Carlo e Licia

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domenica 30 giugno 2019

Italo, Gianni, Vieri Vagnetti. Tre generazioni, tre postille.

Di Gianni Vagnetti (1898-1956) artista ricordato nel post Arte Moderna in Italia, 1915-35 – Testi Critici redazionali, 2. (che sara' postato il 6 luglio 2019, ma scritto prima di questo testo) abbiamo forse tralasciato di dire che ebbe molta consuetudine sociale con mia zia Erminietta Ragghianti, amicissima di sua moglie e madre del figlio Vieri, anch'egli nella cerchia delle amicizie esterne al mondo musicale della zia. Di Gianni, però, dopo il ricordo del suo amatissimo padre Italo, scriverò in quanto marginalmente implicato nelle cronache minori, forse minime ma indicative, della Casa Editrice Vallecchi.

Italo Vagnetti (1864-1933) è stato uno dei tanti scultori proliferati in seguito all'Unità d'Italia per far fronte all'"orgia" rievocativa del passato remoto nazionale, del Risorgimento e poi del fascismo (al quale, come praticamente tutti, fu coinvolto in modo marginale). Artista, non inferiore alla media di quelli che ornano l'esterno di Orsammichele e il loggiato degli Uffizi a Firenze, lo voglio ricordare con simpatia perché autore dell'imponente monumento a Giotto posto nella piazza in cui si affaccia la sede del Comune di Vicchio, cittadina nota per gli illustri artisti ivi nati, nella quale mi onoro di risiedere. Nell'ambito della retorica imperante ai suoi tempi, Italo Vagnetti è uno scultore sobrio che cerca e, tutto sommato, riesce a dare una dignità pensosa ai suoi personaggi di cui inventa le sembianze. Il suo Giotto è un uomo sicuro di sè, senza albagia, orgoglioso degli attrezzi del proprio mestiere ed ha uno sguardo rivolto al futuro della sua arte. Molto più convincente è la soluzione finale in Piazza rispetto al bozzetto (n. 258) che fu disperso in asta dopo la morte del figlio che l'aveva conservato. Peccato comunque che all'epoca il Comune non lo acquistasse per circa Euro 1032/1187, come valutato nel catalogo.



giovedì 27 giugno 2019

Il 1948 dei critici d'arte – Il Convegno di Firenze, Atti (XI) - Sezioni VI, VII. Legislazioni sulle Arti e Varie.

Post precedenti:

23 luglio 2918. n.1 – Preliminari e inaugurazione.
26 agosto 2018. n.2 – Sezione 1A. Indirizzi, metodi e problemi di critica d'arte.
25 settembre 2018. n.3 – Sezione 1B. Spazio, critica d'arte architettonica. Discussione (Sezioni A e B).
25 ottobre 2018. n.4 – Sezione 1C e 1D. Le arti figurative e il cinema. Arti figurative e stampa quotidiana.
25 novembre 2018. n.5 – Sezione 2. Comunicazioni, 1.
27 gennaio 2019. n.6. - Sezione 2A. Comunicazioni, 2.
27 febbraio 2019. n.7 – Sezione 2B. Ricostruzione e restauro di monumanti in Italia.
27 marzo 2019. n.8 - Sezione 3. Il restauro delle opere d'arte, pp. 164-180.
27 aprile 2019, n.9 - Sezione 4. Museografia, Mostre, pp. 181-200.
29 maggio 2019, n.10 - Sezione 5. L'Insegnamento della storia dell'arte, gli strumenti scientifici, gli scambi internazionali, pp. 200-232



