Carlo e Licia

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mercoledì 26 febbraio 2020

Arte italiana al 1960, 2. Scultura.



Anche questa seconda parte del saggio di C.L.R. costituisce la “recapitolazione visiva” con da un lato un punto fermo, dall'altro uno spartiacque dell'espressione visiva in Italia al 1960. Mentre il presente è affermato e illustrato quel tanto da poterlo ritenere storicizzato, quindi proposto come esemplare per l'analisi critica, il futuro – già in essere e più o meno già esplicito nei suoi protagonisti – invece è implicito che avrebbe in seguito ricevuto una attenzione spropositata da parte di certa critica militante, “drogando” l'esposizione mediatica prevalente in Italia.
Per il presente l'esperienza e il costante controllo critico degli accadimenti e delle realizzazioni artistiche è sicuro e coerente. Per le energie e le fantasie creatrici emergenti l' aspettativa è cauta. Ricordando i limiti dello specialismo “che ha un fondamento pratico evidente” e che “ha una faccia correlativa all'estetismo”, che “falsifica la comprensione” se lo si assume come unico valore, R. sottolinea limiti e insufficienze della storia dell'arte. Si intravede – ovunque – la tendenza verso fenomenologie sociologiche, la svalutazione della professionalità operativa –l'uso delle mani, per dirla grossolanamente – meno determinante e necessaria delle idee astratte (spesso prive di creatività ed emotività) nelle singole opere. L'analisi critica è spostata vieppiù verso rimasticature ideologiche, con casi estremi che lasciano veramente perplessi.
Corsi e ricorsi, più o meno come sempre. Sta di fatto, però, che la stocastica storica non ha espresso nella seconda parte del XX secolo fenomeni scultorei all'altezza di quelli della prima parte del secolo. Un Brancusi, un Wotruba, un Arturo Martini, tanto per fare qualche esempio di artisti di inevitabile riferimento e confronto per i colleghi e per i critici, non si sono manifestati. 
Si è creato così una sorta di “buco nero” inibitore di originalità prorompente. Sarebbe quindi indecoroso sostenere che un nullatenente culturale come Jeff Koons – e altri fenomeni più o meno sgradevoli di furbizia e di sopraffazione mercantile – possono essere considerati artisti di levatura storica, provvisti di una creatività atta a sfidare i secoli successivi. In questi personaggi di forse grande effetto mediatico ma espressivamente irrisori, l'operato non può che dare, in seguito a riflessione critica e storica, l'impressione che ci prendano per il bavero.
F.R. (10 gennaio 2020)

domenica 23 febbraio 2020

Arte Moderna in Italia 1915-1935 - Testi dei Critici, 8. SILVIO BRANZI . (SCOPINICH, BALDESSARI, NOVATI, SPRINGOLO, RAVENNA, KOROMPAY, ZANINI)..



Post Precedenti:

1. RAFFAELE MONTI ( I ) - 16 giugno 2018
2. IDA CARDELLINI (LORENZO VIANI) - 28  settembre 2018 
3. UMBRO APOLLONIO (NATHAN, BIROLLI) - 19 settembre 2019
4. MARCELLO AZZOLINI (GUERRINI, CHIARINI, VESPIGNANI). 6 ottobre 2019
5/I. FORTUNATO BELLONZI (BOCCHI, D'ANTINO). 12 novembre 2019
5/II. FORTUNATO BELLONZI (MORBIDUCCI, SAETTI). 28 dicembre 2019
6. ALDO BERTINI (CREMONA, MAUGHAM C., PAULUCCI). 22 gennaio 2020.
7. ANNA BOVERO (BOSWELL, CHESSA, GALANTE). 5 febbraio 2020.


