Carlo e Licia

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domenica 23 febbraio 2020

Arte Moderna in Italia 1915-1935 - Testi dei Critici, 8. SILVIO BRANZI . (SCOPINICH, BALDESSARI, NOVATI, SPRINGOLO, RAVENNA, KOROMPAY, ZANINI)..



Post Precedenti:

1. RAFFAELE MONTI ( I ) - 16 giugno 2018
2. IDA CARDELLINI (LORENZO VIANI) - 28  settembre 2018 
3. UMBRO APOLLONIO (NATHAN, BIROLLI) - 19 settembre 2019
4. MARCELLO AZZOLINI (GUERRINI, CHIARINI, VESPIGNANI). 6 ottobre 2019
5/I. FORTUNATO BELLONZI (BOCCHI, D'ANTINO). 12 novembre 2019
5/II. FORTUNATO BELLONZI (MORBIDUCCI, SAETTI). 28 dicembre 2019
6. ALDO BERTINI (CREMONA, MAUGHAM C., PAULUCCI). 22 gennaio 2020.
7. ANNA BOVERO (BOSWELL, CHESSA, GALANTE). 5 febbraio 2020.


Giornalista professionista e critico d'arte, Silvio Branzi (1899-1976) ha collaborato fin dal 1947 con lo Studio Italiano di Storia dell'Arte, fondato da Ragghianti, che fu in un primo tempo la nuova denominazione dell'Istituto di Studi sul Rinascimento, fondato fascisticamente da Papini. In seguito all'intervento di Gonella, ministro della P. Istruzione, gli Enti furono di nuovo divisi e contrapposti. Entrambi, però, erano situati al secondo piano di Palazzo Strozzi: con affaccio su via Tornabuoni Ragghianti, su piazza Strozzi il Salmi e compagnia non bella.
Silvio Branzi nel 1948 partecipò al 1° Convegno dei critici d'arte (si vedano i post degli Atti dal primo del 23 luglio 2018 al dodicesimo del 22 luglio 2019), ma il suo contributo non fu pubblicato perché consegnato a stampa del libro in corso, come rammaricato suppose lo stesso Branzi in una lettera a R. del 23 settembre 1948. Nonostante fosse più anziano di undici anni, il critico trentino riconosce in C.L.R. “una guida per il mio lavoro futuro” (lettera del 27 ottobre 1948). Nel 1956/57 sostenne sul quotidiano di Venezia, il “Gazzettino” (soprattutto il 12 dicembre 1956) e su “La Fiera Letteraria” (Conservare bene le opere d'arte, 20 gennaio 1957) la campagna, o come egli scrive il “rapporto” condotto da C.L.R. circa le voci di bilancio del Ministero Pubblica Istruzione riguardanti la conservazione, la tutela, la valorizzazione e l'amministrazione del patrimonio artistico nazionale, iniziata su “Comunità” (n. 44) e sostenuta su “seleArte”. Nel 1958 R. scrisse a S.B. (13 marzo) una lettera in cui lo ringraziava per aver recensito con un “raramente preciso riassunto” il suo saggio su Antonio Canova nel fascicolo speciale di “Critica d'Arte” (n. 22, lug-ago.1957, pp. 107). Ragghianti quindi gli rivolge alcune obiezioni e osservazioni che riprodurremo in occasione della prevista ripubblicazione dell'importante studio di R. in questo blog.
Anche se purtroppo disperse nelle vicissitudini degli uffici di Ragghianti, Branzi recensì puntualmente le iniziative, i libri e gli studi di C.L.R. durante tutto l'arco della sua attività giornalistica. Naturaliter Branzi nel 1966 fu coinvolto nella realizzazione della Mostra di Arte Moderna 1915-1935 con l'assegnazione di sette schede critiche di artisti triveneti e quella del “futurista” Korompay, docente all'Accademia di Bologna. Nel 1967, Branzi è tra gli aderenti (biglietto del 6 maggio 1967 a Luporini) alla riprovazione e 