La sesta sezione del Convegno fiorentino riguardante la “Legislazione delle Arti” tratta un argomento che ha sempre preoccupato e coinvolto Carlo L. Ragghianti fin da quando tentò di riformare le Belle Arti e lo Spettacolo da Sottosegretario di Stato con deleghe di larga autonomia del Governo di Ferruccio Parri (1945). Oggi il dibattito sulla materia ha qualche importanza quale contributo storico specifico riguardante soprattutto il “Consiglio Superiore   delle Antichità e Belle Arti”. La relazione di Roberto Pane (pp. 234-236) e gli interventi dell'architetto Barbacci, Soprintendente ai Monumenti di Firenze, e di Bruno Zevi riflettono le critiche e il sostegno alla proposta ministeriale dell'epoca, evidentemente tesa alla continuità retriva dei desiderata ecclesiastici e della burocrazia post (ma solo cronologicamente) fascista.
Di Barbacci è meglio tacere, di Zevi (pp. 236-237) si è detto qui in precedenza, di Roberto Pane (1897-1987, si veda anche il post “Storia conclusiva” del 3 febbraio 2019), storico dell'architettura e architetto, penso si possa dire che è stata figura controversa. Divenuto amico di Benedetto Croce, tramite il quale conobbe Ragghianti, sostenendone le idee conservatrici di fatto svolse un controcanto – purtroppo sul piano politico efficace – alle idee e ai propositi riformatori e innovativi del giovane studioso lucchese. Aderendo al Partito d'Azione, Pane risultò essere un cavallo di Troia a favore degli intendimenti liberai del P.L.I., senza però l'acume, la duttilità e la lealtà di Alfredo Parente, anch'egli napoletano, crociano e caro amico dei Ragghianti. Dopo la morte del filosofo (1952) Pane si avvicinò ad Olivetti  ma senza riuscire a scalzare l'ingombrante presenza di Zevi all'I.N.U., di Ferrarotti e di altri. Perciò ripiegò su incarichi istituzionali anche all'estero (Unesco). Naturalmente durante l'orgia sessantottina si posizionò con la demagogia della scuola di Francoforte “schierandosi accanto agli studenti che chiedevano una radicale riforma sociale”. In altri termini chiedevano di fare esami di gruppo, di essere laureati e poi sistemati senza prove di merito proprio e di idoneità.
La sezione settima “Varie” negli interventi di Davide Cugini e di Luigi Bellini ha anch'essa oggi un valore prevalentemente di analisi di documenti storici, però interessanti per valutare la continuità di questi due aspetti “parassitari” delle arti, però socialmente rilevanti, inerendo la riverenza al dio denaro, particolarmente diffusa sul mercato delle opere d'arte.
Davide Cugini (1896-1991), noto avvocato bergamasco, storico
dell'arte (Novecento incluso) è stato un mecenate e collezionista importante tra gli anni Quaranta e i Settanta, lasciando (in parte all'Accademia Carrara di Bergamo) una raccolta prestigiosa di 850 disegni, acquarelli, tempere, olii, assemblages, con opere dalla Figurazione al Concettualismo e all'Informale. In questa sede con l'intervento Sulle cosiddette autenticazioni (pp. 238-239) da giurista egli stigmatizzava il fatto che le expertises siano incontrollate e che se “taluno si erige a perito senza idonei requisiti e si autoelegge critico” non c'è nessun controllo di merito.  Perciò il mercato è inondato di certificati inqualificabili tra i quali quelli responsabili e specialistici sono parte minoritaria e difficilmente avvertibile. In conclusione Cugini auspica l'istituzione di un Registro Ufficiale di Esperti accreditati a vantaggio di tutti. Il che a tutt'oggi non è avvenuto e, come ieri, esistono soltanto i periti di tribunale, con procedure comunque  inadeguate e disomogenee.
L'intervento riguardante il “Commercio dell'Arte” (pp.239-243) è affidato all'autorevole testimonianzadi Luigi Bellini (1884-1957), nel 1948 certamente il più prestigioso mercante, come teneva ad essere qualificato, d'arte attivo in Italia. Su di lui si vedano il post “Ponte a S. Trinita, 4  del 28 novembre 2017. Partendo dal presupposto “Io commercio in arte, è vero, ma amo l'arte”, Luigi Bellini descrive le caratteristiche contemporanee del mercato internazionale di opere d'arte. Conclude il suo excursus appassionato ed ottimistico con la preoccupazione circa l'attività di antiquari e galleristi d'arte contemporanea e moderna la quale “sarebbe per altro più efficace se... fosse giudiziosamente diretta”.
Nino Perizzi (1917-1994), pittore, scultore, scenografo triestino, invitato da C.L.R. tra i “Sessanta Maestri del prossimo trentennio” (1955; vedere post 28 settembre 2017), svolge una relazione apparentemente incongrua: Note sulla situazione delle arti a Trieste. Infatti il suo intervento doveva riferirsi al problema Arte figurativa e arte astratta, discusso nel Convegno in precedenza (sezione 1-A) ed “esaurito”. Quindi l'artista triestino preferisce relazionare (pp. 243-244) sui problemi della città italiana però al momento in ostaggio delle potenze vincitrici e concupita dalla dittatura jugoslava di Tito. La situazione di Trieste, è bene ricordarlo, era una spina nel cuore di tutti gli italiani e di C.L.R. che già nel 1945 vi si recò in aereo con Parri per rivendicarne la riunione alla Patria, nonostante la propaganda fracassona e fascistoide delle destre.
F.R. (19 maggio 2019)

