Carlo e Licia

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mercoledì 28 febbraio 2018

L'Arte Moderna in Italia 1915-1935, 3 - Galizzi, Gemito, Graziosi, Marussig, Oppi, Penagini, Prencipe, Spadini, Wildt



Il primo post della serie rievocativa di questa storica Mostra è stato pubblicato il 30 dicembre 2017 e conteneva la Presentazione di Carlo L. Ragghianti, i criteri del Catalogo, la Bibliografia generale. Vi sono inoltre riportati i Comitati (d'Onore, Esecutivo, Tecnico, di Consulenza nazionale), il Consiglio dell'AAT di Firenze e quello de “La Strozzina” - promotori dell'iniziativa gli ordinatori del percorso museografico, le segreterie e i fornitori dell'esposizione. Nel secondo post (31 gennaio 2018) sono indicati i criteri di assegnazione delle schede critiche, quelli per la consultazione del Catalogo e quelli distintivi di questa rievocazione. Seguono i primi artisti schedati da Carlo L. Ragghianti: Alciati, Bertoletti Nino e Pasquarosa, Biasi, Bonzagni, Bosia, Bucci, Checchi, Costetti, Ferro.


lunedì 26 febbraio 2018

Addendum a Dalí (& Surrealismo)

Purtroppo non è la prima volta, né sarà l'ultima che dovrò ricorrere ad aggiunte, riprese o postille riguardo uno specifico argomento di cui si è già scritto in questo blog. Dopo aver chiesto venia per aver fornito dati e notizie parziali o incompleti, posso trovarmi una scusante nell' “immensa” mole di documenti lascito dei coniugi Ragghianti (di cui mi onoro di essere il figlio primogenito a sua volta in via di scomparsa da questo strambo mondo) ed in deprecati casi “clamorosi” invocare indulgenza per l'intervento carente di un “dilettante”, talvolta evoluto, in altri contesti semplicemente orecchiante orgoglioso di ciò di cui si fa tramite per una rinnovata conoscenza di sapere. Nel caso specifico, che riguarda Dalí e per certi versi il Surrealismo, oltretutto mi sento imbarazzato per dover tornare ad occuparmi di un figuro di talento, che disprezzo eticamente e culturalmente, il quale purtroppo gode tuttora di numerosi (troppi!) attestati di stima e considerazione.
Ricordo che il post precedente, che riportava quanto allora presumevo fosse stato scritto da C.L.R., è stato immesso nel blog il 26 gennaio 2017.
Delle due "voci" scovate successivamente nella serie Panini editore di "Critica d'Arte", mi accorgo che la prima (n.4, 1985, pp.29-30) non è altro che la riproposta della nota Assunta Atomi Toreri ("SeleArte", n.4, 1955, p.75) che già nel titolo qualifica la considerazione di Ragghianti nei confronti dell'Avida dollars, anagramma quanto mai azzeccato affibbiato con disprezzo a Dalí da André Breton.
Il secondo intervento di R. consiste nell'articolata risposta ad uno studente dell'Università dell'Arte di Firenze circa il "caso Salvador Dalí". La riproduciamo ricordando che essa fu in origine pubblicata su "Critica d'Arte", lug.-sett. 1987, pp. 3,4.
F.R.  (19 dicembre 2017)

lunedì 19 febbraio 2018

Traversata di un trentennio, 4


La presentazione e la prima parte del libro (pp.1-46) sono stati postati il 13 novembre 2017.
La seconda parte (pp.47-87) il 13 dicembre 2017.
La terza parte (pp.89-128) invece il 19 gennaio 2018.

