Carlo e Licia

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lunedì 31 maggio 2021

Vignettisti, 2. HOVIV.

Premessa di carattere generale: dopo il “fragoroso” insuccesso di clic da parte dei visitatori nel post dedicato al disegnatore Trèz (v. 28 novembre 2020), se questo blog fosse ordinariamente “commerciale” (cioè a caccia di “followers”, quindi di più pubblicità a pagamento, quindi...) quale responsabile cesserei di occuparmi dell'argomento. Ciò per almeno due ragioni non avviene, vuoi sul piano di considerarlo una sorta di sosta umoristica, rilassante, vuoi perché quello che viene presentato è un artista visivo che talora si esprime con battute scritte. Non si dimentichi che la cosiddetta “Poesia Visiva” ha goduto e forse gode di molta considerazione, anche perché a ben guardare è una forma espressiva con documentazioni molto antiche, primordiale.

Siccome questo blog ha un andamento eclettico – rispecchiando l'atteggiamento culturale di chi lo sta reggendo – non è di per sé meno impegnato o meno rispettabile di altri. Ricordo che eclettico ha per sinonimi: versatile, enciclopedico, eterogeneo, vario, composto; è anche il contrario di uniforme.

Perciò sottolineo la legittimità di un atteggiamento “eclettico” con l'esempio, a me vicino ed illustre, Licia Collobi, la quale era una studiosa eclettica anche per carattere. Carlo L. Ragghianti, invece, lo si potrebbe considerare anche tale perché i suoi scritti hanno indagato metodologicamente un'infinità di declinazioni artistiche. Gli studiosi specialisti ben vengano, sono però anche indubbiamente “uniformi”. Là dove ci siano, i pregi sono 

indubbi, però questo tipo di studiosi, per quanto prevalenti non sono l'unico modello “accademico” esistente e corretto, né quello che deve essere preso in considerazione maggiore. Perciò, sia pure saltuariamente, cercherò di alleviare la nostra e altrui difficoltà di vivere proponendo ogni tanto una sosta visivamente impegnativa sì, ma con effetti collaterali distensivi.


Hoviv (René Hovivian, 1929-2005) è stato un illustratore umoristico dalla vita avventurosa e travagliata, come si può dedurre dalla contenuta biografia di Wikipedia France. Di famiglia armena rifugiata in Francia, studia Belle Arti a Lione, a diciotto anni con i suoi torna nell'Armenia sovietica, Stalin imperante. Nel 1949 la famiglia viene deportata in Siberia. Morto Stalin, dopo tre anni – nel 1956 – Hoviv va a vivere a Mosca dove lavora e pubblica come disegnatore umoristico. Per imprecisati motivi nel 1964 torna in Francia, dove avrà successo tramite molte collaborazioni con la stampa e pubblicherà album illustrati divenuti famosi. Senza note motivazioni “negli anni '80 si impegna politicamente a destra”.

In questo post riproduciamo una serie di tavole disegnate per “Paris Match”, quasi tutte nel 1978-79; le prime sette immagini della sequenza illustrativa sono databili dal 1968 al 1971; gli ultimi tre fogli sono databili 1980-82.

F.R. (22 aprile 2021)

venerdì 28 maggio 2021

Arte Moderna in Italia 1915-1935 - Testi dei Critici, 25. GIUSEPPE MARCHIORI, 2 (SEVERINI, SPAZZAPAN).

 


Post Precedenti:

1. RAFFAELE MONTI ( I ) - 16 giugno 2018
2. IDA CARDELLINI (LORENZO VIANI) - 28  settembre 2018 
3. UMBRO APOLLONIO (NATHAN, BIROLLI) - 19 settembre 2019
4. MARCELLO AZZOLINI (GUERRINI, CHIARINI, VESPIGNANI). 6 ottobre 2019
5/I. FORTUNATO BELLONZI (BOCCHI, D'ANTINO). 12 novembre 2019
5/II. FORTUNATO BELLONZI (MORBIDUCCI, SAETTI). 28 dicembre 2019
6. ALDO BERTINI (CREMONA, MAUGHAM C., PAULUCCI). 22 gennaio 2020.
7. ANNA BOVERO (BOSWELL, CHESSA, GALANTE). 5 febbraio 2020.
8. SILVIO BRANZI (SCOPINICH, BALDESSARI, NOVATI, SPRINGOLO, RAVENNA, KOROMPAY, ZANINI). 23 febbraio 2020.
9. GIOVANNI CARANDENTE (COMINETTI, MARINI). 4 marzo 2020.
10. ITALO CREMONA (REVIGLIONE). 7 maggio 2020.
11. ENRICO CRISPOLTI, I (BALLA, EVOLA, ALIMANDI, BENEDETTA). 2 aprile 2020.
12. ENRICO CRISPOLTI, II (COSTA, DIULGHEROFF, DOTTORI, FILLIA). 6 aprile 2020.
13. ENRICO CRISPOLTI, III (ORIANI, PANNAGGI, PRAMPOLINI, MINO ROSSO), 10 aprile 2020.
14. RAFFAELINO DE GRADA I (BOLDINI, ANDREOTTI). 22 giugno 2020.
15. RAFFAELINO DE GRADA II (BERNASCONI, CARPI, CARENA, FUNI). 6 luglio 2020.
16. ANTONIO DEL GUERCIO (MAZZACURATI, MENZIO, RICCI). 8 agosto 2020
17. TERESA FIORI (INNOCENTI). 1 settembre 2020.
18. CESARE GNUDI (FIORESI, PIZZIRANI, PROTTI). 2 ottobre 2020.
19. VIRGILIO GUZZI (MANCINI, CAVALLI, MONTANARINI, PIRANDELLO). 19 novembre 2020.
20. MARIO LEPORE (DEL BON, LILLONI). 21 dicembre 2020.
21. LICISCO MAGAGNATO (NARDI, PIGATO, FARINA, TRENTINI, ZAMBONI, BERALDINI, SEMEGHINI). 21 gennaio 2021.
22. CORRADO MALTESE (GERARDI). 4 marzo 2021.
23. FRANCO MANCINI (PANSINI, NOTTE, BRESCIANI, CRISCONIO, CIARDO, GATTO, VITI).  3 aprile 2021.
24. GIUSEPPE MARCHIORI, 1 (ROSSI, LICINI). 3 maggio 2021.

domenica 23 maggio 2021

sabato 15 maggio 2021

TONO ZANCANARO 5/II – Gibbo, disegni e incisioni.

 1. Diciotto disegni inediti recuperati.

La seconda parte di questo post riguarda il recupero casuale di 18 disegni gibbeschi di Tono Zancanaro, presumibilmente dispersi in quel di Firenze tra il 1945 e il 1965. Sedici anni fa, intitolato Addenda al Catalogo dei disegni del “Gibbo” di Zancanaro, avevo scritto per “LUK” (organo della Fondazione Centro Studi Licia e Carlo L. Ragghianti di Lucca) l'intervento che informava del ritrovamento di questi disegni, per pubblicarlo in occasione del ventesimo dalla morte (1985) di Tono. Naturalmente lo scritto fu rifiutato. Tra noi e la direzione del Centro Studi c'era infatti tensione e irritazione piuttosto profonda per l'incredibile, incresciosa pubblicazione del libro La sedia italiana nei secoli redatto da Licia Collobi per la Triennale di Milano (1951). In proposito si veda il post del 16 gennaio 2018 dove stigmatizzo la sconsiderata pseudointroduzione di Francois Burkhardt che all'argomento dedica quattro righe e non menziona nemmeno il nome dell'autrice di quella ricerca originale, tant'è che allora la si riproponeva ed oggi è tuttora assolutamente valida.