domenica 23 giugno 2019

Smorfia Antifascista, Lorenzo Ferro 1.

Questo inedito scritto nel 1950 da Carlo L. Ragghianti e firmato con lo pseudonimo di Lorenzo Ferro è un divertissement la cui destinazione a stampa è ignota, così come non si sa se sia stato pubblicato da qualche testata. Per certi versi – intuitivi, peraltro – propenderei per la destinazione a "Il Mondo" di Pannunzio; altrimenti – sempre con l'incognita di una effettiva pubblicazione – a altri giornali ai quali mio padre collaborava saltuariamente (ricordo "Italia socialista", un quotidiano di Venezia – non "Il Gazzettino" -, il "Nuovo Corriere" di Bilenchi a Firenze).
Siccome Ragghianti non era uno scommettitore, nè tanto meno un giocatore d'azzardo (scopone scientifico sì, ma solo con amici e artisti e critici, senza poste pecuniarie), penso che il libro qui "recensito" gli sia capitato in mano casualmente tramite suo suocero, l'Ing. Alberto Collobi, che giocatore lo era, eccome. Ciò probabilmente avvenne come conseguenza di verificare la propria curiosità verso il fenomeno della 
"smorfia", contenuto nel libro, che per il nonno invece era come un manuale per fare le puntate. Difatti, per tutta la vita, C.L.R. svolse ricerche su fenomeni quali gesti, simboli, segni e iconologia, jella e iettatura, fisiognomica, ecc. Tanto gli interessavano queste manifestazioni che mi fece comprare l'edizione anastatica della rivista "Napoli nobilissima" (della quale durante la guerra gli avevano rubato la collezione nel magazzino che custodiva i libri della sua prima biblioteca personale e le carte professionali) non soltanto per sentirsi in sintonia col maestro Benedetto Croce.
Nella fattispecie l'articolo di Lorenzo Ferro, oltre a sfottere il fascismo e le sue involontarie smagliature, depreca il persistere di attenzioni e comportamenti sconcertanti e primitivi; per di più diseducativi anche nella società post bellica, che non a caso si era affidata alla Chiesa Cattolica di Pio XII e alle Case del Popolo – controllate di fatto dal PCI – con l'attrazione delle tombole sociali a premio.
F.R. (13 aprile 2019)


giovedì 20 giugno 2019

{glossario} IGNORANZA.

da Accademie inutili. L'arte e la realtà. In: “la Critica d'Arte” a.I, f. VI, dic. 1936, p. 292 di Carlo L. Ragghianti

