Carlo e Licia

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domenica 25 ottobre 2020

Ragghianti e l'architettura del XX secolo.

Sono passati cinque anni dalla pubblicazione dell'importante volume – diffuso opportunamente ad un prezzo di copertina contenuto e accessibile – Per mio conto e fuori dalle convenzioni scientifiche. Carlo L. Ragghianti, scritti sull'architettura del XX secolo, curato da Valentina La Salvia. Se è vero che i libri – in buona parte per un verso o per altro – una volta pubblicati hanno vita se non proprio imperitura almeno degna di sopravvivenza perché il loro contenuto è un contributo di qualche originalità, correzione, reinterpretazione ecc. ecc. alla comprensione delle umane vicissitudini, questo è un libro indispensabile. Se è anche vero che alcuni libri sono importanti alla loro comparsa e – stante il loro contenuto, il loro argomento, la loro innovazione – si propongono a diventare nel tempo classici, anche in questo caso ne ha i requisiti questo volume edito dalla Fondazione Ragghianti di Lucca.

Essendo stato del mestiere, so che la distribuzione e la promozione dei libri dopo la pubblicazione è condizionata e spesso danneggiata dall'incalzare nel mercato da altre decine e altre centinaia (a seconda della tipologia) di proposte concorrenti. L'inadeguatezza dei magazzini distributivi e degli spazi nelle librerie fà si che le opere precedenti vengano accantonate anche dopo pochi giorni, poi rese all'editore (a volte nelle stesse scatole chiuse nelle quali le opere sono sate mandate dall'editore) o dimenticate nel caos della gestione della libreria. Ai libri editi da tempo, salvo la faticosa consultazione nelle poche biblioteche pubbliche, non resta altra possibilità di essere richiesti espressamente al libraio da cultori e studiosi, spesso con iter burocratici defatiganti, oppure a quegli editori che gestiscono anche la vendita diretta delle loro opere. Quindi perché un “vecchio” libro sia di nuovo presente, richiesto, occorrono occasioni di riproposta, la quale per quanto circoscritta e debole come questa nostra, possa produrre una riviviscenza diffusiva. Ed è proprio questo un motivo aggiuntivo di questo post.

A proposito di pubblicità mi permetto di suggerire alla gestione editoriale della Fondazione Ragghianti di Lucca di promuovere la disponibilità delle proprie edizioni con un inserto pubblicitario nelle proprie pubblicazioni periodiche “Critica d'Arte” e “Luk”. Oltre a qualche pubblicità “istituzionale”anche la “Critica d'Arte” diretta da Carlo L. Ragghianti conteneva in fondo al fascicolo – quasi sempre stampato su carta differente da quella dei testi critici – almeno un ottavo di proposte editoriali presentate in vari 

modi, con testi diversificati secondo il target degli utenti presumibili.

Per ciò che specificatamente riguarda il libro Per mio conto.., ne riportiamo alcune pagine come esemplari dell'edizione. Quindi oltre alla copertina, al frontespizio, alla presentazione di Maria Teresa Filieri, nel 2015 direttore della Fondazione Ragghianti, seguono il Regesto degli scritti di C.L.R. sull'architettura contemporanea e l' Indice del libro (vorrei ricordare a proposito di tutti gli scritti di architettura di R. il prezioso fascicolo curato da Marco Scotini – supplemento al n. 13 di “seleArte”, IV serie, 1992, pp- 32 – postato anche in questo blog il 15 maggio 2017). Non riproduco – ripromettendomi di farlo in futuro – il fervido saggio di Valentina La Salvia, per non togliere efficacia all'invito precedentemente dichiarato di far acquistare questa importante opera di consultazione.

In Per mio conto... è altresì riportato il testo di Architettura liberatrice (fascicolo monografico di “Critica d'Arte”, n. 105, sett. 1969) insieme ad alcune illustrazioni. Questo saggio di C.L. Ragghianti fu anche utilizzato come introduzione per la mostra Architettura giapponese contemporanea (Firenze, Orsanmichele, 1969). Nel testo per la Mostra, salvo alcune righe iniziali aggiunte, si riscontrano alcune difformità di righe o parole e minime varianti non incidenti. Dal Catalogo perciò riprendiamo e riproduciamo per questa sede la traduzione in inglese dell' Introduzione di C.L.R. il quale in verità è stato poco tradotto all'estero. Di consolazione c'è il fatto che – almeno fin'ora – gli storici dell'arte e di discipline affini stranieri in larga parte conoscono la nostra lingua.

Tra gli scritti prebellici di Ragghianti pubblicati nei Commenti di critica d'arte (1946) non compresi in Per mio conto... perché d'argomento affine però non specifici, trovo Architetture scolastiche e loro significato, che ripropongo qui in quanto riguarda la genesi del concetto di Città universitaria in un progetto d'epoca Napoleone III “che meritava di segnalare, non solo per l'intrinseco interesse, ma anche per confrontarlo alle moderne iniziative che hanno luogo in molti paesi, con ispirazione e con applicazioni conformi”. Il che in Italia non è avvenuto quasi mai, salvo approssimazioni come la fascistica Università La Sapienza di Roma e nel dopoguerra l'Università di Urbino (ideatore e rettore Carlo Bo). Ma anche questi due esempi sono ben lontani dai migliori campus anglosassoni.

