Carlo e Licia

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lunedì 22 giugno 2020

Arte Moderna in Italia 1915-1935 - Testi dei Critici, 14. RAFFAELINO DE GRADA, I (BOLDINI, ANDREOTTI).



Post Precedenti:

1. RAFFAELE MONTI ( I ) - 16 giugno 2018
2. IDA CARDELLINI (LORENZO VIANI) - 28  settembre 2018 
3. UMBRO APOLLONIO (NATHAN, BIROLLI) - 19 settembre 2019
4. MARCELLO AZZOLINI (GUERRINI, CHIARINI, VESPIGNANI). 6 ottobre 2019
5/I. FORTUNATO BELLONZI (BOCCHI, D'ANTINO). 12 novembre 2019
5/II. FORTUNATO BELLONZI (MORBIDUCCI, SAETTI). 28 dicembre 2019
6. ALDO BERTINI (CREMONA, MAUGHAM C., PAULUCCI). 22 gennaio 2020.
7. ANNA BOVERO (BOSWELL, CHESSA, GALANTE). 5 febbraio 2020.
8. SILVIO BRANZI (SCOPINICH, BALDESSARI, NOVATI, SPRINGOLO, RAVENNA, KOROMPAY, ZANINI). 23 febbraio 2020.
9. GIOVANNI CARANDENTE (COMINETTI, MARINI). 4 marzo 2020.
10. ITALO CREMONA (REVIGLIONE). 7 maggio 2020.
11. ENRICO CRISPOLTI, I (BALLA, EVOLA, ALIMANDI, BENEDETTA). 2 aprile 2020.
12. ENRICO CRISPOLTI, II (COSTA, DIULGHEROFF, DOTTORI, FILLIA). 6 aprile 2020.
13. ENRICO CRISPOLTI, III (ORIANI, PANNAGGI, PRAMPOLINI, MINO ROSSO), 10 aprile 2020.



Nato nel 1916 a Zurigo (dove il padre Raffaele, pittore, risiedeva dal 1897) Raffaellino – così chiamato per distinguerlo dal genitore – o Raffaele jr. divenne precocemente critico d'arte (1935) e quindi dal 1938 milanese, dove fu risoluto attivista politico (tanto da essere arrestato più volte e scontare 15 mesi di reclusione) e operoso nel gruppo di intellettuali vicini al gruppo di artisti e alla rivista “Corrente”. L'importante nucleo fu uno dei pochi centri ostili al regime fascista. Divenuto comunista fu redattore de “L'Unità” clandestina (1944), quindi partigiano combattente in Lombardia e in Toscana.
Se non incontrò prima della guerra Ragghianti (agitatore e organizzatore clandestino, amico e compagno di molti degli esponenti di “Corrente”), De Grada quale esponente del Fronte della Gioventù lo conosceva certamente durante la Liberazione di Firenze. Lo dimostra il suo biglietto autografo indirizzato a R. presidente del C.T.L.N., che riproduco:






Su questo documento Ragghianti firma la scritta “non ne sa nulla?”, domanda rivolta a qualche collaboratore per appurare perché De Grada ignorasse la ragione dell'assegnazione del “villino” (sequestrato a qualche noto repubblichino rifugiatosi al Nord). Probabilmente l'edificio era stato assegnato a un ufficio del cooperante comando britannico. Comunque è certo che in quelle caotiche ed eroiche circostanze si potessero verificare disguidi.
Il 5 luglio 1945 De Grada rivolge la lettera (che qui viene riprodotta in allegato) a C.L.R., sottosegretario di Stato alle BB.AA., circa la situazione della Biennale di Venezia. Si notino in calce i saluti di Afro Basaldella, giovane pittore già noto e inserito negli ingranaggi della politica culturale. Riporto anche la risposta di Ragghianti, uno dei primi documenti attestanti il suo continuativo interesse per l'autonomia dell'Ente, sistematicamente invece strutturato al servizio di parte dalla DC ai democratici attuali, per tacere dei berluscheri e dei craxisti. Si veda, quindi, il documento del 29 settembre 1960 che R. invia al neodeputato De Grada in relazione alla situazione della Biennale.
Buoni i rapporti tra R. e De Grada, perduranti fino al catastrofico 1948 (salvo la parentesi unilaterale derivante da un curioso accadimento che implicava la affranta famiglia di Luigi Russo, italianista illustre, probabilmente in seguito risolto dall' “utilidiotismo” del tonante Luigione – per la stazza; non a caso chiamato “Gigione” – , secondo solo a Bruno Zevi nell'affermarsi con voce stentorea (vedasi lettera di R. a Fernanda Wittgens del 24 aprile 1946, nell'Archivio di Lucca, che non riproduco dati i fatti familiari contenuti).
De Grada divenne persino funzionario del PCI e nel 1958 deputato. Nel campo della critica d'arte militante e del potere egemonico del partito Comunista nel campo artistico, egli si affermò tra i massimi “cacicchi” nazionali insieme a Mario De Micheli e ad Antonello Trombadori. Freddi i rapporti con C.L.R. fino al 1960, quando il PCI ebbe bisogno della legittimazione, in funzione antitambroniana e fasciodemocristiana, degli uomini e della cultura democratica e socialista (non socialdemocratica, per carità: il PSDI – salvo Saragat, e pochi altri dirigenti di vertice – era militato e votato da opportunisti e monarcoidi, nel migliore dei casi). Nel 1953, durante le vacanze di Pasqua vicino a Vittorio Apuana nella casa-pensione del colonnello Gallian (anziano ufficiale il cui momento di gloria fu organizzare a 
Reggio Calabria un importante ballo in onore dei militari intervenuti lì ed a Messina in seguito al devastante terremoto del 1908), quindi prima delle elezioni della Legge Truffa, passeggiando nel viale interno tra il Forte dei Marmi e Vittoria, incontrammo nel buio delle ore 19 De Grada con la consorte di allora. Lo conobbi così, durante un breve imbarazzato scambio di saluti e banalità; il critico milanese mi parve molto a disagio, mentre il babbo e la mamma erano serafici, forse un po' rattristati.
Il 30 dicembre 1966, De Grada inviò personalmente a C.L.R., “a puro titolo simbolico di augurio”, ” £ 10.000 per il Comitato per l'Alluvione di Firenze, ideato da C.L. Ragghianti una cinquantina di giorni prima.
In primavera De Grada era stato incaricato di scrivere le schede degli artisti qui di seguito illustrati ed anche a fare parte del Comitato (in quanto rappresentante “ufficiale del PCI, presumo), risultando meno assertivo ed ingombrante dei suoi colleghi di partito in analoghe circostanze.
Nel 1972 presenta alla Galleria La Loggetta Leonardesca dell'Accademia di Ravenna (di cui De Grada era Direttore) il Gibbo di Tono Zancanaro nell'edizione sesquipedale realizzata da Paolo Mazzotti con testo critico di C.L.R. e catalogo a c. di Francesco Ragghianti. Seguì pantagruelica abuffata con Tono in ciampanelle, mio padre stanco ed io preoccupato per la guida del ritorno in auto a Firenze a notte alta (però sobrio, con rammarico però). Nel 1975 in occasione di un fantomatico (credo) convegno caravaggesco De Grada riceve un biglietto di Carlo L. Ragghianti (scritto dopo una prima versione cancellata con una ics in rosso, anch'essa riprodotta in allegato) che lo informa del proprio studio su Caravaggio in fieri. Il 3 ottobre 1980 C.L.R. chiede a De Grada la documentazione della sua attività parlamentare riguardante i rapporti tra Galleria Nazionale d'Arte moderna di Roma e Galleria Malborough della stessa città. Questa richiesta si riferisce alla linea di difesa di Ragghianti querelato da Argan. Dell'ampia documentazione allestita all'uopo fa parte anche un voluminoso fascicolo redatto con la collaborazione di Simone Viani, che intendo postare su questo blog.
Raffaellino De Grada l' 8 aprile 1981 comunica a R: “a te e a Licia tutto il mio affetto, la mia solidarietà , la mia vecchia ammirazione per la tua opera che continua”. A queste affettuose parole mio padre risponde con la seguente missiva del 12 aprile 1981:



Sincero anche il telegramma con cui il critico milanese partecipa al lutto di Licia Collobi e dei suoi figli: “Esprimo a te e ai tuoi figli mio grande dolore per scomparsa caro amico et maestro compagno di lotta indimenticabile Carlo Ludovico”.
Come già accennato in precedenza, De Grada è stato uno degli interpreti orientatori più ortodossi della linea del PCI, con un atteggiamento e comportamento di stampo “leninista”, analogo a quello riscontrato in molti altri artisti e critici (salvo l'anarcoide Tono Zancanaro, comunque consenziente beneficiario dei vantaggi relativi al “culto” della personalità): vale a dire vivere serenamente e coscientemente i privilegi perché – leninisticamente, appunto – dovuti a chi orientava ed educava le masse. 
L'attività di De Grada nel PCI cessò intorno alla metà degli anni Settanta perché – con coerenza ideologica che gli fa onore – non condividendo il “compromesso storico” continuò in Democrazia Proletaria una militanza fortemente connotata ed impegnata. Questa crisi fu dovuta anche alla delusione, al fastidio ed al ripudio di prassi e costumi “sessantottini”, come egli ricorda in una intervista a “Arte” (aprile 1987):

Circa l'esercizio della critica d'arte, De Grada – nella stessa intervista a Silvia Giacomoni, compagna di Giorgio Bocca – con onestà intellettuale rileva che:



Circa i critici, inoltre, dichiara verità piuttosto pesanti, 
considerando la consueta inossidabile “massoneria degli addetti ai lavori:
Tutto sommato di Raffaellino De Grada si può affermare che è stato un intellettuale vittima, come troppi (tanti comunque da rendere impossibile una rivoluzione laica e socialista in Italia) traditi dal conservatorismo clericale del PCI, verificatosi – non a caso – quando la situazione internazionale ha infranto lo specchio truccato del leninismo-stalinismo. A differenza di molti però la penna di 
De Grada critico è stata più coerente alla cultura che alla propaganda. Inoltre dopo il fallimento dell'URSS non ha partecipato all'osceno “liberi tutti”, che ha mostrato un'infinità di casi di squallido opportunismo nel mondo di quella parte politica che si faceva chiamare sinistra.
F.R. (15 maggio 2020)





Di Giovanni Boldini colpisce l'eccezionale talento, nonché il superlativo ductus pittorico, il quale discende sì da illustri predecessori, però si manifesta così connaturato e spontaneo da renderlo straordinariamentequando non in anticipo sui tempi almeno consentaneo in maniera originale ai contemporanei più estrosi quali i futuristi.
Artista pienamente ottocentesco (nato nel 1842), Boldini è indubbiamente anche valido interprete dei primi decenni del Novecento.
A questo proposito debbo rilevare di non essere riuscito nella mia fototeca a trovare illustrazioni a colori degli anni dal 1915 e seguenti degne di riproduzione. Di conseguenzae ne chiedo scusanon è qui illustrato degnamente proprio il periodo cruciale. Considerando, inoltre, il fatto che la sezione di artisti affidati alla presentazione di Raffaellino De Grada è tale da risultare complessivamente piuttosto sovraesposta rispetto ad altre, ho deciso di estrapolare da questo contesto gli scritti di Carlo L. Ragghianti riguardanti Giovanni Boldini. Essi saranno 
oggetto di un apposito post. Non riproducendo il saggio di C.L. Ragghianti, dall'edizione Rizzoli dei “Classici dell'Arte”, riprendo l' Itinerario di una avventura critica curato a suo tempo (1970) da Ettore Camesasca, cui sono ancora grato per avermi offerto di andare a lavorare a Milano. Oggi ribadisco che oltre ai motivi detti nell' Appendice 1969 del post del 18 gennaio 2019 (su Grünewald) mi preservarono anche gli esiti desolanti di amici e conoscenti che avevano tentato la “grande” avventura.
Non ho resistito a non riprendere l'intervista (1925) che a Boldini fece Filippo De Pisis, rivelandomi di essere scrittore oltre che poeta, come saputo e storicizzato. Ignoro infine se Boldini – buon amico di Degas – avesse avuto rapporti con Henri Toulouse-Lautrec. Vedendo l'ill. n. 1 (La serviette) comunque direi che entrambi non erano restii a valorizzare anche gli aspetti reconditi dell'intimità femminile.

