Carlo e Licia

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martedì 30 luglio 2019

Enrico Moratti su "Critica della Forma", 1.

Nella prospettiva di immettere in rete l'intero volume di Carlo L. Ragghianti, anticipiamo la pubblicazione di alcune recensioni al fondamentale studio di Carlo L. Ragghianti, assieme all'eventuale corrispondenza intercorsa tra lo studioso lucchese e il recensore.
In questo caso, due sono le lettere di C.L.R., la prima delle quali (del 22 febbraio 1986) dà ricevuta del dattiloscritto e quindi delucida certi aspetti della ricerca e degli studi in materia con importanti osservazioni. Nella seconda lettera (del 28 aprile 1986) C.L.R. conferma le motivazioni che lo hanno indotto a scrivere il libro, constatando le carenze di comprensione e di attenzione degli studi correnti sull'argomento. Conclude la missiva chiedendo informazioni sulla pubblicazione del saggio di Moratti consegnato a “Tempo Presente” (che sarà oggetto del prossimo post su questo argomenti). Il titolo dello studio è C.L.R. e l'esperienza storica della forma ed è accompagnato da una lunga lettera – illuminante – scritta in seguito al ricevimento della pubblicazione.
Circa il libro La critica della forma. Ragione e storia di una scienza nuova (le cui copie residue della tiratura sono disponibili presso la Fondazione Ragghianti di Lucca o presso Anna Ragghianti Marziali – Via Padule 78, 50039, Vicchio) sulla nostra serie (IV) della rivista “SeleArte” (1988-1999) sono comparsi i seguenti contributi, adesso leggibili anche su questo Blog nel quale la rivista è integralmente riprodotta:
  • n.2 (post del 4 dicembre 2016). Lettera di R. a Giuseppe Santomaso del 17 febbraio 1987, pp.3,4; S. Ordasi: Intervista a C.L.R., pp.5-9.
  • n.3 (post del 5 dicembre 2016). Intervista a R. di Roberto Carvalho de Magalhaes, pp.8-10.
  • n.15 (post del 20 giugno 2017). P.C. Santini: L'ultimo Ragghianti, pp.17-18.

Il libro è citato anche in numerosi altri fascicoli della rivista (cfr. Indici).

F.R. (15 febbraio 2019)

sabato 27 luglio 2019

Il 1948 dei critici d'arte – Il Convegno di Firenze, Atti (XII). Onoranze a Bernardo Berenson.

Post precedenti:

23 luglio 2918. n.1 – Preliminari e inaugurazione.
26 agosto 2018. n.2 – Sezione 1A. Indirizzi, metodi e problemi di critica d'arte.
25 settembre 2018. n.3 – Sezione 1B. Spazio, critica d'arte architettonica. Discussione (Sezioni A e B).
25 ottobre 2018. n.4 – Sezione 1C e 1D. Le arti figurative e il cinema. Arti figurative e stampa quotidiana.
25 novembre 2018. n.5 – Sezione 2. Comunicazioni, 1.
27 gennaio 2019. n.6. - Sezione 2A. Comunicazioni, 2.
27 febbraio 2019. n.7 – Sezione 2B. Ricostruzione e restauro di monumanti in Italia.
27 marzo 2019. n.8 - Sezione 3. Il restauro delle opere d'arte, pp. 164-180.
27 aprile 2019, n.9 - Sezione 4. Museografia, Mostre, pp. 181-200.
29 maggio 2019, n.10 - Sezione 5. L'Insegnamento della storia dell'arte, gli strumenti scientifici, gli scambi internazionali, pp. 200-232
27 giugno 2019, n.11 - Sezioni 6 e 7. Legislazioni sulle Arti e Varie, pp. 234-244



