Carlo e Licia

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martedì 30 novembre 2021

Karl Arnold e Olaf Gulbransson di Bernhard Degenhart.

Questo breve contributo dello storico dell'arte Bernhard Degenhart (1907-1999), accademico tedesco autore del monumentale Corpus del disegno italiano, proviene da “SeleArte”, n.6 (mag.-giu. 1953). Si tratta di un intervento atipico in campo accademico, almeno negli anni della ricostruzione delle devastazioni morali e materiali della Seconda guerra mondiale. Questa nota fu scritta del Degenhart con l'intento di giustificare – rendendogli omaggio – due artisti non marginali, cercando di attenuare la loro attiva partecipazione al regime nazista negli anni '33-'45? In questo caso il comportamento del D. sarebbe stato scorretto, anche perché C.L.R. – conoscendolo da prima della guerra – lo considerava un tedesco patriota non nazista. Voglio sperare che da un lato (D.) credo dall'altro (R.) che alcune vignette qui riprodotte (specie quelle antisemite) non fossero a conoscenza dei due storici dell'arte. Penso, poi, più che altro che in Germania – come in Italia – la epurazione postbellica dei nazisti fu una burletta sia nel regime ad Ovest che in quello ad Est. Real Politik, in nome dell'anticomunismo e dell'anticapitalismo! Il poco rilievo sulla sua rivista dato da C.L.R. a questo contributo potrebbe dimostrare qualche perplessità da parte sua. Di certo, direi, c'è un collegamento con la “Mostra Pittura italiana contemporanea in Germania” (1951; vedasi il post del 7 luglio 2021), progettata con palese intento di “pacificazione” tra i popoli dopo i disastri della guerra. Ciò giustificherebbe anche l'inserto in “SeleArte”, accettato sulla basse di conoscenza di materiali, dietro i quali se ne occultavano altri scottanti ignorati e protetti da una sorta di “immunità di gregge” assolutoria delle popolazione tedesca già convintamente nazista.

E' comunque necessario ricordare, magari obtorto collo, che questi due pittori e disegnatori umoristici sono artisti originali nel tratto espressivo di rara qualità grafica. Bisogna anche accettare il fatto che la loro reputazione col passare del tempo si è consolidata e ormai viene considerata con l'ammirazione dedicata ai Maestri dell'arte. Quale che sia comunque il giudizio umano e politico di personaggi di questa statura non è assolutamente ammissibile il fenomeno in corso, soprattutto negli Stati Uniti, non solo di damnatio memoriae, ma addirittura di rimozione o distruzione di monumenti, di opere d'arte e di documenti della storia dell'umanità.

Colgo l'occasione, parenteticamente, di deplorare la recente demagogica impresa del teutonico Commissario governativo degli Uffizi di Firenze di acquisire ed esporre, nella famosa e prestigiosa Collezione degli Autoritratti, 50 autofisionomie di altrettanti disegnatori italiani contemporanei di fumetti. Una iniziativa del genere dimostra quanto la “scala” dei valori espressivi, con la quale si possono identificare e classificare e distinguere operatori artistici da artisti veri e propri, sia attualmente disastrata.

Si constata una acquiescenza all'espansione artificiale del 


mercato delle arti, e già ciò non è compito di un conservatore di pubblici beni qual è il “direttore” degli Uffizi. Qualora costui, e chiunque in casi simili, sia stato indotto a farlo non solo esula dalle proprie competenze ma viene a rappresentare o difendere un colossale conflitto di interessi. Sia ben chiaro: niente di specifico contro il fumettista come – eventuale – artista originale ed esteticamente espressivo. Però anche un'infornata di 50 autoritratti di pittori, scultori, incisori ecc. contemporanei sarebbe ma esagerazione. Non ci sono attualmente né in Italia, né altrove 50 Morandi, Guttuso, Manzù, degni di essere ammessi alla “favolosa” Collezione degli Autoritratti degli Uffizi di Firenze.

