Carlo e Licia

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venerdì 19 luglio 2019

Le mostre d'arte antica e moderna della città di Firenze, 2.

Nell'eccellente volume “Mostre permanenti”. Carlo Ludovico Ragghianti in un secolo di esposizioni a cura di Silvia Massa ed Elena Pontelli (libro importante e di mole cospicua del quale in questo blog sarà data ampia notizia), edito dalla Fondazione Centro Studi Ragghianti di Lucca, l'ottavo capitolo (pp. 101-114) dà sintetico ragguaglio di un progetto di R. naufragato. Le cause furono molteplici: alcune tipicamente firenzine, cioè proprie di un luogo dove la prima motivazione di molti, moltissimi è cercare di impedire ogni altrui iniziativa, soprattutto se sensata. Ci sono poi motivi contingenti quali resistenze corporative degli artisti Fiorinisti, e altre scontate riserve aprioristiche, ma soprattutto il determinante cambio di Sindaco. Dall'eccellente, indipendente, duttile e pragmatico, fattivo Mario Fabiani (del quale ho bellissimi ricordi) la città si era consegnata nelle mani del “santo” La Pira e, per quel che riguarda la cultura artistica, del retrivo (ma simpaticone, se voleva) e modesto Piero Bargellini, epigono del firenzismo più borné: fece togliere tutti i pubblici vespasiani. Evidentemente i clericali non soffrono di prostata! Di questa mostra “rapita” (come la definì C.L.R. tramite lo pseudonimo Lorenzo Ferro) l'autore del progetto accenna anche nel post 
precedente (v. 16 luglio 2019) a p. 77 e negli ultimi paragrafi dell'articolo dove così si esprime: “... conclude un ciclo di opere (la mostra “rapita”) che non spetta certo a chi scrive di valutare, ma che ritengo obiettivo considerare come un moderno e concreto sviluppo di attività e di esigenze, che il carattere della vita e della cultura moderna rendono, come si vede sempre meglio, un problema attuale e, quel che più conta, valido non soltanto agli effetti spirituali.”
In conclusione, dell'arte allora contemporanea viene sottolineata l'attività che viene ricordata attraverso la mostra di pittura italiana in Germania, da Monaco di Baviera, ad Amburgo, e in altri luoghi fino a Berlino Ovest, allora assediata dai sovietici.
In questo post, dopo l'articolo di Lorenzo Ferro alias R., non so dove e se pubblicato, concluso in due varianti, probabilmente per dare all'amico Sindaco uscente di scegliere quella ritenuta più opportuna, seguono alcuni documenti riguardanti il progetto espositivo. L'Appunto al Sindaco del 12 ottobre 1950 chiarisce che nel proporre una mostra Biennale d'arte italiana contemporanea a Firenze non c'è nessun intento di concorrenza con la Biennale di Venezia, la quale non si dichiara contraria alla iniziativa fiorentina.  


Seguono le due pagine del Comunicato n. 1 delle Annuali d'arte antica e moderna. Riporto infine l'articolo pungente di Polignoto (pseudonimo di Leonardo Borgese su “L'Europeo”) datato 18 febbraio  
1951. Questa mostra “rapita” era in questo blog ricordata anche da Renzo Federici con la consueta acidità) nell'articolo pubblicato nei Necrologi,2 riguardanti Carlo L. Ragghianti nei termini seguenti:


L'occasione fu il progetto, avanzato nella seconda metà del '50, di una grande mostra nazionale di arte contemporanea, da tenersi l'anno successivo, una sorta di bilancio delle forze più vive del Paese post-liberazione, cominciando dai Grandi Vecchi, allora ancora ben vegeti, via via fino ai giovani, senza preclusione di tendenze naturalmente, ma grande attenzione portata alla qualità. Di “Biennale di Firenze” parlarono subito i giornali: “ Se quella mostra si fosse fatta il seguito dell'arte italiana sarebbe stato ben diverso”, mi confessò una volta con rimpianto, molti anni dopo, Giuseppe Marchiori. Invece si scatenò un putiferio, nonostante la somma autorevolezza del Comitato critico: di locali inferociti, di amministratori, critici, galleristi, forse partiti preoccupati delle elezioni ormai alle porte. Nella bufera si trovarono soprattutto il sindaco comunista di allora, Mario Fabiani, e naturalmente Ragghianti, il più esposto di tutti. Alla fine fu il prefetto 
che proibì la mostra “per ragioni di ordine pubblico”! (e la mostra era ancora allo stato di progetto). Certamente C.L.R. non fu soddisfatto di questo esito, però nel suo consueto realismo – che non gli impediva, anzi, di battersi consapevolmente per cause perse per motivi oggettivamente preminenti – non si peritò di sfidare quella seconda ventata di regresso reazionario politico, conseguente della prima manifestazione codina: il 18 aprile 1948, seconde elezioni politiche. Quindi solo col fare, coll'agire C.L.R. poteva manifestare la propria volontà etica di operare nella cultura in tutte le sedi opportune. Spargere semi che possono attecchire, o altrimenti essere scoperti e coltivati in un futuro migliore. Agire anche nell'insuccesso perché possano radicarsi e diffondersi i semi della critica e della ragione.
F.R. (2 giugno 2019)

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