodi di riscatto.

Nel blog, di conseguenza, cercherò anche di fornire documenti stimolanti e formativi oltre a qualche curiosità come, ad es., una singolare proposta editoriale formulata in termini analoghi indipendentemente da Gramsci e Carlo L. Ragghianti.

  


La prima documentazione riguarda la ristampa della sezione L'emigrazione negli scritti di Gramsci dalla rivista “emigrazione” (n.4 aprile 1977). L'argomento, sempre presente più o meno drammaticamente, nel nostro quotidiano si presenta oggi su due piani uguali e contrari: 1. Quello della gioventù studiosa e laureata e quella determinata professionalmente verso l'estero con l'intento di trovarsi un avvenire migliore di quello corrotto che i giovani trovano tanto spesso in patria. Ciò in diretto confronto con quanto analizzato da Gramsci rispetto all'emigrazione interno sud verso nord; 2. L'emigrazione dei derelitti e di profittatori stranieri verso il nostro paese. Illusi o disperati immigrano in Italia per restarvi (pochi, sembra) o proseguire verso altri paesi europei; anche queste presenze (per lo più illegali) hanno analogie con le ondate italiane pre (anche in quel caso c'era fuga verso l'estero) o post belliche.

Il fascicolo è introdotto da un lungo partecipe saggio di Carlo Levi (del quale proprio in questi giorni si apre nei locali della Fondazione Ragghianti di Lucca la mostra “Un volto che mi somiglia”. Carlo L. Ragghianti e Carlo Levi: storia di una amicizia, come recita il titolo provvisorio della scheda promozionale che mi è pervenuta).

Nel volume delle “opere di Antonio Gramsci” Letteratura e vita nazionale, edito da Einaudi nel 1954, alle pp. 134,135 si commenta il libro Spartaco di Raffaele Giovagnoli. Per inciso, io di recente ho cercato di leggere questo libro scritto da un garibaldino, senza portarlo a termine a causa del linguaggio prolisso ed antiquato della scrittura, consolandomi con le tante fini illustrazioni di Nicola Sanesi (1885). Tornando in argomento, riporto integralmente il testo di Gramsci dal quale si evince la proposta che “Spartaco si presterebbe specialmente a un tentativo che, entro certi limiti, potrebbe diventare un metodo: si potrebbe cioè tradurlo in lingua moderna...”. Impressionante la coincidente analogia della seconda proposta di “idee per Vallecchi” che Carlo L. Ragghianti nel 1954 inviò all'amico editore, il quale “ovviamente” non dette seguito ai suggerimenti ricevuti e qui riprodotti.

A proposito di traduzioni in linguaggio post manzoniano, voglio ricordare un caso evidente di questa pratica, congiunta con una drastica riduzione del testo originale. Da ragazzo, nel 1953, mio padre mi regalò il libro in 16°, cartonato, le Confessioni di un ottuagenario di Ippolito Nievo, editore Bietti, Milano (1951) a cura di E. Fabietti. Il babbo mi avvertì che si trattava di un'edizione tradotta e ridotta, perché l'originale era di scrittura ostica, specie per un ragazzo. Il titolo vero, quello imposto dall'autore, era Confessioni di un Italiano (il cui manoscritto fu ultimato nel 1858 e mai rivisto da Nievo, morto in un naufragio al ritorno della spedizione dei Mille del 1860). Effettivamente la lingua del libro è di faticosa lettura come ho verificato nella monumentale e lussuosa edizione critica Treves-Treccani-Tumminelli del 1931, a cura di Fernando Palazzi, con 232 illustrazioni di Gustavino.

Non molta, anzi, la documentazione reperita negli scritti Carlo L. Ragghianti su Antonio Gramsci. C'è la lunga lettera, molto importante e dettagliata al normalista Giancarlo Fasano, in data 26 giugno 1953, che pubblicai sul “domestico” “SeleArte” (IV s., n.9, feb.1991, pp.31,32; fascicolo successivamente postato nel web il 4 febbraio 2017). Constatandone a suo tempo la mancanza di riscontro e stante la “miniera” di input che contiene, oggi la ripropongo in questo blog “Ragghianti&Collobi”.

