Carlo e Licia

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venerdì 28 settembre 2018

L'Arte Moderna in Italia 1915/1935 Testi critici, 2 - Ida Cardellini (Lorenzo Viani).


Post Precedenti:
1. RAFFAELE MONTI ( I ) - 16 giugno 2018


Ida Cardellini Signorini.


Grazie a Giovanni Maffei Cardellini abbiamo finalmente i dati anagrafici di questa studiosa precocemente scomparsa a Viareggio il 15 novembre 1981. Ida Cardellini, nata a Castelnuovo Garfagnana (Lucca) il 16 gennaio 1928, si laurea nel 1954 con C.L. Ragghianti presso l'Università di Pisa con una tesi su Desiderio da Settignano. Inizia quindi la carriera universitaria come assistente straordinario. Nel 1962 Ragghianti le affida l'amministrazione e l'organizzazione dell'Istituto di Storia dell'Arte in sostituzione di Giacinto Nudi e pubblica nella collana da lui diretta per le Edizioni di Comunità l'importante e originale volume Desiderio da Settignano. 


Con l'editore Bramante di Milano nel 1964 pubblica Michelangelo: architettura, pittura, scultura. Nel 1965 supera l'esame per la libera docenza e inizia a studiare Lorenzo Viani. Collabora, come quasi tutti gli allievi di Ragghianti, alla pubblicazione L'Arte in Italia dal 1967 per Casini Editore e alla ripresa del 1972 con Vallecchi. Nell'imponente collana di grandi dimensioni voluta e curata da Rosanna Codignola per la Nuova Italia di Firenze nel 1975 è autrice del volume Lorenzo Viani. Disegni, silografie scelti e annotati; sempre su quest'autore ha scritto "la prima biografia organica": Lorenzo Viani, CPeS editore, Firenze 1978. Nel frattempo Ida Cardellini si era sposata con il grafico Franco Signorini (defunto nel 2009) col quale ha avuto i figli Anna e Tommaso.



martedì 25 settembre 2018

Il 1948 dei critici d'arte - Il Convegno di Firenze, Atti (III) - Sezione 1B

Post precedenti:
23 luglio 2018. n.1 - Preliminari e inaugurazione.
26 agosto 2018. n.2 - Sezione 1A. Indirizzi, metodi e problemi di critica d'arte.




p.50
Il giovane Lorenzo Camusso (n.1923, Montevarchi), laureato in Storia dell'Arte, fece una relazione interessante ed articolata su Riflessioni intorno allo spazio architettonico e al metodo critico dalla quale si può dedurre che lo “spazio architettonico è uno spazio concreto fatto … di molteplici rapporti, non contemplato ma agito, maturato nella socialità, reso possibile dalla tecnica, modellato dal gusto”. Camusso è stato in seguito un dirigente di Adriano Olivetti, poi direttore editoriale da Vallardi e quindi da Mondadori, dove ebbe rapporti professionali con C.L. Ragghianti per varie pubblicazioni. Ricordo tra tutte il volume Scultura del Medioevo europeo (sec. VIII-XII) nella importante coedizione internazionale “Storia della scultura nel mondo”. Parenteticamente è il padre di Susanna Camusso, Segretario generale della C.G.I.L.

p.52
Renato Bonelli (1911-2004) architetto e storico, vicino a C.L.R. dal quale si allontanò per dissapori accademici e per la sua avversione alle porte del Duomo di Orvieto di Emilio Greco. Ragghianti non apprezzò che egli divenisse Segretario Generale di “Italia nostra”, che lo storico lucchese definiva “Italia lorum” e considerava snobistica, e talora controproducente. Queste considerazioni su Critica d'arte e critica architettonica dove quest'ultima “mostra tuttora di trovarsi in una fase meno progredita” sceverano il loro rapporto e le loro distinzioni, tenendo “sempre ben fermo che l'architettura è tutta nella forma espressiva; che in essa ogni contingenza empirica non può che risolversi nella figurazione; che per spiegare il rapporto arte-tecnica giova introdurre il concetto di linguaggio...”.

