Carlo e Licia

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mercoledì 27 febbraio 2019

Il 1948 dei critici d'arte - Il Convegno di Firenze, Atti (VII) - Sezione 2B, Ricostruzione e restauro di monumenti in Italia.

Post precedenti:
23 luglio 2018. n.1 - Preliminari e inaugurazione.
26 agosto 2018. n.2 - Sezione 1A. Indirizzi, metodi e problemi di critica d'arte.
25 settembre 2018. n.3 - Sezione 1B. Spazio, critica d'arte e critica architettonica. Discussione (Sezioni A e B).
25 ottobre 2018. n.4 - Sezione 1C e 1D. Le arti figurative e il cinema. Arti figurative e stampa quotidiana.
25 novembre 2018. n.5 - Sezione 2. Comunicazioni, 1.
27 gennaio 2019. n.6 - Sezione 2A. Comunicazioni, 2.


La ricostruzione (tema oggi di scottante attualità vuoi per il patrimonio edilizio che per l'assetto del territorio) nel 1948 era ancora per certi versi un argomento teorico, per altri di urgenza esecutiva, con anche aspre polemiche più che sui metodi, sulle specifiche circostanze ricostruttive e sulle competenze effettive riguardanti il monumento e il territorio (urbanistica) colpito dalle devastazioni della guerra. Queste distruzioni furono molto numerose e di grande qualità molto spesso. Non è quindi un caso che Carlo L. Ragghianti inserisse questo scottante argomento nel programma del Convegno fiorentino.
Forse anche per la preponderante presenza nel governo del Paese fu ad evidentiam la Chiesa cattolica che seppe organizzarsi e gestire al meglio questo aspetto. Certo è che nonostante la breve – ma intensa e competente – parentesi governativa a Firenze prima (C.T.L.N.) poi a Roma, poi di nuovo sull'Arno con la “Commissione per la Ricostruzione del Centro Storico”, Ragghianti non poté far inserire in questa sede un valido contributo su Firenze, dati gli scontri, i dissidi, i divieti, le dilazioni ancora imperanti sulla città.
Il restauro dei monumenti, invece, aveva solide basi anche sull'esperienza (guerra del '15-'18) oltre che una tradizione consolidata da parte delle soprintendenze ai Monumenti.
Comunque queste pagine rivestono un indubbio interesse per la storicizzazione di queste attività teorico-pratiche, le quali ancora allora (e, forse, meglio che in seguito) utilizzavano prevalentemente strumentazioni e lavorazioni consolidate nei secoli ed esercitate da maestranze artigianali con capacità – persino interpretative – coerenti col passato oggetto del loro intervento.
Alla fine degli anni Novanta del secolo scorso, quando abitavamo nella casa dei genitori di edilizia rurale ottocentesca, frettolosamente e approssimativamente intervenuta fino al nostro impianto di riscaldamento centrale (effettuato da De Micheli inserendo tubi e tubi nelle mura di calce e pietra qua, di mattoni sghembi là), ebbi l'opportunità di vede all'opera e di considerare la perizia di due muratori che avrebbero potuto lavorare senza imbarazzo con Filippo Brunelleschi. Il primo, di Palazzuolo sul Senio, colonna portante di una piccola azienda che lavorava quasi esclusivamente – per fortuna pubblica – per la soprintendenza ai Monumenti, esplorò le traballanti intercapedini tra soffitto del piano terra e pavimenti del primo piano. Abbarbicato sul rustico scaleo di casa fece dei saggi (sfondando) e verificò che salvo qualche travetto che riuscì a sistemare senza ulteriori sfondamenti vistosi come richiesto dall'altezzoso ingegnere.
Il tutto con una gestualità direi rituale, antica, efficace però. Chiuse poi, lisciò e dette una sola mano di pittura sulle cicatrici, salutò e andò a prendere il bus per tornare a casa. Il giorno dopo non si distinguevano i buchi. Finché rimanemmo in quella casa non avemmo più il tipo di inconvenienti che ci fecero chiedere aiuto.
Peccato che in questo caso, come nel seguente, non avessi dimestichezza con videocamere o affini perché sarebbe valsa la pena di tramandare quell'esperienza a cui assistetti “rapito” per tutto il tempo. Il secondo “artista” fu un muratore marocchino di montagna, barbuto, religioso, quattro figli (50 anni), qui solo a lavorare per loro che vidi all'opera sempre nella nostra casa, “povera” dimora dei genitori in corso di sventramento – dopo la vendita praticamente coatta da parte nostra – per ottenere le tre singole unità catastali previste. Ero lì per ritirare gli ultimi scatoloni dei miei libri; ci rimasi tre ore a guardare quella figura quasi biblica e una squadra di due giovani muratori nostrali. Da solo l'uomo del Rif con ritmo cadenzato, immutabile ma elegante, realizzò il doppio di superficie degli altri due con mattoni allineati come solo a Ravenna avevo visto. Senza un'irregolarità, senza una sbavatura di calce: la loro raffinatezza era espressiva, dico sul serio. Taccio sul lavoro abborracciato dei due sfessati incompetenti. Da notare che il marocchino era perfettamente consapevole che l'intonaco avrebbe coperto tutte le imperfezioni. Me lo disse con un sorriso appena accennato: altro che performance, quella è arte concettuale, altro che Platone.
Mi si scusi la lunga divagazione, la quale d'altra parte oggi mi pare possa considerarsi una testimonianza.
Anche in questa sezione degli Atti del Convegno data la specificità dei monumenti investigati reputo inutile un commento approssimativo, non specialistico, pensando che la loro lettura sia utile e opportuna esperienza storica e documentaria. Per quel che riguarda la personalità degli studiosi riferiremo alcuni dati essenziali, stante la non facile reperibilità nel “caos” internettiano di notizie precedenti gli anni Ottanta.
Mons. Giovanni Costantini (1880-1956), fratello del cardinale Celso segretario di Propaganda Fide, era laureato in filosofia e teologia, ebbe una intensa e accurata vita pastorale. Ciò nonostante fu studioso assiduo e competente. Nel 1924 divenne cattedratico di “Architettura sacra” all'Università di Venezia; nel 1943 fu nominato presidente della Pontificia Commissione d'Arte Sacra in Italia. Mi par di capire che sia