Aggiungo a questa testimonianza anche tra altri interventi epistolari di R. riscontrati finora. La prima missiva (9 agosto 1954) è rivolta a Francesco Campagna, giovane meridionalista, e si riferisce soprattutto alla “revisione del marxismo in Italia”. Ad Antonio Gramsci è dedicato un paragrafo nel quale si precisa che egli “ebbe così viva e precisa l'ispirazione alla verità intellettuale”. Nella seconda lettera (26 aprile 1956) inviata a Giuseppe Mazzariol, si riporta lo stralcio che riguarda Gramsci, trascritto a causa del cattivo stato dell'originale fotocopia.

Altro stralcio proviene dalla lettera a Leo Valiani (23 ottobre 1976). Naturalmente altri e più diffusi riferimenti a Gramsci, alla sua opera, alla sua distinzione oggettiva dal leninismo/stalinismo si trovano in articoli, saggi, e soprattutto nel volume Marxismo perplesso (al quale si fa riferimento nella lettera a Valiani). Di questo libro dal febbraio 2022 inizieremo la ripubblicazione integrale, con l'aggiunta della documentazione relativa nei carteggi e nelle recensioni.

Su Antonio Gramsci, questo Padre della Patria, onorario perché non poté partecipare direttamente a quanto aveva seminato: alla redenzione del popolo italiano tramite la Resistenza; alla ricostruzione della nazione in Repubblica, fondata sul lavoro, riporto alcuni documenti significativi. La loro importanza non è soltanto documentaria, né aneddotica, riguarda aspetti singolari sia sul versante culturale che su quello biografico e di cronache che hanno investito l'indomito piccolo uomo di statura ma grande uomo d'animo, coraggioso e tenace, di cultura profonda, tale da segnare il pensiero del suo secolo e di essere indispensabile per sopravvivere in questo Duemila disastroso e disastrato.

Apre la rassegna Gramsci di Mario Berlinguer (1891-1969, antifascista Partito d'Azione, dal 1947 P.S.I., padre di Enrico indimenticabile segretario del P.C.I.) il quale su “Mercurio” (n.11, luglio 1945) traccia un commosso ritratto del conterraneo che con la sua azione e il suo pensiero “affermava così che i supremi valori sopravvivono alla nostra vita terrena”.

Su “L'Europeo” (n.34, agosto 1947) Sandro Volta (1900-1986) fa la cronaca del Premio Viareggio assegnato all'opera postuma di Antonio Gramsci assai contestato sia in Giuria che tra l'opinione pubblica. 

Enzo Forcella (1921-1999) su “il Mondo” (5 giugno 1975) è intervistato sul lavoro teatrale femminista Nonostante Gramsci, accusato di avere opinioni tradizionali persino sulla prostituzione. Il noto giornalista scrive anche

la pagina Conobbe Julca nel “Bosco d'Argento” centrato sul rapporto di Gramsci con le sorelle Schucht (Giulia fu sua moglie e madre di Delio e Giuliano). Nel reportage è presente anche un riquadro firmato dall'allora giovane Dacia Maraini che indagò l'alienazione delle sorelle Schucht e le contraddizioni in cui vivevano.

Nel 2003 (11 febbraio) su “La Repubblica”, Nello Ajello torna sull'argomento delle tre sorelle e del sanatorio “Bosco d'Argento” recensendo il romanzo di Adriana Brown L'amore assente. Gramsci e le sorelle Schucht nel quale si descrivono quaranta giorni di furore erotico di cui sono protagonisti, nel 1922, Gramsci e Eugenia Schucht. Insomma un Gramsci faunesco. L'articolista conclude “purtroppo non accadde, non poteva accadere. Occorre rassegnarsi. Non sempre la realtà è così romanzesca”. Mi vien da pensare che se non c'è scandalo, bisogna inventarlo, altrimenti non c'è gusto ad occuparsene. Perciò persino Gramsci può venire impunemente vilipeso.