La rivista settimanale tedesca “Simplicissimus”, fondata nel 1896 e chiusa nel 1944 per l'incipiente crollo del nazismo, è stata l'ospite principale delle tavole satiriche di Karl Arnold (1883-1953) pittore, caricaturista e fumettista e Olaf Gulbransson (1873-1958), norvegese di nascita, pittore, designer e caricaturista, i quali ne furono i più autorevoli collaboratori. Il nome del giornale riprende il titolo del primo romanzo “picaresco” edito in Germania (1668), il quale – non mi pare ci siano dubbi – è alla base dell'idea voltairiana realizzata nel Candide (1749): entrambi i libri raccontano storie truci risolte in amare soluzioni satiriche. Il genio di Voltaire rese il suo personaggio universale e immortale.

Su questo blog, salute permettendo, sia il nutrito e variegato gruppo dei collaboratori a “Simplicissimus” e altri caricaturisti e vignettisti germanici, sia il racconto delle peripezie di Candide (illustrate prima in Italia, poi in Germania Est, con tavole differenti e complementari da Gabriele Mucchi) saranno soggetto di appositi post.

Dei due artisti riproduciamo una panoramica dell'opera vignettistica, e di Karl Arnold anche alcuni disegni acquarellati correlati a versi di Hans Sachs, il celebre protagonista dei Cantori di Norimberga sui quali Richard Wagner scrisse sia il libretto che lo spartito musicale. Sempre su Sachs e i Cantori, studente delle scuole Medie lessi, con grande curiosità e soddisfazione un libro illustrato – editore Mazzocco – scritto da Elena Primicerio, zia del mio compagno di classe Mario, il quale – gentile e generoso fin da ragazzo – me lo aveva prestato. Al ginnasio, cambiai scuola e persi i contatti col mio coetaneo, che in seguito fu fisico universitario, amico e discepolo di Giorgio La Pira (che accompagnò in una storica missione in Vietnam), degno Sindaco di Firenze, indegna città solita spesso a sindaci di bassa lega. Lo votai in segno di stima personale: tracciai così la X – per la prima e l'ultima volta – sul simbolo del P.C.I. (poi P.D.S., ecc., ed ora partito cattolico con elettorato ancora in prevalenza laico ma sbandato, rassegnato).

F.R. (13 ottobre 2021)

venerdì 26 novembre 2021

La pittura spagnola del Quattrocento di Licia Collobi Ragghianti.

Della Storia della pittura dal IV al XX secolo edita da Istituto Geografico De Agostini (1985) nel nostro blog abbiamo già in precedenza pubblicato due parti: il post del 17 aprile 2020 conteneva la Presentazione metodologica del direttore Carlo L. Ragghianti, nonché notizie sulla genesi e sul piano dell'opera; il post del 20 aprile 2020 riguardava il IV volume, Storia della pittura europea del Quattrocento, interamente scritto da Licia Collobi, di cui si riportavano la recensione di Decio Gioseffi, tavole cronologiche, Schede biografiche, Indici.

Nell'attuale terza postazione, Licia Collobi Ragghianti traccia un sintetico ed efficace profilo della Pittura spagnola del Quattrocento, interamente illustrato a colori. Ritengo si tratti dell'unica opera recente in materia, giacché questo importante e affascinante secolo è generalmente sacrificato – come, ad esempio, su Internet – al successivo: el Siglo de oro (convenzionalmente 1492-1681, con disinvolta cronologia di un secolo di duegento anni!). Oltre ad essere opera di consultazione, il percorso dipanato da Licia Collobi è, come sempre per questa autrice, scritto con la chiarezza del linguaggio divulgativo, senza però sacrificare la complessità dei problemi e dei fenomeni indagati.