alla denunzia di condanna del proditorio attacco del Previtali alla personale onestà e correttezza di C.L. Ragghianti nelle vicende collegate all'Alluvione di Firenze (4 novembre 1966). Pochi giorni dopo, Branzi subì a Bologna un intervento chirurgico piuttosto importante, tale da conseguire un suo minore impegno lavorativo e di partecipazione alle vicende del “mondo” artistico.
Alla notizia della morte del critico e storico trentino, Carlo L. Ragghianti lo volle ricordare pubblicamente pubblicando su “Critica d'Arte” (n. 151-153, seleArte IV serie n. 19, gen-giu. 1977, pp. 219-220) col titolo Ribelli di Ca' Pesaro la recensione all'omonimo ultimo libro edito da Branzi. Concludiamo questa scheda con la postazione dello scritto di C.L.R., che – oltretutto – si riferisce in termini generali anche a quanto documentato in particolare in questo post.
F.R. (4 novembre 2019)





Luigi A. Scopinich è artista spesso citato, ma poco illustrato. Peraltro sarei portato a dire “ingiustamente” poco riprodotto, se mi posso affidare alle rare immagini disponibili dei suoi dipinti. E', comunque, una fortuna che la scheda critica di Silvio Branzi sia abbastanza esauriente. Oltretutto di questo pittore si sa ben poco di sicuro: le date di nascita e di morte, ad es., talvolta sono 1885-1959 (come qui nella scheda), talaltra 1886-1957. Non potendo dedicare a questo epigono tempo e denaro (i libri di antiquariato in special modo, costano), mi arrendo di fronte a questa situazione.
F.R. (5 novembre 2019)
Elisabetta Trefurth e Luigi A. Scopinich, 1919.

Artista nato a Innsbruck da genitori italiofoni, tornato a Rovereto (ancora sotto l'Austria Ungheria) a dieci anni, nel 1908 va comunque a studiare a Venezia. La sua formazione è totalmente riferita alla cultura figurativa nazionale, tanto da aderire nel 1916 al Futurismo promosso da Marinetti.
Tra il 1920 e il 1940 viaggia e soggiorna all'estero, dove

riscuote un notevole successo professionale spostando il proprio stile prima verso un'accentuazione astratta, quindi aderendo alla pittura “tradizionale” del cosiddetto “ritorno all'ordine”, nella quale non si mostra dotato di originalità, come si riscontra nell'ultimo suo dipinto qui illustrato.

F.R. (5 novembre 2019)
Pittore dalla tavolozza spessa, talvolta greve – per non dire eccessiva – Marco Novati (1895-1975) è stato un pittore di rara coerenza stilistica. Di lui mi risulta un unico contatto diretto con Carlo L. Ragghianti, avvenuto nel 1954. Nel fascicolo n. 12 di “seleArte” dedicato per tre quarti alla Biennale di Venezia di quell'anno, a p. 8, colonna a sin., C.L.R. scrive:”Questo carattere che un solo avverbio definisce, squisitamente, deriva dallo spiegamento – che in una mostra internazionale non ha, per vero, giustificazione – di un certo numero di espositori, la cui presenza, almeno in parte, era un tempo obbligata e inevitabile, ma che la critica e il gusto avvertito avevano già da trentanni giudicato. I nomi bastano a creare un'atmosfera quasi di revenants: Gisberto Ceracchini, Romagnoli, Italo Ceribelli, Attilio Torresini, Mario Tozzi, Ferruccio Ferrazzi (questi ultimi affrontati a De Pisis!), Franco Girelli, Felice Carena, Marco Novati, Neno Mori, Luigi Aversano, Renato Brozzi, Publio Mocabiducci, Giuseppe Romagnati.... con alcune retrospettive l'illusione è quasi completa.
Si tocca talvolta il limite del professionismo insignificante ed anche volgare”. (Parenteticamente sono io il primo a ricordare che C.L.R. di alcuni di questi artisti – Ferrazzi, Tozzi segnatamente – fu portato dagli studi, dalle ricerche, dagli approfondimenti effettuati nel corso della preparazione di questa mostra a mutare o a correggere il proprio parere).
Novati, letta la rivista, il 24 settembre 1954 scrisse al critico una cartolina - illustrata sul verso da un suo dipinto – nella quale così reagisce alla “stroncatura”: Se lei sapesse il dispiacere che ò (ho: N. è un seguace dell'andazzo praticato da molti scrittori, Cicognani in testa, per innovare fascisticamente la lingua) provato a leggere su seleArte n. 12, p. 8 un giudizio sulla XXVII Biennale e sul mio conto che mi calcola un revenant.Se dispiacere è stato grosso e triste, in quanto ò tanta simpatia per questo periodico veramente signorile, e che arricchisce la mia biblioteca, vorrei tanto che lei conoscesse la mia opera anche di 20-30 anni fa. Cord.nte Marco Novati”. Legittima reazione sul piano umano, su quello critico – però – non merita certo di ricevere soddisfazione. Ciò per colpa della “coerenza”, di cui si è accennato all'inizio, del suo pesante stile.