Riassunto e depurato dalla parte polemica nei confronti della Fondazione di Lucca, ripropongo quel testo soprattutto per poter mostrare queste benedette 18 chine di Tono, inedite, che potrebbero far pensare ad una antologia della sua epopea gibbesca. Però questa incognita scelta – che potrebbe essere anche casuale – potrebbe sembrare anche una sorta di listino figurale di una proposta “commerciale”. Certamente questa scelta che alla fin fine reputo operata a suo tempo espressamente da Tono, rispecchia un discorso omogeneo, coerente, che potrebbe aver costituito l'esempio di una proposta espositiva o, nell'ambito di mostra di più artisti, il contributo di Tono. Ipotesi questa non trascurabile data la miriade di promozioni espositive nelle Case del Popolo, soprattutto tosco-emiliane, che allora avvenivano per iniziativa e coordinamento del Partito Comunista. Comunque una cosa è certa: permane il mistero del perché Tono non abbia riavuto o richiesto indietro questa importante collezione. E, in via subordinata, perché e a chi l'avesse volontariamente lasciata, venduta o donata.

In definitiva, meno mi meraviglierebbe il fatto che essendo Tono al corrente della loro collocazione, per qualche suo imperscrutabile ed umorale motivo, egli non volesse indicarlo e tacesse al compilatore del Catalogo ogni informazione al riguardo. Ciò, per altro era avvenuto anche per la Divina Commedia, come a suo tempo riscontrai e ricordo nel post del 25 gennaio 2021. Questo comportamento bizzarro ho avuto modo diverse volte di riscontrarlo con artisti assai diversi caratterialmente tra loro. Ne ho parlato anche con studiosi come Santini e Mazzariol che mi hanno confermato che questo atteggiamento non è per niente raro negli artisti, i quali su questo argomento sono ombrosi come i cavalli da corsa.

Antefatto (1995).

Una decina di anni fa, quando stavano per maramaldeggiarmi sul lavoro sostentativo, telefonò un antico sodale di bisbocce goliardiche, oggi paludato imprenditore ai margini dell'editoria, per avvertirmi di una sua “trouvaille” presso un rigattiere di libri e carte, con cui aveva relazioni d'affari. Bontà sua, il vecchio amico ricordava il mio lavoro di catalogazione dei disegni di Tono Zancanaro, quello sulla “Divina Commedia” almeno, della quale ha un esemplare che mi fece firmare dopo una ormai quasi dimenticata cena a casa sua.

Per farla breve, mi disse che presso quel rivenditore aveva prenotato a nome mio una cartelletta di disegni, perché gli parevano di Zancanaro, essendo in buona parte firmati “Tono”; aggiunse di andare a vedere se mi interessava acquistarli, essendo offerti a prezzo vantaggioso (in realtà irrisorio, e lo dico solo perché è forse l'unico affare che sono riuscito a concludere in vita mia).

Erano di Tono i disegni, e appartenevano alla serie del “Gibbo”. Ora essi sono qui elencati e riprodotti, quale contributo alla completezza della pur corposa catalogazione che feci per il volume Gibbo nel 1970-71. La cartella che conteneva i 18 disegni è anonima e certamente posteriore di qualche decennio, quindi irrilevante a spiegare come un così cospicuo gruppo di fogli sia finito in mano di un unico possessore.

Il rigattiere disse di non ricordare dove aveva trovato “questi sgorbi” (parole sue), anzi era un po' seccato dalla mia insistenza, tanto da sospettare in me una specie di agente fiscale. Dopo mie rassicurazioni al riguardo, e la balla che le “vignette” (termine da lui usato come ripiego a fronte del mio dispetto per la precedente definizione) erano state disegnate da un lontano parente di cui avevo perso le tracce, costui ammise di aver trovato la cartellina e il suo contenuto in una partita costituita in prevalenza da giornali e riviste, con quale libro dozzinale e vecchie lettere; il tutto acquistato qualche anno prima da un collega specializzato in mobilio. Quindi, presumo, tutto ciò proveniva da una dismissione da parte di eredi indifferenti e ansiosi di disporre di una abitazione vuota e libera per la vendita. Però non sapeva di chi si trattasse né dove ciò fosse avvenuto con precisione, sicuramente in Firenze però, stante l'attività del collega, nel frattempo defunto (sarà vero?) con la concomitante chiusura dell'azienda. Non ci fu verso di saperne di più, salvo che i fogli si erano salvati perché avevano divertito un suo giovane nipote, e che perciò furono riposti in uno scaffale per eventuali, successive consultazioni (ignoro se avvenute o meno).