Giornalista professionista e critico d'arte, Silvio Branzi (1899-1976) ha collaborato fin dal 1947 con lo Studio Italiano di Storia dell'Arte, fondato da Ragghianti, che fu in un primo tempo la nuova denominazione dell'Istituto di Studi sul Rinascimento, fondato fascisticamente da Papini. In seguito all'intervento di Gonella, ministro della P. Istruzione, gli Enti furono di nuovo divisi e contrapposti. Entrambi, però, erano situati al secondo piano di Palazzo Strozzi: con affaccio su via Tornabuoni Ragghianti, su piazza Strozzi il Salmi e compagnia non bella.
Silvio Branzi nel 1948 partecipò al 1° Convegno dei critici d'arte (si vedano i post degli Atti dal primo del 23 luglio 2018 al dodicesimo del 22 luglio 2019), ma il suo contributo non fu pubblicato perché consegnato a stampa del libro in corso, come rammaricato suppose lo stesso Branzi in una lettera a R. del 23 settembre 1948. Nonostante fosse più anziano di undici anni, il critico trentino riconosce in C.L.R. “una guida per il mio lavoro futuro” (lettera del 27 ottobre 1948). Nel 1956/57 sostenne sul quotidiano di Venezia, il “Gazzettino” (soprattutto il 12 dicembre 1956) e su “La Fiera Letteraria” (Conservare bene le opere d'arte, 20 gennaio 1957) la campagna, o come egli scrive il “rapporto” condotto da C.L.R. circa le voci di bilancio del Ministero Pubblica Istruzione riguardanti la conservazione, la tutela, la valorizzazione e l'amministrazione del patrimonio artistico nazionale, iniziata su “Comunità” (n. 44) e sostenuta su “seleArte”. Nel 1958 R. scrisse a S.B. (13 marzo) una lettera in cui lo ringraziava per aver recensito con un “raramente preciso riassunto” il suo saggio su Antonio Canova nel fascicolo speciale di “Critica d'Arte” (n. 22, lug-ago.1957, pp. 107). Ragghianti quindi gli rivolge alcune obiezioni e osservazioni che riprodurremo in occasione della prevista ripubblicazione dell'importante studio di R. in questo blog.
Anche se purtroppo disperse nelle vicissitudini degli uffici di Ragghianti, Branzi recensì puntualmente le iniziative, i libri e gli studi di C.L.R. durante tutto l'arco della sua attività giornalistica. Naturaliter Branzi nel 1966 fu coinvolto nella realizzazione della Mostra di Arte Moderna 1915-1935 con l'assegnazione di sette schede critiche di artisti triveneti e quella del “futurista” Korompay, docente all'Accademia di Bologna. Nel 1967, Branzi è tra gli aderenti (biglietto del 6 maggio 1967 a Luporini) alla riprovazione e 



alla denunzia di condanna del proditorio attacco del Previtali alla personale onestà e correttezza di C.L. Ragghianti nelle vicende collegate all'Alluvione di Firenze (4 novembre 1966). Pochi giorni dopo, Branzi subì a Bologna un intervento chirurgico piuttosto importante, tale da conseguire un suo minore impegno lavorativo e di partecipazione alle vicende del “mondo” artistico.
Alla notizia della morte del critico e storico trentino, Carlo L. Ragghianti lo volle ricordare pubblicamente pubblicando su “Critica d'Arte” (n. 151-153, seleArte IV serie n. 19, gen-giu. 1977, pp. 219-220) col titolo Ribelli di Ca' Pesaro la recensione all'omonimo ultimo libro edito da Branzi. Concludiamo questa scheda con la postazione dello scritto di C.L.R., che – oltretutto – si riferisce in termini generali anche a quanto documentato in particolare in questo post.
F.R. (4 novembre 2019)


giovedì 20 febbraio 2020

Giotto, 8. Un restauro, un recupero e risentimenti retrospettivi.

Il 27 luglio scrissi ab irato un post (l'ottavo di argomento giottesco) che, depurato da considerazioni controproducenti di tipo personale, pubblico a chiusura del presente intervento il quale comprende anche la recensione (non fresca ma tuttavia utile data l'importanza della tavola autografa di Giotto già in San Giorgio alla Costa di Firenze). Dopo la nota redazionale, a sé stante, verrà riprodotto il recupero della pagina dispersa di una intervista a Carlo L. Ragghianti da parte di Enzo Fabiani per “Gente”, 7 maggio 1982. Questo testo, che verte prevalentemente sull'opera e i tempi di Giotto, ha un taglio colloquiale e disteso e rappresenta una testimonianza sulla personalità non paludata dello studioso.
La Madonna di Giotto, già mutilata nei contorni, fu lesionata da schegge di vetro e altro la notte tra il 26 e il 27 maggio 1993 in seguito all' attentato mafioso di via dei Georgofili a Firenze. Una volta restaurata la tavola, per iniziativa del Comitato Eventi per Lucca e della Fondazione Cassa di Risparmio fu esposta alla fine del 2014 nella chiesa di San Franceschetto. Il ripristino dell'opera del maestro vicchiese fu operato dall' équipe di Paola Bracco, la quale firma la relazione tecnica (pp. 36-37) del Catalogo Giotto in San Francesco edito in inglese ed in italiano per l'occasione da PubliEd. Non sono in grado di dare altri dettagli su questa restauratrice perché le notizie che la riguardano sono accessibili tramite Linkedin, una sorta di fortezza paranoide alle richieste della quale rifiuto di sottostare.
Nelle seguenti pagine bilingui 58-69, Licia Bertani – pensionata della Soprintendenza di Firenze – scrive La fortuna critica e la bibliografia conseguente caratterizzata da una osservanza longhiana praticamente esclusiva.

