La
partecipazione di Alberto Magnelli alla Mostra fu virtuale, come
viene spiegato nel Catalogo (dove è presente) che nell'elenco delle
opere scrive: "non presente in mostra, esemplificato da quattro
illustrazioni" e specificatamente nella Scheda critica con una
nota freddina a piè di pagina. E' l'unico caso dell'esposizione
ricca della presenza di oltre 2000 opere. Ciò avvenne per una serie
di circostanze che a mio avviso si possono riassumere da un lato
prodotte dall'asfissiante insistenza dell'Artista (come si deduce
dalla corrispondenza superstite con la segreteria e con Ragghianti),
dall'altro con l'insopportazione e la disistima di Nino Lo Vullo (per
motivi sociali) e di Raffaele Monti (per motivi "estetici"),
i quali lo conoscevano bene e contrapponevano soprattutto inerzia e
resistenza passiva alle pretese di Magnelli.
Costui
era evidentemente una persona piuttosto abbiente e introdotta nel
mondo che conta ed abbastanza intelligente da sopperire alle proprie
circoscritte capacità espressive con una intensa vita di relazione,
comprese le astuzie di vivere nell'occhio del ciclone artistico
dell'epoca, cioè a Parigi. Ragion per cui per molto tempo (e può
darsi tutt'ora, per quel che ne so) la sua nomea è stata in Italia e
a Firenze pari se non superiore ad altri artisti fiorentini ben più
dotati di lui come Primo Conti e Ottone Rosai, per fare un esempio.
La
Scheda critica è stata voluta ed evidentemente anche scritta da
Carlo L. Ragghianti con il distacco e l'equilibrio richiesto dalla
sede comprensiva di tutta la fenomenologia artistica del periodo,
senza preclusioni pregiudiziali, tanto meno personali. L'opinione
"intima" di Carlo L. Ragghianti circa Alberto Magnelli l'ho
pubblicata dopo la sua morte in "Critica d'Arte" (n.19,
1989, p.22): essa è piuttosto radicale epperò non umorale. Certo è
che non ritenne di renderla nota perché il contesto in cui maturò
era quello dell'ampia mostra antologica in occasione dei 75 anni del
pittore (1963) imposta dal Comune di Firenze (Bargellini) a "La
Strozzina", che ovviamente non voleva danneggiare.
Anzi
lo staff della Galleria (Lo Vullo in testa, persino io detti una mano
durante l'inevitabile caos pre-inaugurazione) realizzò Mostra e
Catalogo con cura e professionalità. Mancò, è vero, il consueto
entusiasmo e cameratismo con l'artista e il suo ambiente, il clima
interiore era di sostanziale estraneità. Inoltre non a caso mancano
in catalogo scritti di C.L.R. e dei consueti
collaboratori o amici della Galleria: il testo critico fu afidato da
Magnelli (?) a Franco Russoli, pisano di bella presenza,
milanesizzato. Già allievo di Marangoni, funzionario delle BB.AA.,
però collegato per domesticità al Mercato dell'arte. Riposto il
succoso trafiletto pubblicato in "Critica d'Arte":
Oltre
a queste righe Carlo L. Ragghianti ha scritto un breve ed incisivo
testo che concede a Magnelli una certa e costante coerenza espressiva
nel fare, nel concepire e nel realizzare le proprie
opere.
Riproduciamo quindi la p. 7 e le righe pertinenti delle pp. 8 e 9 di
"SeleArte" (n.77-78, l'ultimo della rivista, 1966),
probabilmente collegata con la stesura della scheda per questa
mostra.
In
precedenza nel fascicolo n. 15 di "SeleArte" (nov.-dic.
