Carlo e Licia

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mercoledì 10 luglio 2019

Arte Moderna in Italia 1915/1935. Schede Redazionali 2 - MAGNELLI, PELUZZI, POZZI, SBISA', VAGNETTI.



La partecipazione di Alberto Magnelli alla Mostra fu virtuale, come viene spiegato nel Catalogo (dove è presente) che nell'elenco delle opere scrive: "non presente in mostra, esemplificato da quattro illustrazioni" e specificatamente nella Scheda critica con una nota freddina a piè di pagina. E' l'unico caso dell'esposizione ricca della presenza di oltre 2000 opere. Ciò avvenne per una serie di circostanze che a mio avviso si possono riassumere da un lato prodotte dall'asfissiante insistenza dell'Artista (come si deduce dalla corrispondenza superstite con la segreteria e con Ragghianti), dall'altro con l'insopportazione e la disistima di Nino Lo Vullo (per motivi sociali) e di Raffaele Monti (per motivi "estetici"), i quali lo conoscevano bene e contrapponevano soprattutto inerzia e resistenza passiva alle pretese di Magnelli.
Costui era evidentemente una persona piuttosto abbiente e introdotta nel mondo che conta ed abbastanza intelligente da sopperire alle proprie circoscritte capacità espressive con una intensa vita di relazione, comprese le astuzie di vivere nell'occhio del ciclone artistico dell'epoca, cioè a Parigi. Ragion per cui per molto tempo (e può darsi tutt'ora, per quel che ne so) la sua nomea è stata in Italia e a Firenze pari se non superiore ad altri artisti fiorentini ben più dotati di lui come Primo Conti e Ottone Rosai, per fare un esempio.
La Scheda critica è stata voluta ed evidentemente anche scritta da Carlo L. Ragghianti con il distacco e l'equilibrio richiesto dalla sede comprensiva di tutta la fenomenologia artistica del periodo, senza preclusioni pregiudiziali, tanto meno personali. L'opinione "intima" di Carlo L. Ragghianti circa Alberto Magnelli l'ho pubblicata dopo la sua morte in "Critica d'Arte" (n.19, 1989, p.22): essa è piuttosto radicale epperò non umorale. Certo è che non ritenne di renderla nota perché il contesto in cui maturò era quello dell'ampia mostra antologica in occasione dei 75 anni del pittore (1963) imposta dal Comune di Firenze (Bargellini) a "La Strozzina", che ovviamente non voleva danneggiare.


Anzi lo staff della Galleria (Lo Vullo in testa, persino io detti una mano durante l'inevitabile caos pre-inaugurazione) realizzò Mostra e Catalogo con cura e professionalità. Mancò, è vero, il consueto entusiasmo e cameratismo con l'artista e il suo ambiente, il clima interiore era di sostanziale estraneità. Inoltre non a caso mancano
 in catalogo scritti di C.L.R. e dei consueti collaboratori o amici della Galleria: il testo critico fu afidato da Magnelli (?) a Franco Russoli, pisano di bella presenza, milanesizzato. Già allievo di Marangoni, funzionario delle BB.AA., però collegato per domesticità al Mercato dell'arte. Riposto il succoso trafiletto pubblicato in "Critica d'Arte":


Oltre a queste righe Carlo L. Ragghianti ha scritto un breve ed incisivo testo che concede a Magnelli una certa e costante coerenza espressiva nel fare, nel concepire e nel realizzare le proprie
opere. Riproduciamo quindi la p. 7 e le righe pertinenti delle pp. 8 e 9 di "SeleArte" (n.77-78, l'ultimo della rivista, 1966), probabilmente collegata con la stesura della scheda per questa mostra.




In precedenza nel fascicolo n. 15 di "SeleArte" (nov.-dic. 1954, p.51) riportata la notizia della mostra antologica di Magnelli tenuta a Bruxelles, centrata sulla testimonianza dell'artista sulla propria attività giovanile,
 non so quanto attendibile, certo sincera là dove dice: "Si dipingeva isolati, solo per la necessità di esprimerci in quella città [Firenze] provinciale e superbiosa". Dopo la riproposta del trafiletto da "SeleArte"