F.R.(15 agosto 2020)

giovedì 22 ottobre 2020

Alberto Viani (2) e Stéphane Mallarmé (2)

Controllando un pacco di estratti e ritagli inerenti il 1979, trovo ne “Il Giornale” del 21 giugno la recensione di Mario Luzi alla cartella grafica edita nello stesso anno da Maria Luigia Guaita per la sua esemplare stamperia d'arte “Il Bisonte” di Firenze.

Il poeta fiorentino, inoltre, aveva scelto per la cartella i brani poetici di Mallarmé (compresi alcuni da L'après midi d'un faune, che abbiamo pubblicato interamente in francese nell'edizione di una cartella di litografie a colori di Aldo Salvadori nel post Impressionismo, 1. Ragghianti, Manet, Mallarmé nel web dal 20 luglio 2020). Luzi aveva anche tradotto questa scelta in propri versi.

Essendo gli allora ancora viventi Viani, Guaita, Luzi amici dei miei genitori e il poeta Mallarmé tra i più ammirati da Licia Collobi Ragghianti, ricordo questa fausta iniziativa editoriale riproducendo il coevo dépliant de “Il Bisonte” e la nota di Mario Luzi.

Le sei magnifiche incisioni di Alberto Viani riflettono al meglio sia la tecnica grafica sia i temi originali del pensiero agito dall'artista, nato a Quistello, piccolo territorio che ­ come spesso ricordava C.L.R. - ha arricchito il mondo delle arti visive del 1900 con diversi artisti di talento e fama, dei quali ricordo soltanto Pio Semeghini e Giuseppe Gorni.

F.R. (31 agosto 2020)

domenica 18 ottobre 2020

{Scaffale di Irene} Ritratto di una donna libera: Jane Digby El Mezrab (1807-1881).

Questo mese vorrei riproporre un articolo, che scrissi anni fa per il blog culturale che allora gestivo, incentrato sulla figura avventurosa e pionieristica di questa bellezza ottocentesca, Jane Digby.

Scoprii per la prima volta della sua esistenza attraverso un ritaglio di giornale scovato nell'archivio di famiglia e per approfondire sulla vita eclettica che condusse, mi rifeci alla biografia scritta nel 1996 da Mary S. Lovell: A Scandalous Life: The Biography of Jane Digby (della stessa autrice, le biografie delle sorelle Mitford).

Fin dall'inizio la personalità di questa donna mi ha colpito come un'emblema di pre-femminismo romantico, entrambi termini piuttosto abusati ma in questo contesto intesi come un'affermazione cosciente della propria individualità femminile che si distacca dai requisiti “convenzionali” dell'epoca per appagare invece non solo desideri ma anche sete di conoscenza e necessità di scoprire sensibilità differenti dalle proprie; permettersi di abbandonare il “decoro” imposto e accogliere la spinta delle emozioni sbrigliate.

Jane Digby nasce il 3 Aprile del 1807 da due nobili famiglie del Dorset, in Inghilterra i Digby ed i Coke. Già in tenera età Jane si dimostrò una valida eroina romantica scappando con bande di zingari attratta dalla vita girovaga e libertina o tentando di imparare a cacciare fagiani al galoppo. Il debutto in società la vide una trionfante bellezza sedicenne “alta e snella, con occhi blu-violetto, ciglia lunghe, capelli dorati, portamento elegante e labbra che ti tentano a maledire il Cielo pur di toccarle”, fu scritto di lei.

L'ottimo pedigree da parte di entrambi i genitori, che vantavano una schiera di Sir e Lord ben affermati nell'ambiente militare e in quello politico, insieme all'aspetto attraente e perfettamente in linea con i canoni di bellezza del tempo, le ottennero il premio ambito e a diciassette anni viene data in sposa al 34enne Edward Law, II Barone di Ellenborough (che poi diventerà il primo Conte). La felicità matrimoniale ebbe vita inesistente, si vociferò che già la luna di miele fu disastrosa e il neosposo si consolò con la figlia della cuoca dell'hotel.

Immagine orribile per la donna moderna tentare di mettersi nei panni della Jane adolescente che si ritrova inesperta, dimenticata e presto disillusa nel letto matrimoniale, eppure dell'epoca ci sono sono arrivate storie simili appartenenti il passato di tante delle donne 

che poi divennero personaggi rimarchevoli e affascinanti. Eppure la storia va avanti, ma non cambia mai poi troppo.