Questo è l'ultimo post riguardante gli Atti del Convegno Internazionale per le Arti Figurative svoltosi a Firenze tra il 20 e il 26 giugno 1948. Il suo contenuto concerne la Relazione conclusiva di Carlo L. Ragghianti, le significative Mozioni, approvate all'unanimità dai convegnisti, e infine contiene l'elenco dei partecipanti al Convegno. Si conclude con le Onoranze a Bernardo Berenson. Dato che sono passati 71 anni dall'evento e il fascismo era stato sconfitto, appena tre anni prima, non vorrei che si pensasse che l'appellativo Bernardo, anziché il nativo Bernhard, fosse un residuo dell'obbligo ventennale di tradurre in italiano i nomi propri delle persone straniere. Così nel ventennio si assistette a ridicoli effetti, specialmente nelle traduzioni letterarie e nel doppiaggio dei film, per cui Charlie diventava Carletto, Johnny era Giannetto e Tom poteva diventare Tommasino e Sam Samuelino. Certi estremisti, più fessi della fesseria di regime, arrivarono a scrivere il Crollalanza invece di Shakespeare! No, Berenson era il primo a voler essere interpellato Bernardo, in omaggio a quella che considerava la sua terra di elezione e nella quale ha voluto morire ed essere sepolto. Per gli altri, Ragghianti compreso, era un omaggio reso ad uno studioso che tanto aveva operato per l'arte e la cultura del nostro Paese.
Il Convegno è stato una manifestazione rilevante e considerata importante per lo sviluppo delle Arti nel contesto della ricostruzione materiale e morale del Paese duramente devastato, soprattutto al centro e al nord, dalla guerra. Anche la presenza del “potentissimo” Ministro della Pubblica Istruzione (che allora comprendeva quelli che oggi chiamiamo Beni Culturali) on. Guido Gonella non era dettata da motivi di routine ma da attenzione specifica. La presenza poi di Direttori Generali e di alti funzionari del Ministero, di Soprintendenti Archeologici, ai Monumenti, alle Gallerie e Belle Arti, alle Biblioteche e agli Archivi era dovuta a reale interesse e costruttiva partecipazione. D'altra parte l'attiva presenza di professionisti, di professori universitari e di artisti era dovuta a reale interesse di apprendimento e confronto, così come quella di giovani intellettuali tra i più promettenti e rappresentativi del Paese.
La relazione conclusiva di C.L.Ragghianti (di cui esiste una versione – curata dallo Studio Italiano di Storia dell'Arte organizzatore del Convegno – sostanzialmente analoga ma distribuita a conclusione della settimana di studio ai partecipanti e alla stampa) analizza e puntualizza i temi e gli 
argomenti dibattuti, presentando alla fine le Mozioni e i Voti approvati dai convegnisti. “In complesso – dice Ragghianti – il Convegno ha raggiunto risultati concreti, degni di attenzione. E ciò non solo sul piano teorico. E' stato osservato, anzi, che il Convegno ha costituito una dimostrazione del nuovo spirito che anima la cultura europea, e cioè la ricerca di concretare quella missione del dotto, quell'unità dell'uomo di cultura e del cittadino, indicate fino dal nostro Risorgimento da Francesco De Sanctis”.
In margine agli Atti penso sia interessante postare tre documenti. Nel primo C.L.R. informa i colleghi chiedendo di collaborare all'iniziativa (non realizzata per carenze economiche) di editare da parte dello Studio Italiano di Storia dell'Arte un volume “nel quale sia documentata … la situazione attuale dei monumenti ed opere d'arte bisognosi di urgente intervento, pena gravi perdite e menomazioni del patrimonio artistico”. Nel secondo C.L.R. invita gli studiosi ad inviare un contributo originale per la Miscellanea Berenson (anch'essa non realizzata dall'editore Del Turco). Nel terzo documento si riporta la breve segnalazione della pubblicazione degli Atti sulla rivista “Critica d'Arte” (n.2, lug.1949).
Le “Onoranze a Bernardo Berenson” furono un successo, che rallegrò l'ottantaquattrenne grande vecchio, ed ebbero una risonanza mediatica che, dati i tempi, la città di Firenze – già mito iternazionale, soprattutto in USA – meritava e causarono e legittimarono l'alta opinione di sé di B.B. (come lo chiamava la sua storica segretaria) nei confronti delle autorità italiane e degli ambienti culturali. Oltre a quel che si ricava dalla lettura degli Atti, in questa sede reputo opportuno delineare un profilo di Berenson storico dell'arte tramite le pagine che gli dedicò Decio Gioseffi in Teoria della pura visibilità, dispensa del corso Aspetti della Critica d'Arte contemporanea, 1969-70, Università di Trieste (autorizzata dall'A., giacché la allega tra i suoi scritti al Ministero della P.I. in vista di un concorso per professore universitario di ruolo cui egli aspirava). E' in preparazione anche un post incentrato sul pensiero di C.L. Ragghianti circa l'operato teorico e storico di Berenson.
Le fotografie della cerimonia in Palazzo Strozzi sono praticamente inedite e ad esse si accompagna la riproduzione della Medaglia eseguita da Dante Zamboni, scultore e fine incisore amico di C.L.R. fin dai tempi di Bologna (1940).

