La
scultura di Auguste Rodin (1840-1917) che rappresenta Il pensatore
è stata un'opera veramente
celebre, emblematica di un'epoca, e però ancor presente e radicata
nella memoria collettiva – anche con derivazioni umoristiche
discutibili – negli anni Sessanta e seguenti.
Per
Licia Collobi Ragghianti essersene occupata (“Critica d'Arte”, IV
s., gen-mar. 1987, pp. 25-27) rappresenta una inconsueta incursione
su di un artista che di solito sulla rivista è stato indagato da
Carlo L. Ragghianti, il quale però – stante almeno alla
Bibliografia degli scritti –
risulta essersi occupato di Rodin per l'ultima volta nel 1964
nell'articolo Medardo Rosso e la fama di Rodin (“La
Stampa”, Torino, 3 gennaio), che abbiamo ripubblicato nel post del
25 ottobre 2018 intitolato allo scultore italiano.
Come
allora redattore della rivista posso testimoniare che mia madre
scrisse questo breve intervento (e altri studi) mentre mio padre
stava già tanto male da dover essere ricoverato nella clinica di
Montecatini Alto (gestita dal suo carissimo partigiano ed amico
Tiziano Palandri) dove rimase per alcuni mesi, per poi defungere,
tornato a casa da poco più di un mese. Ciò per sottolineare che
Licia Collobi – cui incombevano fra l'altro entrambe le cateratte –
contemporaneamente accudiva a casa e famiglia, nonché all'ultimo suo
impegnativo e importante libro Dipinti fiamminghi in Italia
(1420-1570) e ad altri studi.
Si trovava quindi in una eccezionale ed estrema situazione di stress,
al quale riusciva a reagire lavorando intellettualmente con i suoi
ritmi abituali, cioè di grande operatività.
F.R.
(20 gennaio 2020)
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