Il marito – diciassette anni più vecchio della moglie – ottenuto un figlio nel 1828 si dimenticò ancor più completamente della moglie e tornò a condurre la propria vita di simil-scapolo indipendente, passando da un'amante all'altra.
Jane, corteggiatissima per l'aspetto ma anche per l'eccezionale vivacità intellettuale e di spirito, non sopportò a lungo – come la maggior parte di noi donne, se siamo oneste – d'essere messa da parte e invece di accettare passivamente una vita di infedeltà e rancore, prese le redini della propria vita di giovane donna tra le dita e iniziò coraggiosamente a fare i fatti suoi. E' così che si avvia una lunga serie di scandali che la videro protagonista, ma si avvia soprattutto l'annosa e avventurosa ricerca di sé stessa e dell'amore.

Nel 1828 conobbe il ventisettenne Capitano degli Ulani e Principe boemo Felix Schwarzenberg e divennero presto amanti, evento che la tumultuosa ma candida Jane pare urlò a squarcia gola a mezza Inghilterra salendo sul tetto dell'edificio. Nonostante un matrimonio tra i due non fosse prevedibile, ormai incinta Jane chiese al marito che le concedesse il divorzio per poter seguire l'amante nel continente.

Il divorzio era ancora una questione annosa e scandalosa nel diciannovesimo secolo e nonostante Ellenborough riuscì ad ottenere il necessario atto del Parlamento per ottenere lo scioglimento del matrimonio grazie alla sua posizione politica, la notizia rimase sui giornali e sulle bocche di gossip a lungo. Venne esclusa ed allontanata totalmente dagli ambienti aristocratici inglesi, e persino dalla famiglia: nella casa paterna il suo ritratto viene tolto dalle pareti della galleria dei ritratti di famiglia.

A questo riguardo Honoré de Balzac, che incontreremo più avanti lungo la strada di Jane Digby e che a lei si ispirò per la protagonista Lady Arabelle Dudley nell’opera Giglio nella Valle, scrisse:

Mai una nazione tramò in modo più elaborato per l'ipocrisia di una donna sposata ponendola sempre tra la vita sociale e la morte. Per lei non c'è compromesso tra vergogna e onore; la caduta è totale, o non c'è caduta; è tutto o niente.”


giovedì 15 ottobre 2020

Gérard de Nerval. C.L. Ragghianti: L'alienato. Appendici: 1. Tommaso Landolfi; 2. Poesie di Nerval; 3. All'asta il suicidio di Nerval.

Gérard de Nerval (1808-1855), scrittore e poeta francese, è stato un enfant-prodige: si fece conoscere giovanissimo nel 1826 con Napoléon et Talma, élégies nationales nouvelles, quindi tradusse il Faust di Goethe nel 1828. Pur conducendo un'intensa e sregolata vie de bohème lavorò intensamente; fu grande viaggiatore in Europa, in Africa e Medio Oriente, così come Flaubert e altri illustri intellettuali francesi. Soffrì di svariati disturbi mentali. A questo proposito mi domando se lo pseudonimo Nerval non se lo sia assunto per la radice nerv. E' considerato precursore di Baudelaire e di Mallarmé e da qualcuno del Surrealismo. Anche se per lungo tempo la sua poesia fu valutata marginale, espressione minore del Romanticismo, la critica moderna lo ha rivalutato riconoscendone i meriti e l'originalità.

Appassionato fin da ragazzo della letteratura e della storia francesi, Carlo L. Ragghianti ha pubblicato dapprima su “La Nazione” del 17 dicembre 1977 questo testo col titolo Diritto alla follia. Comparve poi, con consuete lievi modifiche in “Critica d'Arte” (n. 163-165, gen.-giu. 1979) nel contesto del “Diario critico” dello studioso lucchese.

La vibrante illustrazione di Gustave Doré mostra l'interpretazione del suicidio di Nerval con pietas e una intensa inconsueta drammaticità da parte di un autore più famoso – anzi celebre – di quanto meriti.

Nella Appendice 1 il segnaletico ritratto fotografico che Nadar fece al poeta nell'anno della sua morte, cui seguono le testimonianze di quattro contemporanei. Un disegno di Nerval (fu anche artista, come lo fu Victor Hugo) affianca l'inizio dell'articolo di Tommaso Landolfi (1908-1979) pubblicato nel volume Gogol a Roma (Vallecchi editore, Firenze 1971) e in origine ne “Il Mondo” del 28 giugno 1955, p. 8. Segue un disegno della documentazione per ottenere il brevetto dello Stereoscopio, precursore della linothype, inventato – davvero – da Nerval.

Nella Appendice 2 si riporta una esauriente silloge, in lingua originale, di poesie di Gérard de Nerval, scelte da Tommaso Landolfi e Mario Luzi (1910-2005) per la ancora valida Anthologie de la poésie lyrique Française, edita da Sansoni, Firenze 1950.


lunedì 12 ottobre 2020

Seneca.