F.R.(27 maggio 2019)

martedì 23 luglio 2019

Arte Moderna in Italia 1915/1935. Schede Redazionali 3 - LEPORE, PEPEDIAZ, THAYATH, BOGLIARDI, GRIGNANI, MAZZON, MELOTTI.


Mario Lepore (1908-1972) è stato oltre che un pittore un critico "militante" (orrendo ossimoro! dato che la peculiarità della critica dovrebbe essere indagine cognitiva senza pregiudiziali) motivo per il quale in questa storica mostra del 1967, come vedremo, ha curato due schede di pittori (Angelo Del Bon e Umberto Lilloni). In realtà questi due artisti erano piuttosto estranei alla passata espressività di Lepore, però entrambi lombardi come il "Corriere di Informazione", pubblicato a Milano, al quale collaborava per la critica d'arte. Circa l'adesione al movimento tardo futurista "Circumvisionista" (1928) ed altre affini esperienze napoletane sembra che il gruppo di Lepore abbia cercato più che un revival futurista una mediazione tra interpretazioni internazionali e le esperienze di pittori come Gino Rossi, Maggioli, Garbari ed altri. Comunque questo movimento fu sostanzialmente ignorato dalla critica allora come poi e di conseguenza se ne sa pochissimo. Perciò la testimonianza di Lepore – che riportiamo a seguire – è particolarmente interessante.
Temo anche che non siano estranei motivi "politici" per i quali Lepore, Pepe Diaz e altri artisti come Pierce e l'architetto Corchia ed altri ancora durante il fascismo furono osservati con sospetto e poi perseguitati con sanzioni, esili, confino e un po' di prigione. Infatti quei giovani si erano tutti – chi più chi meno – avvicinati alla organizzazione clandestina del Partito Comunista, a Napoli particolarmente connotata da Amedeo Bordiga (segr. del P.C.I. dal 1921 al 1924, prima di Gramsci) e lui e i suoi seguaci furono espulsi soltanto nel 1943. Ciò spiega, almeno in parte, il fatto che Lepore (e altri) nel dopoguerra vennero via via a trovarsi in collisione con il Partito e di conseguenza furono emarginati negli ambienti artistici. Si ricordi infatti che nell'ambito dell'arte contemporanea il P.C.I. aveva una presenza soverchiante che isolava coloro che, di sinistra non  
marxista e laici, non vollero aderire o non furono accolti negli "spazi" cattolici e d'altro genere. Di questi aspetti politici Lepore non si diffonde nelle due lettere che scrisse a Carlo L. Ragghianti circa la sua esperienza artistica e la colleganza con gli altri artisti citati. Comunque esse rappresentano un documento chiarificatore riguardo il "Circumvisionismo" e altri aspetti particolari di questi artisti. Che esse siano abbastanza importanti lo dimostra la risposta intermedia di mio padre. Non conosco il motivo per cui oltre a Lepore e a Pepe Diaz non siano stati inclusi nella Mostra 1915-35 anche Pierce (slittato dopo un tormentato percorso a destra, in modo analogo a Armando Plebe) e altri artisti del gruppo Circumvisionista. Certo è che nella Mostra di Palazzo Strozzi i "movimenti" non sono esposti in quanto tali ma soltanto rappresentati dagli artisti più significativi ed anche che di coloro di cui non si era potuto riscontrare in modo sufficiente l'iter espressivo la Commissione decideva di non esporli. Di ciò sono testimone perché partecipai ad alcune riunioni come "assistente tecnico", cioè gestore del materiale illustrativo e documentario da dare ai Commissari per le loro valutazioni.
Di Lepore, in carenza di opere ulteriori a quelle della scheda, mi sembra utile ricordare l'impegnativo libro Il Pittore, una sorta di manuale affabile ed utile circa gli aspetti di quel mestiere creativo pubblicato dalla Vallecchi nel 1962 nella collana "Il Bersaglio. Saggi e inchieste sulle professioni". Tra i volumi pubblicati sono da notare diversi accostamenti inaspettati, come il libro su I Ballerini scritto da Giorgio Bocca. Dell'opera di Lepore ripropongo il primo capitolo Genio e mestiere dalla cui lettura si possono fare osservazioni stimolanti per la situazione dell'oggi in materia.
F.R. (5 febbraio 2019)