stato anche scultore. In “SeleArte” (n.7, lug.-ago. 1953, p.50) ho trovato la sottostante recensione di Carlo L. Ragghianti sugli orientamenti estetici (seccamente definiti “un grado di barbarie veramente offensiva”) impartiti da Propaganda Fide a proposito dei problemi e soprattutto dell'interpretazione di Arte Sacra, con indicati gli indici di gradimento o condanna dei singoli artisti. Si evince anche che il legame tra i prelati fratelli si sviluppava secondo lo schema dialetto tra elaborazione tecnica da un lato ed applicazione pratica dall'altro.



Vedo infine una notizia curiosa, tipica del particolarismo settario o ideologico: Costantini ha un omonimo (n.1936, Treviso) considerato dalla critica (Raffaele Crovi) e dalla stampa cattolica “il più grande poeta italiano”! Viene spudoratamente paragonato a Dante Alighieri. Che Dio li perdoni.
Riccardo Pacini (1908-1991). Funzionario e Soprintendente ai Monumenti di lungo corso, ha operato in molte importanti sedi: Ancona (soprattutto), Pisa, Genova, Napoli, Caserta, Roma (1963). E' stato autore di molte pubblicazioni specialistiche e membro di molte accademie e della Commissione Arte Sacra del Vaticano.
Piero Sanpaolesi (1904-1980) laureato a Pisa ingegnere, architetto è stato protagonista – per altro assai discusso e contestato – della cultura del restauro dell'Italia governativa e del potere. Docente non di ruolo fino alla cattedra nel 1960 (Università di Firenze) di “Caratteri stilistici e costruttivi dei Monumenti”; fu attivo soprattutto in Toscana. In questa sede illustra l'inizio della controversa vicenda del Camposanto di Pisa danneggiato gravemente durante la guerra. Non so se sono già state indagate le sue relazioni burocratiche più che conflittuali con Eugenio Luporini, proprio a Pisa già durante il conflitto, il quale diventava narratore epico nel raccontarle. Con Carlo L. Ragghianti c'è stata, in parte esaurientemente indagata e documentata, una decisa conflittualità metodologica circa Brunelleschi e la Cupola del Duomo di Firenze. Per quanto integrativo o meno noto e puntuale, cercheremo di affrontare la vicenda in successivi interventi nel blog.
Di Armando Dillon, nonostante sia stato un importante soprintendente di ampia e nota attività, nono sono riuscito a trovare dati precisi e qui pertinenti.