F.R. (5 novembre 2019)
Unanimemente indicato dalla critica come artista colto e raffinato, Nino Springolo (1886-1975) è stato protagonista della pittura italiana, certo non soltanto del cenacolo trevigiano tra le due guerre, come talvolta indicato.
La panoramica di sue opere che mostriamo inizia con il sorprendente, strepitoso quadro Bagnanti, dipinto a 26 anni. La scheda di Silvio Branzi e quella della successiva Mostra/Catalogo (1992) “Arte in Italia 1935-1955”, firmata da Danilo Marangon, delineano in maniera esauriente il percorso di Nino Springolo, coerente, elegante, “colto e raffinato” appunto.
Guido Perocco, critico serio e attivissimo promotore dei maestri veneti in particolare, non a caso avvicina per carattere Springolo a Morandi, accomunandoli nel loro operare intenso, modulato su alcuni propri archetipi mentali, comunque contenuti nel proprio ambito poetico, teso ad una universalità non impositiva.

F.R. (5 novembre 2019)




Juti Ravenna ha avuto parte iniziale del suo percorso abbastanza aderente al cliché della vita di Bohéme, con tante ristrettezze, fame e freddo. E' comunque riuscito a trovare un ubi consistam decoroso mentre diveniva via via personaggio centrale, nel periodo delle due guerre mondiali, dell'ambiente artistico veneto.
Il suo peso intellettuale derivò anche dall'essere scrittore d'arte – in particolare difensore della memoria del pittore Gino Rossi evocandone il ricordo con costante promozione – nonché dall'essere grafico di pubblicazioni. In questo ambito nel 1943 con Egidio Bonfante (pittore e poi illustre graphic designer anche della Olivetti) produsse una rinomata pubblicazione su Picasso. Fu seguace ed amico di Filippo De Pisis, restandone stilisticamente indipendente.
Del suo valore pittorico non conosco un'opinione precisa di C.L.R. , ricordo che Monti ne era molto impressionato.
Trovo soltanto su di lui un vecchio appunto con una citazione da C.L.R., però decontestualizzata, che riporto provvisoriamente in attesa di fornire dati più precisi ed ulteriori: “da segnalare perché meno note, due gruppi di opere dei pittori, Ravenna... il primo labile e squisito da ricordare Dufy...” La scheda della Mostra/Catalogo (1992) “Arte in Italia 1935-1955” è di Daniele Marangon, succeduto a Giuseppe Mazzariol (morto nel 1989) nel Comitato scientifico dell'iniziativa dell'Università Internazionale dell'Arte di Firenze.
F.R. (6 novembre 2019)









Giovanni Korompay (1904-1988) è stato un pittore di ultima generazione futurista, come tale apprezzato per la sua costanza stilistica in una vita, come scrisse Silvio Branzi nella presentazione di una Mostra presso la Galleria l'Argentario di Trento, in cui:


D'altra parte personalmente ritengo che Korompay non poteva comportarsi pittoricamente in modo differente. Possono dimostrare questa osservazione le due pitture del 1935 e 1936-38, qui riprodotte all'inizio della consueta “vetrina” che dedichiamo a ciascun artista del quale riusciamo ad allestire una panoramica indicativa. Ritratto e Ballerina meccanica risultano infatti gli unici due dipinti che mi è stato dato di osservare tra tutte le moltissime immagini rigorosamente geometriche dell'artista, in cui compare la figura umana. In Ballerina il manichino  
 
danzante si giustifica quale un inserto di evocazione musicale contemporanea, in un'appropriata scenografia che non avrebbe offeso quegli artisti russi degli anni Venti, poi “massacrati” da Stalin. In Ritratto la figura femminile si impone come surrogato del peggior surrealismo, un Dalì d'accatto;un Magritte in ferie mentali, dei peggiori, cioè; un Balla “figurale” dipinto pensando al suicidio. Forse sarebbe stato considerato passabile soggetto per una copertina per settimanali femminili Rizzoli dell'epoca. Di conseguenza, direi, la coerenza non figurale è stata per Korompay una necessità improrogabile, inevitabile: comunque un atto d'intelligenza.
C.L. Ragghianti conobbe personalmente Korompay in occasione di una sua accessione a Bologna, dove Gian Carlo Cavalli – suo vecchio amico, seguace e partigiano – ne fu il tramite. Questo incontro fu proficuo e R. ebbe una impressione positiva e nella lunga conversazione con Korompay fu soprattutto interessato alle descrizioni e alla attività culturale di quel mondo tardo futurista, che egli aveva dovuto evitare all'epoca perché essendo lui antifascista, quindi pericoloso per la propria incolumità. Tant'è che a tamburo battente, come spesso gli accadeva, propose a Cavalli con lettera del 5 marzo 1964 di organizzare una Mostra e un Catalogo per La Strozzina di Firenze. Naturalmente la curiosità e l'interessamento di Ragghianti lusingarono il pittore, il quale sempre il 5 marzo 1964 gli scrisse:
Però se in R. ci fu in un primo tempo una certa ammirazione, le vicissitudini de La Strozzina, già impegnata in importanti e costose esposizioni, il nicchiare di Cavalli circa il Catalogo ed altri impegni dell'Istituto di Pisa realisticamente comportarono la dilazione del progetto. Nel frattempo Korompay rivelò una natura querula, assillante vuoi per telefono (il nostro Cini lo detestava) vuoi con la presenza pretestuosa che in ogni occasione piativa attenzione, protezione, richiesta di sostegno in Premi di pittura ecc. Tutti comportamenti estranei e fastidiosi per Ragghianti, il quale cominciò a evitare K. Come la peste o il malocchio. Per quel che mi riguarda l'apice del rompiscatolismo del pittore avvenne a La Spezia dove mi fece passare un pomeriggio infernale durante il Vernissage delle opere in concorso per il Premio del Golfo. Il poveraccio voleva sapere ad ogni costo cosa avesse deliberato la Giuria di cui, se ben ricordo, C.L.R. era il presidente. Soprattutto se era lui il vincitore. Sapevo che non lo era e che R. aveva sostenuto (non ricordo se vinse o no) Farulli, il quale aveva esposto una serie di quadri bellissimi con nuova tematica. Riuscii a non dire niente, manco fossi un deficente. Per fortuna era presente anche un giornalista critico, star (narrante) con codazzo ossequioso cui – per mia, finalmente, fortuna e sollievo – si accodò Korompay. Dal Catalogo momografico dedicato dal Comune di Bologna nel 1979 per l'esposizione “Korompay” vedo che C.L. Ragghianti nella cronologia dell'artista – firmata da Marilena Pasquali – è nominato soltanto una volta – nel 1964 – con la marginale annotazione: “(alla) Galleria grafica contemporanea, presentata da Carlo L. Ragghianti, Korompay partecipa con Luci d'officina, un'acquaforte del 1964”. Stando così le cose si 
evince che C.L.R. non ha scritto né promosso niente del Korompay. Se effettivamente questa è la situazione, per mio padre questo è un record personale: l'aver resistito cioè alle insistenze lamentose, all'assillo asfissiante di un artista bramoso di avere anche la sua firma nella propria collezione di critici e presentatori. Purtroppo altri scocciatori ci sono riusciti, però – per quanto antipatici e rompicoglioni – quasi tutti avevano qualità espressive, originalità o vicende particolarmente importanti e significative.
Anche il coinvolgimento di C.L.R. nel mezzo infortunio della testa livornese di Modigliani ( mezzo perché R. lo dimostrò tale, come si può vedere dalla bibliografia e come mi riservo di postare in futuro) fu dovuto per buona parte alla adesione alle tesi (in verità più che forzate gonfiate e involontariamente distorte dei fratelli Durbé) sostenute con avvilita insistenza e patimento per l'aggressione mediatica. Ragghianti come Lancillotto? Un po' sì, era nel suo carattere. Aveva una passionalità (non “sentimentalità”, quella è superficiale e si riferisce anche a tipetti come Hitler) talvolta irruente, anche se quasi sempre controllata anche dal tirocinio politico che lo aveva forgiato a gestire le passioni, le irrazionalità e determinate pulsioni. In casi come quello di Korompay bastava sollevare il ponte levatoio, in quello (corna!) di Modigliani la clava del fato colpendo a casaccio non risparmia le situazioni circostanti differenti, anche quella di R. che ipotizzava (fuorviato da rapporti scientifici autorevoli ma errati o peggio) come probabile o possibile una coincidenza – anche formale – deducibile dagli antefatti noti dell'artista.