venerdì 16 febbraio 2018

Licia Collobi e l'arredamento storico,3 - La sedia di Chiavari

Non so per quale errore – perché di disguido in questo caso non si può parlare – sfuggito ad ogni controllo di C.L. Ragghianti e di Licia Collobi, nella Bibliografia degli scritti sia stata attribuita a Carlo questa scheda di proto-design che, invece, è stata scritta da Licia Collobi, sua moglie.
Premesso che per i coniugi Ragghianti i loro scritti su “SeleArte” dovevano essere redazionali; cioè non firmati dall'autore materiale perché egli agiva in quel contesto sulla base di regole precise quali in primis un linguaggio accessibile, privo di gerghi professionali escludenti i non addetti ai lavori. Perciò “ideologicamente” per i Ragghianti l'autografia in “SeleArte” era concepita soltanto per interventi che richiedevano assunzione di responsabilità critica individuale.
Però le bibliografie dei loro scritti (soprattutto quella di Carlo da cui è derivata in gran parte per esclusione quella di Licia) attribuiscono gli scritti esplicitamente per acribia filologica nei confronti dei lettori e dei posteri. Tutto bene se in quella di C.L.R. non si fossero presentate lacune anche abbastanza vistose ed errori non accettabili. Ragghianti morì durante la stesura della bibliografia e non l'ha mai controllata. Noi lo abbiamo fatto soltanto a posteriori, cioè a stampa avvenuta senza poter intervenire efficacemente pur avendo dubbi e concreti sospetti. Certo i coniugi R., pur con caratteri così differenti, professionalmente erano amalgamati in una singolare ed efficace sintonia, tendente a dar fiducia alle persone e, se possibile a scagionare i difetti e le mancanze quando ritenuti operati in buona fede. Comunque non è questo il caso: di buona fede non si può 

parlare, anzi la banda sedicente esperta di realizzazioni computerizzate è risultata meno competente di una dattilografa di copisteria, più arrogante e costosa di uno studio professionale affermato. Sostanzialmente un salasso inaspettato a carico della cassa dell'Associazione creata per sostenere la pubblicazione completa delle opere di Carlo L. Ragghianti, la quale non è un caso che non abbia funzionato come previsto dalle possibilità iniziali di bilancio e auspicato dai sottoscrittori.
L'incuria e l'incompetenza di chi operò a proposito di questa sciagurata Bibliografia, sono aggravate anche dall'assenza di indagine critica sui testi di incerta attribuzione, come in questo caso dove un “dilettante” qual io sono è in grado, dopo la lettura del testo e un'analisi stilistica e terminologica anche sommaria del contesto, di propendere per l'attribuzione a Licia Collobi. E' bene ricordare che appena l'anno prima (1951) mia madre aveva curato per la Triennale di Milano la Mostra e il Catalogo de La sedia italiana nei secoli (vedasi la riedizione in anastatica di “Luk”, fasc.speciale, n.7, Lucca 2005 e il nostro post omonimo del 16 gennaio 2018) che concludeva l'indagine storica sulle sedie al sec. XVIII, escludendo quindi il successivo fenomeno, indagato adesso in questa sede. Quindi si può presumere che la studiosa triestina fosse più qualificata per ricordare questo particolare arredo mobile. Infine un argomento dirimente e incontestabile: esiste (qui sotto la riproduciamo) la minuta di una scheda intitolata La sedia di Chiavari indubitabilmente scritta con la calligrafia di Licia Collobi ed evidentemente preparata in occasione della Mostra alla Triennale.

F.R. (11.11.2017)