Invece Santi Luigi Agnello (1925-2000) siracusano allora giovanissimo neolaureato con Mario Salmi e studi con Giacomo Devoto, relazionò qui sulle ricerche correlate alla propria tesi di laurea. Figlio di Giuseppe Agnello (1881-1976), affermato archeologo cristiano (non ammesso all'insegnamento universitario perché privo della tessera fascista, fu ternato con Carlo L. Ragghianti nel Concorso Universitario di revisione proprio del 1948), successivamente ne seguì la carriera quale archeologo cristiano con prolifici contributi specialistici incentrati sulla Sicilia. Come il padre, raro esempio di antifascista integrale e seguace del Partito Popolare di don Luigi Sturzo, anche il figlio Santi Luigi fu precoce antifascista e perciò detenuto nel carcere delle Murate di Firenze dal dicembre 1943 al maggio 1944.
F.R.

lunedì 25 febbraio 2019

{glossario} INTERNET.

Definizioni limitative, o meglio pessimistiche, di un fenomeno epocale dal quale non si tornerà indietro. 
La prima è una frase forse di Guido Ceronetti, defunto qualche giorno fa. La sua scomparsa ci ha fatto pensare ai suoi pungenti scritti cui questa dicitura si accosta senz'altro; concettualmente potrebbe essere attribuita anche ad Umberto Eco.
Il sonetto è opera di un disoccupato (nonché esodato dai decreti Amato) di fine secolo scorso e d'inizio di questo. D'onde il tono sfiduciato.





Internet

Sì, le ultime generazioni umane
consolano le proprie ignoranze
affidandosi ad Internet, immane
serbatoio di in(de)finite istanze

immateriali, astratte. Circostanze
generazionali rendono vane
pubblicizzazioni e concomitanze
che mostrano eventuali panzane.

Tuttavia questa Rete fa paura
ai governi e all'Impero centrale,
che non sopportano la struccatura

d'ogni lor "disinformazia" mondiale.
Chi comanda ancor vuole censura
per nascondere d'esser criminale.

13 aprile 2003.


Addendum 8 marzo 2019 – Ripesco l'articolo, pubblicato nell' “Internazionale” (25 maggio 2018), intitolato Per conservare la memoria di internet nel quale l'autrice Maria Bustillos esamina alcuni casi di distruzioni di dati e di interi Archivi ad opera soprattutto dei nuovi ultramiliardari che proliferano come funghi velenosi negli Stati Uniti in analogia con i nei-boiardi della Russia putiniana.  
Di questo articolo, di cui tutti coloro che gestiscono o collaborano ad un blog devono preoccuparsi e occuparsi, riposto qui sotto le conclusioni auspicando che possano veramente – e in tempi brevi – realizzarsi quelle condizioni di salvaguardia necessarie per l'integrità e la conservazione nel tempo dei contenuti della propria pubblicazione/blog e dei propri Archivi digitali.

giovedì 21 febbraio 2019

Università Internazionale dell'Arte (U.I.A.) di Firenze, 1969-1979/ 1980-2018.