Oltretutto l'autrice, mia madre, procedeva in un lavoro complesso – anche logisticamente (accessione a biblioteche, per fortuna a Firenze numerose anche quelle specialistiche) – come questa Storia accudendo anche agli altri impegni di studio (per tacere di quelli domestici e sociali), presentando l'esito finale con puntualità quasi puntigliosa. Invece, mio padre talvolta, spesso anzi, faceva “soffrire” tipografi ed editori per ritardi o postume complicazioni. Gli stessi operatori al nome di mia madre autrice erano felici, sicuri fin dal primo giorno che l'impegno nei loro confronti sarebbe stato rispettato al cento per cento. Quanto detto non significa, però, che Licia Collobi fosse acquiescente alle “prepotenze” degli editori e alle “trascuratezze” delle redazioni con le quali poteva venire a contatto durante il lavoro. Proprio con la redazione specifica di quest'opera (con altra redazione dello stesso editore in precedenza c'era stato un rapporto pressoché idilliaco) la studiosa fu costretta a reagire.

In proposito riporto un documento attestante l'attenzione con cui Licia Collobi si dedicava al proprio lavoro professionale. Trattandosi di appunti in parte manoscritti, poi riuniti in un unico dattiloscritto spedito alla redazione DEA, in questa sede li ho ri-trascritti in veste leggibile agevolmente. L'autrice, cortesemente ma fermamente, contesta alcune ingerenze indebite della redazione, abituali – osservo – in quasi tutte le case editrici nelle quali la burocrazia cerca – così come avviene quasi sempre negli organismi ed enti pubblici – di sostituirsi alla realtà cui dovrebbe attendere, cioè farsi protagonista anziché “ancella”.

STORIA DELLA PITTURA – LICIA COLLOBI RAGGHIANTI

(Bozza d'appunto per la Redazione della Casa Editrice, da spedire insieme alle bozze corrette)

Osservazioni dell'Autrice a: La Pittura del Quattrocento.

Noto che in generale è stata disattesa l'impostazione data al testo, che ho voluto piana, fluente, rigorosamente 

cronologica, secondo le direttive della Collana: spezzare il testo con sottotitoli è decisamente antitetico.

Mi rendo conto delle necessità grafiche di una ormai invalsa prassi, ma le accetto molto malvolentieri. Poiché c'è tempo fino ad ottobre vedrò se posso cambiarne le diciture, non perché non siano pertinenti (è stato fatto uno sforzo davvero notevole), ma vorrei “alleggerirne” il richiamo (evitato di proposito nel testo) a tutte le divisioni e definizioni di largo uso ma di scarsa o nulla veridicità storico-artistica. Perciò vorrei:

A) sapere se gli stacchi vanno mantenuti ad ogni costo, oppure se (eventualmente, beninteso!) posso disporli diversamente.

B) non posso permettere che il mio lavoro sia sfalsato al punto di cambiare anche i titoli dei capitoli grandi, cioè la sola data, come avevo indicato.

Altro punto dolente, le note, che non essendo state preventivate diventano in questo caso – scusatemi – ridicole. Si tratta soltanto dell'indicazione bibliografica di volumi su qualche notizia particolare (per esempio un dissenso critico) o, nella gran parte dei casi, delle citazioni. Voi capite che se dovessi mettere in nota tutti i volumi di cui mi sono servita, ci vorrebbero non so quante – inutili – noiose pagine; mentre limitare queste ai soli passi pregnanti diventa arduo. D'altra parte eliminarle del tutto non mi sembra giusto, anche le citazioni servono a ricordare – doveroso omaggio – studiosi particolarmente benemeriti ed indicano, nello stesso tempo, l'indirizzo critico dell'Autore.

Mentre per il testo c'è tempo, le note sono urgenti. Se proprio non è possibile tornare alla soluzione iniziale, vedrò di sistemarle meglio che posso; ma ci vuole una spiegazione in corsivo, magari tra parentesi, sotto alla rubrica “Note” press' a poco così: Il presente volume ha richiesto un intenso lavoro, anche di una larga informazione bibliografica che nel testo, ovviamente, è sottintesa, per conservarne un carattere di esposizione piana, fluente e rigorosamente cronologica. Per qualche controverso problema critico, così come per gli Autori dai quali sono state ricavate delle citazioni, è necessario indicare le fonti che sono elencate qui di seguito: (Nella copia personale, l'Autrice non ha trascritto l'elenco puntuale inviato alla redazione DeAgostini).