Dopo le due comunicazioni si apre la discussione su di esse con i seguenti interventi:

p.56
Vladimiro Arangio-Ruiz (1887-1952), filosofo e grecista, fratello minore di Vincenzo (il Ministro della Pubblica Istruzione, liberale!, che ostacolò in tutti i modi l'operato di Ragghianti alle Belle Arti), fa un intervento “retrògrado … nel senso che dà alla parola il Manzoni”, dichiarando inoltre che “Io sono persuaso che a proposito di tanta parte di arte moderna giustamente si può parlare di atrocità e svergognatezza, atrocia et pudenda”. Con alti riferimenti tende a concludere che “di codesta confusione, di codesto errore, è stata la conseguenza della legittimità dell'arte astratta la legittimità di ogni eccesso”. Parce sepultis, mi vien da dire, però storicizzando l'epoca ricorda persino io bambino e poi studente delle medie che queste erano le idee correnti più diffuse sia tra la borghesia che nel proletario. Infine l'A.-R. auspica “una restaurazione … che affretti il ritorno alla serietà, all'umanità delle arti e della poesia”.

p.59
Eva Tea (1886-1970), docente all'Università Cattolica di Milano, concorda con Nicco Fasola e Gengaro e spesa di “giungere ad una esperienza totale dell'arte in cui nessuna fonte si perda”.
p.59
Il sacerdote Tarciso Piccari, ufficioso rappresentante del Vaticano, si pone molteplici domande cui dà risposte plausibili come l'affermazione che “il critico … non è chiamato a filosofeggiare ed a risolvere il problema; né deve professare la sua fede. Deve ripetere in sé, in modo diverso il processo che ha fatto l'artista nell'opera d'arte”. Soddisfacendo così dicendo, penso, Carlo L. Ragghianti.

p.61
Interviene poi Bruno Zevi (1918-2000) laureato nel forzato esilio ad Harvard (dove studia con Walter Gropius), già libero docente in Italia, fa alcune osservazioni pertinenti e motivate sulle relazioni Gengaro, Camusso e Bonelli in particolare e conclude affermando che “chiunque abbia esperienza creativa d'architettura non può che ritenere del tutto cervellotica ed inadeguata la posizione critica “pittorica” dell'architettura.

p.62
Anche l'arch. genovese Mario Labò (1984-1966), storico e amico di lunga data di Ragghianti, interviene polemizzando con Bonelli soprattutto a proposito della confusione tra arte e tecnica, tra architettura in quanto creazione figurativa e architettura in quanto soddisfacimento di bisogni pratici e psicologici. Ne consegue che “il critico che sappia il proprio mestiere dovrà valutare nel risultato tutti i suoi presupposti ...”.

p.64
Quindi Renato Bonelli replica a Zevi e Labò precisando le sue osservazioni relative alla mancanza odierna di vere opere architettoniche e di un linguaggio di gusto attuale. Non bisogna poi confondere l'edificio con l'opera d'arte. “Perciò la distinzione fra struttura portante e distributiva da un lato, e architettura dall'altro è una delle conquiste alle quali non è possibile rinunciare”.

p.65
Italo Cremona (1905-1979) artista torinese, scenografo, scrittore, storico e critico, amico d'anteguerra di Carlo L. Ragghianti, tramite Aldo Bertini che gli fece conoscere Mollino, Paulucci, Casorati. Considerato surrealista, C. svolge alcune stimolanti considerazioni sulla cultura artistica europea tra '800 e '900. Deplora quindi una certa acquiescenza alla critica francese da parte di quella italiana, perché rischia di “balcanicizzarci”.

p.66
Chiude questa serie di interventi Luigi Coletti (1886-1961), storico e critico d'arte veneto, medaglia d'argento al v.m. nella Prima Guerra Mondiale, fascista presto pentito, afflitto da qualche tic (non dare la mano o sentire dopo il bisogno irrefrenabile di disinfettarsi), però molto rispettato da C.L.R. che lo considerava un professionista coscienzioso, uno studioso non originale (tant'è che non viene citato nel Profilo della critica d'arte) ma affidabile. Coletti esprime con Il linguaggio figurativo la convenzione della necessità di distinguere nel fatto artistico il momento linguistico e il momento poetico.
F.R.

venerdì 21 settembre 2018

Aurelio De Felice scultore.