venerdì 19 luglio 2019

Le mostre d'arte antica e moderna della città di Firenze, 2.

Nell'eccellente volume “Mostre permanenti”. Carlo Ludovico Ragghianti in un secolo di esposizioni a cura di Silvia Massa ed Elena Pontelli (libro importante e di mole cospicua del quale in questo blog sarà data ampia notizia), edito dalla Fondazione Centro Studi Ragghianti di Lucca, l'ottavo capitolo (pp. 101-114) dà sintetico ragguaglio di un progetto di R. naufragato. Le cause furono molteplici: alcune tipicamente firenzine, cioè proprie di un luogo dove la prima motivazione di molti, moltissimi è cercare di impedire ogni altrui iniziativa, soprattutto se sensata. Ci sono poi motivi contingenti quali resistenze corporative degli artisti Fiorinisti, e altre scontate riserve aprioristiche, ma soprattutto il determinante cambio di Sindaco. Dall'eccellente, indipendente, duttile e pragmatico, fattivo Mario Fabiani (del quale ho bellissimi ricordi) la città si era consegnata nelle mani del “santo” La Pira e, per quel che riguarda la cultura artistica, del retrivo (ma simpaticone, se voleva) e modesto Piero Bargellini, epigono del firenzismo più borné: fece togliere tutti i pubblici vespasiani. Evidentemente i clericali non soffrono di prostata! Di questa mostra “rapita” (come la definì C.L.R. tramite lo pseudonimo Lorenzo Ferro) l'autore del progetto accenna anche nel post 
precedente (v. 16 luglio 2019) a p. 77 e negli ultimi paragrafi dell'articolo dove così si esprime: “... conclude un ciclo di opere (la mostra “rapita”) che non spetta certo a chi scrive di valutare, ma che ritengo obiettivo considerare come un moderno e concreto sviluppo di attività e di esigenze, che il carattere della vita e della cultura moderna rendono, come si vede sempre meglio, un problema attuale e, quel che più conta, valido non soltanto agli effetti spirituali.”
In conclusione, dell'arte allora contemporanea viene sottolineata l'attività che viene ricordata attraverso la mostra di pittura italiana in Germania, da Monaco di Baviera, ad Amburgo, e in altri luoghi fino a Berlino Ovest, allora assediata dai sovietici.
In questo post, dopo l'articolo di Lorenzo Ferro alias R., non so dove e se pubblicato, concluso in due varianti, probabilmente per dare all'amico Sindaco uscente di scegliere quella ritenuta più opportuna, seguono alcuni documenti riguardanti il progetto espositivo. L'Appunto al Sindaco del 12 ottobre 1950 chiarisce che nel proporre una mostra Biennale d'arte italiana contemporanea a Firenze non c'è nessun intento di concorrenza con la Biennale di Venezia, la quale non si dichiara contraria alla iniziativa fiorentina.  

martedì 16 luglio 2019

Le mostre d'arte antica e moderna della città di Firenze, 1.