A proposito di questa importante opera, mi fa piacere ricordare che in Percorso di Giotto (“Critica d'Arte”, n. 100.101, mar.-apr. 1969, p. 68; nostro post del 26 novembre 2017) Carlo L. Ragghianti così cita specificatamente il dipinto:

Nella monografia, agile ma rigorosa, che Licia Collobi scrisse nel 1987 (Giotto, p.14, Università Internazionale dell'Arte, Firenze; nostro blog del 27 luglio 2017) a proposito di questa pala:

Il pezzo forte, che da solo giustifica l'edizione della pubblicazione bilingue – ben illustrata per quantità e qualità – è il racconto Il poeta di Marco Vichi (autore di cui credo aver letto tutti i libri e di cui proprio due sere fa ho terminato di leggere con rimpianto il coinvolgente romanzo L'anno dei misteri). In questo originale racconto Vichi narra le vicissitudini di Dante Alighieri, amico e interlocutore di Giotto, in una casuale sosta romagnola nella quale passa una notte agitata per la frenesia di terminare il canto di Paolo e Francesca. Nel caso del “recupero” di “Gente” bisogna tenere conto del fatto che titoli e sottotitoli nei giornali quotidiani e nelle pubblicazioni periodiche sono opera del direttore o di un redattore delegato e che di conseguenza essi non sempre individuano il nucleo fondante di un processo intellettuale altrui, in questo caso mi sembra che nei titoli si sia voluto “sdrammatizzare” le figure di Giotto e di Ragghianti portandole su un piano colloquiale. Non si tratta quindi di un testo criticamente rilevante, bensì di un documento interessante circa la notorietà di C.L.R., il quale pur schivando quasi tutte le occasioni “mondane” era tuttavia considerato da molti giornalisti quale personalità civile e storica importante della vita nazionale, nonché uno studioso di chiara fama degno di essere conosciuto dal grande pubblico generico come peraltro ha dimostrato la copiosa massa di “coccodrilli” in occasione della sua morte (vedere i post del 31 dicembre 2017 e del 31 dicembre 2018). L'intervista di Enzo Fabiani (di cui diamo qualche notizia nel post del 18 dicembre 2017) oltre che giornalista, poeta e scrittore di orientamento cattolico ma non reazionario, è sostanzialmente corretta.
Finalmente la possiamo postare integralmente, grazie anche alla collaborazione della Fondazione Ragghianti di Lucca, dopo anni di ricerche delle pagine mancanti. Dopo il recupero, veniamo ai risentimenti retrospettivi. Che mediocri studiosi abbiano il coraggio di scrivere su Giotto e 
sulla pittura dei secoli XIII-XIV ignorando deliberatamente gli studi e gli scritti dei coniugi Ragghianti è riscontrato da decenni. Che in questo o in altri casi saccheggino attribuzioni, tesi problematiche, puntualizzazioni critiche e quant'altro attinente la storia dell'arte senza citare la fonte, come diceva Rascel, “invece pure”. Quindi che si pratichino damnatio memoriae non sorprende, caso mai rappresenta un en plein concreto, anche se raramente accertato.
E' di conseguenza purtroppo non inusuale negli ambienti della supponenza accademica che una studiosa dall'illustre doppio cognome incorra in taluni comportamenti tra quelli appena descritti. Costei nel 1967 fu benevolmente ospitata da C.L. Ragghianti in “Critica d'Arte” con un articolo suggerito dal di lei maestro universitario, secondo una prassi corrente per diversificare le fonti della propria bibliografia. Quasi trent'anni dopo, divenuta a sua volta “barone”, nel 1995 ha pubblicato una monografia su Giotto senza nemmeno ricordare gli studi di C.L.R. e nemmeno in bibliografia il libro Giotto di Licia Collobi (Università Internazionale dell'Arte di Firenze 1987; ripubblicato con veste grafica modificata nel nostro post il 27 luglio 2017), segnalato a suo tempo su “Critica d'Arte” serie Panini Editore. Il tutto probabilmente – lo posso ammettere – per sua arrogante ignoranza piuttosto che per malafede.
