Carlo e Licia

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mercoledì 24 giugno 2020

{Scaffale di Irene} Aphra Behn, scrittrice anticonformista e maestra di Virginia Woolf.


Mi sono imbattuta in quest'autrice pressoché dimenticata dal mondo culturale leggendo un saggio letterario di tutt'altro argomento e ho deciso di riproporre dei cenni biografici e piccolo resoconto della sua produzione e della sua importanza nella storia della letteratura, sebbene non riconosciuta come altre maggiormente note scrittrici che contribuirono a porre le basi per la letteratura moderna, in particolare quella di produzione femminile.
Aphra Behn nasce nel 1640, durante il periodo della Restaurazione. Si sa ben poco sulla vita della giovane Aphra, a parte il viaggio nel continente africano che compì insieme alla famiglia nel 1663, fermandosi anche per un periodo di non precisa durata in una piantagione di zucchero in Suriname, allora Colonia inglese – viaggio che sicuramente influenzò profondamente la giovane scrittrice – e che nel 1664 si sposò con un mercante tedesco, che morì pochi anni dopo lasciando Aphra con la necessità di mantenersi in qualche modo. 
E' noto che fosse una sostenitrice del partito conservatore dei Tories, e che era fedelissima al Re Carlo II ed è proprio per il teatro del Re Carlo II che scriverà commedie e tragicommedie, diventando una delle prime donne della storia inglese a provvedere economicamente a sé stessa in modo autonomo attraverso la scrittura.
Oltre al teatro, che al tempo era uno sbocco letterario di più immediato ritorno economico, Aphra scrisse anche dei racconti che funsero da fondamento per "the novel" o "romance", ovvero per il romanzo come poi sarà inteso negli anni e nei secoli successivi in particolar modo nella cultura anglosassone. Jane Austen e Charlotte Bronte non avuto modo di riscontrare il successo, seppur relativo in vita, che ottennero per la loro scrittura senza che Aphra Behn spianasse loro la strada perché donne (oltretutto di ceto sociale non aristocratico) potessero reclamare la propria libertà, relativa e comunque ancora sudata e scontata, per essere scrittrici. . Questa donna coraggiosa fece della scrittura la sua professione in un momento storico in cui quella letteraria non era certo considerata la più appropriata e consigliata delle attività a cui dedicarsi per una donna, tanto più se non sposata e se pretendeva di perseguirla come professione e non come semplice hobby.


"Con la signora Behn arriviamo ad una svolta capitale della nostra strada. Ci lasciamo alle spalle, rinchiuse nei loro parchi, tra i loro in-folio, quelle nobildonne solitarie, che scrivevano senza pubblico né critica, solo per il proprio diletto (...) dovette lavorare sullo stesso piano degli uomini. Con un lavoro durissimo, riuscì a guadagnare abbastanza per tirare avanti. L'importanza di questo fatto supera quello di tutte le sue opere (...) perché è in questo momento che comincia la libertà della mente, o piuttosto la possibilità che un giorno o l'altro la mente sarà libera di scrivere ciò che crede".
Una stanza tutta per sé, Virginia Woolf

lunedì 22 giugno 2020

Arte Moderna in Italia 1915-1935 - Testi dei Critici, 14. RAFFAELINO DE GRADA, I (BOLDINI, ANDREOTTI).



Post Precedenti:

1. RAFFAELE MONTI ( I ) - 16 giugno 2018
2. IDA CARDELLINI (LORENZO VIANI) - 28  settembre 2018 
3. UMBRO APOLLONIO (NATHAN, BIROLLI) - 19 settembre 2019
4. MARCELLO AZZOLINI (GUERRINI, CHIARINI, VESPIGNANI). 6 ottobre 2019
5/I. FORTUNATO BELLONZI (BOCCHI, D'ANTINO). 12 novembre 2019
5/II. FORTUNATO BELLONZI (MORBIDUCCI, SAETTI). 28 dicembre 2019
6. ALDO BERTINI (CREMONA, MAUGHAM C., PAULUCCI). 22 gennaio 2020.
7. ANNA BOVERO (BOSWELL, CHESSA, GALANTE). 5 febbraio 2020.
8. SILVIO BRANZI (SCOPINICH, BALDESSARI, NOVATI, SPRINGOLO, RAVENNA, KOROMPAY, ZANINI). 23 febbraio 2020.
9. GIOVANNI CARANDENTE (COMINETTI, MARINI). 4 marzo 2020.
10. ITALO CREMONA (REVIGLIONE). 7 maggio 2020.
11. ENRICO CRISPOLTI, I (BALLA, EVOLA, ALIMANDI, BENEDETTA). 2 aprile 2020.
12. ENRICO CRISPOLTI, II (COSTA, DIULGHEROFF, DOTTORI, FILLIA). 6 aprile 2020.
13. ENRICO CRISPOLTI, III (ORIANI, PANNAGGI, PRAMPOLINI, MINO ROSSO), 10 aprile 2020.



Nato nel 1916 a Zurigo (dove il padre Raffaele, pittore, risiedeva dal 1897) Raffaellino – così chiamato per distinguerlo dal genitore – o Raffaele jr. divenne precocemente critico d'arte (1935) e quindi dal 1938 milanese, dove fu risoluto attivista politico (tanto da essere arrestato più volte e scontare 15 mesi di reclusione) e operoso nel gruppo di intellettuali vicini al gruppo di artisti e alla rivista “Corrente”. L'importante nucleo fu uno dei pochi centri ostili al regime fascista. Divenuto comunista fu redattore de “L'Unità” clandestina (1944), quindi partigiano combattente in Lombardia e in Toscana.
Se non incontrò prima della guerra Ragghianti (agitatore e organizzatore clandestino, amico e compagno di molti degli esponenti di “Corrente”), De Grada quale esponente del Fronte della Gioventù lo conosceva certamente durante la Liberazione di Firenze. Lo dimostra il suo biglietto autografo indirizzato a R. presidente del C.T.L.N., che riproduco:



mercoledì 17 giugno 2020

{glossario} VECCHIAIA.


Questa stringata ed indiscutibile definizione si trova scritta nel Diario di Guido Morselli (1912-1973), un intellettuale e scrittore prolifico divenuto “comunista” più che per convinzione razionale per vocazione romantica.
Egli tra l'altro ha scritto che “nessuno mai si è tolto la vita. Il suicidio è la condanna a morte della cui esecuzione il giudice incarica il condannato”.
Ad una amica nel 1971 tra l'altro scrisse “...non sono mai stato un ateo e, come tu dicevi una volta, un esprit fort. Ho sempre rispettato come potevo la fede religiosa riconoscendo la sua efficacia persino creativa o curatrice in senso pieno, ora sono su un'altra sponda...Ingrigito sì, ma senza troppo invecchiare, almeno di dentro. Il passaggio è 
stato penso spontaneo, diciamo appunto un dono di Dio”.
Morselli si è suicidato.
Unanimemente la causa è stata attribuita ai reiterati rifiuti editoriali (tra cui Vallecchi, Garzanti, Sansoni, Mondadori, Einaudi) e alle stroncature di critici alcuni dei quali tassativi ed ingiusti, come da parte di Vittorio Sereni, di Elio Vittorini e di Italo Calvino soprattutto. Persino Geno Pampaloni nel 1956, quando era alle Edizioni di Comunità, gli rifiutò un'opera. Però successivamente elogio Il Comunista: “il libro è bellissimo, il migliore di Morselli, il più significativo, perché è ricco di intuizioni anticipatrici”.

F.R. (4 aprile 2020)

lunedì 15 giugno 2020

Museo d'Arte Contemporanea di Firenze, 1985.

La puntualizzazione di Carlo L. Ragghianti rivolta a Geno Pampaloni, allora Direttore del Gabinetto Vieusseux di Firenze, risulta essere uno degli ultimi interventi in materia da parte dell'ideatore e costitutore dei poderosi nuclei costituenti il Museo d' Arte contemporanea di Firenze. Forse è interessante ricordare che si trattava della cospicua (in tutti i sensi) Collezione Della Ragione, delle donazioni degli artisti coinvolti in seguito all'alluvione del 4 novembre 1966. Poi ci fu la presenza di doni successivi di artisti e quelli derivanti dalle Fondazioni Cagli, Mirko, Levi ecc., però via via deluse nelle aspettative dalla inerzia burocratica (spesso ostile) degli amministratori pro tempore della città.