Dedicato ai terrapiattisti (che è inutile aggettivare, però associati sono 140 mila in Italia), ai sovranisti (che mi sembrano combaciare con la descrizione di R.) i quali nulla hanno da invidiare ai negazionisti della storia documentata ed indagata ad abundantiam.
Non sono da trascurare, anzi vanno considerati perniciosi anche coloro che affermano che “uno vale uno”. Il che sarebbe accettabile se l'affermazione si limitasse a considerare gli esseri umani uguali per dignità, salvo differenziarsi per i singoli percorsi individuali, 



le singole costruzioni (non sempre morali) di se stessi. Invece quell'affermazione per i più vale a dire che chiunque è in grado di fare qualunque cosa. Siccome esponenti di questo modo di argomentare sono al governo, si cominciano a vedere i risultati concreti non edificanti. Però quel che oggi è terrorizzante è che chi vuol loro subentrare (salvo radicali cambiamenti di persone) è chi in precedenza ha malversato e ci ha ridotto all'attuale situazione sociopolitica, per limitarsi e tacere di quella morale e intellettuale.



lunedì 17 giugno 2019

Maiolica Italiana.

Nella decima puntata della ripubblicazione degli Atti del Convegno Internazionale per le Arti figurative, Firenze 20-26 giugno 1948, postato in questo blog il 27 maggio 2019, viene pubblicata la relazione Per la ripresa delle pubblicazioni del “Corpus” della Maiolica italiana di Gaetano Ballardini (1878-1953).
Nella scheda redazionale introduttiva di quel post si ricorda brevemente che il Ballardini ha dedicato la propria esistenza a studiare la Maiolica italiana (cioè la ceramica porosa ricoperta da pittura e invetriatura, che la rende impermeabile) con concreti e riconosciuti risultati scientifici e sociali, come la realizzazione del Museo Internazionale della Ceramica di Faenza (1908), il più rappresentativo e importante nel suo genere in Italia e non soltanto.
Riguardo agli studi scientifici Ballardini fu autore di molti scritti specialistici, tra cui l'opera che ne contiene tutti i risultati, cioè il libro La Maiolica Italiana dalle origini alla fine del Cinquecento. Roberto Bosi, direttore di Faenza editrice, volle rieditare il volume, un classico ormai introvabile, e chiese a Carlo L. Ragghianti di scriverne la prefazione, conoscendone l'ammirazione per l'operato del Ballardini. Nonostante la contrarietà del vigente direttore del Museo di Faenza, che negò persino fotografie dei reperti andati distrutti in guerra, il libro uscì nel 1975 con un buon apparato di riproduzioni dalle quali abbiamo scelto quelle che illustrano le pagine del prefatore.
Ho ritrovato ieri, in Archivio, gli appunti che C.L.R. predispose e utilizzò per la stesura dello studio. Questi appunti sono analoghi a quelli che abitualmente faceva come “scalette” per gli interventi in pubblico (conferenze, lezioni, comizi politici ecc.) di particolare importanza o delicatezza. Altrimenti procedeva, come si suol dire, “a braccio”, cioè senza supporto mnemonico da un lato, dall'altro per non divagare e rimanere aderente ad una esposizione programmata. Per i testi riguardanti gli studi, gli appunti preliminare di C.L.R. superstiti sono, che io sappia, rari. Perciò può sembrare strano il fatto che essi 
non siano stati redatti o conservati sistematicamente. Un motivo è sicuramente palese: non ne sentiva la necessità per gli argomenti lineari, consequenziali, ed anche in casi di materia intricata, ma già mentalmente risolta. Altro caso, credo piuttosto frequente, è quello per cui C.L.R. “ripescava” in precedenti (anche di decenni) appunti, spunti, schizzi e disegni, annotati prevalentemente su quadernetti e notes che portava sempre con sé assieme all'agendina annuale degli indirizzi, degli spostamenti e degli appuntamenti. Da anziano, infine, la lunga ed intensa esperienza sopperiva spesso all'esigenza di organizzare schemi preventivi particolarmente elaborati dello sviluppo della ricerca.
Intervallo queste cinque pagine di appunti con illustrazioni di maioliche provenienti dal “Museo Medievale” di Bologna, vuoi perché interessanti, rare e ben stampate, vuoi per ricordare sia pure indirettamente Giancarlo Cavalli, il quale era allora direttore di quel Museo, caro amico dei coniugi Ragghianti dal 1940 e una delle prime persone che io ho conosciuto e frequentato – sia pur raramente – per tutta la sua vita da allora.
Ovviamente non ripropongo il testo del libro di Gaetano Ballardini perché è un classico che i cultori della materia conoscono ed hanno certamente in biblioteca, ed anche per non impelagarmi in una richiesta concernente diritti d'autore ecc.
Carlo L. Ragghianti e Licia Collobi hanno pubblicato diversi brevi scritti su “seleArte” e riferimenti, anche specificamente considerevoli, in vari dei loro saggi e libri riguardanti l'arte ceramica nelle varie declinazioni tecniche e geografiche. Questi loro testi indicano quindi, oltre a propri specifici interessi culturali, l'importanza implicita di questa forma – per un verso scultorea, per altro pittorica – che è alla base del fare espressivo dell'uomo fin dalla protostoria con la “scoperta” del fuoco.
F.R. (29 aprile 2019)