Siccome nel commento alla “scheda” di Orneore Metelli nell'ambito della riconsiderazione che stiamo facendo nel blog della mostra Arte Moderna in Italia 1915-1935 ho parlato dello “scopritore” del “Doganiere Rousseau italiano” (vedi il post del 3 luglio 2018) in termini anche un po' severi, gli devo un'ammenda, che esprimo rievocando il suo lavoro in questo post.
Effettivamente le sculture di Aurelio De Felice, in un certo senso allievo devoto di Pericle Fazzini, sono di una indubbia originalità e di un forte impatto visivo che le fa distinguere positivamente nel pure ricco panorama della scultura italiana operante attorno alla metà del Novecento.
Osservo ancora una volta, e non sono certo il primo che lo fa, che nella considerazione critica dell'operato di un artista bisognerebbe, se non proprio ignorare, non dare soverchia importanza e non farsi condizionare dal vissuto della persona. Cosa praticamente impossibile anche perché, dovendo dire qualcosa quando si scrive, gli aspetti biografici sono la scorciatoia più sicura per allungare il “brodo” e stimolare l'attenzione del lettore “medio”, quello cioè che non è uno specialista, un addetto ai lavori, un critico o uno storico dell'arte.
F.R. (20 maggio 2018)

La seguente scheda di due pagine proviene dal corposo ed esauriente volume/Catalogo Arte in Italia, 1935-1955 (U.I.A., Firenze e Edifir, 1992) ed è stata scritta da Antonello Trombadori con Valerio Rivosecchi. Segue una carrellata di opere che documentano aspetti dell'attività dell'artista ternano morto nel 1996.

mercoledì 19 settembre 2018

{bacheca} Sempiterna Italia, 8. Editoria assistita.

Il caso dell'editoria assistita da governi, enti, banche, ecc. o asservita addirittura a interessi particolari delle medesime istituzioni è un vecchio problema nel nostro paese. Esso è ieri come oggi particolarmente fiorente nonostante la crisi economica, circoscritta in realtà soprattutto a chi paga le tasse e che è onesto in tutte le proprie manifestazioni sociali. Sarà l'editoria assistita anche domani fiorente perché sollecita una miriade di interessi indiretti e collaterali e perché – sociologicamente – premia le uniche “virtù” veramente apprezzate nella nostra nazione: furberia e privilegio. Tuttora troppe edizioni della Zecca, della Treccani, di banche, di appositi organi editoriali, ecc. pubblicano libri e collane spesso culturalmente irrilevanti con criteri che nulla hanno a che spartire con quelli istituzionali o di pubblica 
utilità. Questa notizia da “SeleArte” (n.4, gen.-feb. 1953) non è nemmeno divertente. Ci ricorda soltanto la continuità fra uno stato formalmente democratico ed uno stato dittatoriale. Infatti lo dimostra la nullificazione negli ultimi ottant'anni del voto popolare non gradito, non conforme che viene disatteso di fatto da chi detiene il potere reale, intercambiabile secondo convenienza e opportunità in destra, sinistra, centro e fantasiose varianti improprie. Il critico d'arte di “incredibile trivialità” al quale si fa accenno nel testo è Francesco Sapori (1890-1964) compiaciuto estensore de Il duce e l'arte ed altre agiografie, poligrafo fascistissimo. Nel dopoguerra è stato soltanto dimenticato, mai sanzionato ovviamente.
F.R. (15 giugno 2018)


domenica 16 settembre 2018

L'Arte Moderna in Italia, 1915/1935 - 9. Edita e Mario BROGLIO.



Post precedenti:

1. 30 dicembre 2017
Presentazione di Carlo L. Ragghianti.
Criteri del Catalogo, Bibliografia generale. Comitato d'onore; Comitato esecutivo; Comitato tecnico; Comitato di consulenza nazionale; Consiglio A.T.T. di Firenze; Consiglio de “La Strozzina”;  organizzatori percorso museografico; segreterie; fornitori dell'esposizione.
2. 31 dicembre 2017
Criteri assegnazione schede critiche; criteri per la consultazione del Catalogo e quelli distintivi di questa rievocazione.
Artisti: ALCIATI, Nino BARTOLETTI, Pasquarosa BARTOLETTI, BIASI, BONZAGNI, BOSIA, BUCCI, CHECCHI, COSTETTI, FERRO.
3. 28 febbraio 2018
Artisti: GALIZZI, GEMITO, GRAZIOSI, Piero MARUSSIG, OPPI, PENAGINI, PRENCIPE, SPADINI, WILDT.
4. 25 marzo 2018
Artisti: BACCI, DUDREVILLE, GOLA, MAGRI, PARESCE, RAMBELLI, BARTOLI NATINGUERRA, GUIDI.
5. 15 aprile 2018
Artisti: BARTOLINI.
6. 4 maggio 2018
Artisti: SAVINIO, TROMBADORI, MONACHESI, FONTANA, MUNARI, FRANCALANCIA.
7. 3 luglio 2018
Artisti: FURLOTTI, METELLI, BARBIERI, BROGGINI, CAGLI, CAPOGROSSI.
8.
Artisti: CESETTI, FAZZINI, GENNI WEIGMANN, GENTILINI, GUTTUSO.

venerdì 7 settembre 2018

Arte dell'Africa nera, 3. 1970-1979 (seconda parte)

Carlo L. Ragghianti.



In Meditazioni africane (“Critica d'Arte”, n.151-153, gen. 1977, pp. 183-204) l'autore nelle prime righe avverte che si tratta di riflessioni che ha fatto, sta facendo con l'intenzione di proseguirle a farle. Segue con La scultura africana (“La Nazione”, Firenze 4 dic. 1977, p.3; su “Il resto del Carlino”, Bologna, stessa data col titolo L'arte negra) la recensione che l'a. – direttore della collana – fa al volume Scultura africana nei Musei italiani pubblicato da Calderini (si veda anche nel post “n.3 – Prima parte” del 6 agosto 2018 la recensione che ne fa Licia Collobi). Conclude questa rassegna l'articolo pubblicato su “La Nazione” e su “Il resto del Carlino” (27 gen. 1979, p.3) intitolato La terra dei Niam Niam nel quale C.L.R rievoca l'esploratore lucchese Carlo Piaggia (1827-1982) uno dei miti della sua infanzia. Questo viaggiatore fu senz'altro una figura atipica tra gli avventurieri (si pensi all'avido e crudele Rimbaud) che esplorarono il continente africano con l'intenzione di colonizzarlo e di sfruttarne risorse e persone, considerate spesso non pienamente umane. 
Per restare alle concezioni dell'epoca certamente secondo Lombroso la testa del Piaggia non sarebbe considerata evoluta, dimostrando la fallacia delle classificazioni fisiognomiche che – prese sul serio – hanno fatto discriminare e soffrire milioni di essere umani generando tanti piccoli Hitler, che non sono scomparsi ancora, anzi – a seguire le cronache aberranti dei nostri giorni – proliferano sempre meno contrastati in tutto il mondo. Allego una piccola curiosità: il necrologio di Carlo Piaggia scritto da Edmondo De Amicis, una sorta di Saviano d'epoca ma completamente rangé. Questo testo è tratto dalla rivista fine Ottocento “Giornale Illustrato dei viaggi e delle avventure di terra e di mare” n.184, 9 marzo 1882, al quale C.L.R. si interessò da ragazzino, così come ho fatto anch'io rinvenendone da adulto un paio d'annate e che fu una delle principali fonti a cui si abbeverò il visionario sedentario Emilio Salgàri. Nel quarto ed ultimo post di questa serie (1880-1987), riporteremo sinteticamente l'impegno profuso da C.L.R. per le onoranze del centenario della morte del Piaggia, oltre ai suoi ultimi testi specifici sull'arte dell'Africa nera.

F.R. (5 luglio 2018)

sabato 1 settembre 2018

Riccardo Morandi - Disastri e Monumenti.