Lessi nel 2004 il saggio di Carlo Antoni su “Pan” ( III, 1935), in un momento di depressione e quindi scrissi il sonetto riprodotto in questo post. Oggi ritrovo l'inserto in un frangente di depressione personale con l'aggravio di una situazione generale del Paese e del Pianeta particolarmente difficile, violenta, volgare simile al 1938-'39: perciò foriero di orrori insopportabili.

Mi viene anche in mente il celebre detto di (o attribuito a) Karl Marx, secondo il quale “la storia si ripete sempre due volte: la prima volta come tragedia, la seconda come farsa”. Auspico vivamente che questo aforisma sia veritiero e che persino stavolta l'Umanità eviti il peggio, anche se certe farse sono crudeli, talvolta cruente. Però d'altro canto sembra una risposta approssimativa all'altrettanto famosa teoria pendolare di G.B. Vico. Comunque brutte conseguenze ci sovrastano come una spada di Damocle il cui freno si sta rilasciando.

Penso che il saggio di Carlo Antoni, bellissimo, sia tuttora ­ e lo sarà in futuro, così come altri aspetti di Seneca ­ importante, per non dire basilare, se e perché “sostituisce nel suo lessico alla parola res pubblica la parola imperium, ma questo impero è ancora splendido e può ancora 

riacquistare l'antica grandezza, qualora sia retto non dall'assurda passione, ma secondo i sacri principi della ragione universale”. Comunque resta il fatto che “le sue idee sul dolore e sulla morte, sull'uomo e su dio, sul diritto di natura e sulla schiavitù, per quanto costrette nel sistema stoico ormai stereotipo, opereranno con continuità attraverso diciotto secoli, associate al cristianesimo o riapparse in forma autonoma”.

Oggi che un Trump non è molto diverso da Nerone, forse è anche peggio perché è un rozzo, incolto, egolatra che irride la cultura e sopprime - se gli riesce - qualsiasi dissenziente, riflettere assieme a Seneca è costruttivo.

Di Seneca si riporta una pagina, da una Antologia scolastica curata da Gina Lagorio, quale esempio circa l'asservimento (fino alla sua forma estrema di schiavitù) e la propria morte.

Non bisogna scordare che Carlo Antoni scrisse il saggio sotto il tallone fascista e che di conseguenza questo testo va interpretato anche in chiave di riscatto e la liberazione di sé, della propria coscienza almeno, se non è possibile altro.

F.R. (4 giugno 2020)

giovedì 8 ottobre 2020

Ragghianti e Boldini.

Essendo stata assegnata a Raffaele De Grada jr., autore di una pregevole monografia sull'artista, la scheda della Mostra “Arte Moderna in Italia 1915-1935”, i rapporti tra il “grande” pittore ferrarese e Ragghianti essendo là solo accennati, vengono riassunti in questo post.

Certamente un pittore del calibro di Giovanni Boldini (1842-1931) è sempre stato osservato e considerato da C.L.R., oltretutto fin da giovanissimo cultore accanito e profondo dell'Ottocento francese in tutte le sue manifestazioni. Naturalmente al giovane R. (prima dell'incontro e della frequentazione di Eugenio Montale) interessarono la letteratura sì ma soprattutto le vicende politico-sociali, con particolare attenzione sulla sofferta democraticità di quel paese afflitto dall'antisemitismo culminante nell' “affaire Dreyfuss” e nella sofferente ed incerta Repubblica laica, studiata anche quale presupposto degenerativo che, per altri versi, portò all'affermazione del fascismo in Italia.

Apro una parentesi per rammentare un aspetto dell'influenza sulla mia formazione da parte del babbo. Non è infatti stato casuale che nella adoloscenza io abbia letto i libri dello storico Daniel Halewy (di cui ricordo soltanto un titolo: République des ducs) e del grande Anatole France dei romanzi incentrati ne L' Histoire contemporaine, nonché Emile Zola e i realisti eppoi il livello eccelso di Flaubert e di Maupassant. Questi input, come direbbe un simpatico robot cinematografico, caldeggiati da mio padre sono stati fondamentali, cosa per cui gli sono tuttora grato.