Naturalmente come in tutti i conflitti ragionevoli, la diatriba si concluse con un compromesso. Nel caso specifico le osservazioni e le esigenze dell'autrice furono sostanzialmente accettate e applicate. Ne è conseguito che nel libro non si notano discrepanze e l'abilità grafica dell'editore ha fornito un'opera tuttora ammirevole che è degna dei contenuti espressi da Licia Collobi e per gli altri nove volumi dagli autori che hanno collaborato con l'iniziativa sviluppata per l'editore da Silvio Locatelli e, più che diretta, coordinata dall'autorevolezza di Carlo L. Ragghianti.


F.R. (10 ottobre 2021)

martedì 23 novembre 2021

Tono Zancanaro, 11 – L' "Album 109".

Il motto nulla dies sine linea, attribuito via Plinio al mitico pittore Apelle (IV sec. a.C.) calza a pennello – come si suol dire – con il "fare" di Tono Zancanaro, gli si adatta come la pelle al corpo. A pensarci bene, infatti l'attività lavorativa/creativa di Tono è stata prodigiosa sia per qualità, che per quantità. Mai un giorno senza aver tracciato almeno qualche disegno da quando realizza sé stesso, lascia la banca e persino lo sport nel quale si era distinto a livelli nazionali.

L'Album di disegni a china di cui sto scrivendo è un libro in folio di pagine di carta bianca e colorata da disegno, filigranate, di mm. 240X340 di altezza. Copertina in brossura di carta ruvida verde opaco, con sul piatto anteriore in basso a destra la scritta a china "109". Sulla costola, assai usurata, ci sono tracciati a china l'indirizzo di casa a Padova e il ricapito a Roma. Il contenuto del "quaderno" è di 156 pagine incollate e quartini sulla costola della copertina, però scollate per l'uso e il modesto collante già nel 1971. Siccome il terzo disegno è datato "Gennaio LXX" e il penultimo dell'ultima quartina è firmato "Tono LXX", l'Album è stato operato durante l'anno 1970. Esso contiene 70 pagine disegnate a china (quasi tutte con un disegno su due pagine) disposte secondo l'andamento seguente:

pp1-8: 4 disegni su 8 pagine di carta bianca (tre si trovano in p. dispari e 1 in p. Pari);

pp. 9-96: 44 disegni su 88 pp. di carta bianca, in 22 quartini con disegnate le pp. centrali;

pp. 97-108: carta grigia, con 6 pp. disegnate, in 3 quartini con disegnate le pp. centrali;

pp. 109-120: carta rosa, con 6 pp. disegnate in 3 quartini con disegnate le pagine centrali:

pp. 121-132: carta celeste, nessun disegno;

pp.133-144: carta giallina, 4 pp. disegnate, in 2 quartine con disegnate le pp. centrali;

pp. 145-156: carta verdina, 6 pp. disegnate, in 3 quartine con disegnate le pp. centrali.

Da osservare che se si considera probabile che la scritta "109" sulla copertina del fascicolo indichi il numero progressivo di Album disegnati, l'insieme di questi costituirebbe un Corpus imponente. Va considerato che, dato il disegno operato nelle pagine centrali dei quartini, un certo numero di Album sia stato sfascicolato per vendere o regalare i soggetti delineati.

Domanda: perché questo quaderno n.109 è in mio possesso da cinquant'anni? La risposta logica è per amicizia, per riconoscenza delle catalogazioni effettuato a titolo gratuito perché ero un suo collezionista (avendo investito i miei risparmi nel 1967-69 in acquisto di sue litografie e incisioni). C'è un'altra possibilità, che esporrò ed è quella più plausibile, sommata alle altre ipotesi.