lunedì 12 febbraio 2018

Razzismo e coscienza morale

Poco più di un anno dopo lo sconfortato post Razzismo, e non solo, dilagante (si veda il 22 dicembre 2016), le manifestazioni di aggressività e di odio razziale straripano ed inquinano le relazioni interregionali europee di Stati tutto sommato ancora retti da sistemi democratici, seppur in grande sofferenza. Ciò in troppe parti del mondo degenera, con sempre maggior frequenza e sempre più spietata assurda violenza, in vere e proprie guerre civili.
Qui in Italia, stando a sondagi e analisi di tendenza, avremo un governo non solo di destra più o meno tradizionale (cioè egoista, razzista, violenta ma vile; con o senza l'apporto volenteroso di ex catto&comunisti tornati alle origini prebelliche dei loro “padri” fascisteggianti) ma addirittura col contributo determinante di esponenti e gregari poco neo ma molto fascisti, spalleggiati da energumeni che si sono e si stanno temprando come mercenari in luride guerre civili e neo-coloniali, fomentate da un forsennato egoismo religioso e/o razziale. Fallito il tentativo di rendere soft i contraddittori messaggi sociali e le aspirazioni di un Nord teutonizzato nel mito di una sua presunta superiorità, centro-sinistra? e sinistra? non sembrano più in grado di contrastare alcunché, neppure di impedire che il corpaccione inerte dei propri concittadini stia seguendo le “sirene” identitarie e sedicenti sovraniste.
(Certo per una cultura razionale, se non fosse tragico, sarebbe soltanto ridicolo cercare purezze razziali in una delle terre da sempre più invasa e colonizzata con infiniti incroci di popoli diversissimi tra loro, dai Normanni ai Turchi e agli Arabi, soltanto per fare un 
esempio). In conclusione per doverosa costernazione, consapevoli che i componenti di una civile società resistono prima e possono sopravvivere poi soltanto spiritualmente e culturalmente alle barbarie, proponiamo un'argomentazione con la lettura di un opuscolo del 1958, cauto forse, chiaro, certo non aggressivo ma già allarmato dai segnali di risveglio fascista che culminarono (1960) nel governo Tambroni, nei moti di Genova e nelle mattanze su operai in Emilia. Per la mia generazione (1940), teoricamente vaccinata contro i veleni dalla Costituzione Repubblicana (inattuata allora in molte parti fondamentali tuttora priva di attuazioni importanti - regolamentazione di Partiti Politici e Sindacati dei lavoratori -), questo libretto fu un utile “richiamo” contro la strisciante insorgenza della più viperina delle latenze discriminatorie: il razzismo.
Rileggendolo oggi si deduce, oltretutto, che se negli anni a seguire si fossero applicate ed attese le leggi vigenti e nuove allora proposte, oggi sarebbe superfluo prendere in considerazione le impaurite proposte (novelle “grida” manzoniane?) come quelle di recente approvate per contrastare il fascismo odierno che è naturaliter, razzista. Comunque qualcosa di effettivo, di operativo ( e non solo di difesa passiva) va fatto, persino prendere in seria considerazione ciò che avviene oggi contro le mostruosità razziste e fascistoidi negli U.S.A., dove si sono formati anche gruppi “Antifa”(scisti) radicali e decisi a difendere Libertà e Costituzione con le armi, se necessario, come i John Brown Gun Clubs.
F.R. (10 gennaio 2018)


lunedì 5 febbraio 2018

Democrazia declinante, democrazia delirante. - Elezioni politiche 2018 in Italia

Cito e sottoscrivo:

<< Salve, sono un "elettore d'opinione" che se ne frega del voto di scambio e pure del voto utile: sempre camminato con le mie gambe e ragionato con la mia testa, mai chiesto niente di utile o inutile a nessuno. Volevo astenermi, ma poi ho capito che è quello che vogliono i partiti, ben contenti di tenersi i voti che controllano e di liberarsi di quelli che non controllano. Dunque andrò a votare. Per chi? Deciderò all'ultimo, in base al programma e ai candidati che più mi convinceranno...>>.


Perché questa citazione dall'editoriale di Marco Travaglio del 29 gennaio sul Fatto Quotidiano?
Perché dal 1953 "Legge truffa", sostanzialmente sconfitta, ad oggi la semi-democrazia parlamentare italiana è in continua, progressiva disgregazione. Dal 1994 scompare progressivamente il controllo parlamentare sull'Esecutivo, via via, per prassi non per iure, con

interventi più che discutibili, veri e propri sostanziali attentati alla Costituzione, disattesa già in molte parti e svuotata nella sua essenza.
Oggi Cleptocrazia e Televideocrazie monopolistiche sono protagoniste, decisive rispetto al voto espresso. Quello inespresso, non è più di protesta nei fatti, è divenuto complice dei risultati del voto, che piaccia o no.
F.R. [30 gennaio 2018]

