Carlo e Licia

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venerdì 2 ottobre 2020

Arte Moderna in Italia 1915-1935 - Testi dei Critici, 18. CESARE GNUDI (FIORESI, PIZZIRANI, PROTTI).

  


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1. RAFFAELE MONTI ( I ) - 16 giugno 2018
2. IDA CARDELLINI (LORENZO VIANI) - 28  settembre 2018 
3. UMBRO APOLLONIO (NATHAN, BIROLLI) - 19 settembre 2019
4. MARCELLO AZZOLINI (GUERRINI, CHIARINI, VESPIGNANI). 6 ottobre 2019
5/I. FORTUNATO BELLONZI (BOCCHI, D'ANTINO). 12 novembre 2019
5/II. FORTUNATO BELLONZI (MORBIDUCCI, SAETTI). 28 dicembre 2019
6. ALDO BERTINI (CREMONA, MAUGHAM C., PAULUCCI). 22 gennaio 2020.
7. ANNA BOVERO (BOSWELL, CHESSA, GALANTE). 5 febbraio 2020.
8. SILVIO BRANZI (SCOPINICH, BALDESSARI, NOVATI, SPRINGOLO, RAVENNA, KOROMPAY, ZANINI). 23 febbraio 2020.
9. GIOVANNI CARANDENTE (COMINETTI, MARINI). 4 marzo 2020.
10. ITALO CREMONA (REVIGLIONE). 7 maggio 2020.
11. ENRICO CRISPOLTI, I (BALLA, EVOLA, ALIMANDI, BENEDETTA). 2 aprile 2020.
12. ENRICO CRISPOLTI, II (COSTA, DIULGHEROFF, DOTTORI, FILLIA). 6 aprile 2020.
13. ENRICO CRISPOLTI, III (ORIANI, PANNAGGI, PRAMPOLINI, MINO ROSSO), 10 aprile 2020.
14. RAFFAELINO DE GRADA I (BOLDINI, ANDREOTTI). 22 giugno 2020.
15. RAFFAELINO DE GRADA II (BERNASCONI, CARPI, CARENA, FUNI). 6 luglio 2020.
16. ANTONIO DEL GUERCIO (MAZZACURATI, MENZIO, RICCI). 8 agosto 2020
17. TERESA FIORI (INNOCENTI). 1 settembre 2020.


Scrivere di Cesare Gnudi storico dell'arte mi mette in imbarazzo a causa della genesi del suo rapporto con la nostra famiglia. I suoi indubbi meriti e pregi sono certamente ben illustrati in biografie e negli strumenti informativi d'uso corrente. Per me, soprattutto, un po' per Rosetta, Cesare Gnudi ha rappresentato la figura dello “zio”, l'unico, dato che la consanguinea zia Erminietta, sorella del babbo, è stata praticamente assente dalla nostra infanzia e adolescenza. Gnudi – seppure di rado visto a Firenze – invece si è comportato da zio effettivo ed affettivo. Per Carlo L. Ragghianti fu l'amico fraterno, l'allievo prediletto e attento, il seguace fedele e coerente. La nostra mamma Licia Collobi accoglieva i suoi dubbi, i tormenti, fungeva anche da tribunale d'appello per le indicazioni, i consigli, le disposizioni che zio Cesare riceveva da sua madre, la piissima ma determinata “nonna” Rosina. Ciò fino alla fine degli anni Quaranta.

Crescendo le responsabilità quale Soprintendente alle Belle Arti di Bologna e Romagna – collegate alla vita sociale di primo piano in città; cioè a posizioni e compiti di iniziativa e di potere – Gnudi dimostrò una natura sostanzialmente pavida, conformista, perdendo persino la freschezza “cabarettistica” che – insieme ad una golosità alimentare quasi rabelesiana – lo distinguevano come personaggio di particolare piacevole compagnia.

Col trascorrere del tempo i difetti aumentarono; i pregi e le virtù diminuirono in maniera esponenziale. Ne risentì anche l'acume scientifico. La apertura culturale si rifugiò nel provincialismo.

Zio Cesare ha fatto soffrire i miei genitori anche sul piano affettivo “imbozzolandosi” in espressioni convenzionali ben lontane dalla primitiva penetrante capacità critica. La sua affettività dovuta ad una natura sincera, sia sul piano dei rapporti interpersonali riguardanti i principi etici, sia intellettuali riguardanti gli studi e la gestione del “Bene pubblico” divenne incoerente ed ondivaga. Di conseguenza non intendo soffermarmi ulteriormente sulla sua figura e sulla sua memoria.

In un primo momento intendevo dimostrare la parabola del suo declino pubblicando almeno quattro lettere di sofferta “pedagogia” che gli indirizzò C.L. Ragghianti tra il 1953 e il 1954 con l'intento di riportare l'amico fraterno all'eticità che deve distinguere l'essere umano che intende essere e mantenersi una coerente costruzione morale.