F.R. (18 maggio 2020)



Come scrive Ornella Casazza (1993), dopo aver ricordato l'ammirazione nei confrnti di Libero Andreotti nella Firenze fine anni Venti inizio anni Trenta da parte di Eugenio Montale (“Di tutti era il migliore, in ogni senso”), facendo ella notare che si deve alla “grinta recuperatrice” di Raffaele Monti la ripresa di attenzione critica positiva dei “momenti più significativi della sua opera e della sua portata storica che gli concessero senza ombra di dubbio il ruolo di protagonista nella vicenda storica del primo Novecento”.
Ne consegue – direi – che non c'è modo migliore di occuparsi ancor oggi di Libero Andreotti che riferirsi agli studi di Monti. Nella nostra fattispecie riportando quindi a seguire il saggio che Lele pubblicò nel Catalogo della Mostra (1993) nel castello di Mesola, dove si possono riscontrare anche gli altri contributi di questo autore elencati nella diffusa Bibliografia che conclude il volume. La pubblicazione contiene inoltre uno scritto di Vittorio Sgarbi e il citato breve saggio di Ornella Casazza L'inarrestabile riemergere di uno dei pionieri dell'arte moderna, nonché una ampia sezione di sculture riprodotte ottimamente in bianco/nero. Rilevo soltanto (non per acribia ma perché ne ho un fresco ricordo) che nella diffusa bibliografia nell'anno 1940 manca il libro Vita d'artista, affettuosa biografia dedicata all'amico scultore da Enrico Sacchetti.



Anche in vita la fortuna critica di Andreotti (che personalmente scopersi soltanto durante la Mostra Arte Moderna in Italia 1915-1935, giacché in precedenza quel cognome mi indisponeva per pregiudizio politico) è stata altalenante tanto da far scrivere in “Toscana qui” (n.3, 1993, p. 60) a Gianni Pozzi:


Oltre a sottolineare l'andamento ondulatorio della sua celebrità, di Andreotti occorre ricordare le tristi vicissitudini dei suoi gessi che finalmente approdarono e furono esposti nell'affollata ma conturbante Gipsoteca dedicatagli dalla città natale: Pescia.
Il contributo di Carlo L. Ragghianti – che vedo sempre citato in positivo –sull'opera di Andreotti è stato prevalentemente socratico (cioè orale, e durante lezioni, seminari ecc.), per il resto è stato erratico, nel senso che l'operato dell'artista è citato nei suoi scritti circoscritto a richiamo e al massimo espresso in poche righe, come – ad es. – nel 1939 nel saggio La III quadriennale d'arte italiana (“La Critica d'Arte”, IV, 1, XIX, gen.-mar., p. 4)  
dove lo studioso scrive: “Quanto all'Andreotti, per esempio, queste forme di stilismo egualitario e corsivo furono una presenza quasi perenne nella sua scultura”.
Forse non guasta riportare i seguenti due stralci dalla autopresentazione dell'artista al volumetto Libero Andreotti, Hoepli, Milano 1926, a dimostrazione della sua sensibilità personale e della responsabilità culturale che provava.
Va ricordato, infine, che Libero Andreotti fu Maestro assiduo e presente ed ebbe allievi molto dotati quali Bruno Innocenti e Antonio Berti, nonché altri come Delio Granchi e Giannetto Mannucci.

F.R. (20 maggio 2020)


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