martedì 11 giugno 2019

“Critica d'Arte” acquisita dalla Fondazione Ragghianti.

Dall'inizio di quest'anno la Fondazione Centro Studi Licia e Carlo L. Ragghianti di Lucca ha acquistato dal fallimento U.I.A. di Firenze la rivista “Critica d'Arte”, fondata nel 1935 da R. a da lui diretta fino alla morte il 3 agosto 1987, e di cui per quasi trent'anni io sono stato redattore unico dal 1968.
Ci siamo rallegrati col Direttore della Fondazione, Paolo Bolpagni, per questa determinante acquisizione, la quale impone un periodo di riorganizzazione dopo gli ultimi venticinque anni di inevitabile declino, soprattutto dell'aspetto metodologico e problematico.
A questo proposito mi permetto di suggerire per la  riflessione in 
corso circa come procedere al ri-lancio della rivista quasi centenaria con l'invio della trascrizione (causa il cattivo stato dell'originale) della parte di lettera inerente l'argomento che C.L.R. inviò l'11 novembre 1970 a Giovan Battista Vicari. In essa il Direttore di “Critica d'Arte” con alcune osservazioni indica come sopperire alla pubblicazione di un organo come  la “Critica d'Arte” tenendo conto delle inevitabili e determinanti esigenze della maggior parte degli abbonati e degli acquirenti, senza rinunciare agli aspetti veramente caratterizzanti  e originali, cioè di metodo critico (come indicato dal titolo stesso della pubblicazione).
F.R. (31 maggio 2019)


domenica 9 giugno 2019

Arte degli Ittiti, 2.

In Arte Ittita, 1, postato il 23 agosto 2018, oltre alla peculiarità e al fondamento del tema, nella nota iniziale di presentazione sottolineai l'ignobile comportamento degli "amici" USA nei confronti degli attuali discendenti degli Ittiti indoeuropei, cioè il popolo curdo disperso tra l'Anatolia, Siria, Iran, Iraq, ecc. Questa popolazione che come sempre si batte per ottenere uno stato territoriale o almeno delle larghe autonomie di cui beneficiano in Europa tante popolazioni, in Italia Altoatesini e Valdostani e per certi versi Siciliani e Sardi. Al momento odierno il popolo curdo è perseguitato soprattutto in Turchia anatolica e in Siria dai turchi "liberatori". La Turchia repubblicana adesso anche "sovranista" e musulmana integralista, persegue la politica razziale dalle origini del paese con una recrudescenza di nazionalismo 
identitario radicato nella complicità collettiva del genocidio, già praticato sugli Armeni e sui Greci residenti da secoli in territorio turco. Adesso tocca ai curdi con un'escalation preoccupante e vergognosa.
In questo secondo post riguardante gli scritti sull'argomento di Licia Collobi (il cui nome di battesimo deriva dall'omonima antica regione anatolica, tramite – temo – il Quo-Vadis? - celeberrimo romanzo di Henry Sienkievicz, la cui lettura suggestionò la madre Silvia Domazetovich) prosegue (salvo errori ed omissioni involontarie) quanto riferito in "SeleArte" (1952-1966) circa la cultura, l'arte e la misteriosa lingua di una popolazione presente da quattro millenni nella martoriata regione mediorientale.
F.R.