Quello che non è usuale e quindi in malafede, invece, è il comportamento di un soggetto largamente beneficiato (personalmente, editorialmente, accademicamente) da C.L.R., nonostante non fosse nemmeno un suo allievo diretto. Questo tipo, alto, grosso, dinoccolato, che gli usceri dell'ufficio Critica d'Arte/Ragghianti di piazza Vittorio Veneto a Firenze avevano soprannominato il “Tattamea”, nel 1996 nella rivista “Critica d'Arte” (nel frattempo divenuta bollettino parrocchiale dell'ormai decadente Università Internazionale dell'Arte di Firenze) recensì il citato Giotto della docente universitaria dal doppio cognome paterno. Tra l'altro egli scrive che l'autrice “offre un testo innovativo ma non svincolato da una robusta tradizione critica, frequenti sono i richiami ai volumi di Gnudi, di Previtali, di Volpe, di Bellosi, di Zeri, della Lisner (praticamente tutti longhiani e tutti in lettere maiuscole) e di altri ancora, alla quale opportunamente l'autrice si richiama”.
Poffarbacco: e i Ragghianti? Altri ancora?” nemmeno confutati?; silenzio su tutta la linea. Peccato che questo il Tattamea di seconda generazione, nel 1989 abbia recensito in termini lusinghieri il libro Dipinti fiamminghi in Italia 1420-1570, scritto da Licia Collobi Ragghianti, defunta poche settimane prima della pubblicazione dell'opera. Si è trattato di un tardivo moto di sentimentalismo nel ricordo della signora che tantissime volte l'aveva ospitato al desco familiare? Purtroppo nemmeno ciò. La recensione così favorevole anche all'editore (Calderini) era dovuta evidentemente al fatto che – dopo la morte di Carlo L. Ragghianti (1987) e per la di lui segnalazione – il Tattamea era stato nominato direttore della collana, succedendo a R., nella quale era stato pubblicato il corpus di Licia Collobi.
Concludo il capitolo con due osservazioni. Il direttore di collana presso un editore può recensire in una rivista di un altro editore il libro del primo editore senza essere in conflitto di interessi? Cito Carlo Antoni su Croce – mi si perdoni l'accostamento al Tattamea – il quale su “Il Mondo” del 22 novembre 1955 scrisse: “Dicono che Benedetto Croce si sbagliasse nel giudicare gli uomini, e può darsi che fosse vero, ché non c'è grand'uomo, se non erro, di cui non si dica altrettanto”. Ciò vale anche per mio padre, ma non voglio essere io ad insistere sull'argomento.
Concludo ricordando una puntura di spillo, intriso di veleno accademico. Il 1997 per me fu un anno particolarmente difficile, trascorso da pretestualmente disoccupato e costretto dal bisogno all'ozio professionale oppure a sgradevoli lavori da “negro” (consapevole – per altro – di averli ricevuti più per umiliarmi che per aiutarmi economicamente, vincolato per di più da atti notarili all'impegno della riservatezza, che intendo comunque rispettare). In aggiunta a tutto questo era in pieno svolgimento una triste, sciagurata diatriba familiare. Per questi motivi reagii con particolare acredine alla constatazione che un tizio, tal Toqualcosa, adepto della solita congrega e pure baldinescante si era segnalato per scritti sulla pittura del XIII secolo, nei quali ignorava e sviliva i raggiungimenti di mio padre. Scrissi in conseguenza un violentissimo e ingiurioso sonetto che ripudio perché disdicevole nonché inutile. Cito soltanto la terzina conclusiva, che sopravvive al resto del sonetto che ho distrutto:

violenti. La Bibliografia – scorretta
di taciuti studi, plagi e misfatti -
ti condanna a temere la vendetta.

F.R. (6 gennaio 2020)


venerdì 14 febbraio 2020

Alois Riegl: Arte tardoromana, 5.