Dopo cinquant'anni dagli atti fondativi (1968) e quarantanove di attività, decrescente in quantità e qualità da oltre un ventennio, nel 2018 ha cessato di esistere uno dei progetti più ambiziosi e complessi, l'U.I.A., realizzati da Carlo L. Ragghianti tra mille difficoltà ed ostacoli spesso meschini ma di burocratica efficacia.
La prima notizia ufficiale su quanto progettasse mio padre circa questo organismo di cultura e di studio fu da lui palesata 
nell'ottobre 1962 durante il Convegno del Forte di Belvedere intitolato “Cultura come turismo nel futuro di Firenze” (i cui Atti furono pubblicati nel settembre 1963) che coinvolse tutta l'intellighentia residente nella città, da poco tempo amministrativamente antesignana della formula politica di centro-sinistra che di lì a poco fu estesa anche al governo della nazione. Riporto la parte dell'intervento di C.L.R. che riguarda l'Università Internazionale:



Posso attestare che C.L. Ragghianti già da tempo aveva elaborato questo progetto nei dettagli sia come Istituto a sé stante, sia quale colonna portante del mitico Palazzo dell'Arte. Ricordo anzi una sostenuta discussione serale con Eugenio Luporini che lo relazionava dell'incomprensione e negatività di collaboratori accademici e autorità varie a introdurre a fianco dell'Università statale questa collaterale iniziativa internazionale, la prima in Italia, se non addirittura in Europa. Qualche anno dopo, con esecutività dal 1967, C.L.R. riuscì a istituire presso l'Istituto di Storia dell'Arte dell'Università di Pisa una Scuola Speciale, la quale realizzava parte del progetto U.I.A., molto apprezzata da Federico Zeri chiamato come docente. Questa Scuola Speciale col programma di formare tecnici e coadiutori scientifici per le università e la pubblica amministrazione delle BB.AA. cessò di esistere poco tempo dopo soprattutto per mancanza di finanziamenti e per certa ostilità accademica. Per ricordare questa U.I.A. innovativa e potenzialmente (finalmente) rivoluzionaria nell'ottica italiana, scomparsa dopo un declino progressivo, reso inarrestabile per la mancanza di successiva elaborazioni originali ed innovazioni trainanti, intendo immettere in rete la “Cronistoria 1969-1979” dell'U.I.A. . Questo libro illustra il decennio iniziale di assestamento e sviluppo della scuola proiettata così verso un futuro di positive aspettative e di buoni successi. Purtroppo, dopo la morte del fondatore, sono testimone iniziale di questa parabola discendente, tamponata via via con sempre minore efficacia e convinzione.
Ovviamente sono oggi dispiaciuto, anche se non sorpreso, di questo processo perché ho dedicato part-time oltre dieci anni di vita lavorativa all'Istituto, sia pur con mansioni tecniche specifiche, volutamente esulanti dall'insegnamento. In proposito mi torna in mente che già nel 1995 su “SeleArte” (IV serie, n.21, postato il 6 dicembre 2017 su questo blog) in Venticinquennale U.I.A. rilevavo implicitamente la china discendente dell'Istituto. Ricordavo, infatti, sia la Cronistoria 1969-1979, che due interventi di Carlo L. Ragghianti. Il primo di essi fu la relazione, letta da Simone Viani, che mio padre indisposto inviò al “Convegno delle nuove professioni” inerente la tutela dei Beni Culturali (Bari, 1979) nella quale si illustrava l'articolazione, l'attività, la potenzialità dell'U.I.A. . L'altro documento riprodotto fu la “scaletta” della relazione che C.L.R. tenne il 24 novembre 1984 al convegno Beni Culturali e turismo: aspetti  
culturali (Firenze). L'argomento, lontano dai primari interessi dello studioso, gli dette l'opportunità di illustrare il presente e aprire al futuro con nuovi ruoli di partecipazione e occupazione, nonché di chiedere potenziamento di mezzi e finanziamenti per sostenere l'operosità dell'Università di Via delle Forbici. L'elegante volumetto di questa “Cronistoria” è stato redatto, assieme a Daniela Ristori – colonna portante della segreteria dell'Università – da Simone Viani, da poco trasferitosi da Venezia a Firenze. Assiduo collaboratore di mio padre il giovane studioso realizzò il testo e assieme a Leonardo Baglioni, graphic designer, dette veste alla testimonianza promozionale del libro, ponento al contempo le basi di quel “Centro Editoriale” di cui mi sarei occupato di lì a tre anni.
Nel post “U.I.A., 1977 – 50 Incisioni originali” del 25 dicembre 2017 ci siamo occupati di ricordare e illustrare la preziosa cartella di grafica originale realizzata per sostenere l'Università edita da “Il Bisonte” di Maria Luigia Guaita, di cui potrebbero esserci di magazzino alcuni esemplari non ceduti. M'auguro di essere in grado di elaborare altri post per ricordare l'attività dell'U.I.A. come il “Centro di Museologia” e la sua rivista “Museologia”, oppure la pionieristica rivista “Sound/Sonda”, nella quale C.L.R. volle anticipare le sue intenzioni circa le indagini sulle opere d'arte con l'ausilio del computer, che la scienza ufficiale faticava all'epoca a comprendere e supportare con gli strumenti elettronici di allora, però spesso gestiti veramente in maniera deplorevole da ingegneri specialisti si, però privi di galileiano spirito di ricerca al di là del già noto (penso all'uso non corretto del primitivo e ingombrante plotter cui non riuscivamo a far dare risposte che in seguito sono state basilarmente elementari; penso anche quanto hanno fatto arrabbiare mio padre con la loro ottusità). Altro necessario post, perché temo che negli anni intercorsi dal 2000 non sia stato indagato l'argomento, ritengo sia da dedicare al Premio Internazionale Firenze per la Comunicazione e la pubblicità (1986, attribuito a Paul Rand). Anche in questo caso il pensiero si rattrista perché a causa della malattia che già minava mio padre egli non poté partecipare appieno all'iniziativa che si risolse in una grande occasione perduta. Comunque posso, a seguire, riprodurre l'intervento di C.L.R. su “La Nazione” del 14 novembre 1986 di cui, appunto, andò perduto l'aspetto trainante a causa dell'indisposizione dalla quale non si sarebbe più ripreso.