1954, p.51) riportata la notizia della mostra antologica di Magnelli
tenuta a Bruxelles, centrata sulla testimonianza dell'artista sulla
propria attività giovanile,
non
so quanto attendibile, certo sincera là dove dice: "Si
dipingeva isolati, solo per la necessità di esprimerci in quella
città [Firenze] provinciale e superbiosa". Dopo la riproposta
del trafiletto da "SeleArte"
illustriamo
quattro opere, dal 1913 al 1918, dell''artista poco più che
ventenne, tra cui una scultura del 1915, più incongrua che
futurista, e tre dipinti eleganti ma derivativi da illustrazioni e
"poetiche" già affermate. Seguono quattro dipinti degli
anni venti piuttosto desolanti oltre che banali; cinque disegni e due
dipinti introducono i primi anni Trenta. Per dar risalto alla lettura
più corrente del lavoro di Magnelli si riproduce la Scheda della
Mostra/Catalogo "Arte in Italia, 1935-1955". Infatti la
scheda di Rita Selvaggi (che in bibliografia – come già quella di
Ragghianti – non ricorda la Mostra di Palazzo Strozzi, 1963, con
saggio di Russoli) è piuttosto conforme alla considerazione allora
comune – 1990/1991 – dell'artista ed è però sufficiente per
illustrare il lavoro di Magnelli fino al 1955. D'altro canto
l'attività successiva è essenzialmente ripetitiva, spesso stanca.
E'
bene ricordare che la coerenza stilistica se protratta nel tempo,
addirittura per tutto il periodo di attività (salvo gli iniziali
assestamenti) non è necessariamente una dote positiva. Nei migliori
dei casi – sempre quando non sia di eccezionale originalità come
in Morandi – la continuità è una sigla certo inconfondibile, però
valida solo ai fini commerciali. Infatti in questi casi non c'è
"problematicità", e quindi nemmeno la necessità di
indagare il fare dell'artista.
Per
questo motivo riproduciamo soltanto due dipinti e l'elegante
incisione che Magnelli eseguì per "Galleria Grafica
Contemporanea di Maestri Italiani – 50 incisioni originali",
cartella sotto la direzione di Rodolfo Margheri da "Il Bisonte"
(1964-65) di Maria Luigia Guaita per sostenere l'Associazione
Italiana Assistenza Spastici, appassionatamente diretta da Bruno
Tassi.
F.R. [10
dicembre 2018]
[Eso Peluzzi]
Di
questo artista, appartato e di coerente perseveranza artistica,
tramite l'amica scultore Renata Cuneo sapemmo che fu commosso e assai
grato a Carlo L. Ragghianti per l'essere stato prescelto a far parte
dell'importante esposizione del 1967. Dall'architetto Pasquale Arturo
Gabbaria Mistrangelo, altro caro amico di Rosetta e dei Ragghianti,
so che la vedova di Peluzzi, esaurendo un sentito e perseguito
nonostante le avversità desiderio del marito, ha donato un
importante allestimento delle opere del pittore esposto nel Santuario
di Nostra Signora di Misericordia, caro ai savonesi. Iniziativa che
C.L. Ragghianti avrebbe certamente apprezzato e per la realizzazione
della quale – se necessario – si sarebbe speso col consueto
impegno. Così come ha fatto per il recupero e la riqualificazione
della Fortezza del Priamar (dove fu segregato Mazzini). Nella
fortezza sono state collocate due notevoli collezioni permanenti:
quella dell'opera di Renata Cuneo e quella raccolta da Sandro
Pertini, collezionista accanito ma non troppo oculato. Assieme alla
pregiata donazione della collezione di Milena Milani, scrittrice e
personaggio (che in USA si definirebbe "socialite")
, la donazione Peruzzi viene a configurarsi come "una meta
fondamentale nei percorsi di Savona città d'arte del Novecento".
Dopo la scheda critica 1915-35 (che francamente non so se scritta da
C.L.R. o da Raffaele Monti) e l'illustrazione di quattro opere del
periodo, riproduco la Scheda critica che Angelo Dragone consegnò per
la Mostra/Catalogo 1935-1955, la quale conferma la vena stilistica predominante in Peluzzi, ammirevole come detto per la continuità sempre rinfrescata della sua pittura. Dati che l'artista mantenne anche dal 1956 alla morte nel 1974. Un tributo onesto e commosso a Peluzzi lo ha espreso Mario De Micheli
quando dice: "Mi piace scrivere di Eso Peluzzi: per me è un po'
come tornare a casa. Non solo perché ha dipinto la costa e
l'entroterra ligure, della sua e della mia Liguria, quella che sale
dagli scogli savonesi sino alle Langhe, ma perché ha saputo farlo
con un amore così vivo e spoglio, con un accento così asciutto e
pulito. E' davvero difficile trovare un artista che più di lui abbia
avuto ed abbia tanto fastidio delle circostanze ufficiali".