Comunque è grazie alla sensibilità e alla fantasia di un ragazzo, all'incirca decenne, che questi bei disegni sono ancora in vita.

Ancora ipotesi.

Ignorando la provenienza e la reale consistenza originale dei fogli (date le vicissitudini specifiche e quelle derivanti dallo scorrere del tempo non si può escludere che ve ne fossero altri), si possono fare soltanto delle supposizioni circa la presenza in Firenze di un così nutrito, omogeneo e articolato temporalmente, gruppo di disegni dei primi anni Quaranta. Benché Tono Zancanaro sia stato una delle persone più generose e dispensatrici del proprio operare, non vedo come possa aver donato disegni, presumibilmente in una volta sola, stante anche l'omogeneità del tema e – ancor più – quella stilistica all'interno del ciclo del “Gibbo”.

Si può ipotizzare, benché con molta arbitrarietà, che il futuro conosciuto e riconosciuto Maestro, allora ignorato ed ancora considerato dilettante Tono Zancanaro, abbia avuto un precoce ed intuitivamente profetico collezionista. Ma, in questo caso, non si spiega la trascuratezza successiva della conservazione della serie di disegni. Nemmeno si può supporre come fondata una alienazione – spregiativa – da parte di uno dei membri della famiglia della sorella di Tono, sposata in Firenze. Se così fosse stato, è fatto avvenuto alla fine degli anni Quaranta, e probabilmente per via di disgraziate circostanze. E', infatti, presumibile che Tono non fosse né sottovalutato in famiglia, né che lui fosse disinteressato alla sorte di un nucleo tutto sommato importante del suo lavoro. Per di più, in occasione della successiva catalogazione non avrebbe scordato di segnalare una simile silloge. Ciò è sostenibile in analogia di quanto avvenne in almeno un altro paio di casi – e men ricchi di opere – di cui non si indicò la collezione di provenienza per espresso desiderio del Maestro.

Ipotizzare ulteriormente sarebbe inutile e sempre più abusivo; l'unico aspetto importante di questo ritrovamento fortuito è che queste opere esistono e possono essere documentate, a debita integrazione dei 2002 fogli già registrati nel 1971. E' poi motivo di personale conforto il fatto di poter contribuire ancora una volta alla notorietà di un corpus di disegni tra i più significanti ed organici del secolo, e non soltanto in Italia.

Altre considerazioni.

Questa immensa serie è sicuramente ancora lacunosa, come del resto lo sono praticamente tutte le situazioni di cicli espressivi dipanatasi nell'arco di alcuni anni. Certamente, però, le occasioni di integrazioni forniscono il destro di parlare ancora una volta di un artista, di un suo “ciclo” ormai storico; e contemporaneamente possono stimolare ricerche e investigazioni complementari, qualche rara volta esitandosi anche in studi originali, di arricchimento per la comprensione di un determinato artista.

Mi sia concesso notare con disappunto, rammarico e indignazione che l'opera titanica di Tono Zancanaro (sì titanica: per la quantità di lavoro, ma soprattutto di tempo e dedizione assoluta, più che religiosa del Maestro ad essa dedicata) sia pressoché scomparsa dalla circolazione, nonostante i lodevoli sforzi di Manlio Gaddi e dell'Archivio Storico Tono Zancanaro da lui organizzato.

Al di là degli ignorati e ignorabili ritmi del mercato, è davvero inconcepibile che uno degli artisti più originali, nonché figurativamente colti, di questo secolo venga trascurato non solo dagli organizzatori culturali, privati e pubblici, ma anche che questi ultimi non acquisiscono per i Musei opere dell'Artista.

Forse con Tono è avvenuto e avviene, mutatis, ciò che avviene per Carlo L. Ragghianti. Voglio dire, cioè, che l'esistenza di un “esclusivo” depositario dell'immagine del Grande scomparso, alla fin fine danneggi proprio colui che ne dovrebbe essere avvantaggiato. Così vediamo (1997-98) che la Fondazione di Lucca...