Post precedenti

1. 24 settembre 2019 - Indice generale; Elenco illustrazioni (p. XI); Notizia Critica (p. XVII); L'opera storica di Alois Riegl (p. XXXI).
2. 24 ottobre 2019 - L'architettura (p.25).
3. 24 novembre 2019 - La scultura, I. (p.73).
3/II. 15 dicembre 2019 - La scultura, II. (p.124)
4. 15 gennaio 2020 - La pittura (p. 183)

martedì 11 febbraio 2020

Nuňo Gonçalves. Primo grande pittore portoghese e il “Polittico di San Vincenzo”

Ritengo opportuno un breve preambolo riguardo Licia Collobi Ragghianti nel quale si chiarisca il perché fosse in grado di spaziare, nei suoi studi, nelle ricerche e nelle recensioni in tutti gli aspetti dello scibile riguardante le arti figurative.
Questa latitudinarietà scientifica è stata resa possibile da due elementi costitutivi la sua personalità di studiosa.
Il primo è la conoscenza delle lingue straniere, dal tedesco a livello di madrelingua (e quindi olandese, danese ecc..), all'inglese, al francese e a tutte le altre lingue neolatine, alle lingue slave (polacco escluso, chissà perché) a livello di sicura comprensione. Ovviamente aveva padronanza ottimale di latino e greco antico (per cui comprendeva anche quello moderno).
Il secondo motivo determinante la sua vocazione di studiosa è stata la curiosità, insaziabile, inesauribile (da non confondere con eclettismo ed enciclopedismo) di fare nuove esperienze ed analisi critiche su tutte le arti figurative, nonché quella altrettanto forte di approfondire il già acquisito.
A queste due motivazioni va associata l'etica della partecipazione del proprio sapere. Quindi, pur essendo moglie e madre di quattro figli, ed occupandosi di loro e della gestione 
della famiglia, Licia Collobi ha lavorato intellettualmente per tutta la vita ed è morta colta da una crisi respiratoria mentre, degente a letto, stava studiando un libro che intendeva recensire, nella sua camera inondata della luce solare del pomeriggio estivo.
Due interventi su Nuňo Gonçalves (1420-1490) il primo grande pittore portoghese, la cui conoscenza e la cui importanza storico-culturale sono sottostimate, sono stati sicuramente scritti da Licia Collobi e provengono il primo da un importante libro cui la studiosa attese nei primi anni Ottanta: Il Quattrocento europeo volume IV della Storia della pittura dal sec. IV al sec. XX, De Agostini 1985. Da questo ed altri volumi dell'opera – diretta da C.L.Ragghianti – posteremo altri contributi di indubbio interesse. Il secondo studio, incentrato esclusivamente sul Polittico di San Vincenzo proviene da “Critica d'Arte”, V serie, n. 17, giu.-ago. 1988.
Su “seleArte” (n. 21, nov.-dic. 1955, pp. 26, 27 e colore a sé stante) fu pubblicato un breve excursus attribuito a C.L. Ragghianti. Secondo me è opera in collaborazione con Licia, che sovente impostava il testo nel quale R. inseriva qualche osservazione.
F.R. (11 gennaio 2020)

mercoledì 5 febbraio 2020

Arte Moderna in Italia 1915-1935 - Testi dei Critici, 7. Anna Bovero. (BOSWELL, CHESSA, GALANTE).



Post Precedenti:

1. RAFFAELE MONTI ( I ) - 16 giugno 2018
2. IDA CARDELLINI (LORENZO VIANI) - 28  settembre 2018 
3. UMBRO APOLLONIO (NATHAN, BIROLLI) - 19 settembre 2019
4. MARCELLO AZZOLINI (GUERRINI, CHIARINI, VESPIGNANI). 6 ottobre 2019
5/I. FORTUNATO BELLONZI (BOCCHI, D'ANTINO). 12 novembre 2019
5/II. FORTUNATO BELLONZI (MORBIDUCCI, SAETTI). 28 dicembre 2019
6. ALDO BERTINI (CREMONA, MAUGHAM C., PAULUCCI). 22 gennaio 2020.