Opportuno riferire l'antefatto. Il 1° settembre 1971 fui assunto in prova, con presumibile scontata conferma, dalla Casa Editrice Vallecchi di Firenze, gestione Geno Pampaloni. Già tredici mesi prima avevo chiesto a Alfredo Righi (che conoscevo dal 1946) di essere assunto in Vallecchi perché dopo il tremendo incidente operatorio di mia madre (morta almeno sette volte per prolungato arresto cardiaco causato dal distacco di un polmone, tenuta in vita con massaggio cardiaco manuale per altre 7 ore, salvata da apparecchiatura proveniente dal Rizzoli – credo – di Bologna, su ambulanza preceduta e scortata dalla polizia con sirene spiegate) dovevo contribuire al bilancio domestico con entrate anziché guadagnarmi il mantenimento con attività collaborative di quelle dei genitori, altrimenti svolte da altri, ovviamente retribuiti. 

Collaborazione che ho continuato a svolgere comunque a titolo gratuito, salvo rimborsi in casi onerosi. D'altro canto era ora di affrontare la vita esercitando il dovere morale del proprio mantenimento. Tornando alla Vallecchi, presentai a Pampaloni domanda formale di assunzione. Così feci anche presso due editori fiorentini: uno, presenzialista massonico e lamalfiano mi liquidò dicendo che ero troppo qualificato per le loro necessità. Curiosamente dieci anni dopo, quando rimasi disoccupato, immemore mi dette la stessa risposta. Tutto ciò all'insaputa di mio padre, perché non volevo essere il classico raccomandato e perché avevo ormai un curriculum professionale nutrito e abbastanza prestigioso. Finalmente fui chiamato. (Anni dopo, la spontanea testimonianza del factotum della ditta, il cordiale e apprensivo amico Paolo Cantini, appresi che in realtà fui assunto da Guido Ramaciotti, l'Amministratore Delegato, il quale trovo tra le carte da vidimare per l'archiviazione la mia domanda. Begli amici … mi avevano preso per i fondelli: ero ingombrante (il cognome) meglio il quieto vivere. Lezione che ancora non avevo esperito: gli amici lo sono entri i limiti della loro convenienza; sono peggiori delle amanti, con le quali almeno c'è stata corrispondenza reale, tangente. Stronzi, allora – come poi del resto – senza lavoro non ero in grado di sostenere la mia esistenza. E lo sapevano! Meno male che ho appreso questa vicenda – confermata da uno dei responsabili dopo mia furibonda incazzatura – perché nel 1971 sarei stato veramente capace di vendicare l'affronto anche con la violenza fisica. Meno male che invecchiando sono diventato mansueto come un leone sdentato. Mi scuso per la digressione, ahimé, pertinente, credo.

Cronistoria del dono dell'Album 109: Tono, proveniente da Roma si fermò, come spesso accadeva, a La Costa, dove apprese dai miei genitori che non c'ero a pranzo perché da pochi giorni lavoravo come impiegato/redattore. Congedatori dai Ragghianti seniores, verso le quattro del pomeriggio Tono si fece portare dal suo abituale accompagnatore in Vallecchi. Caso volle, che dopo aver parcheggiato nel viale alberato del giardino Capponi lungo il lato del Kunsthistorisches Institute già casa Rosselli, Tono fosse attratto dalle decorazioni murali a rilievo delle serre laterali al fianco del giardino in fondo al quale si trovava la stanza di Alfredo Righi, dove provvisoriamente era stata sistemata anche la redazione della collana di libri alla quale dovevo attendere quale redattore. Entusiasta da quegli ornamenti – allora Tono era “invaghito” e infatuato dall'iper decorato Palazzo Palagonia di Bagheria – l'amico pavano faceva ad alta voce dei commenti. Righi e poi io, udendolo lo riconoscevamo e uscimmo dalle posta finestra sul giardino dove lo incontrammo. Alfredo, da buon intenditore, si accorse immediatamente che Tono era un po' alticcio, da soddisfatta postprandialità e ritenne non fosse il caso che l'amico artista entrasse in quello stato in Vallecchi, sede di pie persone, con private dissonanze.