Certamente a Padova nella dimora che fu di Tono in Via Baracca n.2, non avvengono simili tristizie, analoghe offese alla cultura. Anzi dalle ricorrenti circolari informative del Gaddi vedo che fervet opus. Nel caso di Zancanaro, dunque, si assiste a una non inconsueta mancanza di risonanza a fronte delle iniziative, al di là della valenza di ciascuna di esse. Forse non si può escludere, però, che il “monopolio” del lascito vuoi di 'immagine', vuoi delle opere in possesso dell'artista alla sua morte, anziché incoraggiare, ostacoli la conoscenza e la diffusione del lavoro dell'Artista medesimo. Nel mercato artistico, come del resto in tutti i mercati, nessuno tira la volata per il tornaconto economico di altri: quindi, paradossalmente, Tono (ma forse anche Conti, Cagli, Manzù e quant'altri hanno disposto un'esclusiva gestione del loro operato) rimane vittima di un sogno, di una propria 'piccola' vanità, di una impropria scomessa sul futuro.

F.R. (2005; 17 aprile 2021)


martedì 11 maggio 2021

Tono Zancanaro 5/I – Gibbo, disegni 1937-1945.

1. De Grada/Pozza, 1964; 2. Da Ragghianti/La Loggetta, 1971. Prodromi e anno 1942.


1. De Grada/Pozza, 1964 - Nel 1964 l'editore e più che valido incisione Neri Pozza pubblicò Il Gibbo di Tono Zancanaro, un bel libretto (170x240mm) rilegato con sovraccoperta illustrata. Finalmente veniva ufficializzata l'esistenza di questo originale ciclo di disegni e incisioni, di questa privata epopea sardonica, la quale dal 1937 al 1945 e dopo occupò la mente e la mano del trentenne artista padovano. Questi era certamente un autodidatta, frutto di una spontanea ma travolgente ispirazione alimentata e stimolata da l'ambito familiare di Ottone Rosai e quello culturale della Padova antifascista operante soprattutto nell'antica Università. L'impresa di Tono, di per sé importante, fu anche dimostrazione lampante che la tirannia nulla può contro uno spirito libero e indipendente, perché il comunismo di Tono allora non poteva essere che aspirazione intellettuale e morale. Bisogna anche sottolineare il fatto che Tono (dedito al Gibbo specialmente dal 1942), fu molto coraggioso. Difatti, riuscendo a contenere e, secondo i dettami machiavellici, a "dissimulare" la propria natura estroversa e confidente, nonché autenticamente popolare, schivò i rischi familiari (il padre era un convinto fascista) e anche con Rosai e la sua cerchia – ancora partecipe delle frange violente del regime – non tradì la propria intima inspirazione demolitoria del simbolo primario del fascismo: il duce. Seppe esprimersi senza remore, confidando nell'ammirato sostegno morale degli uomini migliori in circolazione negli ambiti provinciali e pettegoli nei quali si svolgeva la ristretta vita culturale dell'epoca. Nelle due lucide e serenamente amare pagine di Autotono che l'artista premette al libro descrive l'ignavia del conformismo imperante ed indica i principali aspetti di


quella farsa delittuosa che furono soprattutto le imprese belliche del regime. Da questo magma incoerente nasce il Gibbo. Il nome del suo "eroe" – come in altre circostanze Tono ha raccontato – deriva dal film Il traditore di John Ford, nel quale l'attore Victor McLaglen interpreta il tronfio e violento "Gypo Nolan", divenuto vile spia dei compagni irlandesi antibritannici.

Segue un impegnato scritto testimoniale di Raffaele De Grada, in quegli anni uno dei critici d'arte contemporanea più influenti del Partito Comunista, nel quale ancora militavano ex partigiani genuini e persone autenticamente di "sinistra". Su De Grada si veda il post del 22 giugno 2020, nel quale si ricorda anche il suo rapporto con Carlo L. Ragghianti.