Parole dell'autunno 1967, un anno dopo la preparazione della Mostra
1915-35 rinviata a febbraio a causa dell'alluvione di Firenze (4
novembre 1966), per una delle tantissime esposizioni determinate
dalle scoperte e dalle riscoperte di quella di Palazzo Strozzi.
Questa di Peluzzi si tenne a Milano nella Galleria Gian Ferrari, che
R. reputava tra le più affidabili e corrette nei confronti degli
artisti. Giudizio che mantenne (tanto che in un momento di necessità
familiare cedette a Ettore Gian Ferrari due dipinti a suo tempo
ricevuti quale compenso per lavoro: ricordo una Strada di Parigi
consegnata da Neri Pozza, non ricordo l'altro soggetto) fino alla
morte del gentile e cordiale Gallerista, nel frattempo divenuto amico
di famiglia.
F.R. [21 dicembre 2018]
[Ennio
Pozzi]
Artista fiorentino vitale, di ductus corposo ma controllato, morì
nel 1972 a settantanove anni vissuti con piglio sicuro nonostante una
certa – sottocutanea – ostilità di colleghi e critici fiorentini
che non ne condividevano lo slancio, l'attenzione per la figura
femminile. Questo aspetto irrefutabile della sua pittura si declina
in Pozzi dal composto, affettuoso e casto Ritratto della moglie,
alla premura materna, al ritegno per il dolore dell'anziana madre,
alla esplicità carnalità di certi nudi. Qualche strascico di questo
malanimo nei confronti dell'artista si riscontra anche nel
Catalogo/Mostra Arte in Italia 1935-1955 nel quale Ennio Pozzi
non fu incluso, mentro lo sono stati altri "firenzini" non
certo migliori di lui. Comunque nella Mostra 1915-35 fu ammesso
d'ufficio da mio padre che ne dovette scrivere anche la scheda
critica, concisa anche per la non approfondita conoscenza di tutte le
fasi del pittore.
La stima personale di C.L. Ragghianti si riscontra anche nella
cortese e argomentata risposta (anzichè secca e sbrigativa come di
consueto in analoghi casi) con la quale rifiutò la nomina di
"Accademico onorario" fattagli da parte dell'Accademia
delle Arti e del Disegno di Firenze, di cui Pozzi aveva co-firmato la
richiesta in qualità di Presidente supplente (1970). Anche il
segretario dell'Accademia Armando Nocentini, animatore del "Premio
del Fiorino", nonostante molti lo considerassero un
"concorrente" o addirittura un avversario con la sua manifestazione, che francamente C.L.R. non apprezzava
considerandola corporativa, ma che comunque non osteggiò mai sulla base del diritto di iniziativa e di espressione, non era persona disprezzata da, anzi collaborò con costui tranquillamente nei casi inevitabili. Quello che in certe circostanze indisponeva e indignava mio padre
(tanto per fare un esempio – ovvio e scontato – il caso della
Biennale di Venezia) era il come veniva gestita una
manifestazione specialmente se pubblica (cioè di tutti e per tutti).
Di conseguenza ad un contenuto era rivolta esclusivamente
all'impostazione dell'iniziativa e soltanto se essa era
metodologicamente e criticamente fuorviante o sbagliata.
Riporto questa corrispondenza come esemplare, perché lo spirito
libero, non borghese e non gregario di C.L. Ragghianti viene in essa
testimoniato in termini chiari, inequivocabili. Per un caso analogo
quel cialtrone di Maccari (che era il Presidente dell'Accademia
offerente) ebbe la faccia tosta di adontarsi e di mantenere vita
natural durante un sostenuto mugugno, lo status di persona offesa.