Abbracci e pacche amichevoli e Tono pilotato in un Bar di Borgo Pinti. Tornando all'automobile per il ritorno a Padova. Tono fino allora allegro, scherzoso e un po' sfottente del mio nuovo impiego, si fiondò sul bagagliaio dell'auto, che il Giorgio aprì e poi, serio, quasi malinconico e triste mi regalò l'Album 109. Io rimasi perplesso, però dopo cena compresi il perché del regalo, invece Alfredo capì subito il messaggio insito nel perché del dono: era “compassione” per ciò che mi attendeva nella vita da subordinato aziendale, che ben conosceva – essendo stato bancario – e Tono di cui provava ripugnanza ma solidale compatimento da uomo le cui doti creative avevano consentito di evadere da quella inevitabile fanghiglia, destinata ai più.

F.R. (15 settembre 2021)

giovedì 18 novembre 2021

[glossario] Gentilezza/Kindness.

Sinonimi: Bontà, Carità, Cortesia, Benevolenza, Dolcezza ...


di Adam Phillips e Barbara Taylor, "The Guardian", Regno Unito; "Indipendente", Italia 2009.

domenica 14 novembre 2021

Benedetto Croce, Antony De Witt e la "Commedia" di Dante Alighieri.

Quest'anno ricorre il VII centenario della morte di Dante Alighieri. Concorde con mio padre, ritengo il fatto "centenario" in sé inconsistente. Serve soltanto a focalizzare l'attenzione su una ricorrenza eletta a simbolica manifestazione di particolare attenzione. In parte il "centenario" risulta anche una forzatura perché non c'è spontaneità ispirativa nelle manifestazioni indette all'uòpo (bello eh! ho da poco smesso di tentare di leggere Spartaco del Guadagnoli) e talvolta (ma non raramente) tanto meno negli studi e nelle ricerche inerenti, accademici e professorali nel senso negativo enunciato da Benedetto Croce nel 1941 su "La Critica". Però senza il tarlo del "centenario" non avrei probabilmente pensato di pubblicare questo post con tre protagonisti eccezionali.

Al dunque, ricorrendo nel 1921 il VI centenario della morte di Dante, Benedetto Croce pubblicò il libro La Poesia di Dante, riedito in questo 2021 (VII centenario) da Bibliopolis. Nel 1965 ricorrendo il VII centenario della nascita del poeta, Carlo L. Ragghianti e il figlio Francesco furono impegnati nello studio e nella catalogazione della "Divina Commedia" interpretata visivamente dagli occhi e dalla mano di Tono Zancanaro, nel volume omonimo, nella mostra a Pisa, e nelle altre manifestazioni visive di Tono sulla Commedia: Editori Laterza; "Vie Nuove" (vedasi il post del 25 gennaio 2021). Il volume "ufficiale" celebrativo di quel centenario – sesquipedale nel formato il folio grande – fu edito da La Nuova Italia, per cura di Rosanna Codignola, con 24 splendide tavole delineate a colori da Antony De Witt, illustre studioso della grafica italiana, scrittore e più che illustre pittore. Queste circostanze, unite al fatto che nel 1963 avevo letto il saggio di Benedetto Croce, con attenzione e ammirazione particolari, durante la preparazione dell'esame di italiano con Walter Binni (detto tra parentesi il mio peggior voto a causa di circostanze fortuite e permalosità ombrosa dell'amico – di mio padre – docente, che a vedere con Dante e Benedetto Croce nulla hanno a che fare).

Perciò oggi, non tanto per conformità nei confronti dell'inevitabile ricorrenza, quanto perché m'è parso più che opportuno, doveroso che in questo blog "Ragghianti&Collobi" – già di almeno 590 post – comparisse una pubblicazione che associasse il nome del 

"normalizzatore" della nostra bellissima lingua, nonché il filosofo, storico e critico Benedetto Croce (tutto sommato accantonato iniquamente e sottovalutato) e l'ottimo pittore, amico e fine gentiluomo che fu Antony De Witt.