domenica 4 febbraio 2018

Ragghianti, un libro del 2011 - Pieraccini 2

Di recente, a luglio, mi era stato chiesto di approfondire nella rivista “Luk” quanto pubblicato il 2.6.2017 nel post Ragghianti e Pieraccini – Arte e politica circa il rapporto tra queste due personalità con particolare riferimento allo statista. Rifiutai cortesemente l'invito un po' perché, per quel che mi riguardava, pensavo di aver esaurito l'argomento ed anche perché non volevo rattristare un uomo di 99 anni che stava per compierne cento: avrei dovuto, infatti, entrare inevitabilmente in giudizi di merito riduttivi, a meno di ricorrere all'adulazione, cosa che mi ripugna. Il testo che in questo post viene riportato, poi, è una testimonianza, un documento tale da non giustificare un articolo con considerazioni politiche e storiografiche a sé stanti.
Nei giorni scorsi finalmente cominciai a scorrere con attenzione un libro dal mio punto di vista iconograficamente appassionante perché illustrava tutte le incisioni della storica cartella Galleria Grafica Contemporanea. 50 incisioni originali di Maestri Italiani (1964, Edizioni il Bisonte, Firenze) alla realizzazione della quale – sia pur marginalmente – partecipai e che comunque è all'origine della mia personale passione per tutti i tipi di stampe, in bianco-nero particolarmente. Questo volume contiene anche quasi tutte le litografie a colori dall'esordio della Stamperia d'arte Il Bisonte, fondata e diretta da Maria Luigia Guaita amica dei genitori Ragghianti, staffetta partigiana, collega e compagna di missioni di Licia Collobi, mia madre.
Colgo a questo punto l'occasione per scusarmi dell'enorme ritardo con cui voglio ringraziare Alessandro Tosi, curatore, e i suoi collaboratori per il corretto e toccante, nonché efficace contributo che questo bel volume L'Arte del XX secolo. Carlo Ludovico Ragghianti e i segni della modernità (Edizioni ETS, Pisa 2011) concorre a consolidare la conoscenza dell'opera di mio padre. Come si suol dire, meglio tardi che mai, anche se non è scusa bastante l'essere all'epoca esasperato nei confronti degli ufficiali e ufficiosi detentori del “solido” lascito intellettuale e operativo dei coniugi Ragghianti; è scusante sufficiente, temo, il fatto che in certe situazioni sono lento come un bradipo, tant'è che c'è stato chi m'ha soprannominato “Diesel”.
Il libro si occupa anche del Gabinetto Disegni e Stampe dell'Istituto di Storia dell'Arte dell'Università di Pisa e del contributo per il suo rilancio, intorno alla collazione Timpanaro, de “Il Bisonte” di Maria Luiga Guaita, il cui odierno direttore Rodolfo Ceccotti è presente nella riproduzione dell'incisione raffigurante Carlo L. Ragghianti, eseguita per ricordarlo subito dopo la sua morte (3 agosto 1987). Per completare questo post penso che, in relazione alla Cartella e al Gabinetto citati, risulti opportuno riprodurre il testo di Alessandro Tosi e quello di Gigetta Dalli Regoli perché illuminanti e 
complementari a definire la personalità di Ragghianti nei primi anni Sessanta del secolo scorso. Quest'opera, infine, contiene una serie di contributi di Paolo Riani, Susanna Caccia, Roberto Castiglia sulla Mostra “Le Corbusier” tenuta a Palazzo Strozzi nel 1963; di Pier Marco de Santi e Valentina La Salvia sul critofilm Michelangiolo (1964) e per ultimo il saggio di Emanuele Pellegrini (1954-1964: un decennio e due commissioni d'indagine per il patrimonio culturale) conclude adeguatamente il libro – dimenticavo di dirlo – concepito e realizzato nell'ambito delle celebrazioni del primo centenario dalla nascita di Carlo L. Ragghianti. Argomenti tutti di sicura attenzione e ripresa da parte di questo blog nel prossimo futuro.
Questa doverosa relazione dell'iniziativa pisana ci riporta a Giovanni Pieraccini in quanto al suo interno compare un testo – che ignoravo – intitolato La complessa goethiana personalità di Carlo Ludovico Ragghianti. Come già il titolo prefigura, si tratta di un ricordo rilevante e sincero; ed è anche importante testimonianza dell'effettivo rilievo che Ragghianti ebbe nella resistenza toscana e nel suo governo fattivo ed efficiente con progetti e proposte esemplari per il resto d'Italia, sia quella da liberare che quella liberata dove il governo alleato filomonarchico limitava questa rivoluzione democratica. Per non parlare poi, purtroppo, dei partiti politici risorti o nuovi già allora orientati ad una miope gestione del potere, concepito soprattutto quale tramite del proprio immediato vantaggio e con l'emergere di sconfortanti situazioni – oggi in pieno rigoglio – dove il guicciardiniano “particolare” sembra l'unico obiettivo da raggiungere.
In conclusione, qui di seguito riproduciamo le pagine di Pieraccini, che tra l'altro rammemora affettuosamente Maria Luigia Guaita; seguono poi le pagine di Alessandro Tosi e quelle di Gigetta Dalli Regoli con una testimonianza che tratteggia efficaci e centrati ritratti di artisti e cari amici come Farulli, Mattioli, Zancanaro ed altri gravitanti attorno alle iniziativa del Gabinetto Disegni e Stampe dell'Istituto di Storia dell'Arte, di cui delinea un affettuoso ricordo sul suo essere e sul suo sviluppo. Su questo specifico argomento non è escluso su questo blog un intervento con le osservazioni di C.L. Ragghianti.
F.R.
(20.10.2017)

