Carlo e Licia

Carlo e Licia

Archivio

Cerca nel blog

venerdì 7 maggio 2021

Ancora Giordano Bruno.

Smistando una pila di estratti e documenti vari per appurare se contenesse materiale utilizzabile per questo blog, e, quindi, destinando il resto al vaglio di chi mi sopravvivrà o al macero, ho ripescato tra l'altro una dispensa iconografica illustrata, pubblicata nel 1961 da Eugenio Garin, su Giordano Bruno. Dato che il post sull'argomento era già stato immesso nell'etere il 17 febbraio 2021, dovevo decidere se aggiungergli questo qualificato intervento come “Appendice”. Un paio di giorni dopo rinvengo in altra pila erratica questo estratto di una lettera datata 16.04.1969 “non spedita” da Carlo L. Ragghianti nella quale mio padre tra l'altro scriveva: “Proprio in questo momento sto rileggendo Giordano Bruno, ritrovandovi i motivi che segnarono la mia giovinezza, e principalmente quella sola certezza del dovere del pensiero oltre ogni calcolo o conseguenze, sino all'isolamento (de profundis)”.

Stante la coincidenza di poter ricordare il pensiero di un Maestro quale Garin (sia pure con un testo “divulgativo”, però intellettualmente onesto) e il richiamo etico di mio padre al dovere suscitato dallo stesso “eroe e martire” del pensiero moderno, ero ancora orientato a fare del Bruno di Garin una “Appendice” al post predetto. Nonostante la cautela sostanziale, la parziale condivisione del testo di Garin, sulla base “di mantenere e accrescere, nel limite delle mie forze un pensiero che non importa sia originale e indipendente, importa che sia produttivo e capace di svolgimenti futuri” (per dirla con C.L.R. proseguendo la citazione dal citato stralcio) ho invece deciso di dare seguito al post del 17 febbraio 2021 con una pubblicazione autonoma, contenente il saggio del filosofo e inserendo altri scritti, in precedenza accantonati, che integrano la conoscenza e la comprensione di Giordano Bruno.

Anch'io sono stato allievo di Garin di cui seguii nel 1959-60 un corso il cui esame rimane tra i sei che non ho sostenuto prima di autoescludermi dall'Università perché, dopo il 1964, deluso e schifato dalla deriva demagogica volgare e violenta e dalla miserabile reazione del corpo docente complice e prono allo straniamento – oltre e più che culturale – sociale di una istituzione che invece doveva essere formativa, di alto livello e al contempo democratica (non beceramente corriva erga omnes).

Mi capitò anche di assistere (e fui poi invitato a partecipare) come fornitore di documenti e libri, nonché in qualità di autista andando a prendere e poi riportare a casa sua Garin, un incontro, durato un intero pomeriggio del 1962, avvenuto nello studio di mio padre a villa La Costa. Dopo aver disquisito e trovato un accordo su questioni riguardanti la Riforma della scuola (media unica) e problemi dell' ADESSPI (Ass. Difesa e Sviluppo Scuola Pubblica di cui C.L.R. era presidente) e dell'Università, i due illustri studiosi discettarono con giovanile entusiasmo sulla formazione culturale popolare, gli editori ad essa collegati, dall'Unità d'Italia alla contemporaneità (mi sorge adesso un dubbio: i due volponi non avranno anche voluto indicarmi l'argomento di una tesi di laurea?), con rimembranze particolari ad entrambi care, di mode e passioni – non solo strettamente culturali – sopra e sotto traccia durante il periodo fascista. Dopo questa esperienza piuttosto inconsueta con un proprio docente, per di più 

già così famoso e illustre, ebbi alcuni contatti collaborativi con Garin nel 1963-64 quale membro del Consiglio studentesco di Facoltà, nonché nel 1965 una conversazione privata nella quale gli esternai il mio disagio circa l'Università e l'intenzione di cessare il cursus studiorum. Fu cortese e comprensivo, quindi, dopo aver appurato la mia ferma decisione di non voler insegnare nella scuola (Università compresa), convenne che, sebbene commettessi un grosso (non credo) errore (vero!), avrei potuto cavarmela nella vita sia pur con qualche amarezza e più fatica. E' anche per questi motivi che mi è caro aggiungere questo suo contributo al post su Bruno, l'irrequieto, ostinato intellettuale cui il Potere fece pagare caro – con brutale sadismo – la pretesa di pensare col proprio cervello.

Una trentina d'anni dopo lo scritto di Garin, si verificò un momento iniziato alla fine degli Anni Ottanta di quasi sorprendente revival d'attenzione su Giordano Bruno. Il 31 marzo 1990 su “La Stampa” di Torino Anacleto Verrecchia relazionò sulle nuove biografie del filosofo, si sviluppò poi una accesa polemica circa l'attività spionistica di Giordano Bruno (Brown) a favore di Elisabetta I Tudor, come anche accennato nel post precedente. Di ciò e di quanto segue riporto una breve documentazione orientativa. L'intervento di Umberto Galimberti (noto soprattutto come psicologo) il quale si dichiara “filosofo” interdisciplinare, contiene notazioni penetranti, essendo autore quasi sempre pungente e talora illuminante.

Per concludere questo post mi sembra almeno doveroso ricordare Michele Ciliberto, il quale ha dedicato buona parte della sua operosissima esistenza allo studio di Giordano Bruno, divenendone – come si suol dire – un'autorità. Non intendo ovviamente addentrarmi in questioni intricate e specialistiche, quindi riporto soltanto due pagine della sua monografia (regolarmente acquistata) Giordano Bruno (Edizioni Laterza, Bari 2000) riguardanti lo spinoso argomento Dissimulazione. “Arte” cui non ricorre soltanto il Nolano, ma viene ancor oggi praticata in prevalenza sotto i regimi dittatoriali e le demokrature.

Ricordo – ad es. – le accuse di cedimento, tradimento addirittura, rivolte ad Ignazio Silone. Mi meraviglio come in questo caso (e in altri della nostra cospirazione e Resistenza) gli storici abbiano confuso una “necessità temporanea” risolta con la dissimulazione senza aver dato nessuna concreta e veritiera notizia al “torturatore” o al ricattatore. So però che mio padre allora altamente responsabile è sempre stato cauto e comprensivo, persino in casi di tradimento a seguito di semplici minacce o botte. Casi tutt'altro che rari di note personalità, talora assai attive nell'antifascismo militante. Non tutti loro erano medici che si tagliarono la lingua, non tutti hanno la stessa soglia del dolore. Insultare per brama di visibilità mediatica eroi come Silone e Max Salvatori – fratello di Joyce Lussu medaglia d'oro della Resistenza – è deplorevole. A proposito ricordo che non esistono medaglie d'oro al valor militare della Resistenza attribuite agli aderenti del Partito d'Azione, giacché i sopravvissuti decisero di accettarle soltanto per gli uccisi. Altri tempi, altri leaders, altri uomini e donne.

F.R. (13 marzo 2021) 









Nessun commento:

Posta un commento