venerdì 15 febbraio 2019

L'Arte Moderna in Italia, 1915/1935 - 12. MUCCHI (2a parte), SASSU.

Nella “scheda” iniziale (1966) della prima parte di questo post Carlo L. Ragghianti conclude la presentazione biografica di Gabriele Mucchi scrivendo: “Vasta e continua l'attività disegnativa e grafica”. Nella seconda parte di detta “scheda” – quella dell'inquadramento storico e del giudizio critico – lo studioso ribadisce: “Dal '29 al '36, come mostra anche la sinora mal nota grafica...”. Sottolineando con questi accenni che nell'ambito dell'attività dell'artista il disegno e la litografia, l'incisione poi, sono intrinseche nella considerazione critica della sua 
opera, non certo subordinate o collaterali come in tanti altri casi. 
Con questo orientamento si spiega in pieno l'esigenza di studiare in particolare la grafica perché – essendo generalmente inconsiderata o subordinata – le interpretazioni della sua attività artistica note non erano esaurienti, complete. Comunque C.L.R. già da tempo aveva preso in considerazione questo problema, come si può vedere nella lettera del 19 gennaio 1966 (che contiene nel foglio anche una successiva postilla manoscritta di Mucchi del 1972) che qui sotto riproduciamo:

lunedì 11 febbraio 2019

Aldous Huxley - Arte e Religione.

