Carlo e Licia

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mercoledì 10 giugno 2020

H.D. Thoreau e la "disobbedienza civile".

E' una vita, è proprio il caso di poterlo dire dati gli ottant'anni compiuti, che sento lodare e talora persino osannare la personalità poliedrica di Henry David Thoreau (1817-1862). Non solo da coloro che sono liberal, radicali, pacifisti e comunque contrari alle forme di schiavitù. Per non parlare degli ecologisti che oramai sono legioni più o meno politicizzate, più o meno radicalizzate nel fronteggiare gli evidenti scempi – alcuni dei quali forse già irreversibili – operati spudoratamente da sciagurate canaglie come Trump o Bolsonaro sulla crosta del minuscolo pianeta che ci ospita, il quale è oltrettutto instabile e pericoloso per certi suoi motivi incontrollabili non solo sotto l'aspetto geologico.
Perciò tentando il riordino di alcune pile di carte, imbattendomi in un opuscolo di Thoreau, mi vien da pensare che la sua lettura (o rilettura) si può adattare proficuamente al nostro oggi di reclusione. Per di più, dopo una rapida incursione su internet, vedo che negli ultimi anni si è verificato in Italia un rifiorire di traduzioni, di edizioni nuove e di riedizioni dei suoi principali scritti.
Per quanto mi concerne, mio padre, durante uno dei numerosi viaggi nei quali lo portavo in auto a Pisa per un impegno di una sola giornata, mi incoraggiò a leggere Walden soprattutto, e –– se non mi abbaglia la memoria – non insistette in modo particolare perché affrontassi anche la Disobbedienza civile. Enorme problema per me, allora militante socialista, cui forme reattive alla violenza sbirresca non dispiacevano affatto. Le mie private convinzioni al riguardo erano derivate più da l' Histoire contemporaine di Anatole France (coll'ineffabile cittadino Bissolo) e dalle vicende dreyfussiane francesi che da letture di propaganda socialista, Aldo Capitini (un sant'uomo sì, ma..) e tanto meno radicali, come quelle strombazzate dall'ambiguo Giacinto “Marco” Pannella. Forse è bene ricordare che Disobbedienza civile significa “rifiuto di obbedire ad una legge senza ricorrere alla violenza”. Si tratta, cioè, di una forma di lotta politica, attuata da una singola persona o – quasi sempre – da un gruppo di individui, la quale comporta la consapevole violazione 
pubblica di una norma di legge, considerata ingiusta. In proposito si veda la “voce” che Norberto Bobbio consegnò al Dizionario di politica (pp. 316-320), diretto da lui con Nicola Matteucci – studioso che ho sempre ammirato e seguito – e con Gian Franco Pasquino. Il libro, del 1976, è sempre stato riedito e questa voce, in particolare, si trova riprodotta nel web in più siti.
Vale la pena di occuparsi delle idee di Thoreau in tempo di avvilente obbedienza alla clausura determinata – però imposta – dal proprio bene e dal nostro dovere nei confronti del bene del nostro prossimo, perché ricordare il diritto alla “disobbedienza civile” è non soltanto un atto di asserzione ai propri principi ma anche un gesto romantico e di sfida nei confronti del morbo – silente, misterioso, incombente che oggi affligge l'umanità intera.
In questa sede faccio appunto attenzione a Thoreau ricorrendo ad un estratto (promozionale, realizzato da quel bel tomo di Neri Pozza editore nel 1957) della celebre, citata più che letta, principale opera di Henry David Thoreau: La disobbedienza civile (Civil Disobedience). Per la precisione ricordo che il volume faceva parte della collana “Biblioteca di Cultura” ideata da Carlo L. Ragghianti e gestita con un prestigioso parterre di specialisti universitari da lui riuniti in un Comitato proponente, e fu pubblicato nel 1958 con il titolo Saggi politici. Il libro oltre La disobbedienza civile comprende anche Apologia per John Brown, l'abolizionista (1800-1859) antesignano eroico e impiccato a causa delle sue idee e gesta volte a contrastare la schiavitù e a promuovere la liberazione degli schiavi negli Stati Uniti.
Le 22 pagine (su c. 600) dell'estratto del libro, tradotto da Piero Sanavio (anglista, traduttore e scrittore certo non scelto da C.L.R. giacché studioso di Pound e di Céline, autori notevoli ma a dir poco convinti fascisti), costituiscono un antipasto indicativo del contenuto e dello stile scrittorio di un autore molto considerato tuttora nel mondo anglosassone americano.
Riporto, a dimostrazione delle convinzioni di Thoreau l'incipit de La disobbedienza civile:



Thoreau è stato anche un precursore dell'ecologismo radicale, marcatamente utopico e fautore di una terra sostenibile allora come si vorrebbe adesso, quando è popolata da 7 miliardi abbondanti di inquinatori, governati in prevalenza da ecogenocidi di piglio nazistoide. 
Dalla seguente citazione si può ancora una volta esperire lo stile oratorio dell'autore, il quale esprime con toni da mano di velluto argomenti catastrofici evocati con fredda determinazione da guanto di ferro.



Infine: mentre per Voltaire non si possono riscontrare importanti interpretazioni plausibili di contraddizione e tanto meno antitetiche e – invece – per Jean Jacques Rousseau sì, si possono esprimere e sono state ampiamente sceverate, così nella mia mente c'è un tarlo, un dubbio riguardo alla coerenza di H.D. Thoreau. Vale a dire: dubito 
che T. possa essere considerato anche tutt'altro che pacifista, che le sue idee, le proposte possano essere oggi recepite come quelle di un maître à penser da derive sedicenti culturali come, ad es. Casa Pound. Cioè che Thoreau possa finire come il povero Tolkien ostaggio dei nefasti libertarians di destra.
F.R. ( 19 aprile 2020)


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