P.S. - Dato che per le incisioni della Cartella "50 incisioni originali di Maestri Italiani" è previsto un apposito post, illustro questo intervento con litografie presenti nel Gabinetto Disegni e Stampe dell'Università di Pisa e stampate in quel periodo da "il Bisonte" di Maria Luigia Guaita, che - voglio ricordarlo - agli esordi dell'azienda fu assistita da Alfredo Righi e Pier Carlo Santini, soprattutto.

giovedì 1 febbraio 2018

[glossario] 1968, 1



Nel 1968 io ero un uomo quasi maturo, comunque responsabile, lavoratore “della mente” e cosciente dei miei diritti (molti dei quali allora – come oggi – disattesi dalla Repubblica) e dei miei doveri (molti dei quali allora come adesso disattesi dai concittadini), nel '68 aspettavo ragionevolmente il 1969.
Carlo L. Ragghianti nel 1968 era suo malgrado un Cincinnato tradito negli ideali, era l'uomo che di lì a poco (1978) avrebbe scritto Traversata di un trentennio. Testimonianza di un innocente; continuava ad essere un intellettuale engagé, un esempio di vita pratica e di studioso integerrimo: manifestava sobriamente la “costruzione morale di sé”, quella di sempre, quella iniziata consapevolmente durante le infinite notturne conversazioni di lui adolescente con Eugenio Montale, cioè quel fil rouge di sempre, impostosi con consapevolezza fin dalla prima giovinezza.
Per questa sua peculiare coerenza (parola che non significa non cambiare opinione – motivatamente – ma essere conformi ai propri principi ideali) già in questo sciagurato anno 1968 fu coinvolto come vittima designata, come ostacolo vistoso e testimone imbarazzante delle ambizioni smodate, dei risentimenti ingiustificati, dei tradimenti più o meno smaccati, dei masochismi compiaciuti, alle rivendicazioni oggettivamente assurde, ecc. ecc.
Il '68 fu propedeutico a quella che forse è stata la più colossale orgia trasformistica, col tradimento sostanziale delle radici (fragili), della democrazia di Montesquieu, dell'Inghilterra, delle Rivoluzioni Americana e Francese. Contribuì, quell'anno orribilis ad consolidamento – per fortuna provvisorio – del totalitarismo sovietico e del caudatario Maoismo; favorì la diffusione delle perversioni intellettuali dei Marcuse, delle psicologie e psichiatrie assolutorie, consentendo l'accettazione sociale dell'irresponsabilità personale e del relativismo becero e cinico.
Il '68 fu compiaciuta regressione culturale, equiparò l'illecito al lecito, promosse la volgarità contro l'educazione, per non dire di quei comportamenti che venivano definiti “signorilità” e che nulla avevano ed hanno a spartire con il predominio di classe sugli altri esseri umani. L'aggressività fece aggio sulla mitezza; il sesso fu svilito a consumo confuso, banalizzato nell'immediatezza, ne fu offesa la reciprocità consapevole e doverosa.