Da questo gioiellino editoriale realizzato da Neri Pozza, che riproduciamo integralmente (sovracoperta compresa), reputo utile porre a mo' di prefazione la lunga e impegnata recensione che ne fece su "Il Mondo" di Pannunzio (18 gennaio 1966) l'allora trentenne Riccardo Barletta (n.1936) un paio di mesi prima della cessazione dello storico periodico laico. Di questo critico d'arte, nato pittore, nonché meridionalista, e del suo rapporto con Carlo L. Ragghianti darò un profilo nel post da tempo in preparazione riguardante la "Scuola Mazzon", creatura del pittore Galliano Mazzon (v. il post del 23 luglio 2019), un esperimento che interessò molto a C.L.R. da sempre convinto della autonomia espressiva infantile e dei problemi che ne conseguono.

F.R. (16 aprile 2021)

venerdì 7 maggio 2021

Ancora Giordano Bruno.

Smistando una pila di estratti e documenti vari per appurare se contenesse materiale utilizzabile per questo blog, e, quindi, destinando il resto al vaglio di chi mi sopravvivrà o al macero, ho ripescato tra l'altro una dispensa iconografica illustrata, pubblicata nel 1961 da Eugenio Garin, su Giordano Bruno. Dato che il post sull'argomento era già stato immesso nell'etere il 17 febbraio 2021, dovevo decidere se aggiungergli questo qualificato intervento come “Appendice”. Un paio di giorni dopo rinvengo in altra pila erratica questo estratto di una lettera datata 16.04.1969 “non spedita” da Carlo L. Ragghianti nella quale mio padre tra l'altro scriveva: “Proprio in questo momento sto rileggendo Giordano Bruno, ritrovandovi i motivi che segnarono la mia giovinezza, e principalmente quella sola certezza del dovere del pensiero oltre ogni calcolo o conseguenze, sino all'isolamento (de profundis)”.

Stante la coincidenza di poter ricordare il pensiero di un Maestro quale Garin (sia pure con un testo “divulgativo”, però intellettualmente onesto) e il richiamo etico di mio padre al dovere suscitato dallo stesso “eroe e martire” del pensiero moderno, ero ancora orientato a fare del Bruno di Garin una “Appendice” al post predetto. Nonostante la cautela sostanziale, la parziale condivisione del testo di Garin, sulla base “di mantenere e accrescere, nel limite delle mie forze un pensiero che non importa sia originale e indipendente, importa che sia produttivo e capace di svolgimenti futuri” (per dirla con C.L.R. proseguendo la citazione dal citato stralcio) ho invece deciso di dare seguito al post del 17 febbraio 2021 con una pubblicazione autonoma, contenente il saggio del filosofo e inserendo altri scritti, in precedenza accantonati, che integrano la conoscenza e la comprensione di Giordano Bruno.

Anch'io sono stato allievo di Garin di cui seguii nel 1959-60 un corso il cui esame rimane tra i sei che non ho sostenuto prima di autoescludermi dall'Università perché, dopo il 1964, deluso e schifato dalla deriva demagogica volgare e violenta e dalla miserabile reazione del corpo docente complice e prono allo straniamento – oltre e più che culturale – sociale di una istituzione che invece doveva essere formativa, di alto livello e al contempo democratica (non beceramente corriva erga omnes).

Mi capitò anche di assistere (e fui poi invitato a partecipare) come fornitore di documenti e libri, nonché in qualità di autista andando a prendere e poi riportare a casa sua Garin, un incontro, durato un intero pomeriggio del 1962, avvenuto nello studio di mio padre a villa La Costa. Dopo aver disquisito e trovato un accordo su questioni riguardanti la Riforma della scuola (media unica) e problemi dell' ADESSPI (Ass. Difesa e Sviluppo Scuola Pubblica di cui C.L.R. era presidente) e dell'Università, i due illustri studiosi discettarono con giovanile entusiasmo sulla formazione culturale popolare, gli editori ad essa collegati, dall'Unità d'Italia alla contemporaneità (mi sorge adesso un dubbio: i due volponi non avranno anche voluto indicarmi l'argomento di una tesi di laurea?), con rimembranze particolari ad entrambi care, di mode e passioni – non solo strettamente culturali – sopra e sotto traccia durante il periodo fascista. Dopo questa esperienza piuttosto inconsueta con un proprio docente, per di più 

