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mercoledì 26 febbraio 2020

Arte italiana al 1960, 2. Scultura.



Anche questa seconda parte del saggio di C.L.R. costituisce la “recapitolazione visiva” con da un lato un punto fermo, dall'altro uno spartiacque dell'espressione visiva in Italia al 1960. Mentre il presente è affermato e illustrato quel tanto da poterlo ritenere storicizzato, quindi proposto come esemplare per l'analisi critica, il futuro – già in essere e più o meno già esplicito nei suoi protagonisti – invece è implicito che avrebbe in seguito ricevuto una attenzione spropositata da parte di certa critica militante, “drogando” l'esposizione mediatica prevalente in Italia.
Per il presente l'esperienza e il costante controllo critico degli accadimenti e delle realizzazioni artistiche è sicuro e coerente. Per le energie e le fantasie creatrici emergenti l' aspettativa è cauta. Ricordando i limiti dello specialismo “che ha un fondamento pratico evidente” e che “ha una faccia correlativa all'estetismo”, che “falsifica la comprensione” se lo si assume come unico valore, R. sottolinea limiti e insufficienze della storia dell'arte. Si intravede – ovunque – la tendenza verso fenomenologie sociologiche, la svalutazione della professionalità operativa –l'uso delle mani, per dirla grossolanamente – meno determinante e necessaria delle idee astratte (spesso prive di creatività ed emotività) nelle singole opere. L'analisi critica è spostata vieppiù verso rimasticature ideologiche, con casi estremi che lasciano veramente perplessi.
Corsi e ricorsi, più o meno come sempre. Sta di fatto, però, che la stocastica storica non ha espresso nella seconda parte del XX secolo fenomeni scultorei all'altezza di quelli della prima parte del secolo. Un Brancusi, un Wotruba, un Arturo Martini, tanto per fare qualche esempio di artisti di inevitabile riferimento e confronto per i colleghi e per i critici, non si sono manifestati. 
Si è creato così una sorta di “buco nero” inibitore di originalità prorompente. Sarebbe quindi indecoroso sostenere che un nullatenente culturale come Jeff Koons – e altri fenomeni più o meno sgradevoli di furbizia e di sopraffazione mercantile – possono essere considerati artisti di levatura storica, provvisti di una creatività atta a sfidare i secoli successivi. In questi personaggi di forse grande effetto mediatico ma espressivamente irrisori, l'operato non può che dare, in seguito a riflessione critica e storica, l'impressione che ci prendano per il bavero.
F.R. (10 gennaio 2020)




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