illustriamo quattro opere, dal 1913 al 1918, dell''artista poco più che ventenne, tra cui una scultura del 1915, più incongrua che futurista, e tre dipinti eleganti ma derivativi da illustrazioni e "poetiche" già affermate. Seguono quattro dipinti degli anni venti piuttosto desolanti oltre che banali; cinque disegni e due dipinti introducono i primi anni Trenta. Per dar risalto alla lettura più corrente del lavoro di Magnelli si riproduce la Scheda della Mostra/Catalogo "Arte in Italia, 1935-1955". Infatti la scheda di Rita Selvaggi (che in bibliografia – come già quella di Ragghianti – non ricorda la Mostra di Palazzo Strozzi, 1963, con saggio di Russoli) è piuttosto conforme alla considerazione allora comune – 1990/1991 – dell'artista ed è però sufficiente per illustrare il lavoro di Magnelli fino al 1955. D'altro canto l'attività successiva è essenzialmente ripetitiva, spesso stanca.  
E' bene ricordare che la coerenza stilistica se protratta nel tempo, addirittura per tutto il periodo di attività (salvo gli iniziali assestamenti) non è necessariamente una dote positiva. Nei migliori dei casi – sempre quando non sia di eccezionale originalità come in Morandi – la continuità è una sigla certo inconfondibile, però valida solo ai fini commerciali. Infatti in questi casi non c'è "problematicità", e quindi nemmeno la necessità di indagare il fare dell'artista.
Per questo motivo riproduciamo soltanto due dipinti e l'elegante incisione che Magnelli eseguì per "Galleria Grafica Contemporanea di Maestri Italiani – 50 incisioni originali", cartella sotto la direzione di Rodolfo Margheri da "Il Bisonte" (1964-65) di Maria Luigia Guaita per sostenere l'Associazione Italiana Assistenza Spastici, appassionatamente diretta da Bruno Tassi.
F.R. [10 dicembre 2018]




[Eso Peluzzi]

Di questo artista, appartato e di coerente perseveranza artistica, tramite l'amica scultore Renata Cuneo sapemmo che fu commosso e assai grato a Carlo L. Ragghianti per l'essere stato prescelto a far parte dell'importante esposizione del 1967. Dall'architetto Pasquale Arturo Gabbaria Mistrangelo, altro caro amico di Rosetta e dei Ragghianti, so che la vedova di Peluzzi, esaurendo un sentito e perseguito nonostante le avversità desiderio del marito, ha donato un importante allestimento delle opere del pittore esposto nel Santuario di Nostra Signora di Misericordia, caro ai savonesi. Iniziativa che C.L. Ragghianti avrebbe certamente apprezzato e per la realizzazione della quale – se necessario – si sarebbe speso col consueto impegno. Così come ha fatto per il recupero e la riqualificazione della Fortezza del Priamar (dove fu segregato Mazzini). Nella fortezza sono state collocate due notevoli collezioni permanenti: quella dell'opera di Renata Cuneo e quella raccolta da Sandro Pertini, collezionista accanito ma non troppo oculato. Assieme alla pregiata donazione della collezione di Milena Milani, scrittrice e personaggio (che in USA si definirebbe "socialite") , la donazione Peruzzi viene a configurarsi come "una meta fondamentale nei percorsi di Savona città d'arte del Novecento".
Dopo la scheda critica 1915-35 (che francamente non so se scritta da C.L.R. o da Raffaele Monti) e l'illustrazione di quattro opere del periodo, riproduco la Scheda critica che Angelo Dragone consegnò per 


la Mostra/Catalogo 1935-1955, la quale conferma la vena stilistica predominante in Peluzzi, ammirevole come detto per la continuità sempre rinfrescata della sua pittura. Dati che l'artista mantenne anche dal 1956 alla morte nel 1974. Un tributo onesto e commosso a Peluzzi lo ha espreso Mario De Micheli quando dice: "Mi piace scrivere di Eso Peluzzi: per me è un po' come tornare a casa. Non solo perché ha dipinto la costa e l'entroterra ligure, della sua e della mia Liguria, quella che sale dagli scogli savonesi sino alle Langhe, ma perché ha saputo farlo con un amore così vivo e spoglio, con un accento così asciutto e pulito. E' davvero difficile trovare un artista che più di lui abbia avuto ed abbia tanto fastidio delle circostanze ufficiali". Parole dell'autunno 1967, un anno dopo la preparazione della Mostra 1915-35 rinviata a febbraio a causa dell'alluvione di Firenze (4 novembre 1966), per una delle tantissime esposizioni determinate dalle scoperte e dalle riscoperte di quella di Palazzo Strozzi. Questa di Peluzzi si tenne a Milano nella Galleria Gian Ferrari, che R. reputava tra le più affidabili e corrette nei confronti degli artisti. Giudizio che mantenne (tanto che in un momento di necessità familiare cedette a Ettore Gian Ferrari due dipinti a suo tempo ricevuti quale compenso per lavoro: ricordo una Strada di Parigi consegnata da Neri Pozza, non ricordo l'altro soggetto) fino alla morte del gentile e cordiale Gallerista, nel frattempo divenuto amico di famiglia.
F.R. [21 dicembre 2018]