F.R. (7 novembre 2019)

Di Gigiotti Zanini, definito talvolta “l'architetto che è nato pittore”, ci si è spesso limitati ad apprezzare soprattutto aspetti esteriori, per altro gradevoli, come li descrive Polignoto (Leonardo Borgese, pittore discreto oltre che critico-cronista d'arte) nel trafiletto – l'Europeo, 28 marzo 1948 – riprodotto dopo questa nota ed anche Maria Vittoria Majer cronista – corretta ed informata – del settimanale “Famiglia Cristiana” (n.42, dic. 1992) la quale così bene descrive l'artista:


Nella segreteria della Mostra 1915-1935 Zanini era molto ammirato, soprattutto dall'espansivo Lele Monti. Ciò nonostante fu effettuata una ricerca per individuare il nome proprio dell'artista, per scoprire infine che Gigiotti non era un cognome. Peccato veniale non infrequente come tipologia anche nelle redazioni editoriali.
Carlo L. Ragghianti si è riferito a Zanini in due passi di Bologna cruciale 1914 (fasc- spec., n. 106-107 di “Critica d'Arte”, pp. 26-299, 1969) e nella pagina 19 con tre illustrazioni (qui riprodotte). Nella prima citazione si legge: “del seguace di Garbari, Gigiotti Zanini con opere tra il 1918 e il 1920...che stanno tra le insegne di negozio, secondo una pratica diffusa, e la ripresa di motivi e formalismi tre-quattrocenteschi (che guadagneranno anche futuristi come De Pero e Baldessari)”. Nella seconda indicazione di C.L.R. si legge:”nel movimento Valori plastici raccolgono intorno a sé...artisti spontanei autodidatti...di pura vocazione...Naturalmente il panorama dovrebbe essere più esteso e articolato, comprendendo anche altri impulsi originali, come per esempio quello citato da Garbari, e poi di Gigiotti Zanini...” Anche nel volume edito nello stesso anno Severo Pozzati, Bologna 1913-1918, il saggio di C.L. Ragghianti si sviluppa come premessa e partecipazione a quanto poi approfondito nella “Critica d'Arte” e Zanini è citato in forma più allusiva.
Quello che sembra inoppugnabile è che il Gigiotti Zanini è un pittore sicuro della sua tecnica e delle sue idee e aspirazioni formali. Un artista senza ambiguità formali, dunque, convinto dell'uso della sua composizione e della cromaticità della sua tavolozza.

F.R. (7 novembre 2019)

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