Queste lettere (per la precisione 2 aprile 1953, 17 giugno 1953, 9 marzo 1954, 19 maggio 1954) costituiscono un documento importante per comprendere la personalità di un uomo come mio padre. Ovviamente, però, essendo apertis verbis queste missive potrebbero offrire il destro per vetuste polemiche strumentali, per rinfocolare meschini pettegolezzi da parte dei “soliti noti”. O, meglio, dei loro pedissequi seguaci, giacché ritengo improbabile che tra i viventi ci siano ancora individui di quella genia originaria.

A proposito della Mostra Arte Moderna in Italia 1915-1935, segnalo le pp. 168-176 del volume Tre voci: C.L.R., C. Gnudi, G. Morandi. Scritti e documenti curato da Marilena Pasquali e Stefano Bulgarelli, Gli Ori, Pistoia 2010.)

F.R. (28 agosto 2020)





Postilla - Cesare Gnudi cabarettista

Erano famose le imitazioni e le interpretazioni di Cesare Gnudi prima e durante la guerra. Soprattutto epica era la ricostruzione parodistica di Ettore Petrolini, che egli conosceva a memoria, possedendone anche tutte le registrazioni in grandi dischi di vinile a 78 giri. Altro suo cavallo di battaglia era Odoardo Spadaro, anch'esso conservato in dischi e poi – raccontavano a noi bambini in certi dopocena festivi i genitori con pallide subinterpretazioni – Nunzio Filogamo e altri comici e cantanti soprattutto radiofonici, anche stranieri come Maurice Chevalier e la mitica Josephine Baker.

D'altra parte zio Cesare conservava ancora tutto il “Corrierino dei piccoli” da prima della guerra 1915-18 alla sua infanzia protratta; erano volumoni rilegati che lessi iintegralmente, disteso per terra su uno stuoino, durante un mio soggorno di una decina di giorni a Bologna.

In questa fotografia (probabilmente scattata da Giancarlo Cavalli) Cesare Gnudi interpreta una “macchietta” emiliana centrata sulle lamentazioni e sulle divagazioni di una madre in là con gli anni. Il personaggio doveva essere molto famoso in Emilia, tanto che l'attore Andrea Roncato ai suoi esordi televisivi lo ripropose con grande successo.

Nel dopoguerra Gnudi continuò a coltivare questa sua passione per lo spettacolo di varietà fino almeno alla metà degli anni Sessanta. Posso testimoniare che a Pisa – presenti per non so quale convegno – un dopocena con il nostro 1100 nero feci da autista (sorpreso, divertito, un po' sgomento) a Gnudi, Eugenio Luporini e Giacinto Nudi in una serata ludica trascorsa in un paio di balere e soprattutto in una Casa del Popolo nella pineta verso Viareggio, dove in un salone-teatro con palco e cavea per




l'orchestrina, assistemmo agli intrattenimenti, partecipi fino ad invitare al tavolo sul soppalco una giovane esuberante cantante (la cui voce era veramente notevole), cui “seriamente” Luporini e Gnudi proposero di “mettere” sotto contratto!







Garzia Fioresi è lo pseudonimo con cui Alfredo Grandi (1888-1968) ha dipinto tutta la vita con indubbio successo sociale. Benché di evidente personalità piuttosto schiva dalla “mondanità”, l'artista era stato comunque infettato dal virus della “sacralità dell'artista” – praticato soprattutto nel PCI – come si può ricavare da una lettera amministrativa alla redazione della Mostra “Arte Moderna in Italia 1915-1935”, che così egli conclude: “Non si trattano così gli artisti”.

La sua ricca tavolozza con esiti talora “barocchi”, un po' cupa, s'adattava bene alle nature morte da appendere nelle case borghesi piene di mobilia scura e pesante. Come artista il meglio di sé lo ha espresso prima del 1915, come tende a mostrare anche la scelta delle opere esposte alla Mostra “Arte Moderna in Italia 1915-1935”.

In margine a questa sobria esposizione, Fioresi e Protti sono i protagonisti di un enigma in quanto le loro schede critiche sono siglate nel Catalogo G.R. (cioè Giuseppe Raimondi), mentre in realtà sono state scritte (un po' frettolosamente, a vero dire) da Cesare Gnudi. Se il disguido non è – come credo – un errore redazionale, e anche non penso nemmeno che un primo testo di G.R. sia stato scartato, affidandone poi la stesura a Gnudi. Cosa sarà successo? Curioso anche il rapporto di Fioresi con l'autoritratto, numericamente incidente nell'ambito della 

sua produzione. Anche Funi e Pirandello, ad es., e altri artisti dell'epoca amavano ritrarsi spesso, però si tratta in genere di personalità più estroverse. In proposito direi che ha ragione Corrado Corazza (pittore anche lui bolognese, però anche critico d'arte apprezzato e piuttosto noto) il quale scrive:


Comunque l'avvenire mediatico di Fioresi, posto che ci sia chi se ne preoccupa, dovrebbe essere assicurato – perlomeno in rapporto agli artisti della sua levatura – per qualche tempo dal supporto dato alla sua memoria da una monografia di Sgarbi, edita nel 1999 da Giorgio Mondadori, sigla specializzata in libri d'arte promozionali.