Sul terreno delle arti figurative, C.L.R. cominciò ad essere assiduo studioso soltanto dopo l'incontro con Matteo Marangoni all'Università di Pisa, benché fin da ragazzo ne praticasse l'esercizio tecnico e fattuale tramite il pittore Alfredo Meschi quale maestro, e scrivesse qualche esercizio critico acerbo e incerto come nel caso del pittore Arturo Daniele. Questo aspetto di C.L.R. è stato sceverato e analizzato dalla storica dell'arte Monica Naldi nella sua voluminosa ed importante tesi di dottorato di ricerca, purtroppo tuttora inedita, nonostante sia una preziosissima ed accuratissima fonte di notizie, in gran parte di solito ignorate o non approfondite da altri studiosi. Malgrado queste premesse mi risulta un interesse concreto nei confronti di Boldini da parte di R. soltanto nel 1948, quando quale Commissario dell'Istituto del Rinascimento (ribattezzato e inglobato per alcuni anni nello Studio Italiano di Storia dell'Arte) egli scrisse a Claudio Savonuzzi (1926-1990) presso la Pinacoteca Civica di Ferrara il 7 settembre 1948: “mi rivolgo a lei per pregarla di voler cortesemente disporre per il permesso di allestire una mostra commemorativa di Boldini” per sostanziare “le Mostre Permanenti di Palazzo Strozzi”. Il 4 ottobre 1948, una settimana dopo evidentemente allarmato dalle brutte nuove e dal silenzio burocratico, R. scrisse a tal Gualtiero Medri (1887-1970), Pinacoteca Civica, che gli aveva risposto menando il can per l'aia, reiterando la richiesta circa Boldini. Per farla breve, questo personaggio riuscì a far scrivere al Sindaco di Ferrara il 14 dicembre 1948: “La Giunta comunale...ha deliberato di non concedere le opere richieste” di Giovanni Boldini.

Successivamente C.L. Ragghianti su “seleArte” pubblicò in relazione all'opera di Boldini due interventi: il primo nel fascicolo n. 63 (del 1963, p. 70) relazionava sulla retrospettiva allestita a Parigi nel Museo Jaquemart-André; il secondo nel fascicolo n. 65 (sempre del 1963, pp. 61-64) dove si recensiva la monografia sull'artista scritta da Raffaele De Grada jr. per l'editore Silvana Editoriale. Questi due brevi ma stimolanti scritti si riportano integralmente di seguito a questa nota redazionale.

Ancora nel 1963, dopo una fugace citazione nel Mondrian, con tre illustrazioni, C.L.R. pubblicò su “L' Espresso” (11 agosto) un saggio intitolato dal redattore Agatóni, fratello dell'ex direttore Arrigo Benedetti Le acrobazie di Boldini nel quale approfondisce l'analisi critica a proposito della citata Mostra al Museo Jaquemart-André, concludendo con l'osservazione che Boldini “anticiperà anche in questo, il più internazionale dei pittori, come cultura; e forse perciò la mostra lo presenta come il più italiano dei pittori di Parigi”. Anche questo articolo viene riprodotto qui di seguito con le aggiunte (o anche eventuali tagli redazionali) manoscritte a lato del testo a stampa dall'autore.

Nel 1969 il prof. Lecaldano, direttore editoriale della Rizzoli, ringrazia C.L.R. di “aver accolto il nostro invito a redigere, per la nostra collana Classici dell'arte, l'introduzione alla monografia di Giovanni Boldini”. Ne consegue il testo cardine del suo pensiero in relazione a Boldini, Il lungo pomeriggio di un fauno (titolo che cita Mallarmé), anch'esso riprodotto dopo questa Nota. Il volume dei “Classici dell'arte” verrà pubblicato nel 1970 ed oltre al saggio di R. si avvale degli apparati critici e filologici di Ettore Camesasca.

In concomitanza, da alcuni anni, in seguito alla Mostra “Arte Modena in Italia 1915-1935” nel 1967, si sta svolgendo il progetto di R. circa la donazione dei dipinti (numerosi e di alta qualità), dei molti disegni e dei documenti di archivio importanti che la vedova di Boldini, Emilia Cardona (n. 1899) intendeva lasciare o alla città di Pistoia – dove nei pressi ella risiedeva nella villa La Falconiera affrescata da Boldini “macchiaiolo” – o al già esistente Museo Boldini di Ferrara.


 

In questi progetti fui coinvolto anch'io – all'inizio a mia insaputa – e ancora oggi non so decidere di essere lieto che non si sia fatto niente o rammaricarmi per l'occasione perduta di aggiungere alle catalogazioni di Tavernari, Zancanaro e Mucchi, anche quella delle documentazioni boldiniane. Molto brevemente riporto comunque qualche brano di corrispondenze inerenti questa vicenda.

Il 15 gennaio 1970 R. scrive a Emilia Cardona questa lettera (trascritta a causa di un originale deplorevole):

Illustre e Gentile Signora,

l'amico Camesasca – al quale ho consegnato un testo su Boldini che spero non le dispiacerà, e che lo spiega da genio e non da pittore di società – mi ha intrattenuto della questione di cui trattammo un paio di anni fa, e cioè l'edizione critica del corpus dei disegni del Maestro.