L'accostamento fatto da C.L.R. alla Galleria Nazionale d'Arte  Moderna di Palazzo Pitti è qui strumentale, anche se R. avrebbe visto di buon occhio l'unione museale di queste due componenti, facilmente unificabili per altro.
Si noti che erano già passati più di quindici anni dall'ideazione e dal progetto del 1967 e ancora di più ne dovranno passare perché sia reso operativo il Museo d'Arte del Novecento di Firenze. Una galleria espositiva inerte e trascurata, si direbbe, giacché – ad esempio – già molti anni fa fornii ad una giovane e brillante studiosa materiali per la realizzazione di un catalogo critico del Museo considerato allora urgente e in corso di avanzata preparazione. Ancora ad oggi non risulta esserci un Catalogo del Museo. 

mercoledì 10 giugno 2020

H.D. Thoreau e la "disobbedienza civile".

E' una vita, è proprio il caso di poterlo dire dati gli ottant'anni compiuti, che sento lodare e talora persino osannare la personalità poliedrica di Henry David Thoreau (1817-1862). Non solo da coloro che sono liberal, radicali, pacifisti e comunque contrari alle forme di schiavitù. Per non parlare degli ecologisti che oramai sono legioni più o meno politicizzate, più o meno radicalizzate nel fronteggiare gli evidenti scempi – alcuni dei quali forse già irreversibili – operati spudoratamente da sciagurate canaglie come Trump o Bolsonaro sulla crosta del minuscolo pianeta che ci ospita, il quale è oltrettutto instabile e pericoloso per certi suoi motivi incontrollabili non solo sotto l'aspetto geologico.
Perciò tentando il riordino di alcune pile di carte, imbattendomi in un opuscolo di Thoreau, mi vien da pensare che la sua lettura (o rilettura) si può adattare proficuamente al nostro oggi di reclusione. Per di più, dopo una rapida incursione su internet, vedo che negli ultimi anni si è verificato in Italia un rifiorire di traduzioni, di edizioni nuove e di riedizioni dei suoi principali scritti.
Per quanto mi concerne, mio padre, durante uno dei numerosi viaggi nei quali lo portavo in auto a Pisa per un impegno di una sola giornata, mi incoraggiò a leggere Walden soprattutto, e –– se non mi abbaglia la memoria – non insistette in modo particolare perché affrontassi anche la Disobbedienza civile. Enorme problema per me, allora militante socialista, cui forme reattive alla violenza sbirresca non dispiacevano affatto. Le mie private convinzioni al riguardo erano derivate più da l' Histoire contemporaine di Anatole France (coll'ineffabile cittadino Bissolo) e dalle vicende dreyfussiane francesi che da letture di propaganda socialista, Aldo Capitini (un sant'uomo sì, ma..) e tanto meno radicali, come quelle strombazzate dall'ambiguo Giacinto “Marco” Pannella. Forse è bene ricordare che Disobbedienza civile significa “rifiuto di obbedire ad una legge senza ricorrere alla violenza”. Si tratta, cioè, di una forma di lotta politica, attuata da una singola persona o – quasi sempre – da un gruppo di individui, la quale comporta la consapevole violazione 
pubblica di una norma di legge, considerata ingiusta. In proposito si veda la “voce” che Norberto Bobbio consegnò al Dizionario di politica (pp. 316-320), diretto da lui con Nicola Matteucci – studioso che ho sempre ammirato e seguito – e con Gian Franco Pasquino. Il libro, del 1976, è sempre stato riedito e questa voce, in particolare, si trova riprodotta nel web in più siti.
Vale la pena di occuparsi delle idee di Thoreau in tempo di avvilente obbedienza alla clausura determinata – però imposta – dal proprio bene e dal nostro dovere nei confronti del bene del nostro prossimo, perché ricordare il diritto alla “disobbedienza civile” è non soltanto un atto di asserzione ai propri principi ma anche un gesto romantico e di sfida nei confronti del morbo – silente, misterioso, incombente che oggi affligge l'umanità intera.
In questa sede faccio appunto attenzione a Thoreau ricorrendo ad un estratto (promozionale, realizzato da quel bel tomo di Neri Pozza editore nel 1957) della celebre, citata più che letta, principale opera di Henry David Thoreau: La disobbedienza civile (Civil Disobedience). Per la precisione ricordo che il volume faceva parte della collana “Biblioteca di Cultura” ideata da Carlo L. Ragghianti e gestita con un prestigioso parterre di specialisti universitari da lui riuniti in un Comitato proponente, e fu pubblicato nel 1958 con il titolo Saggi politici. Il libro oltre La disobbedienza civile comprende anche Apologia per John Brown, l'abolizionista (1800-1859) antesignano eroico e impiccato a causa delle sue idee e gesta volte a contrastare la schiavitù e a promuovere la liberazione degli schiavi negli Stati Uniti.
Le 22 pagine (su c. 600) dell'estratto del libro, tradotto da Piero Sanavio (anglista, traduttore e scrittore certo non scelto da C.L.R. giacché studioso di Pound e di Céline, autori notevoli ma a dir poco convinti fascisti), costituiscono un antipasto indicativo del contenuto e dello stile scrittorio di un autore molto considerato tuttora nel mondo anglosassone americano.
Riporto, a dimostrazione delle convinzioni di Thoreau l'incipit de La disobbedienza civile:



Thoreau è stato anche un precursore dell'ecologismo radicale, marcatamente utopico e fautore di una terra sostenibile allora come si vorrebbe adesso, quando è popolata da 7 miliardi abbondanti di inquinatori, governati in prevalenza da ecogenocidi di piglio nazistoide. 
Dalla seguente citazione si può ancora una volta esperire lo stile oratorio dell'autore, il quale esprime con toni da mano di velluto argomenti catastrofici evocati con fredda determinazione da guanto di ferro.



Infine: mentre per Voltaire non si possono riscontrare importanti interpretazioni plausibili di contraddizione e tanto meno antitetiche e – invece – per Jean Jacques Rousseau sì, si possono esprimere e sono state ampiamente sceverate, così nella mia mente c'è un tarlo, un dubbio riguardo alla coerenza di H.D. Thoreau. Vale a dire: dubito 
che T. possa essere considerato anche tutt'altro che pacifista, che le sue idee, le proposte possano essere oggi recepite come quelle di un maître à penser da derive sedicenti culturali come, ad es. Casa Pound. Cioè che Thoreau possa finire come il povero Tolkien ostaggio dei nefasti libertarians di destra.
F.R. ( 19 aprile 2020)

domenica 7 giugno 2020

Mutamenti del paesaggio italiano. Giorgio Pasquali 1942.