Lui! fascista (a modo suo sì, ma sempre fascista dalla prima ora)
fino al piazzale Loreto e poi "graziato" soltanto perché
le persone per bene come C.L. Ragghianti di fronte a meriti
inequivocabili (in questo caso artistici) non portano rancori
indebiti, pregiudiziali (altro caso ad es. Sironi) nei confronti di
protagonisti, specialmente se autori di autocritica o almeno
palinodia, come Rosai e tanti altri e ... Maccari.
F.R. [20 dicembre 2018]
[Carlo
Sbisà]
Poi per fortuna tra i mille e mille libri che non ricordo di possedere scovo Ritratti di Trieste (Editalia, 1993) dove trovo altri due ritratti qui riprodotti, di Sbisà, professionali, di qualche eleganza ma privi di
empatia nei
confronti sia del ritrattato che del visualizzatore. D'altra parte
questo artista non "commuove" neanche gli estensori delle
Schede critiche che sono probabilmente di C.L. Ragghianti per la
Mostra 1915-1935; mentre per quella 1935-1955 si tratta di Antonello
Trombadori e di Valerio Rivosecchi. Le riproduciamo entrambe.
Quanto
alle opere successive al dopoguerra sembra che Sbisà abbia
praticamente abbandonato la pittura e si sia dedicato alla scultura e
alla ceramica. Si veda al riguardo il volume Ceramiche
e sculture di M. Stringa
che vedo essere introvabile anche nell'usato. Esiste anche la tesi di
dottorato di Nicoletta Comar che contiene un Catalogo
generale (2010) che
registra l'opera omnia di Sbisà. Riproduco anche quattro incisioni
dell'artista ventenne perché poco note e meno gelide e qui sotto le
due pagine del catalogo "C.A.D.M.A./Handicraft a fine Art in
Italy" che C.L. Ragghianti ideò e organizzò per l'esposizione
1948/49 a New York di questa attività di diffusione, di assistenza e
distribuzione di materiali di artigianato creata a sostegno della
ripresa economica del Paese. Per quel che concerne Carlo Sbisà penso
che fosse implicato nell'operazione non solo o più che per i suoi
soli meriti espressivi quale esponente degli artisti giuliano-dalmati
profughi dal comunismo titino o occupati dalle truppe alleate
vincitrici come ostaggio dell'Italia sconfitta ma redenta dalla
spontanea Lotta di Liberazione. Ciò dimostra che anche C.L.
Ragghianti aveva qualche "debolezza", come un certo
sentimentalismo (ha sofferto tremendamente i tradimenti, pur
capendoli senza ovviamente giustificarli) e una autentico amor di
Patria di derivazione garibaldina e repubblicana.
F.R. [22 dicembre 2018]
[Gianni
Vagnetti]
Figlio e genitore di artista, Gianni Vagnetti è stato
stilisticamente un autodidatta di successo con meritata fortuna
durante tutta la sua esistenza. Che la scheda critica che lo riguarda
per la Mostra 1915-1935 sia redazionale è un fatto curioso ma non
sorprendente giacchè l'artista morto da un decennio proprio nel 1966
era stato ricordato a "La Strozzina" da una monografia con
una premessa di C.L. Ragghianti e un saggio critico di Carlo
Betocchi: cioè da un poeta e dal "padrone di casa".
Misteri della consorteria critica ed artistica firenzina piena di
livori inesplicabili, soprattutto se rivolti ad una persona che dalle
fonti risulta dai modi sempre amabili, dal tratto garbato e ben
introdotto nella "buona società". Anche per l'edizione del
Catalogo sopperì il suo amico Enrico Vallecchi con una delle prime
sue Nuove Edizioni, dato che vennero a mancare contributi abituali.
Carlo
L. Ragghianti sulla pittura di Vagnetti si era espresso con il
precoce saggio stampato su Leonardo
(n.3, 1936, p.76) con un giudizio critico che così definisce
l'artista:
Successivamente anche l'aver compreso tra gli artisti portabandiera della creatività italiana nel Catalogo C.A.D.M.A. (Comunicazione Assistenza Distribuzione Materiali Artigianato) per la Mostra a New York nel 1948/49, che presentava opere di 37 artisti tra i quali ricordo soltanto Morandi, Marini, Carlo Levi.