F.R. (1 settembre 2020)



Anche Guglielmo Pizzirani (1886-1971), la cui scheda critica è l'unica siglata correttamente C.G. (Cesare Gnudi), è uno dei pittori bolognesi che nella prima parte del Novecento partecipò all'informale gruppo comprendente Fioresi, Protti, Romagnoli. Per associazione soltanto localistica fu compreso Carlo Corsi (artista di originalità e livello ben più marcato), identificato in sostanza “da motivi di orientamento culturale e di gusto”.

Nella dovizia della perita tavolozza di Pizzirani permane, soprattutto negli interni e nella ritrattistica, un che di lugubre, che comunque trovava l'apprezzamento dei collezionisti. 


Forse quello da parte dei critici era più cauto, almeno a considerare che nella Fototeca della Fondazione Ragghianti risultano soltanto tre immagini.

Già Carlo L. Ragghianti avrebbe voluto ampliare la rappresentanza emiliana in Mostra con altri artisti, dei quali cito soltanto Flavio Bertelli (1865-1941) e Mario Bacchelli (1893-1951), fratello dello scrittore Riccardo allora celebre, un “artista coltivato” che negli ultimi anni di vita distrusse quasi tutte le sue pitture dell'epoca. Ricordo, comunque, che nonostante indagini, richieste a tappeto presso le Gallerie e le collezioni note, di questi artisti emiliani non furono identicate opere sufficientemente rappresentative.

F.R. (2 settembre 2020)






La scheda critica di Alfredo Protti (1882-1949) è stata curata da Cesare Gnudi, nonostante sia siglata G.R. (Giuseppe Raimondi). Anche questo artista fa parte a pieno titolo dell'informale sodalizio di pittori bolognesi che nei primi decenni del secolo scorso dipingeva a Bologna “legato da concordi motivi di orientamento culturale e di gusto”. Però, se Morandi ne era estraneo nella turris eburnea della sua eccezionalità, se Carlo Corsi vi si era accostato nonostante gli stilemi originali e la complessità della sua espressività, Alfredo Protti si distingueva “per una modernità che si stempera, si diluisce e contemporaneamente si illumina ed assume un carattere proprio nell'antico alveo culturale della provincia padana”, come asserisce Guido Perocco.

Protti è stato anche indicato come “il Bonnard italiano”, riducendolo così involontariamente ad un modesto epigono. Era, invece, un artista originale che ha espresso il meglio di sé prima degli anni Venti, con coerenza ed autenticità quali “guizzi di luce improvvisa” che che elevano soprattutto i nudi, distinguendoli – e non poco – da quelli compiaciuti e volgari di Giovanni Romagnoli, anch'egli membro di quella congrega bolognese.

Per dirla con Gozzano, anche in Protti “c'è... la stoffa del borghese onesto”, vale a dire che all'epoca lo sposato e perbenista borghese era sovente anche frequentatore di “case chiuse”, pur rappresentando l'aspetto conformista della società. Però Protti dipinge senza ammiccamenti con stile, autenticità e persino con ironica partecipazione alla raffigurazione del nudo e degli interni famigliari.

Giuseppe Raimondi (1898-1985) osservatore acuto, talora tranchant, intimo amico di Morandi e osservatore convivente di quella contemporaneità culturale felsinea, così ritrasse Protti: “Gagliardo, generoso, fecondo, ricco di umori scanzonati e polemici, Protti rispecchia bene i tratti del nostro popolo. L'eterno femminino – inteso non in termini ideali bensì come appetiti da consumare subito – è un tema che ha infiammato la sua opera pittorica”. Certamente, con l'occhio dello scienziato sperimentatore, però.

Non ho l'idea di quale attualmente possa essere la considerazione critica di un pittore appassionato e coerente come Protti, soprattutto in relazione alla storicizzazione della sua epoca. Certo non è un artista che può sfidare i secoli, certo è un pittore che nell'ambito dei primi trent'anni del Novecento ha diritto ad una considerazione critica positiva, che lo comprenda tra i nomi da tramandare ai posteri.

Quattro anni dopo questa Esposizione di Palazzo Strozzi a Firenze, a Bologna nel 1971 nel Museo Civico si tenne una Mostra retrospettiva di Protti, presentata da un lungo saggio di Franco Solmi, il quale tra l'altro sottolinea “permane il fascino e il mistero che Protti riesce a ritrovare nei volti e nei corpi femminili, ove tutto s'è come improvvisamente impietrito”, e poi ancora Solmi scrive: “sole aveva sempre dipinto le sue donne, simboli di una sessualità che non aveva bisogno di partners per manifestarsi. La bellezza, nella pitttura di Protti, è sempre bastata a se stessa, serenamente enigma dei profumi segreti: a pochi come a Protti, è stato dato di goderne con tanta intensità”.

F.R. (3 settembre 2020)

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