giovedì 6 giugno 2019

Arte Moderna in Italia 1915/1935. Schede Redazionali 1 - NANNINI, BARILLI, MONTECECON, ROMANELLI, DANI, DREI, FRISIA.

Stante il fatto che sono rimasti da riproporre e commentare quasi soltanto gli artisti le cui schede sono state scritte da studiosi differenti da Ragghianti e, per quel che lo riguarda, devono essere postati soltanto artisti di “grosso calibro” come Morandi, Carrà ecc., ai quali in questa sede verrà dedicata una “monografia” (come nel caso del già pubblicato Luigi Bartolini, vedere post del 15 aprile 2018), mi pare opportuno cominciare a ricordare quei pittori e quegli scultori la cui scheda è stata scritta redazionalmente, usando un'apposita sezione caratterizzata anche dal diverso colore del logo iniziale.
Con questa prima serie di artisti, riportati in ordine cronologico come nel Catalogo della mostra del 1967, inizia la sequenza di post la sua scheda è firmata “Red.”, cioè redazione. 
Ricordo che questi testi sono stati scritti da Carlo L. Ragghianti e, per  
quanto riguarda i collaboratori, praticamente soltanto da Raffaele Monti, segretario generale della mostra, secondo le direttive metodologiche dello studioso lucchese. E' bene tenere presente, altresì, che in questa sezione non si trattano necessariamente artisti minori ma – anche artisti di cui nessun critico interpellato voleva assumersi la paternità di giudizio e casomai artisti trascurati dalla cultura contemporanea presente nei Comitati tecnico e di consulenza, composti da critici molto noti e qualificati, i quali sono talvolta anche troppo “specialisti” in determinati movimenti, in zone geografiche o in periodi cronologici. Per ciascun maestro, oltre alla scheda del Catalogo saranno riportate altre opere significative, documenti, eventuale corrispondenza con C.L.R. e quant'altro si è potuto scovare e ricordare di abbastanza poco noto, interessante o negletto.

domenica 2 giugno 2019

Dichiarazione Universale dei diritti umani.