Io desidero anzitutto confermarLe che resto a Sua intera disposizione per effettuare tale edizione. Come ho detto a Camesasca, si tratta soltanto di prendere gli accordi opportuni ed utili per la ricognizione completa del materiale e per la sua catalogazione; ovviamente in coincidenza è prevista una campagna fotografica integrale, in nero ed a colori, per una documentazione illustrativa il più possibile esauriente. Se – come l'amico Camesasca le avrà riferito – non fossi appena uscito da un mese di influenza che mi costringe tuttora



a riguardi, sarei stato lieto di visitarla con lui e di ripeterLe quanto sopra. Ora si presenta un'occasione fortunata anche per la redazione del catalogo critico. Mio figlio Francesco, che conosce bene il periodo storico e l'arte francese del tempo, deve laurearsi, e sarebbe molto lieto di dedicare il suo lavoro a Boldini, aggiungendo alla sua bibliografia questo fondamentale contributo. Credo che Francesco sia avvantaggiato dal fatto che, provenendo dagli studi storici, conosce il tempo di Boldini anche sotto il profilo cronistico: vantaggio per chi deve esaminare e ordinare opere aventi relazione, sia pure mediata, con la vita contemporanea. D'altra parte egli è pratico di catalogazione, avendo redatto cataloghi di disegni e di incisioni di artisti moderni.

Si potrebbe dunque dare inizio al lavoro, previa la campagna fotografica, anche entro brevissimo tempo, ed ottenere il lavoro compiuto entro alcuni mesi.

A Lei di decidere, grato se vorrà farmi pervenire le Sue conclusioni.

Comunico copia di questa lettera al prof. Camesasca.

Frattanto mi abbia, con devoti omaggi e con i più vivi auguri e saluti

Carlo L. Ragghianti"

Il giorno dopo C.L. Ragghianti scrive, tra l'altro, a Lecaldano:



mercoledì 7 ottobre 2020

Miguel Hernàndez, correzione post precedente.


Vedi post del 2 febbraio 2017. 

Il disordine comporta errori. Rinvenuta in un contesto improprio, la dimenticata pagina di "Panorama" con la poesia di Miguel Hernandez e il testo di Alfonso Berardinelli, ne ho elaborato un breve post per questo blog. Peccato che il 2 febbraio 2017 io abbia già postato la poesia con l'ironico titolo Visione di un ottimista.
Decido adesso di eliminare quel titolo ambiguo - sostituendolo con "Miguel Hernandez" - e di aggiungere alla poesia postata allora il contenuto dell'elaborato preparato il 25 settembre 2020. Mi scuso per il disguido.


lunedì 5 ottobre 2020

Disegni genovesi del Cinquecento, 2. Luca Cambiaso, Lazzaro Tavarone.

 

In questo secondo post riportiamo, in sequenza cronologica, gli ulteriori interventi scritti da Licia Collobi Ragghianti su questi argomenti. Ne Il magistrale Luca Cambiaso (“Critica d'Arte”, n. 33, mag.-giu. 1959, pp. 166-184) oltre a recensire studi recenti, l'autrice conclude il corposo saggio scrivendo: “Si può affermare, dunque, che nell'opera del Cambiaso c'è un movimento maggiore di quello che sia sembrato. La raccolta filologicamente accertata ed ordinata dell'opera del C., ora compiuta in modo più ampio, pone numerosi problemi critici...e ci si deve augurare... che questa prima sistemazione complessiva apra la via a studi critici più esaurienti”.

Nel 1963 la studiosa triestina pubblica il Catalogo Disegni della Fondazione Horne di Firenze in occasione della Mostra presso “La Strozzina”, nella collana Raccolta Pisana di Saggi e Studi n. 14, dell'Università di Pisa. In questo catalogo si verificò un increscioso disguido redazionale: la numerazione delle opere catalogate era difforme dalla numerazione della sequenza delle illustrazioni. Ciò senza che ci fosse almeno in uno dei due elenchi indicata in qualche modo la corrispondenza nell'altra sequenza. Non sembrerebbe a prima vista, ma ciò rendeva altamente difettosa la pubblicazione. Mia madre riuscì a nascondere il disappunto e, essendo per di più persona di buon carattere non pensò nemmeno ad una eventuale “manina” redazionale alla quale era stata sgradita la pubblicazione di questo catalogo nella Raccolta Pisana. Mio padre non so come e se reagì. Di fatto il catalogo fu praticamente ritirato dalla circolazione (almeno per ciò che perteneva a “La Strozzina”). Io nel 1963, oltre agli studi, attendevo ad un riordinamento della disastrata fototeca del babbo, in seguito al precedente e discontinuo intervento di Lele Monti (1957 e poco dopo), il quale aveva trascurato l'aspetto consultivo del materiale, cioè separarlo con apposite cartelle per autore, scuola, nonché divisioni tra le differenti eventuali espressioni del medesimo artista, ecc. Avevo già anche catalogato un'annata di “Critica d'Arte” e una di “seleArte” in luogo della consueta incaricata Giuliana 

Nannicini, impossibilitata. Collaboravo a titolo gratuito, ci tengo, a “La Strozzina” come aiuto di Nino Lo Vullo. Perciò, sia pure con queste modeste esperienze, mi accorsi subito del pasticcio redazionale che ostacolava la ricerca dell'immagine corrispondente al Catalogo. Prima lezione di tanti trappoloni che possono capitare durante la realizzazione di un libro. In questo post riproduco dal Catalogo il testo Artisti genovesi con le relative illustrazioni.