...soltanto nel 1947 si poté pensare a rinnovare questa importante attività cittadina, valida ai fini non soltanto culturali ed artistici, ma anche turistici.... Modesti i mezzi, gravi le difficoltà da superare. Tuttavia il Comune, gli Enti pubblici culturali, le maggiori personalità degli studi storico-artistici si posero con impegno al lavoro”. Tanto lavoro, come posso testimoniare io (1940) e Rosetta (1943) che vedevamo allora spesso i genitori al mattino prima di andare a scuola, raramente a pranzo, due-tre volte la settimana la sera dopocena tornati “presto” per darci la buonanotte, se ancora svegli. Per i Ragghianti seniores furono anni di incredibile attività (riuscivano persino a studiare!), di scarse e “sudate” soddisfazioni: anni comunque bellissimi.
Nell'aricolo che segue, ripreso da “Firenze. Rassegna del Comune, 1944-1951” (pp. 71-79), Carlo L. Ragghianti racconta le vicissitudini delle grandi mostre d'arte, la cui realizzazione gli fu affidata dalla lungimiranza del sindaco Mario Fabiani e dell'assessore Francesco Tocchini, entrambi comunisti, che in attesa della (improbabile) rivoluzione proletaria si attivarono con tutte le loro forze e risorse per rendere efficace la ricostruzione della città di Firenze, duramente martoriata dalle distruzioni dei tedeschi e dai bombardamenti degli Alleati. Ben prima di La Pira e con intenti laici e pragmatici, l'amministrazione Fabiani si aprì al mondo intrattenendo rapporti ottimi sia con gli Stati Uniti (es. Mostra Wright; Collezione Guggenheim alla Strozzina), sia con la Germania già nemica e in faticosa ma grandissima ripresa postbellica (Mostra della pittura italiana contemporanea). Con l'Unione Sovietica di Stalin i rapporti furon limitati a quelli di partito e di associazioni ad esso collegate.




Non sono travolto da una crisi di senile nostalgia. Mi sbilancio nella considerazione del rapporto fra l'oggi e l'altro ieri, perché constato da decenni la poca dinamicità e il provincialismo e, di recente, la volgarità culturale di chi ha amministrato questa città, malgrado tutto meritevole del mito che l'ammanta.

mercoledì 10 luglio 2019

Arte Moderna in Italia 1915/1935. Schede Redazionali 2 - MAGNELLI, PELUZZI, POZZI, SBISA', VAGNETTI.



La partecipazione di Alberto Magnelli alla Mostra fu virtuale, come viene spiegato nel Catalogo (dove è presente) che nell'elenco delle opere scrive: "non presente in mostra, esemplificato da quattro illustrazioni" e specificatamente nella Scheda critica con una nota freddina a piè di pagina. E' l'unico caso dell'esposizione ricca della presenza di oltre 2000 opere. Ciò avvenne per una serie di circostanze che a mio avviso si possono riassumere da un lato prodotte dall'asfissiante insistenza dell'Artista (come si deduce dalla corrispondenza superstite con la segreteria e con Ragghianti), dall'altro con l'insopportazione e la disistima di Nino Lo Vullo (per motivi sociali) e di Raffaele Monti (per motivi "estetici"), i quali lo conoscevano bene e contrapponevano soprattutto inerzia e resistenza passiva alle pretese di Magnelli.
Costui era evidentemente una persona piuttosto abbiente e introdotta nel mondo che conta ed abbastanza intelligente da sopperire alle proprie circoscritte capacità espressive con una intensa vita di relazione, comprese le astuzie di vivere nell'occhio del ciclone artistico dell'epoca, cioè a Parigi. Ragion per cui per molto tempo (e può darsi tutt'ora, per quel che ne so) la sua nomea è stata in Italia e a Firenze pari se non superiore ad altri artisti fiorentini ben più dotati di lui come Primo Conti e Ottone Rosai, per fare un esempio.
La Scheda critica è stata voluta ed evidentemente anche scritta da Carlo L. Ragghianti con il distacco e l'equilibrio richiesto dalla sede comprensiva di tutta la fenomenologia artistica del periodo, senza preclusioni pregiudiziali, tanto meno personali. L'opinione "intima" di Carlo L. Ragghianti circa Alberto Magnelli l'ho pubblicata dopo la sua morte in "Critica d'Arte" (n.19, 1989, p.22): essa è piuttosto radicale epperò non umorale. Certo è che non ritenne di renderla nota perché il contesto in cui maturò era quello dell'ampia mostra antologica in occasione dei 75 anni del pittore (1963) imposta dal Comune di Firenze (Bargellini) a "La Strozzina", che ovviamente non voleva danneggiare.

domenica 7 luglio 2019

La "prosa" nell'arte figurativa: i Carracci a Bologna.