La tremenda catastrofe verificatasi a Genova col crollo del viadotto dell'Autostrada A10 ha scosso Rosetta - urbanista - e me come cittadini e come cultori (detto senza presunzione) delle arti, comprese l'architettura ed il design tecnologico.
Ci siamo posti come tutti l'interrogativo di come siano stati possibili questo disastroso crollo e questa strage e di chi siano le responsabilità. Quanto alla colpa, è evidente sin da ora che sono multiple, scandite nel tempo fin dalla progettazione alla attuale manutenzione. Si spera soltanto che gli inquirenti non lascino spazio ad ambiguità e ad inammissibili scaricabarile, attribuendo il crollo a cause generalizzate di uomini, tecniche e materiali,cioè in concreto non attribuibile a effettivi responsabili.
Per quanto riguarda invece il perché ciò sia avvenuto non c'è dubbio che il progetto originale di Morandi non può non essere coinvolto nella colpevolezza di quanto accaduto. L'unico distinguo lecito a questo proposito è rappresentato dall'attribuire “buona fede” all'ing. Morandi nell'utilizzare tecniche e materiali soltanto all'epoca considerati sicuri anche dalla comunità scientifica e tecnologica. Altrimenti, anche in caso di capolavoro artistico acclarato, l'aver forzato con presunzione la propria tesi di tenuta e durata delle tecniche e dei materiali è colpevole, almeno ai nostri occhi. Ma anche ciò dovrà essere dimostrato competentemente ed inequivocabilmente.
Scriviamo a questo proposito soprattutto perché in qualche modo “seleArte” si è trovata coinvolta nella critica non agiografica ma costruttiva dei criteri e metodi dell'ing. Morandi. Nel 1964 su “seleArte” (n. 69, mag.-giu., pp. 64-73), rivista che è sempre stata attenta all'architettura ed all'ingegneria innovativa anche dei ponti e dei viadotti - da quello di Messina (vedi il nostro post del 28 marzo 2018) ai Freyssinat ecc., fino, appunto, alle progettazioni e realizzazioni dell'ing. Riccardo Morandi - è stato pubblicato un lungo intervento siglato G.L.M (Gian Lorenzo Mellini).
In quell'anno Gian Lorenzo (1935-2003), un caro amico e collega di lavoro nell'Arte in Italia edizioni Casini, era redattore di “Critica d'Arte”, l'altra e prima rivista fondata e diretta da mio padre, la cui redazione era contigua a “seleArte” in piazza Vittorio Veneto 4 (Fi). Non so se sia stato sollecitato dal direttore o se sia stato Mellini a proporre lo scritto per “seleArte”.
Quanto e come considerasse il Morandi all'epoca Carlo L. Ragghianti non mi pare esplicitamente documentato. Personalmente posso testimoniare che durante il viaggio a Bologna (1964) per i funerali di Giorgio Morandi (grande omonimo), mio padre fece considerazioni elogiative sull'Autostrada del Sole, costruita in pochi anni in modo eccellente da ingegneri competenti e innovativi degni di maestri di una tradizione che aveva operosi Pier Luigi Nervi e Riccardo Morandi. Considerando l'intera opera di questo progettista dal punto di vista visivo, essa mi sembra indubbiamente moderna ma di una monotonia formale notevole, soprattutto riguardo a ponti e viadotti, per altro la sua precipua specialità. Quindi ritengo che per C.L.R. l'apice della creatività di questo Morandi si fermi a quel tempo e che egli non abbia in seguito approfondito quel generico giudizio.
Fatto sta che mio padre approvò questa recensione diffusa e consistente al libro di G.Boaga e B. Boni (Riccardo Morandi, edizioni di Comunità, Milano 1963). si tratta di una monografia antologica con pagine autobiografiche del notissimo ingegnere considerato . Come si direbbe oggi – una “eccellenza” del ramo, secondo soltanto al celebre Pier Luigi Nervi di solida e meritata fama internazionale. A scanso di equivoche interpretazioni – e detto senza malizia e tanto meno intenti denigratori – le Edizioni di Comunità in quegli anni erano convenzionate con l'Istituto di Storia dell'Arte dell'Università di Pisa, diretto da Carlo L. Ragghianti, e che nel 1965 pubblicarono l' Altichiero e Jacopo Avanzi di Mellini, davvero un libro importante che disvelava uno storico dell'arte di rare capacità critiche e metodologiche. 
Riproduciamo qui di seguito, vuoi per ricordo di un amico e di uno dei pochi allievi che sia stato accettato come autore oltre i coniugi 