già così famoso e illustre, ebbi alcuni contatti collaborativi con Garin nel 1963-64 quale membro del Consiglio studentesco di Facoltà, nonché nel 1965 una conversazione privata nella quale gli esternai il mio disagio circa l'Università e l'intenzione di cessare il cursus studiorum. Fu cortese e comprensivo, quindi, dopo aver appurato la mia ferma decisione di non voler insegnare nella scuola (Università compresa), convenne che, sebbene commettessi un grosso (non credo) errore (vero!), avrei potuto cavarmela nella vita sia pur con qualche amarezza e più fatica. E' anche per questi motivi che mi è caro aggiungere questo suo contributo al post su Bruno, l'irrequieto, ostinato intellettuale cui il Potere fece pagare caro – con brutale sadismo – la pretesa di pensare col proprio cervello.

Una trentina d'anni dopo lo scritto di Garin, si verificò un momento iniziato alla fine degli Anni Ottanta di quasi sorprendente revival d'attenzione su Giordano Bruno. Il 31 marzo 1990 su “La Stampa” di Torino Anacleto Verrecchia relazionò sulle nuove biografie del filosofo, si sviluppò poi una accesa polemica circa l'attività spionistica di Giordano Bruno (Brown) a favore di Elisabetta I Tudor, come anche accennato nel post precedente. Di ciò e di quanto segue riporto una breve documentazione orientativa. L'intervento di Umberto Galimberti (noto soprattutto come psicologo) il quale si dichiara “filosofo” interdisciplinare, contiene notazioni penetranti, essendo autore quasi sempre pungente e talora illuminante.

Per concludere questo post mi sembra almeno doveroso ricordare Michele Ciliberto, il quale ha dedicato buona parte della sua operosissima esistenza allo studio di Giordano Bruno, divenendone – come si suol dire – un'autorità. Non intendo ovviamente addentrarmi in questioni intricate e specialistiche, quindi riporto soltanto due pagine della sua monografia (regolarmente acquistata) Giordano Bruno (Edizioni Laterza, Bari 2000) riguardanti lo spinoso argomento Dissimulazione. “Arte” cui non ricorre soltanto il Nolano, ma viene ancor oggi praticata in prevalenza sotto i regimi dittatoriali e le demokrature.

Ricordo – ad es. – le accuse di cedimento, tradimento addirittura, rivolte ad Ignazio Silone. Mi meraviglio come in questo caso (e in altri della nostra cospirazione e Resistenza) gli storici abbiano confuso una “necessità temporanea” risolta con la dissimulazione senza aver dato nessuna concreta e veritiera notizia al “torturatore” o al ricattatore. So però che mio padre allora altamente responsabile è sempre stato cauto e comprensivo, persino in casi di tradimento a seguito di semplici minacce o botte. Casi tutt'altro che rari di note personalità, talora assai attive nell'antifascismo militante. Non tutti loro erano medici che si tagliarono la lingua, non tutti hanno la stessa soglia del dolore. Insultare per brama di visibilità mediatica eroi come Silone e Max Salvatori – fratello di Joyce Lussu medaglia d'oro della Resistenza – è deplorevole. A proposito ricordo che non esistono medaglie d'oro al valor militare della Resistenza attribuite agli aderenti del Partito d'Azione, giacché i sopravvissuti decisero di accettarle soltanto per gli uccisi. Altri tempi, altri leaders, altri uomini e donne.

F.R. (13 marzo 2021) 

lunedì 3 maggio 2021

Arte Moderna in Italia 1915-1935 - Testi dei Critici, 24. GIUSEPPE MARCHIORI, 1 (ROSSI, LICINI).

