Il
giudizio storico e le sue implicazioni morali.
Infilato
in altro contesto, ritrovo il saggio di Raffaello Franchini
(1920-1990) e la breve mia nota del 2017 che avevo intenzione di
premettergli. Siccome mi sembra che non siano mutate le condizioni
per cui decisi di postare il contributo – che analizza una
concettualità inevitabile per chi voglia cercare di vivere pensando
nel presente per il futuro – lo pubblico nel nostro blog, il quale
cerca anche di sostenere l'intelletto aggredito da tante aberrazioni
culturali diffuse in tutti i mezzi di comunicazione.
Questo
sintetico ma esauriente saggio di Franchini (da “Criterio”, III,
n. 2, estate 1985) è una lettura che può risultare faticosa,
specialmente per chi – come lo scrivente – non pensa nel
quotidiano in termini sempre appropriati, “filosofici”. Ma
Franchini è scrittore chiarificante, non semplificante certo, e
rende i concetti che esprime il più accessibili possibile per i non
“addetti ai lavori”: quindi comprensibili.
Essere
in grado di affrontare il più lucidamente possibile il “giudizio
storico” è essenziale per poter capire i propri tempi (e questi
odierni sono davvero “tremendi” e barometricamente tempestosi).
Ciò non solo traendone le “implicazioni morali” in sé ma
soprattutto per poter partecipare al proprio dovere verso se stessi,
verso i propri cari, verso gli “altri” per opporsi e utinam
contrastare e debellare i propalatori della dissoluzione morale e
materiale di una civiltà senza dubbio imperfetta ma indispensabile
per la sopravvivenza della specie.
L'ineluttabile
necessità di “pensiero e azione”, cioè di capire e individuare
i veleni mentali e batterli, estirparli viene espressa lucidamente
specialmente dalla fine di p. 89 dello scritto (1985) di Raffaello
Franchini, filosofo napoletano vecchio e sincero amico di C.L.
Ragghianti, di cui questo blog intende pubblicare altri documenti.
F.R. (2017 e 30 dicembre 2019)
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