Il terzo documento riguarda la notizia cambialesca su “seleArte” (n.75, lug.-sett. 1965, p. 22) di una mostra di disegni della collezione Scholz di New York. Il quarto documento proviene dall'opera - lunga e faticosa ricerca e importante ricostruzione di Licia Collobi - Il Libro de' Disegni del Vasari (Vallecchi editore, Firenze, 1974). Da esso si riportano il testo della scheda del Cambiaso (pp. 176-177, vol. I) e l'illustrazione (n. 546, vol. II). Anche in questo caso si è verificata una complicazione che rende scomoda la consultazione dell'opera: un volume di testi +1 volume di illustrazioni inerenti. Però non fu un errore ma pidocchieria della gestione Buzzi-Cosimini per risparmiare sulla carta del testo meno costosa. Essendo allora dipendente della Casa Editrice protestai vibratamente contro questa soluzione, fin quasi a ricevere il fatidico “se non le sta bene, quello è l'uscio!”. Conclude la sequenza degli scritti sull'artista da parte di Licia C.R. l 'articolo Luca Cambiaso (“Critica d'Arte”, III s., n. 10, 1986, p. 12) che recensisce il Catalogo della Mostra C. e la sua cerchia (Genova, Sagep, 1985).

Rinnovata attenzione a Lazzaro Tavarone L.C.R. prestò nell'articolo pubblicato su “Critica d'Arte” (n.166-168, 1979, pp. 229, 230). La recensione si riferisce al volume Interventi e restauri (Genova, 1979) nella Galleria Nazionale di Palazzo Spinola, un libro esauriente corredato di “ottime illustrazioni”, che “offre l'occasione di conoscere meglio questo minore maestro”.

F.R. (5 settembre 2020)

venerdì 2 ottobre 2020

Arte Moderna in Italia 1915-1935 - Testi dei Critici, 18. CESARE GNUDI (FIORESI, PIZZIRANI, PROTTI).

  


Post Precedenti:

1. RAFFAELE MONTI ( I ) - 16 giugno 2018
2. IDA CARDELLINI (LORENZO VIANI) - 28  settembre 2018 
3. UMBRO APOLLONIO (NATHAN, BIROLLI) - 19 settembre 2019
4. MARCELLO AZZOLINI (GUERRINI, CHIARINI, VESPIGNANI). 6 ottobre 2019
5/I. FORTUNATO BELLONZI (BOCCHI, D'ANTINO). 12 novembre 2019
5/II. FORTUNATO BELLONZI (MORBIDUCCI, SAETTI). 28 dicembre 2019
6. ALDO BERTINI (CREMONA, MAUGHAM C., PAULUCCI). 22 gennaio 2020.
7. ANNA BOVERO (BOSWELL, CHESSA, GALANTE). 5 febbraio 2020.
8. SILVIO BRANZI (SCOPINICH, BALDESSARI, NOVATI, SPRINGOLO, RAVENNA, KOROMPAY, ZANINI). 23 febbraio 2020.
9. GIOVANNI CARANDENTE (COMINETTI, MARINI). 4 marzo 2020.
10. ITALO CREMONA (REVIGLIONE). 7 maggio 2020.
11. ENRICO CRISPOLTI, I (BALLA, EVOLA, ALIMANDI, BENEDETTA). 2 aprile 2020.
12. ENRICO CRISPOLTI, II (COSTA, DIULGHEROFF, DOTTORI, FILLIA). 6 aprile 2020.
13. ENRICO CRISPOLTI, III (ORIANI, PANNAGGI, PRAMPOLINI, MINO ROSSO), 10 aprile 2020.
14. RAFFAELINO DE GRADA I (BOLDINI, ANDREOTTI). 22 giugno 2020.
15. RAFFAELINO DE GRADA II (BERNASCONI, CARPI, CARENA, FUNI). 6 luglio 2020.
16. ANTONIO DEL GUERCIO (MAZZACURATI, MENZIO, RICCI). 8 agosto 2020
17. TERESA FIORI (INNOCENTI). 1 settembre 2020.


Scrivere di Cesare Gnudi storico dell'arte mi mette in imbarazzo a causa della genesi del suo rapporto con la nostra famiglia. I suoi indubbi meriti e pregi sono certamente ben illustrati in biografie e negli strumenti informativi d'uso corrente. Per me, soprattutto, un po' per Rosetta, Cesare Gnudi ha rappresentato la figura dello “zio”, l'unico, dato che la consanguinea zia Erminietta, sorella del babbo, è stata praticamente assente dalla nostra infanzia e adolescenza. Gnudi – seppure di rado visto a Firenze – invece si è comportato da zio effettivo ed affettivo. Per Carlo L. Ragghianti fu l'amico fraterno, l'allievo prediletto e attento, il seguace fedele e coerente. La nostra mamma Licia Collobi accoglieva i suoi dubbi, i tormenti, fungeva anche da tribunale d'appello per le indicazioni, i consigli, le disposizioni che zio Cesare riceveva da sua madre, la piissima ma determinata “nonna” Rosina. Ciò fino alla fine degli anni Quaranta.