Il '68 fu determinante per la distruzione di tanti valori, in particolar modo di tutto ciò che riguarda l'onestà individuale e collettiva, spalancando il baratro dell'attuale “cleptocrazia” (governo dei ladri), diffusa su scala planetaria senza validi contrappesi.
Il '68 non fu una rivoluzione, fu R I V O L T A N T E. 
L'intemerata che ho fin qui scritto rappresenta ciò che penso da cinquant'anni
ed è il risultato di lunghi meditati rammarichi e risentimenti. Non mi importa se adatta o meno, non lo è per introdurre l'argomento. Adatta mi pare, invece, questa breve nota che pubblico in esergo al post, cioè un testo di R. che, in luogo di altre sue ponderate e motivate analisi sull'argomento, risulta la pacata (forse un tantino ironica) considerazione dettata proprio per non dare troppa importanza alle negatività, tuttora permanenti degli indotti effetti neo-fascisti del 1968.
Il '68, per concludere, è sostanzialmente il volano, la base di partenza di quel tragitto economico che dai benemeriti Keynes, F.D. Roosevelt e Lord Beveridge accantonati dalla “scuola” di Chicago si attua pienamente oggi nell'incredibile mostruosità per cui la ricchezza di poche decine di privilegiati equivale a quella di oltre 3 miliardi e mezzo di esseri umani.
Trovo quindi che C.L.R. provi soprattutto compassione per il fenomeno '68 e gli innumerevoli soddisfatti individui che ne cercarono e ottennero – troppo spesso! – i deleteri ingiusti vantaggi. In queste parole credo si possa intravedere la statura morale di Ragghianti, la freddezza dello storico, la tristezza del filosofo.

F.R.[10 gennaio 2018]


P.S. - Dopo la certa virulenza che a rilettura ho riscontrato nella precedente invettiva circa la rievocazione del cinquantenario del “1968”, avevo deciso di sospenderne la pubblicazione per una pausa di riflessione circa l'opportunita' di rendere noto questo testo, scritto il giorno del mio 78° compleanno, soprattutto in considerazione dell'agitato e isterico periodo elettorale in corso.
Però oggi 26 gennaio vedo nel blog che “Il fatto quotidiano” (l'unico giornale che, sia pur non tutti i giorni, leggo) un post del giovane filosofo Diego Fusaro dal titolo: “Il Sessantotto, l'anno più sciagurato della storia recente”. Colpito dal termine SCIAGURATO anche per me connotante quell'anno, e dopo la lettura dell'agguerrito e pungente scritto di cui condivido molte considerazioni e apprezzo argomenti e osservazioni, mi trovo a voler sottoscriverne interamente una frase: “Il Sessantotto fu una sciagura di cui ancora oggi paghiamo le conseguenze. In termini marxiani fu insieme una tragedia e una farsa”. Di conseguenza dopo la lettura di questo blog mi permetto di raccomandarlo alla considerazione degli “smemorati” già marxisti o comunque comunisteggianti. Trovo, infine, che anche la mia rampogna possa e debba essere sdoganata, se non altro come testimonianza di una “vittima”.