Ragghianti per “seleArte”, vuoi come documento storico, le pagine dello scritto di Mellini, trentenne già studioso di qualche eclettismo e dai molteplici interessi affrontati con rigore e spirito critico, come dall'insegnamento del suo maestro Carlo L. Ragghianti. Con il quale, a dire il vero – data la forte personalità convinta delle proprie potenzialità e ragioni – salvi i rapporti di stima e di rispetto, Mellini si allontanò dal maestro senza polemiche pretestuali o volta faccia, come avvenuto invece in altri casi di “scholari”. Casi che peraltro e purtroppo sono abbastanza consueti nel mondo accademico e professionale.
Sopra ho scritto “documento storico” perché dalla sua lettura si evince l'assenza totale di implicazioni pericolose nell'applicazione delle tecnologie utilizzate. Ciò conferma che talvolta di fronte a contesti tecnologici in atto non si è in grado, o almeno pienamente in grado di calcolarne certe conseguenze, almeno in condizioni accertate e controllate con le metodologie a disposizione e ritenute generalmente idonee. Soprattutto per ciò che concerne i critici e gli storici d'arte e di architettura.
Il Brunelleschi nella Cupola del Duomo di Firenze ha inventato tecnologie inedite e inimmaginabili all'epoca. La struttura è ancora là e – dicono tutti i competenti – in ottima salute. Certo sono più di cinque secoli che la Cupola ed il Duomo sono quotidianamente monitorati e “riparati” là dove necessario. Altrettanto – è già accertato fin dalle prime indagini – non è avvenuto con la debita tempestività per il viadotto genovese, né per altre opere di Riccardo Morandi sparse per tutta la penisola. Senza entrare nel merito dei dettagli tecnici di questa gravissima sciagura avvenuta a Genova il 14 agosto 2018, bisogna citare una importante dichiarazione di Renzo Piano perché determinante e dirimente nel sottolineare la necessità della “diagnostica” sui manufatti architettonici definiti “corpi viventi”, coincidendo così col pensiero di Carlo L. Ragghianti. Dunque questa tecnologia “diagnostica” deve essere sempre considerata aprioristicamente nelle ispezioni manutentive. Il senatore a vita per meriti culturali ed artistici ammonisce: “All'opposto della fatalità c'è la scienza. L'Italia è un paese di grandi costruttori, progettisti geniali, scienziati ed umanisti. E però non applicano quella scienza che viene prima della manutenzione e si chiama diagnostica. In medicina nessuno fa niente senza diagnosi. I ponti, le case e tutte le costruzioni vanno trattati come corpi viventi. In Italia produciamo apparecchiature diagnostiche sofisticatissime e strumentazioni d'avanguardia che esportiamo in tutto il mondo. Ma non li usiamo sulle nostre costruzioni.” L'auspicio di Piano è che questa tragica lezione venga compresa.
In conclusione, se qui si parla di disastri in relazione alle sole “opere d'arte” ciò avviene perché riviste come “seleArte” e “Critica d'Arte”, come in generale gli interessi culturali e professionali dei Ragghianti, sono specifici e specialistici in questo ambito. Le costruzioni architettoniche e ingegneristiche, siano o no monumenti, possono essere coinvolte in disastri (quale che ne sia la causa) in un rapporto incidentale che – salvo eccezioni straordinariamente catastrofiche – è osservabile o prevedibile. C' è anche un collegamento sociale indissolubile nella storia dell'arte tra opere uniche per qualità estetica e ciò che le può insidiare, che deve essere affrontato con apposite metodologie. Quindi diagnostica, monitoraggio, manutenzione e restauro sono un dovere da parte di chi sovrintende o è garante dei “monumenti” nei confronti di tutti i cittadini. Enti pubblici e gestori sono soggetti ad una responsabilità oggettiva, legale dei beni a loro affidati in amministrazione. Non si scordi, infine, che dalle opere d'arte dell'uomo (paesaggio compreso) dipende non solo la specifica qualità turistica del nostro Paese ma anche il suo benessere materiale tramite una ricaduta economica costante ed importante.
F.R. (15-16 agosto 2018)
P.S. - Causa le sacrosante ferie di chi immette in rete i nostri interventi, questo post - non programmato - non è stato pubblicato tempestivamente.