Abbastanza si è scritto, nel tempo, sul paesaggio italiano dai punti vista più svariati: dalla geografia alla storia, dal cinema alla tutela, alla storia dell'arte ecc. I due contributi di Giorgio Pasquali attengono principalmente alla geografia, alla storia e alla botanica. E sarebbe interessante sapere da quali fonti un filologo, quale egli era, abbia attinto per scrivere questi due articoli.
I due contributi sono interessanti ed utili. Si riferiscono prevalentemente al territorio italiano ed alle sue trasformazioni nei secoli, dovute sia all'opera dell'uomo che a quella del tempo metereologico. Entrambi possono tuttora servire a quanti si occupano di storia del paesaggio ed ai botanici, per le informazioni sulla presenza e/o comparsa delle molte specie vegetali presenti in Italia o provenienti da altri paesi.
Nell'articolo sul n.° 10 di “Civiltà” è possibile conoscere la storia del paesaggio italiano e dei suoi mutamenti nei secoli, dall'antichità ad oggi. Mutamenti dovuti alla comparsa ed all'uso, con conseguente consolidamento nelle coltivazioni, di tutte quelle piante (sementi ed alberi da frutto) provenienti dal resto del mondo : dalle Americhe all'India, alla Cina, al Medio Oriente.
Per alcune specie, soprattutto se meno in uso, notizie essenziali, mentre maggiore è l'attenzione per le piante e i semi che, nel tempo, dall'antichità romana in poi sono diventate di corrente coltivazione.
Nel n.° 11 della rivista il soggetto principale è l'Italia. Dall'Italia descritta dai Greci come paese delle selve, alla descrizione del rapporto tra fiume e bosco nelle varie parti dell'Italia, soprattutto centrale e meridionale, analizzando la situazione, dall'acquitrinio alle parti irregimentate e irrigate, rilevando le diverse situazioni che nel tempo si sono avvicendate fino alle iniziative di bonifica intraprese negli anni '20 -'30 del Novecento.Ci sono poi particolareggiate descrizioni di quanto avvenuto e fatto per rendere inoffensivi fiumi come l'Arno e le aree lagunari intorno a Ravenna e Venezia. L'apporto analitico successivo riguarda il lago (il Fucino) e i laghi serbatoio, ovvero bacini idraulici che ottemperano alle esigenze del secolo XX, oppure quelli nati per movimenti di terra (frane) come Alleghe. Anche le cascate sono studiate, specie quelle create dall'uomo, così come il vulcanismo viene studiato come ultimo esempio di trasformazione del paesaggio, suo malgrado (Campi Flegrei, Vesuvio).
R.R. (30 aprile 2020)


La precedente notizia redazionale su questi saggi eccentrici di Giorgi Pasquali è di Rosetta Ragghianti, già ricercatrice al Dipartimento di urbanistica della Facolta di Architettura di Firenze.
Giorgio Pasquali (1885-1952) è stato un notissimo filologo classico e maestro indiscusso per i latinisti, i grecisti, i filologi e gli archelogi della seconda parte del secolo scorso. A ciò, aggiungerei di tenere in considerazione anche l'eccezionale caratura di Pasquali quale storico e geografo, se non proprio precursore certamente un interprete originale di quella nota “corrente” di “storia nuova” francese sviluppatasi attorno alla rivista “Annales d'histoire économique et sociale”, fondata nel 1929 dal grande Marc Bloch (1886-1944), di cui si veda nel post del 22 dicembre 2016 all'interno del fasc. n. 5 di “seleArte”, pp. 22-26, la Presentazione di Carlo L. Ragghianti alla sua traduzione di Esame di coscienza di un francese, pubblicato in “Itinerari”, n. 10, 1956. Con lui altro fondatore fu Lucien Febvre, mentre collaboratori della rivista furono Jacques Le Goff ed Emmanuel Le Roy Ladurie, per citare soltanto i più noti. Naturalmente tra questi studiosi illustri spicca la figura di Fernand Braudel (1902-1985), autore del formidabile libro La Méditerranée et le monde méditerranéen, edito nel 1949. 
I due saggi di Pasquali furono pubblicati nel 1942 su “Civiltà”, lussuosa rivista con intenti culturali fascioecumenici, ideata per supportare la costruzione del quartiere EUR di Roma e delle strutture per una programmata ma inattuata (per causa della guerra) esposizione E42. Mi sia concesso ricordare anedotticamente sia quanto riferito su Pasquali personaggio (vedi il post del 13 maggio 2020), sia il fatto che una ampia sintesi di questi due sorprendenti testi mi fu letta da Lara Vinca Masini, la quale
fu incaricata nella primavera del 1953 da mia madre di verificare il mio stato di preparazione per l'esame di terza media. Saputo che leggevo libri di divulgazione storica e che la storia era l'unica materia scolastica che approfondivo per mio conto, Lara Vinca mi segnalò questo inedito approccio storiografico alla materia che da buon crociano inconsapevole prediligevo. Per le altre materie (salvo la geografia che da sempre consideravo indissolubile ancella all' histoire événementielle, e che quindi padroneggiavo piuttosto bene) ricordo sue letture riguardanti Ariosto e altri autori da testi di Antonio Baldini, nonché diversi brani del latino meno paludato e solenne.
Accenno soltanto all'illuminazione circa la immensa Bur (Biblioteca Universale Rizzoli; copertina grigia) e successivamente agli anni in cui L.V.M. fu redattrice di “Criterio” (1957-'58) prima e poi di “seleArte”, nei quali mi fu spesso consigliera nelle incertezze culturali adolescenziali e in quelle dei dibattiti culturali dalla letteratura al cinema.
Ho visto su Internet che Lara Vinca Masini, ultranovantenne, ha difficoltà di tipo economico tali da aver indotto un gruppo di intellettuali suoi amici a chiedere per lei la concessione della “legge Bacchelli”. Sono rimasto sorpreso ed indignato per il rifiuto a questa istanza nei confronti di una donna e di una studiosa che si è distinta per essersi costruita una vita intellettuale e professionale non banale. Una esistenza quella di Lara Vinca – nonostante a parer mio contraddizioni ed errori come per tutti immancabili – soprattutto coerente, marcata da un entusiasmo comunicativo derivato dalle buone intenzioni dei propri intendimenti.
F.R. (2 maggio 2020)