 


Post Precedenti:

1. RAFFAELE MONTI ( I ) - 16 giugno 2018
2. IDA CARDELLINI (LORENZO VIANI) - 28  settembre 2018 
3. UMBRO APOLLONIO (NATHAN, BIROLLI) - 19 settembre 2019
4. MARCELLO AZZOLINI (GUERRINI, CHIARINI, VESPIGNANI). 6 ottobre 2019
5/I. FORTUNATO BELLONZI (BOCCHI, D'ANTINO). 12 novembre 2019
5/II. FORTUNATO BELLONZI (MORBIDUCCI, SAETTI). 28 dicembre 2019
6. ALDO BERTINI (CREMONA, MAUGHAM C., PAULUCCI). 22 gennaio 2020.
7. ANNA BOVERO (BOSWELL, CHESSA, GALANTE). 5 febbraio 2020.
8. SILVIO BRANZI (SCOPINICH, BALDESSARI, NOVATI, SPRINGOLO, RAVENNA, KOROMPAY, ZANINI). 23 febbraio 2020.
9. GIOVANNI CARANDENTE (COMINETTI, MARINI). 4 marzo 2020.
10. ITALO CREMONA (REVIGLIONE). 7 maggio 2020.
11. ENRICO CRISPOLTI, I (BALLA, EVOLA, ALIMANDI, BENEDETTA). 2 aprile 2020.
12. ENRICO CRISPOLTI, II (COSTA, DIULGHEROFF, DOTTORI, FILLIA). 6 aprile 2020.
13. ENRICO CRISPOLTI, III (ORIANI, PANNAGGI, PRAMPOLINI, MINO ROSSO), 10 aprile 2020.
14. RAFFAELINO DE GRADA I (BOLDINI, ANDREOTTI). 22 giugno 2020.
15. RAFFAELINO DE GRADA II (BERNASCONI, CARPI, CARENA, FUNI). 6 luglio 2020.
16. ANTONIO DEL GUERCIO (MAZZACURATI, MENZIO, RICCI). 8 agosto 2020
17. TERESA FIORI (INNOCENTI). 1 settembre 2020.
18. CESARE GNUDI (FIORESI, PIZZIRANI, PROTTI). 2 ottobre 2020.
19. VIRGILIO GUZZI (MANCINI, CAVALLI, MONTANARINI, PIRANDELLO). 19 novembre 2020.
20. MARIO LEPORE (DEL BON, LILLONI). 21 dicembre 2020.
21. LICISCO MAGAGNATO (NARDI, PIGATO, FARINA, TRENTINI, ZAMBONI, BERALDINI, SEMEGHINI). 21 gennaio 2021.
22. CORRADO MALTESE (GERARDI). 4 marzo 2021.
23. FRANCO MANCINI (PANSINI, NOTTE, BRESCIANI, CRISCONIO, CIARDO, GATTO, VITI).  3 aprile 2021


Giuseppe Marchiori (1901-1982) è stato un importante critico d'arte contemporaneo, il Decano della sua generazione. Di formazione sostanzialmente autodidatta con precedenti di pittura e di poesia, potè sempre esprimersi con una libertà e sincerità rara grazie al proprio carattere estroverso e a confortevole indipendenza economica dovuta al patrimonio familiare. Conobbe Carlo L. Ragghianti a Roma negli anni Trenta e i due studiosi mantennero durante la loro esistenza ottimi rapporti personali, non intaccati dalle differenze metodologiche inevitabili e dagli interessi critico-artistici talora divergenti.

Da bambino lo ricordo come un omaccione, piuttosto sgraziato nei movimenti, dall'approccio irruento ma cordiale: un orso buono, rispettato

molto dai giovani studiosi e artisti gravitanti in Palazzo Strozzi nell'orbita dello Studio Italiano di Storia dell'Arte, e in quello de “La Strozzina”.

Marchiori fu l'animatore del “Fronte Nuovo delle Arti”, movimento che dal 1947 al 1951 fu vivacemente presente nella cultura artistica espressivamente rappresentato da artisti quali Birolli, Santomaso, Morlotti, Alberto Viani, Pizzinato, Vedova, Guttuso, Cassinari e Leoncillo, tutti conosciuti, frequentati e stimati da C. L. Ragghianti. Il “Fronte” si sciolse per le allora piuttosto virulente polemiche tra realisti ed astrattisti.

Il 29 luglio 1943 Marchiori scrisse la cartolina, qui sotto riprodotta, a C.L.R. appena liberato dal carcere di Bologna.