Questo articolo ribadisce in modo inequivocabile la cruciale scoperta nella storia dell'estetica del concetto di "prosa" nelle arti figurative, esemplificato nel cospicuo operato di Ludovico, Annibale, Agostino ed Antonio Carracci, e che diviene pedagogico nell'intendimento dell'autore.
Alla comprensione di questi intelligenti operatori culturali più articolata è indispensabile collegamento il testo che viene anche citato nel saggio precedente (proveniente da "SeleArte", n.26, sett.-ott. 1956), cioè I Carracci e la critica d'arte nell'età Barocca, che è stato e resta basilare per la giusta considerazione di questi artisti, mentre il saggio-recensione della mostra bolognese ne è il suggello. Per un'analisi più approfondita del pensiero di C.L.R. circa i Carracci è necessario complemento il suo volume L'arte e la critica, nell'edizione Vallecchi del 1980 che comprende oltre alla ripubblicazione dell'ormai (allora) introvabile testo del 1935; così anche La cultura artistica e l'arte barocca (1933, più nota 1980) e ancora la riproposta della "Presentazione" all'edizione de L'arte barocca di Matteo Marangoni (1973, più nota 1980). Sempre attinente e necessario antefatto al periodo e alle problematiche linguistiche nell'edizione 1980 de L'arte e la critica è presente Il valore dell'opera di Giorgio Vasari (1930/31) con una nota che ricorda le Vite del Vasari edite da Rizzoli nel 1971 la cui Introduzione rifonda ed amplia quella precedente 1942, 1949.
Riguardo ai Carracci nella Bibliografia degli scritti di C.L.R. risultano poche voci, di cui una sembra sbagliata. Certamente dato l'argomento e l'importanza che gli attribuiva, l'autore si è espresso su di loro in
altri contesti, come nelle lezioni universitarie sia di Pisa che dell'U.I.A. di Firenze, queste ultime registrate e delle quali dovrebbero esserci ancora i nastri. Anche dagli "incisi" in articoli e nei volumi stampati è molto probabile ricavare dati coinvolgenti i Carracci. L'analisi sulla loro opera è comunque definita e deducibile dai dati citati in questa sede.

Dalla Bibliografia degli Scritti:
  • I Carracci e la critica d'arte nell'età Barocca, in "La Critica", Laterza, Bari 1931-32, XXXI, p.65 e ss. e p.96 e ss. Replicato in L'Arte in Italia, Vallecchi, Firenze 1980 edizione derivata da "Critica d'Arte", a. XLV, n.s. n. 169-171, pp.133-169.
  • Gli affreschi del Camerino di Palazzo Farnese a Roma di Annibale Carracci, in "La Critica d'Arte", rubrica "Dalle riviste", a. II, n. 5-6, sett.-dic. 1937.
  • Esposizione di disegni di scuola bolognese a Londra, in "La Critica d'Arte", n. 4-6, f. XVI-XVIII, ago.-dic. 1938, pp.XIX-XXII.
  • Una mostra della prosa nell'arte figurativa – i Carracci a Bologna, in "SeleArte", n.26, sett.-ott. 1956, pp.21-28.
  • Prints and related Drawings by the Carracci family. A catalogue raisonné, in "Critica d'Arte", Recensioni, n. 171-174, lug.-dic. 1980, dopo p. 222.



Addendum


Correggendo le bozze del testo redazionale soprastante, mi è frullato nel cervello il dubbio di non aver reperito, nonostante le cautele ivi dichiarate, qualcosa di inerente e significativo al riguardo. Perciò prima di programmare il post ho dato una scorsa ad alcuni volumi di scritti di Carlo L. Ragghianti. In Arti della visione, III. Il linguaggio artistico (Einaudi, Torino 1979, volume mal distribuito, quindi di più difficile reperibilità) ho individuato lo scritto intitolato Mostra della prosa nell'arte figurativa (pp. 251-261). Ho quindi riscontrato che al titolo differente corrispondeva il testo pubblicato nel 1956 su “SeleArte”. Controllando, però, ho trovato diversità abbastanza numerose nella scrittura ed almeno un'aggiunta tra parentesi di un intero paragrafo. Dopo qualche dubbio ho deciso di ristampare, dopo il saggio da “SeleArte”, integralmente questa versione-revisione. Mi è sembrato opportuno, cioè, cogliere l'occasione per indicare un esempio del procedere nella stesura dei propri testi da parte di C.L.R., ricorrente modalità di intervento su un