mercoledì 3 giugno 2020

{glossario} RESILIENZA.


Ci sono parole che ogni tanto diventano di “moda”. Quindi, in seguito, dilagano come un virus, anche perché praticamente non sono contrastate o almeno ridimensionate al loro uso tradizionale. In definitiva prevale l'accezione approssimativa se non quella inesatta.

Un caso che mi ha sempre infastidito (quasi quanto l'accademico incipit ”il presente studio...” anziché “”questo”), riguarda il termine esaustivo (derivazione servile dall'inglese exhaustive), il quale ha esautorato, quasi accantonato la parola esauriente (dal latino (exhauriens), di antico e onorato servizio semantico. Passi che esaustivo sia usato da scienziati e studiosi che ormai scrivono e pensano in inglese; imperdonabile in giornalisti, scrittori, poeti e nelle persone “colte”. Non so se capita soltanto a me e alla maggioranza di un mio minuscolo sondaggio, che dopo un tempo abbastanza lungo dal primo apprendimento di una “nuova” parola non riescono a memorizzarne il significato. Ciò sia che si tratti di neologismi o di parole utilizzate – ripeto, più o meno propriamente – dilatandone i significati. 

Il caso di resilienza è tra queste. Di conseguenza mi sembra opportuno fissare nel “blog” i significati “leciti” di questo lemma, se non altro per poterli consultare in caso di deficit di memorizzazione da parte di un cervello vecchio e usurato come il mio.

Dal vocabolario Treccani:

"resilienza s.f. (der. di resiliente). – 1. Nella tecnologia dei materiali, la resistenza a rottura per sollecitazione dinamica, determinata con apposita prova d'urto: prova di r.; valore di r., il cui inverso è l'indice di fragilità. 2. Nella tecnologia dei filati e dei tessuti, l'attitudine di questi di riprendere, dopo una deformazione, l'aspetto originale. 3. In psicologia, la capacità di reagire di fronte a traumi, difficoltà, ecc."

In “Wikipedia” il punto 3. è così sviluppato e precisato:

"In psicologia, la resilienza è un concetto che indica la capacità di far fronte in maniera positiva a eventi traumatici, di riorganizzare positivamente la propria vita dinanzi alle difficoltà, di ricostruirsi restando sensibili alle opportunità positive che la vita offre, senza alienare la propria identità."

Già che sono in argomento, ho constatato che da un po' di tempo si usa piuttosto impropriamente il lemma diastema, il quale per definizione ha soltanto due significati specifici, i quali per “Wikipedia” sono:

"Con il termine diastema (pronuncia diastèma), parola che deriva dal greco, che significa intervallo si intende la distanza che esiste fra due denti vicini. In geologia il termine indica l'intervallo temporaneo di non sedimentazione o erosione presente tra uno strato di sedimento ed il successivo."