Ragghianti e Max Ascoli vollero anche con quell'iniziativa alla ripresa dell'export italiano con uno sforzo organizzativo non indifferente. Come quello piuttosto impegnativo e cospicuo dell'anno precedente che consentì la realizzazione della Mostra dell'Artigianato, un'esposizione-mercato assai seguita e visitata ogni anno da ogni parte del Paese a Firenze.
Anche se non ci è stato possibile esperirne altre, in questa sezione del post che riguarda Gianni Vagnetti le illustrazioni che riguardano il periodo 1915-1935 sono espressione esauriente della qualità
pittorica dell'artista. Circa Educanda
(citata da C.L.R. in "Leonardo") riproduco un'immagine che
in una recente Asta era attribuita al 1942, però mi arrischio a
retrodatarla anche perché non vedo il motivo per cui Vagnetti
avrebbe dovuto riprendere un soggetto dopo anni, cosa che per lui
sarebbe almeno inconsueta, l'unico caso forse.
Ripropongo
poi le quattro pagine che illustrano in Il
paese delle Donne,
un testo di Bruno Fallaci (1893-1072), affermato giornalista già nel
1939, resistente in Lombardia e nel dopoguerra come direttore di
"Epoca" fu promotore della magnifica carriera della nipote
Oriana Fallaci giovane staffetta partigiana con ora le altre più
adulte responsabili Licia Collobi Ragghianti e Maria Luigia Guaita.
Anche la sede de "la lettura", rivista mensile del
"Corriere della Sera", depone a sostegno della tranquilla
notorietà di Vagnetti.
Con la scheda critica della Mostra/Catalogo "Arte in Italia
1935-1955 ", scritta da Rita Salvaggi, si copre l'informazione
su tutto l'arco della vita dell'artista. Vagnetti risulta pittore
considerato di sicura valenza e continuità stilistica in un'ottica
legata al proprio tempo ma non a rimorchio di altri artisti e di
fenomeni emergenti. Tanto per ricordare l'assidua attività di
scenografo, riportiamo l'illustrazione di una scena.
La mostra antologica del 1966 presso "La Strozzina", benchè
sollecitata dalla famiglia e dal Comune di Firenze per il decimo
anniversario della morte dell'artista fu accolta da C.L. Ragghianti
favorevolmente e sostenuta con convinzione benché in quel periodo
egli fosse soverchiato da impegni d'ogni genere, alcuni dei quali
urgenti (Mostra 1915-1935, Arte in Italia editore Casini, ad
es.). Però il breve testo di C.L. Ragghianti che riportiamo assieme
alla testimonianza di Carlo Betocchi (che in seguito divenne caro
amico dei miei genitori e mio) nel catalogo "Nuove
edizioni-Enrico Vallecchi" risulta attestato di stima e di
apprezzamento per l'arte di Vagnetti "così pensosamente
contemplativo: un voyage autour de sa chambre con felicità ed
espansioni, ma anche con ombre e riservatezze, con passi sommessi e
segreti".
F.R. [23 dicembre 2018]
P.S.
- Data la dilatazione fisica di questa voce ho ricordato in un altro apposito post (uscito il 30 giugno 2019 su questo blog) tre Postille
che avevo intenzione di inserire in questo riguardanti la dinastia
Vagnetti. La prima riguarda il padre Italo "mio unico e venerato
Maestro" come Gianni scrisse nel 1935. Scultore di buona forma e
di discreto successo che, tra l'altro, è stato l'autore del
Monumento a Giotto posto al centro della piazza di Vicchio, località
dove mi onoro di abitare. La seconda Postilla
riguarda un curioso episodio collegato con la dissoluzione della
"vera" Casa Editrice Vallecchi. La terza nota ha per
protagonista Vieri Vagnetti, pittore per il quale il mio amico e
socio Adriano Gasparrini ed io avremmo potuto editare un catalogo.
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