Insisto: non per giustificazione ma per convinta adesione voglio ricordare un brano – che trovo citato da Emma Giammattei – del discorso che Benedetto Croce tenne nel 1921 inaugurando il VI centenario: "Il più alto e vero modo di onorare Dante è anche il più semplice: leggerlo e rileggerlo, cantarlo e ricantarlo, tra noi e noi, per la nostra letizia, per il nostro spirituale elevamento, per quell'interiore educazione che ci tocca fare e rifare e restaurare ogni giorno, se vogliamo seguir virtute e conoscenza, se vogliamo vivere non da bruti, ma da uomini".

Aggiungo: il poeta e la cultura si onorano anche ricordando le interpretazioni visive dei 100 canti danteschi, numerose e spesso di qualità e originalità espressive indimenticabili. Totali o episodici questi corpus illustrativi hanno accompagnato fin dalle origini la Divina Commedia di Dante.

Cito soltanto gli artisti che mi vengono in mente adesso dopo i quasi sempre ignorati miniatori coevi e successivi. Dal Trecento al Cinquecento Botticelli, Domenico di Michelino, Giovanni da Modena, Zuccari, Signorelli, dall'ed. Del Vellutello, e persino Michelangelo. Fino all'Ottocento compreso: Flaxman (di cui possiedo un'edizione italiana e una serie di tavole sciolte, stampate su carta pesante), Blake, Delacroix, Rossetti, Doré e La porta dell'Inferno di Rodin. Nel 900, tra i numerosissimi interpreti ricordo: Scaramuzza, Nottini, P. Barbieri, Alberto Martini, Cambellotti, Chini, Saetti, Kokocinski, l'Inferno del controverso Rauchenberg e, naturalmente, Tono Zancanaro.

Il testo di Benedetto Croce è tratto da Letteratura Italiana per saggi di B. Croce "storicamente disposti a cura di Mario Sansone", il quale riporta buona parte del libro, centrata quasi esclusivamente sulla "Commedia", come attesta la Concordanza bibliografica alle pp. 541,542 anch'essa riprodotta.

F.R. (28 agosto 2021)

mercoledì 10 novembre 2021

La prima Mostra storica del Futurismo, 1. Progetto per la Biennale di Venezia, 1960.

Preparando il post su Anton Giulio Bragaglia e la fotodinamica (vedasi il post del 18 settembre 2021) ho di nuovo incontrato – dopo anni – il progetto della Mostra storica del Futurismo, che mio padre C.L.R. aveva allestito per la Biennale di Venezia del 1960.

Considero, poi: questo testo fu pubblicato in "Critica d'Arte" (n.172-174, lug.-dic. 1980, pp. 181-201), però in un momento di particolare difficioltà dell'editore Nuova Vallecchi, il quale non disponendo – tra l'altro – di strutture idonee alla distribuzione di periodici, risolse il problema effettuando solo in parte il servizio abbonati e trascurando le librerie.

Sulla base di queste due premesse reputo necessario riproporre l'intero progetto, le cui prime pagine (181-186) ne costituiscono la presentazione programmatica con l'intento di "seguire fin dall'inizio i lavori, elaborando per il 



Appendice – Premetto che la mia lunga esperienza editoriale, svolta con pratiche su tutto l'arco delle attività collegate alla realizzazione di un libro o di un fascicolo di rivista, mi mette in grado di valutare la qualità e la fattibilità di un progetto o di una proposta di concreta realizzazione e di indubbio esito editoriale positivo.