Con rammarico esistenziale constato il quotidiano stillicidio della perdita dei “diritti”, o parte di essi, sia là dove ci vien detto che sono misure temporanee adottate per difendere i cittadini da pericoli e violenze, sia là dove più brutalmente nelle cosìddette democrature (ad es. Ungheria, Russia, USA con le sue muraglie infami). Nelle dittature vere e proprie, più o meno macherate (es. Turchia) o totalitarie (es. Corea del Nord) le nefandezze contro gli umani (che diritti non hanno o sono pochi e soltanto formali) sono esplicite. Oltre a questi accertamenti, verifico con indignato rammarico la scarsità, la pochezza, l'inerzia delle resistenze a queste violazioni dei diritti dell'umanità. Non mancano nemmeno disgustose e colpevoli giustificazioni e negazioni di questi miserabili attentati alla dignità dell'uomo.
A mo' di esempio ricordo soltanto un caso italiano: lo smantellamento dello Statuto dei lavoratori, che il benemerito e ostinato compagno socialista (di quelli veri, non craxiani) Giacomo Brodolini riuscì a far approvare anche dalla Democrazia Cristiana. Ricordo anche che il colpo di grazia allo Statuto è dovuto a mani sedicenti democratiche con l'abolizione dell'articolo 18. Esso è stato “dapprima modificato nel 2012 dalla riforma del lavoro Fornero, è stato abrogato il 29 agosto 2014, in seguito alla attuazione del Jobs Act da parte del governo Renzi, attraverso l'emanazione di diversi provvedimenti legislativi varati tra il 2014 e il 2015”. Incredibile dictu! Nemmeno il tatticismo del peggior Togliatti avrebbe osato tanto! Già, però solo l'odierno Partito Democratico è stato scalato e lo è tuttora (Calenda, sul piano nazionale) da avventurieri della politica: e gli iscritti e gli elettori – mi dispiace dirlo – sono stati complici in buona parte, e tuttora lo sono perché niente fanno per ripristinare l'articolo 18 e in generale la riproposizione dei principi fondanti il socialismo e la prassi del vero solidarismo cattolico. .
Forse c'è poco da aspettarsi, certo ci vogliono risposte forti, severe, decise. Certo è che questo declino di civiltà è dovuto in gran parte alla mancanza di reazioni proporzionate alle offese. Queste mancanze dipendono prevalentemente da ignoranza, la quale dilaga là dove non c'è memoria storica. Perciò con lo scopo di contribuire a suscitare, stimolare il recupero di memoria riproduco in questo blog la Dichiarazione dei Diritti dell'Umanità approvata settantuno anni fa quando l' Organizzazione delle Nazioni Unite (O.N.U.) contava poche decine di Stati indipendenti più o meno democratici che avevano 
sconfitto i nazifascisti. Alcuni, come l'URSS coi satelliti Bielorussia e Ucraina, predicavano bene e razzolavano male. Dunque, “il 10 dicembre 1948, a Parigi, l'Assemblea generale delle Nazioni Unite approvò la Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo. Si astennero: il Sudafrica, a causa dell'apartheid, che la Dichiarazione condannava di fatto; l'Arabia saudita analogamente, a causa della parità uomo-donna; l'Unione sovietica (Russia, Ucraina, Bielorussia), la Polonia, La Cecoslovacchia e la Jugoslavia, perché ritenevano che la Dichiarazione non entrasse a sufficienza nel merito dei diritti economici e sociali e della questione dei diritti delle minoranze; da notare che la Russia si oppose alla proposta australiana di creare una Corte Internazionale dei Diritti dell'Uomo incaricata di esaminare le petizioni indirizzate alle Nazioni Unite; ricordiamo che l'art. 8 della Dichiarazione introduce il principio del ricorso individuale contro uno Stato in caso di violazione dei diritti fondamentali, principio che in Europa avrebbe visto applicazione nel 1998, con l'istituzione di una Corte Europea dei Diritti dell'Uomo permanente che garantisce tale diritto di ricorso a circa 500 milioni di europei”.
Questa Dichiarazione è tuttora vigente ma largamente disattesa da tantissime Nazioni, in analogia alla nostra povera Costituzione che ha molti – e non secondari – articoli completamente ignorati, senza leggi applicative di sorta. Solo per fare un esempio, l'articolo 14 della Dichiarazione dichiara: “Ogni cittadino ha il diritto di cercare e di godere in altri paesi asilo alle persecuzioni..”. Leggere oggi queste parole sembra una beffa, visto che straripano oscenità identitarie e sovraniste, però esse sono largamente ignorate dai governi che agitano le acque per approdare a spiagge autoritarie, non democratiche.
L' O.N.U. è ormai, e da tempo, un organo moribondo, tacciato persino da evangelici (come possano definirsi tali non riesco a capirlo) come strumento del demonio. Invece quell'organo sovranazionale, insieme all'Unione Europea (che non si trova in situazione migliore perché sequestrata da interessi distanti dalle popolazioni) devono essere salvati, riformati, perché c'è ancora un margine di possibilità positiva perché non solo sopravvivano ma divengano sia punto di riferimento sia garanzia per l'Umanità, cioè la specie intesa nella sua totalità, possa vivere dovunque con diritti e doveri che ne garantiscono lo sviluppo dignitoso in ogni luogo di questo piccolo pianeta, l'unico abitabile.

F.R. (1 gennaio 2019)