Crescendo le responsabilità quale Soprintendente alle Belle Arti di Bologna e Romagna – collegate alla vita sociale di primo piano in città; cioè a posizioni e compiti di iniziativa e di potere – Gnudi dimostrò una natura sostanzialmente pavida, conformista, perdendo persino la freschezza “cabarettistica” che – insieme ad una golosità alimentare quasi rabelesiana – lo distinguevano come personaggio di particolare piacevole compagnia.

Col trascorrere del tempo i difetti aumentarono; i pregi e le virtù diminuirono in maniera esponenziale. Ne risentì anche l'acume scientifico. La apertura culturale si rifugiò nel provincialismo.

Zio Cesare ha fatto soffrire i miei genitori anche sul piano affettivo “imbozzolandosi” in espressioni convenzionali ben lontane dalla primitiva penetrante capacità critica. La sua affettività dovuta ad una natura sincera, sia sul piano dei rapporti interpersonali riguardanti i principi etici, sia intellettuali riguardanti gli studi e la gestione del “Bene pubblico” divenne incoerente ed ondivaga. Di conseguenza non intendo soffermarmi ulteriormente sulla sua figura e sulla sua memoria.

In un primo momento intendevo dimostrare la parabola del suo declino pubblicando almeno quattro lettere di sofferta “pedagogia” che gli indirizzò C.L. Ragghianti tra il 1953 e il 1954 con l'intento di riportare l'amico fraterno all'eticità che deve distinguere l'essere umano che intende essere e mantenersi una coerente costruzione morale.

Queste lettere (per la precisione 2 aprile 1953, 17 giugno 1953, 9 marzo 1954, 19 maggio 1954) costituiscono un documento importante per comprendere la personalità di un uomo come mio padre. Ovviamente, però, essendo apertis verbis queste missive potrebbero offrire il destro per vetuste polemiche strumentali, per rinfocolare meschini pettegolezzi da parte dei “soliti noti”. O, meglio, dei loro pedissequi seguaci, giacché ritengo improbabile che tra i viventi ci siano ancora individui di quella genia originaria.

A proposito della Mostra Arte Moderna in Italia 1915-1935, segnalo le pp. 168-176 del volume Tre voci: C.L.R., C. Gnudi, G. Morandi. Scritti e documenti curato da Marilena Pasquali e Stefano Bulgarelli, Gli Ori, Pistoia 2010.)

F.R. (28 agosto 2020)





Postilla - Cesare Gnudi cabarettista

Erano famose le imitazioni e le interpretazioni di Cesare Gnudi prima e durante la guerra. Soprattutto epica era la ricostruzione parodistica di Ettore Petrolini, che egli conosceva a memoria, possedendone anche tutte le registrazioni in grandi dischi di vinile a 78 giri. Altro suo cavallo di battaglia era Odoardo Spadaro, anch'esso conservato in dischi e poi – raccontavano a noi bambini in certi dopocena festivi i genitori con pallide subinterpretazioni – Nunzio Filogamo e altri comici e cantanti soprattutto radiofonici, anche stranieri come Maurice Chevalier e la mitica Josephine Baker.

D'altra parte zio Cesare conservava ancora tutto il “Corrierino dei piccoli” da prima della guerra 1915-18 alla sua infanzia protratta; erano volumoni rilegati che lessi iintegralmente, disteso per terra su uno stuoino, durante un mio soggorno di una decina di giorni a Bologna.

In questa fotografia (probabilmente scattata da Giancarlo Cavalli) Cesare Gnudi interpreta una “macchietta” emiliana centrata sulle lamentazioni e sulle divagazioni di una madre in là con gli anni. Il personaggio doveva essere molto famoso in Emilia, tanto che l'attore Andrea Roncato ai suoi esordi televisivi lo ripropose con grande successo.

Nel dopoguerra Gnudi continuò a coltivare questa sua passione per lo spettacolo di varietà fino almeno alla metà degli anni Sessanta. Posso testimoniare che a Pisa – presenti per non so quale convegno – un dopocena con il nostro 1100 nero feci da autista (sorpreso, divertito, un po' sgomento) a Gnudi, Eugenio Luporini e Giacinto Nudi in una serata ludica trascorsa in un paio di balere e soprattutto in una Casa del Popolo nella pineta verso Viareggio, dove in un salone-teatro con palco e cavea per




l'orchestrina, assistemmo agli intrattenimenti, partecipi fino ad invitare al tavolo sul soppalco una giovane esuberante cantante (la cui voce era veramente notevole), cui “seriamente” Luporini e Gnudi proposero di “mettere” sotto contratto!