Nato in Inghilterra nel 1894, morto a Los Angeles il 22 novembre 1963, lo stesso giorno di J.F. Kennedy e dello scrittore C.S. Lewis, Aldous Huxley (romanziere, poeta, drammaturgo e saggista) appartenne a una famiglia che da dopo la metà del sec. XIX ha fatto parte dell'aristocrazia intellettuale britannica. E' tuttora noto soprattutto per le sue sperimentazioni dell'LSD e comunque più del fratello Julian, biologo e primo Segretario Generale dell'Unesco (v. il nostro post del 1 agosto 2017). Dal 1923 è saggista prolifico di carattere sociologico (vedi il nostro post del … “Tecnologia e arte della Domenica) e filosofico oltre che letterario (ricordo il saggio su Charles Baudelaire, 1929). Come romanziere viene ascritto alla “corrente” distopica (una parola ora di gran moda che vedo usata a torto più che a ragione troppo spesso: in senso letterario significa utopia negativa o cacotopia – bello eh! - con società o comunità indesiderabili e 
spaventose; in senso proprio è relativa ad un organo fuori dalla sua sede normale: come ad es. lo è un tratto del mio intestino). Il suo libro più famoso Nuovo mondo (1932) è un romanzo fantastico-satirico nella tradizione della narrativa avveniristica (o fantascienza) di G.H Wells e poi di George Orwell. Di sé Aldous Huxley ha detto – tramite un personaggio di libro – di non essere “a congenial novelist” (un romanziere che incontra il gusto del vasto pubblico) ma un pensatore che si serviva della narrativa come mezzo di espressione delle proprie idee. Stilisticamente omogeneo e coerente nel pensiero e nel linguaggio è stato un intellettuale contraddittorio: sensualista, mostra però innata avversione per la “carne”; incline al misticismo rimane un ostinato razionalista. Un personaggio che forse si troverebbe a suo agio nella odierna babele comportamentale e nell'attuale caos morale e spirituale.
F.R.  

mercoledì 6 febbraio 2019

Pittura italiana contemporanea nelle collezioni di Prato - Bruno Tassi.