Da “Storia illustrata” (nov.1979), mensile a cui fui abbonato dal primo numero negli anni '50, nella rubrica “società segrete” Giovanni Vannoni (1949-2017) rferisce su Gramsci e massoneria. Da leggere con amarezza, dato l'argomento in Italia per lo meno ambiguo. Sciogliere le società segrete da parte di Mussolini significava in realtà colpire i comunisti, i mazziniani e con preveggenza paranoide la “cospirazione antifascista”, la quale di fatto nacque proprio in seguito a questa legge e il Tribunale speciale.

Definirei increscioso infortunio la pubblicazione su “il Giornale” di Montanelli (14 dicembre 1979) della lettera al direttore titolata redazionalmente “Il fratello di Gramsci”. Oltre l'evidente intento denigratorio nei confronti di Antonio Gramsci, mettendo sullo stesso piano le opinioni iperfasciste e la detenzione in campo di concentramento in Australia del fratello Mario prigioniero di guerra. Costui viene definito “il fratello maggiore”. Tutto ciò non sembra possibile perché Antonio Gramsci morì nel 1937 a 46 anni; questo figuro fascista – fratello o omonimo - “a cinquant'anni compiuti fu liberato e rimpatriato”. Anche se questo ritorno fosse stato “anticipato” entro il 1945, Antonio Gramsci avrebbe avuto 54 anni. Inoltre di questo Mario nella lettera si scrive “morì a 52 anni”. Quindi certamente non era il fratello maggiore. Temo che questa pubblicazione fosse soltanto una fake news, grossolana per di più.

Il successivo documento, sempre estratto da “il Giornale” (9 aprile 1987) è un articolo di Massimo Caprara (1922-2009) già segretario personale di Palmiro Togliatti dal 1944 al 1964, deputato P.C.I., uscito dal partito nel 1968 in seguito ai misfatti di Cecoslovacchia. L'articolo è centrato su un incontro con Delio e Giuliano, figli di Antonio Gramsci, in occasione dei 50 anni dalla morte del padre. Una storia dolorosa, indegna conseguenza del contraddittorio comportamento dei dirigenti comunisti italiani e di altri paesi nei confronti di un “gigante” come Antonio Gramsci.

Da “Tempo Presente” (n.85-86, 1988) lo scritto di Vittoriano Esposito (1929-2012) critico letterario, La presenza del De Sanctis e del Croce nelle “Lettere dal carcere”. Si tratta di un buon contributo alla comprensione del pensiero gramsciano “con tutte le sue interconnessioni politico-culturali”.

­In prima pagina su “La Stampa” di Torino (25 maggio 1995) compare come articolo di spalla destra il breve contributo su Polemiche sull'egemonia. Il Vescovo, Gramsci e la scuola firmato da Geno Pampaloni (1918-2001). Questo intervento su Gramsci e la scuola ha un taglio particolare, tipico dell'acume critico dell'A., anche se un po' troppo ecumenico per i miei gusti. D'altra parte il Pampa (così lo chiamavamo spesso noi suoi collaboratori e “dipendenti” della Casa Editrice Vallecchi di cui egli era il Direttore editoriale) era sovente pungente e discutibile mai però oltre il primo sangue. E' consolante, comunque, che a fine secolo XX, si sostenga che il pensiero di Gramsci è tuttavia rilevante nella nostra cultura. Anche se il documento seguente è già sulla difensiva, dato che dimostra che per onorare la memoria di ciò che sono stati l'azione e il pensiero di Antonio Gramsci si deve ricorrere a provvedimenti costrittivi.

Infatti, concludo questa panoramica marginale però significativa con la riproposta di un articolo, ancora da “La Stampa” (1 marzo 1997) intitolato Ricordare Gramsci? A scuola è obbligatorio. Già imperava il Berluskaiser, quindi tempi cupi per le figure carismatiche di pensiero e d'azione di matrice socialista (quella vera, non Craxi che è stato il Renzi del P.S.I.) nonché martiri quale è stato Antonio Gramsci. Un grand'uomo per l'Umanità tutta. Pensando a lui mi consolo della turpe possibilità che un pregiudicato per reati comuni divenga tra un paio di mesi Presidente della Repubblica.

F.R. (1 dicembre 2021)




Marginalia su Antonio Gramsci, 1.




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