Tenendo presente che l'esito commerciale ha ben poco a che spartire con la qualità intrinseca di un libro – così come il vero valore di un'opera d'arte non è quello stabilito in un dato momento dal mercato – questa Mostra sarebbe oggi realizzabile pari pari perché ancora del tutto originale e culturalmente propositiva di nuove valutazioni e idee. 

complesso della Mostra e per ogni centro o tema emergente di essa le soluzioni adeguate". Le pp. 187-209 contengono i dettagli di tutti gli aspetti indagati secondo un'ottica e un programma originale ed innovativo. La conclusione, pp.210,211 rappresenta una severa e puntuale cronaca degli accadimenti, mentre la Postilla (p.211) indica attraverso i precedenti e le conseguenze metodologiche (si pensi soltanto al Mondrian e l'arte del XX secolo, 1962) di questa importante ed originale impostazione storica, la quale fu poi realizzata da altri travisandone la sostanza e l'impatto sugli studi.

Quindi, proprio per non lasciate adito a deformazioni del pensiero di C.L.R., una documentazione diretta circa questo progetto e altri suoi contributi (gli ultimi) sul Futurismo saranno oggetto di un prossimo post.

F.R. (8 luglio 2021)



Dato che sarebbe possibile, penso sia auspicabile realizzare un libro impostato secondo i dettami sia del progetto della Mostra storica, che di quelli deducibili dalla seguente lettera di C.L.R. indirizzata all'editore Giulio Einaudi.

Allora costui, sempre più condizionato dai debiti e dalla volontà politica che lo sosteneva, sempre più circondato da redattori di mediocre livello e attenti alle mode conformistiche e comunque – anche se già vicini a C.L. Ragghianti – ammaliati dal sociologismo angloteutonico, alla fin fine non dette ascolto e seguito alla proposta esposta da C.L. Ragghianti.

sabato 6 novembre 2021

Arte Moderna in Italia 1915-1935 - Testi dei Critici, 32. GUIDO PEROCCO (ZECCHIN, CAVAGLIERI, GARBARI, CAGNACCIO DI S. PIETRO), 2.



Premessa: oltre la scheda di Guido Perocco, su Zecchin pittore c'è ben poco da dire. Certamente ancora oggi questa sua attività è tutto sommato poco conosciuta; è considerata sì originale ma in un certo senso tributaria dalla cultura austriaca, soprattutto Klimt. Considerato come vetraio peritissimo e innovativo non è sconsiderata la valutazione finale che il cronista de "L'Unità" (10 gennaio 2003) dà della ricca mostra presso il Museo Correr di Venezia. Scrive, infatti, Marco Bevilacqua: "Ma la sua eredità più profonda resta forse quella legata alle delicate spirali a forma di murrina, alle gocce d'oro che ornano i suoi pannelli e le sue vetrate, un mondo sognante al quale probabilmente devono più di un tributo di ispirazione molti illustratori contemporanei". Ritengo che Zecchin fu inserito

nella mostra di Palazzo Stozzi soprattutto per motivi di storiografia, di equilibri e di sviluppi regionali riguardanti la continuità espressiva veneta anche dopo il dominio austroungarico e la riunione con il resto del Paese nel 1867.

Alcune illustrazioni sono riprodotte senza data e titolo solo per sopperire alla oggettiva scarsità delle opere reperite, parte delle quali dipinte prima del 1915. Quanto ai vetri, che costituiscono il principale – anche culturalmente – contributo di Vittorio Zecchin alla cultura visiva, oltre alle note monografie sull'argomento citate da Perocco, ricordo il grosso e bel volume del 2013 – La forza della modernità. Arte in Italia 1920-1950 – pubblicato dalla Fondazione Centro Studi Ragghianti di Lucca.

F.R. (14 settembre 2021)

martedì 2 novembre 2021

Ancora sulla vecchiaia.

 In memoriam di Leonardo Baglioni.



15 marzo 2021 – Scritta di getto dopo il risveglio, la misurazione della pressione arteriosa, prima dell'inalazione del Foster. Pensando a Leonardo morto tra il 7 e l'8 novembre 2010, ancor giovane, di infarto fulminante, dirimente infiniti tormenti.