proprio scritto già “definitivo”. Questo tipo di procedimenti vuoi come varianti o precisazioni, vuoi come vere e proprie aggiunte era nell'autore costante e costituiva anche la ragione principale della sua cattiva nomea nelle Case editrici, per le quali questo modo di procedere rappresenta aumenti di costi e ritardi – a volte non indifferenti nella pubblicazione. D'altro canto ci sono degli autori che non possono e non devono essere sottoposti alla – spesso abusiva ed arbitraria – curatela dell'editor. Mi riferisco agli scrittori di letteratura con un proprio stile autentico e ai critici, storici, pensatori originali, i quali devono potersi esprimere senza costrizioni. L'appiattimento editoriale si riscontra oggi anche troppo spesso: troppi libri di troppi autori differenti sembrano scritti dallo stesso autore (plot compresi). Comunque questo testo bis è utile come esercizio filologico e critico di verifica sul come un autore completa il proprio pensiero anche letterariamente in corso o successivamente come complemento, chiarimento miglioramento del proprio pensiero.
F.R. (8 e 29 maggio 2019)

venerdì 5 luglio 2019

Quando la terra tremò - Vicchio e Mugello 29 giugno 1919.

Sabato 29 giugno (esattamente 100 anni dopo il sisma) questo libro, insieme documentario ricco di immagini evocative ed opera storiografica e cronistica puntuale, è stato presentato nella Pieve di San Cassiano in Padule a Caselle di Vicchio. Qui l'autore è stato festeggiato da una quantità inaspettata, insolita di concittadini ed amici. Lo ricordo con commossa partecipazione perché Adriano Gasparrini meritava questo successo collegato a quest'ultimo libro cui ha atteso con la competenza e la passione che contraddistinguono il suo operare.
Non è facile per me, suo compagno di lavoro nelle redazioni della Casa Editrice Vallecchi dal 1971 e di lì a un paio d'anni divenuto amico, quindi persino socio in una piccola iniziativa editoriale più che dignitosa (Sigla srl) che affiancava la Casa madre, e fu travolta nel suo secondo e più grave fallimento del 1981.
Avuto il volume il 30 mattina, l'ho prima scorso poi letto e quindi oggi 2 luglio “recensito” o meglio documentato nel nostro blog. In questa sede riprodurrò del volume – come è nostra consuetudine – la copertina, la quarta di copertina, nella quale la efficace testimonianza di Carlo Lapucci ricorda tra l'altro che l'autore "con questo libro ha ridato anima a coloro che attraversarono il terribile evento"; quindi seguono il frontespizio e il sommario, nonché la stringata introduzione di Adriano Gasparrini. Avrei voluto poi illustrare il terrificante accadimento con tante immagini, però così avrei limitato la diffusione del libro e recato danno ad un'opera che, sempre secondo Carlo Lapucci, è “da leggere nelle scuole, da conservare negli scaffali di casa”. Ripiego allora documentando soltanto alcune pagine dalla sezione Gli interventi sui beni storici collegabili direttamente al nucleo qualificante del nostro blog. Debbo fare anche i complimenti all'editore Polistampa per la qualità ed il nitore della pubblicazione che sono sicuro avrà un ritorno di soddisfazioni non soltanto economiche. Ciò su cui voglio spendere qualche altra parola è sul contenuto del libro, ben scritto, talora appassionante tra l'altro.
Facendo un breve excursus del contenuto del volume, nel primo capitolo Il 1919 un anno senza pace si analizza il tramonto dell'egemonia liberale e l'affermazione antagonista di socialisti e popolari in Mugello. Si ricorda che il territorio, come il resto del Paese fu devastato dalla epidemia di influenza “spagnola” diffusasi tra i superstiti dei morti in guerra, civili, mutilati, feriti. Le note – come poi 
nei capitoli seguenti – sono sintetiche ma esaurienti, coerenti col ritmo incalzante del testo. In Cronaca della tragedia si riscontrano tabelle dei principali terremoti dal 1542 in Italia e nel Mugello, le mappe di quello del 1919, l'elenco completo dei morti e dei feriti e la tavola con i danni alle chiese e alle strutture religiose. Segue Soccorsi e solidarietà nazionale e Testimonianze e ricordi, soprattutto dai parroci (a dimostrazione della bassa scolarizzazione dell'epoca), toccanti.
Nel capitolo I luoghi del disastro si resta, come sempre in queste calamità, soprattutto coinvolti dalla dramamticità delle immagini ma poi impressionati anche dai dati forniti e dalle analisi nel testo.
L'ultima sezione del libro L'opera di ricostruzione segue il percorso dalle baracche provvisorie agli alloggi popolari, di una dignità formale tuttora apprezzabile nel panorama edilizio della zona. Da notare che, nonostante i tanti problemi e le inevitabili complicazioni, la ricostruzione fu eseguita in tempi ragionevoli, specialmente se confrontati ai nostri casi recenti. Quanto a Gli interventi sui beni storici riprodurremo – come detto in precedenza – alcune schede scelte come esempi con criterio di curiosità del tutto personale. Chiude il libro la Bibliografia, essenziale ed esauriente, utile ed orientativa.
Constato inoltre ciò di cui mi ero convinto già in seguito alla lettura del precedente libro di Adriano Gasparrini, Comunità di Vicchio nel Settecento (2017), cioè che questo scrittore si è confermato non soltanto come “storico locale” bensì tout court come “storico”, stante l'impeccabile impostazione storiografica che rende i suoi libri esemplari per metodo.
Qualità e sicurezza che Gasparrini ha conquistato con un lungo tirocinio iniziato come redattore della magistrale, importante, autorevole Enciclopedia delle religioni (Vallecchi), nell'ambito della quale – coordinati da Alfonso M. Di Nola – gravitarono molti storici di vaglia. Voglio ricordare anche la sua tesi di laurea originale e degna di essere pubblicata nel 1991 (Vicchio e il Mugello tra '800 e '900. Vita e storia di una comunità rurale); poi Gli occhi della memoria. Vicchio di Mugello tra passato e presente (2004), quindi Barberino di Mugello: una storia millenaria (2008).