Non fu un caso, e Luigi Carluccio lo rileva, che Carlo L. Ragghianti avesse concordato con l'Associazione Turistica Pratese – diretta dal volenteroso e dinamico Mario Bellandi – di esporre nella città degli “stracci” la mostra da lui concepita 60 Maestri del Prossimo Trentennio (1954; e vedi post 28 settembre 2017). Infatti l'operosa città di Prato fu già nel primo dopoguerra tra i centri trainanti la ripresa ricostruttiva nota come “miracolo” economico. Però a Prato, diversamente da altri centri industriali vivacemente operosi, una parte consistente dei profitti venne investita in opere d'arte, soprattutto contemporanee, con criteri quasi sempre rivolti alla qualità, al “valore” estetico, anziché al valore monetario, meramente economico.
Posso fare serenamente una affermazione del genere dopo aver rivisto le opere esposte nella mostra Pittura italiana nelle collezioni pratesi (1958), elenco delle quali pubblichiamo in calce a questo post dopo la Presentazione di Luigi Carluccio e prima di una scelta di riproduzioni dei dipinti esposti.
Presentare questi materiali con i loro dati e le loro date e riprodurli rende esplicito che la Mostra può manifestarsi anche come conseguenza della precedente (1954) tramite la presenza degli artisti (i sessanta, certo, però anche altri pittori e maestri già “storicizzati”). Valorizzandone la promozione e la conservazione questo particolare collezionismo privato si dimostra espressione di una classe produttiva con interessi culturali ed artistici sensibili alla contemporaneità innovativa.
Ricordo, parenteticamente, che nel 1958 la “borghesia” italiana era prevalentemente monarchica (anche al centro e al nord, però votando DC, PLI, PSDI più dei partiti sabaudi) e in campo artistico considerava Picasso una quinta colonna del comunismo sovietico. Non a Prato, dove non c'è dubbio che molti imprenditori provenivano dal proletariato o dalla minuscola borghesia, come ad esempio l'ultra quarantennale amico di Carlo L. Ragghianti, Bruno Tassi. Ed è proprio pensando a lui in questi novembrini giorni di rimembranze dei defunti, e al suo amico e socio simbiotico fin dall'adolescenza Roberto Cecchi (anch'egli di origini modeste ma dotatosi di una cultura raffinata sviluppando gli interessi di autodidatta) che mi sembra opportuno sottolineare un collegamento Ragghianti – Tassi – Cecchi – arte contemporanea e la città di Prato tramite il mecenatismo dei suoi migliori imprenditori. Non è un caso, poi, che il Museo Pecci (di cui Pier Carlo Santini illustrò le qualità architettoniche in “Critica d'Arte”, IV s., n.18, 1988, pp.54 ss.) è stato, e credo sia tuttora, la struttura di conservazione e promozione artistica contemporanea più importante della Toscana.
Bruno Tassi (1916-1996) – con Cecchi il quale non compariva quasi mai ma il cui parere era determinante – è stato per me oltre che un amico ed un uomo esemplare nel suo genere pragmatico, un mecenate senza la cui generosità non avrei potuto sviluppare e sostenere la quarta serie di “SeleArte” (1988-1999), la quale non casualmente cessai di redigere poco dopo la sua morte.
Va ricordato di Bruno, persona dotata di empatia, spontanea e 
trascinante, che egli fu – come ho sentito dire casualmente alla radio da Valdo Spini – se non l'unico uno dei rarissimi imprenditori di cui si può dire che seppe “far soldi” rimanendo pulito anche intellettualmente, cioè che per lui è stato possibile entrare nel regno di dio più facilmente di quanto un cammello possa passare dalla cruna di un ago. Se ne avrò l'opportunità ricorderò in maniera più pertinente e dettagliata questo personaggio che è anche stato uomo pubblico encomiabile, partigiano e quindi Presidente del C.L.N. di Prato nel 1944. Delle collezioni pratesi del 1958 – essendo trascorsi 60 anni è lecito pensare che nel frattempo ci siano stati molti casi di dismissione e cessione altrove – si riscontra un alto tasso di opere di primo piano, qualche capolavoro relativamente all'operato di un determinato pittore, e la presenza praticamente dei nomi più rappresentativi dell'arte contemporanea italiana.
Bruno Tassi è presente con un Casorati storicizzato, Roberto Cecchi con un Morandi prestigioso,un collezionista, che non ho sentito altrimenti menzionare (Gino Martini), presenta un Modigliani – uno dei pochissimi presenti in Italia (anzi, se è ancora nel nostro paese, forse l'unico in mani private dopo la cessione del Nudo Mattioli all'estero per una cifra strepitosa, offensiva per il comune sopravvivere). Inoltre alla Mostra furono esposti notevoli dipinti di Carrà, Morandi, Licini, un Semeghini dei più rappresentativi, una Piazza d'Italia di De Chirico (che spero non ricada tra le repliche autofalsificate dall'autore, quelle che C.L. Ragghianti ha dimostrato ne Il caso De Chirico, di cui Tassi e Cecchi sostennero l'edizione con una tiratura speciale per la loro Azienda); quindi diversi Rosai non ordinari, Tosi, Carlo Levi, Saetti, Afro, De Pisis, Viani, Savinio, ecc., comunque interessanti, attraenti.
Un'iniziativa del tipo di questa pratese, cioè di celebrare il locale collezionismo d'arte contemporanea e moderna – o d'altro genere, in altre circostanze – è da tempo che non viene più organizzata, perlomeno di qualità e risonanza tali da essere percepita anche al di fuori della cerchia locale.
Mi viene il dubbio che ciò non dipenda, o non dipenda principalmente da carenze di mecenatismo, di interesse critico o mercantile, ma da una complessa situazione nazionale riguardante leggi e fiscalità. Se da un lato Enti, soprattutto banche, celebrano il loro patrimonio artistico (spesso deludente), dall'altro i privati non compaiono, non si manifestano più. Due, credo, i motivi: la balzanità abusiva delle notifiche da parte delle Soprintendenze è il primo; il secondo consiste nel timore di un fisco anch'esso discontinuo nell'applicazione, che diviene ingiusto quando si rivolge soltanto alle presenze note e legali trascurando l'accertamento di ciò che viene occultato perché frutto di economia sommersa, parallela a quella legale, che è di carattere evasivo o di carattere propriamente criminale. Comunque la situazione del collezionismo privato e delle conseguenti implicazioni espositive della nazione è arretrata ed iniqua e contribuisce a rendere il nostro paese secondario e marginale anche sul piano della cultura artistica.
F.R. (6 novembre 2018)