Anna Bovero

Anna Bovero, storica dell'arte torinese di cui – come per tutte le troppe donne vanitose – non è dato corrente trarre la data di nascita e di morte (sempre che lo sia), constato che è scivolata nel nulla mediatico. Non è grave danno, anzi. I volumi di immagini da lei curati per UTET sono stati, oltre che deludenti, ovvii. Stante, però, la difficoltà negli anni '60 e '70 di reperire iconografie artistiche – specialmente di architettura e scultura – di qualità e di dettaglio, sia pure in bianco e nero, Licia Collobi recensì i volumi della serie edita da UTET, se non vado errato, tre volte con indulgenza e qualche apprezzamento.
L'unica attività – vedo – che la fa sopravvivere come notizia è che fu la traduttrice italiana della Storia sociale dell'arte di Arnold Hauser (“veleni” Einaudi, 1955). Questa opera dello studioso di origine ungherese, divenuto britannico, fu considerata nefasta da C.L.R. perché esemplare di una sorta di sociologia residua del positivismo. Su “seleArte” (si veda il post del 18 dicembre 2019) Ragghianti stigmatizzò il libro non tanto a causa delle scemenze, quanto per il dirompente danno irreversibile alla comprensione dell'arte da parte dei suoi lettori. Oltretutto lo Hauser non è stato nemmeno un ingegno deviato dall'opportunismo e dal conformismo leninista come il conterraneo György Lukàcs.
Nello stesso anno 1955 della pubblicazione della Storia dello Hauser, Anna Bovero partecipò al II Seminario di Storia dell'Arte di Pisae Viareggio ( 28 giugno - 8 luglio) organizzato da Ragghianti e dal suo Istituto di Storia dell'Arte
dell'Università di Pisa, con presenza di studiosi italiani e stranieri, su cui primeggia il ricordo delle epiche bevute serali di punch al rum di Otto Kurz. Attesta questa qualificata presenza di storici dell'arte al Seminario lo scherzoso congedo (riprodotto in calce) di cui ignoriamo il poetante.
La partecipazione della Bovero in rappresentanza dell'Università di Torino, si esplicò anche con l'invio per la pubblicazione negli Atti di una relazione intitolata Lettura di Friedlaënder. L'arte dell'attribuzione, bocciata da Carlo L. Ragghianti con la laconica scritta: “Non va/Atti”. Noto, per inciso, che l' attribuzionismo risulta una smania all'ombra di Superga: per “zio” Aldo Bertini era un " violon d' Ingres”, quasi patetico anche perché non credo fosse afflitto dal bisogno. Così la Bovero, affascinata ma non dotata, così altre persone – di cui non ricordo i nominativi – narratemi nella redazione di “Arte in Italia” ed. Casini, alla Torre del Gallo di Firenze da Gian Lorenzo Mellini che fu per un breve e burrascoso periodo docente a Torino.
La presenza tra i critici autori delle schede della Mostra “Arte moderna in Italia 1915-1935” della dr. Bovero non fu dovuta da invito di C.L.R. ma dalla insistenza di Aldo Bertini e di altri torinesi nel Comitato esecutivo, concordi in una solidarietà localistica.
F.R. (25 ottobre 2019)


domenica 2 febbraio 2020

{bacheca} STORIA, 8.

Il giudizio storico e le sue implicazioni morali.

Infilato in altro contesto, ritrovo il saggio di Raffaello Franchini (1920-1990) e la breve mia nota del 2017 che avevo intenzione di premettergli. Siccome mi sembra che non siano mutate le condizioni per cui decisi di postare il contributo – che analizza una concettualità inevitabile per chi voglia cercare di vivere pensando nel presente per il futuro – lo pubblico nel nostro blog, il quale cerca anche di sostenere l'intelletto aggredito da tante aberrazioni culturali diffuse in tutti i mezzi di comunicazione.
Questo sintetico ma esauriente saggio di Franchini (da “Criterio”, III, n. 2, estate 1985) è una lettura che può risultare faticosa, specialmente per chi – come lo scrivente – non pensa nel quotidiano in termini sempre appropriati, “filosofici”. Ma Franchini è scrittore chiarificante, non semplificante certo, e rende i concetti che esprime il più accessibili possibile per i non “addetti ai lavori”: quindi comprensibili.


Essere in grado di affrontare il più lucidamente possibile il “giudizio storico” è essenziale per poter capire i propri tempi (e questi odierni sono davvero “tremendi” e barometricamente tempestosi). Ciò non solo traendone le “implicazioni morali” in sé ma soprattutto per poter partecipare al proprio dovere verso se stessi, verso i propri cari, verso gli “altri” per opporsi e utinam contrastare e debellare i propalatori della dissoluzione morale e materiale di una civiltà senza dubbio imperfetta ma indispensabile per la sopravvivenza della specie.
L'ineluttabile necessità di “pensiero e azione”, cioè di capire e individuare i veleni mentali e batterli, estirparli viene espressa lucidamente specialmente dalla fine di p. 89 dello scritto (1985) di Raffaello Franchini, filosofo napoletano vecchio e sincero amico di C.L. Ragghianti, di cui questo blog intende pubblicare altri documenti.
F.R. (2017 e 30 dicembre 2019)