[Ennio Pozzi]
Artista fiorentino vitale, di ductus corposo ma controllato, morì nel 1972 a settantanove anni vissuti con piglio sicuro nonostante una certa – sottocutanea – ostilità di colleghi e critici fiorentini che non ne condividevano lo slancio, l'attenzione per la figura femminile. Questo aspetto irrefutabile della sua pittura si declina in Pozzi dal composto, affettuoso e casto Ritratto della moglie, alla premura materna, al ritegno per il dolore dell'anziana madre, alla esplicità carnalità di certi nudi. Qualche strascico di questo malanimo nei confronti dell'artista si riscontra anche nel Catalogo/Mostra Arte in Italia 1935-1955 nel quale Ennio Pozzi non fu incluso, mentro lo sono stati altri "firenzini" non certo migliori di lui. Comunque nella Mostra 1915-35 fu ammesso d'ufficio da mio padre che ne dovette scrivere anche la scheda critica, concisa anche per la non approfondita conoscenza di tutte le fasi del pittore.
La stima personale di C.L. Ragghianti si riscontra anche nella cortese e argomentata risposta (anzichè secca e sbrigativa come di consueto in analoghi casi) con la quale rifiutò la nomina di "Accademico onorario" fattagli da parte dell'Accademia delle Arti e del Disegno di Firenze, di cui Pozzi aveva co-firmato la richiesta in qualità di Presidente supplente (1970). Anche il segretario dell'Accademia Armando Nocentini, animatore del "Premio del Fiorino", nonostante molti lo considerassero un "concorrente" o addirittura un avversario con la sua manifestazione, che francamente C.L.R. non apprezzava 

considerandola corporativa, ma che comunque non osteggiò mai sulla base del diritto di iniziativa e di espressione, non era persona disprezzata da, anzi collaborò con costui tranquillamente nei casi inevitabili. Quello che in certe circostanze indisponeva e indignava mio padre (tanto per fare un esempio – ovvio e scontato – il caso della Biennale di Venezia) era il come veniva gestita una manifestazione specialmente se pubblica (cioè di tutti e per tutti). Di conseguenza ad un contenuto era rivolta esclusivamente all'impostazione dell'iniziativa e soltanto se essa era metodologicamente e criticamente fuorviante o sbagliata.
Riporto questa corrispondenza come esemplare, perché lo spirito libero, non borghese e non gregario di C.L. Ragghianti viene in essa testimoniato in termini chiari, inequivocabili. Per un caso analogo quel cialtrone di Maccari (che era il Presidente dell'Accademia offerente) ebbe la faccia tosta di adontarsi e di mantenere vita natural durante un sostenuto mugugno, lo status di persona offesa. Lui! fascista (a modo suo sì, ma sempre fascista dalla prima ora) fino al piazzale Loreto e poi "graziato" soltanto perché le persone per bene come C.L. Ragghianti di fronte a meriti inequivocabili (in questo caso artistici) non portano rancori indebiti, pregiudiziali (altro caso ad es. Sironi) nei confronti di protagonisti, specialmente se autori di autocritica o almeno palinodia, come Rosai e tanti altri e ... Maccari.
F.R. [20 dicembre 2018]

[Carlo Sbisà]