F.R. (2 luglio 2019)

mercoledì 3 luglio 2019

Indignatevi!

Perché è necessario indignarsi, soprattutto quando c'è fascismo agente.

Mi pareva un po' banale riprendere il discorso che il patriota democratico francese Stéphane Hessel (1917-2013) propose con tempismo nel 2010 circa la necessità, il dovere di indignarsi. Però in questi anni sono intervenuti fatti concreti di ricrudescenza fascistoide, nonché manifestazioni propriamente fasciste. Quindi credo siano divenute inderogabili la vigilanza e l'azione oppositiva nei confronti della ultradecennale politica apparentemente contenitiva dell'eversione ma di fatto con clamorose falle di legittimazione, soprattutto a livello politico.
Le pagine di Hessel si riferiscono alla situazione francese del 1944-45 e a quella degli anni recenti, però risultano pertinenti alla nostra condizione nazionale negli stessi periodi vuoi per analogie dirette, vuoi per affinità sentimentali ed intellettuali tra i due Paesi, non a 



caso considerati “cugini”. Se non altro queste pagine immesse nell'immenso oceano del web costituiscono un messaggio dentro una bottiglia gettata tra le onde tempestose del mare come testimonianza di esistenza, di fratellanza spirituale e morale con sconosciuti simpatetici. Comunque “repetita juvant”.
A queste considerazioni si aggiunga all'intento di fare il post la scoperta nel web di un aneddoto sull'argomento “indignazione” riguardante Benedetto Croce (che in un link di Wikipedia mi si è presentato, nella voce “Umberto Segre”, come “figura geometrica a croce!) quale precursore del concetto “indignazione”, il giovane Carlo L. Ragghianti e il giovanissimo Giuliano Briganti, io narrante. Perciò qui di seguito riproduco sia quanto scrisse Briganti, sia parte delle sacrosante valutazioni di Stéphane Hessel.
F.R. (11 maggio 2019)