Non sapendo tanto che dire quanto come trovare ulteriori dipinti per illustrare la attività discontinua di Carlo Sbisà (1899-1964) al di là di quanto presente nelle schede critiche della Mostra 1915-1935 e Catalogo/Mostra 1935-1955 e di quel poco presente nel mio archivio, ho compulsato l'inevitabile Internet. Lì ho individuato un paio di nuovi dipinti e il sito del Museo Revoltella di Trieste, notoriamente sede deputata per l'arte moderna triestina. Tentando di entrare nel sito del Museo, mi trovo sovrastante sullo schermo una scritta che mi intima di aderire a "Facebook" per poter accedere ai contenuti del Museo. Siccome sono ancora un uomo libero di non accettare imposizioni da chicchessia mi sono rifiutato di piegarmi all'intimazione di un'azienda privata a me sgradita, oltretutto assai chiacchierata. Dopo due ore ho ritentato l'operazione di accesso trovando tre opere del Museo in un sito che non ho capito se è quello ufficiale o no del Museo. Si dirà cose che capitano agli inesperti del Web (ci chiamano e-analfabeti, invece io penso che lo sono più loro che seguono procedure obbligate come i percorsi dei mattatoi). Scusate la divagazione, anche se è vero che su Google si è continuamente aggrediti da inserzioni indebite o richiami abusivi che fanno perdere tempo e distraggono. Peccato che non ci sia più il cittadino Bertuzzi, un radicale abbiente che attorno agli anni 70, tramite "l'Europeo" denunciava storture e forniva una sorta di assistenza concreta contro gli abusi commerciali e burocratici. Comunque stigmatizzo che un museo pubblico sia implicato – forse a sua insaputa – in interessi privati che discriminano gli utenti potenziali della Rete.
Poi per fortuna tra i mille e mille libri che non ricordo di possedere scovo Ritratti di Trieste (Editalia, 1993) dove trovo altri due ritratti qui riprodotti, di Sbisà, professionali, di qualche eleganza ma privi di


empatia nei confronti sia del ritrattato che del visualizzatore. D'altra parte questo artista non "commuove" neanche gli estensori delle Schede critiche che sono probabilmente di C.L. Ragghianti per la Mostra 1915-1935; mentre per quella 1935-1955 si tratta di Antonello Trombadori e di Valerio Rivosecchi. Le riproduciamo entrambe.
Quanto alle opere successive al dopoguerra sembra che Sbisà abbia praticamente abbandonato la pittura e si sia dedicato alla scultura e alla ceramica. Si veda al riguardo il volume Ceramiche e sculture di M. Stringa che vedo essere introvabile anche nell'usato. Esiste anche la tesi di dottorato di Nicoletta Comar che contiene un Catalogo generale (2010) che registra l'opera omnia di Sbisà. Riproduco anche quattro incisioni dell'artista ventenne perché poco note e meno gelide e qui sotto le due pagine del catalogo "C.A.D.M.A./Handicraft a fine Art in Italy" che C.L. Ragghianti ideò e organizzò per l'esposizione 1948/49 a New York di questa attività di diffusione, di assistenza e distribuzione di materiali di artigianato creata a sostegno della ripresa economica del Paese. Per quel che concerne Carlo Sbisà penso che fosse implicato nell'operazione non solo o più che per i suoi soli meriti espressivi quale esponente degli artisti giuliano-dalmati profughi dal comunismo titino o occupati dalle truppe alleate vincitrici come ostaggio dell'Italia sconfitta ma redenta dalla spontanea Lotta di Liberazione. Ciò dimostra che anche C.L. Ragghianti aveva qualche "debolezza", come un certo sentimentalismo (ha sofferto tremendamente i tradimenti, pur capendoli senza ovviamente giustificarli) e una autentico amor di Patria di derivazione garibaldina e repubblicana.
F.R. [22 dicembre 2018]


[Gianni Vagnetti]

Figlio e genitore di artista, Gianni Vagnetti è stato stilisticamente un autodidatta di successo con meritata fortuna durante tutta la sua esistenza. Che la scheda critica che lo riguarda per la Mostra 1915-1935 sia redazionale è un fatto curioso ma non sorprendente giacchè l'artista morto da un decennio proprio nel 1966 era stato ricordato a "La Strozzina" da una monografia con una premessa di C.L. Ragghianti e un saggio critico di Carlo Betocchi: cioè da un poeta e dal "padrone di casa". Misteri della consorteria critica ed artistica firenzina piena di livori inesplicabili, soprattutto se rivolti ad una persona che dalle fonti risulta dai modi sempre amabili, dal tratto garbato e ben introdotto nella "buona società". Anche per l'edizione del Catalogo sopperì il suo amico Enrico Vallecchi con una delle prime sue Nuove Edizioni, dato che vennero a mancare contributi abituali.
Carlo L. Ragghianti sulla pittura di Vagnetti si era espresso con il precoce saggio stampato su Leonardo (n.3, 1936, p.76) con un giudizio critico che così definisce l'artista:


Successivamente anche l'aver compreso tra gli artisti portabandiera della creatività italiana nel Catalogo C.A.D.M.A. (Comunicazione Assistenza Distribuzione Materiali Artigianato) per la Mostra a New York nel 1948/49, che presentava opere di 37 artisti tra i quali ricordo soltanto Morandi, Marini, Carlo Levi.
Ragghianti e Max Ascoli vollero anche con quell'iniziativa alla ripresa dell'export italiano con uno sforzo organizzativo non indifferente. Come quello piuttosto impegnativo e cospicuo dell'anno precedente che consentì la realizzazione della Mostra dell'Artigianato, un'esposizione-mercato assai seguita e visitata ogni anno da ogni parte del Paese a Firenze.
Anche se non ci è stato possibile esperirne altre, in questa sezione del post che riguarda Gianni Vagnetti le illustrazioni che riguardano il periodo 1915-1935 sono espressione esauriente della qualità 


pittorica dell'artista. Circa Educanda (citata da C.L.R. in "Leonardo") riproduco un'immagine che in una recente Asta era attribuita al 1942, però mi arrischio a retrodatarla anche perché non vedo il motivo per cui Vagnetti avrebbe dovuto riprendere un soggetto dopo anni, cosa che per lui sarebbe almeno inconsueta, l'unico caso forse.
Ripropongo poi le quattro pagine che illustrano in Il paese delle Donne, un testo di Bruno Fallaci (1893-1072), affermato giornalista già nel 1939, resistente in Lombardia e nel dopoguerra come direttore di "Epoca" fu promotore della magnifica carriera della nipote Oriana Fallaci giovane staffetta partigiana con ora le altre più adulte responsabili Licia Collobi Ragghianti e Maria Luigia Guaita. Anche la sede de "la lettura", rivista mensile del "Corriere della Sera", depone a sostegno della tranquilla notorietà di Vagnetti.
Con la scheda critica della Mostra/Catalogo "Arte in Italia 1935-1955 ", scritta da Rita Salvaggi, si copre l'informazione su tutto l'arco della vita dell'artista. Vagnetti risulta pittore considerato di sicura valenza e continuità stilistica in un'ottica legata al proprio tempo ma non a rimorchio di altri artisti e di fenomeni emergenti. Tanto per ricordare l'assidua attività di scenografo, riportiamo l'illustrazione di una scena.
 La mostra antologica del 1966 presso "La Strozzina", benchè sollecitata dalla famiglia e dal Comune di Firenze per il decimo anniversario della morte dell'artista fu accolta da C.L. Ragghianti favorevolmente e sostenuta con convinzione benché in quel periodo egli fosse soverchiato da impegni d'ogni genere, alcuni dei quali urgenti (Mostra 1915-1935, Arte in Italia editore Casini, ad es.). Però il breve testo di C.L. Ragghianti che riportiamo assieme alla testimonianza di Carlo Betocchi (che in seguito divenne caro amico dei miei genitori e mio) nel catalogo "Nuove edizioni-Enrico Vallecchi" risulta attestato di stima e di apprezzamento per l'arte di Vagnetti "così pensosamente contemplativo: un voyage autour de sa chambre con felicità ed espansioni, ma anche con ombre e riservatezze, con passi sommessi e segreti".
F.R. [23 dicembre 2018]

P.S. - Data la dilatazione fisica di questa voce ho ricordato in un altro apposito post (uscito il 30 giugno 2019 su questo blog) tre Postille che avevo intenzione di inserire in questo riguardanti la dinastia Vagnetti. La prima riguarda il padre Italo "mio unico e venerato Maestro" come Gianni scrisse nel 1935. Scultore di buona forma e di discreto successo che, tra l'altro, è stato l'autore del Monumento a Giotto posto al centro della piazza di Vicchio, località dove mi onoro di abitare. La seconda Postilla riguarda un curioso episodio collegato con la dissoluzione della "vera" Casa Editrice Vallecchi. La terza nota ha per protagonista Vieri Vagnetti, pittore per il quale il mio amico e socio Adriano Gasparrini ed io avremmo potuto editare un catalogo.

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