Carlo e Licia

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martedì 28 dicembre 2021

Pisa e Carlo Ludovico Ragghianti.

 UNA PRIMA DOCUMENTAZIONE STOCASTICA.

Non mi pare che sia stato notato che Carlo L. Ragghianti ha vissuto concretamente per almeno otto anni – scaglionati nel tempo – nella città di Pisa. Quattro, e forse qualche mese in più, sono stati gli importanti anni di studio all'Università e alla Scuola Normale Superiore e poi di volontariato in attesa della nomina di Assistente, respinta perché antifascista. Altrettanto tempo complessivamente C.L.R. lo ha trascorso quale professore di ruolo, dopo il Concorso vinto nel 1949. Egli, infatti, come si potrà riscontrare nella lettera inviata a Franco Russoli (di seguito qui riprodotta), soggiornò in Pisa da due a tre giorni consecutivi la settimana per l'esercizio dell'insegnamento ordinario.

Tenendo conto che i primi suoi sedici anni mio padre li ha passati a Lucca in famiglia; che cinque o sei li ha vissuti a Roma prima e subito dopo la guerra; che sei anni li ha vissuti tra Bologna, Londra, Modena; e che i rimanenti 41 anni li ha trascorsi con la sua famiglia a Firenze, la presenza in Pisa è stata ragguardevole e impegnativa nella sua esistenza sia per durata che per intensità di attività e di presenza sociale.

Alla quantità di anni famigliari in Firenze bisogna toglierne qualcuno per assenze ulteriori quali la conseguenza della Presidenza dell'ADESSPI con 2/3 dì alla settimana passati a Roma nei primi anni Sessanta. Tutti i non rari viaggi a Venezia, Milano e altre località vanno calcolati come sottratti alla vita familiare e alle attività svolte a Firenze. Mentre le vacanze estive non vanno considerate perché vissute in famiglia. Nemmeno i quasi cinque mesi di degenza a Montecatini Alto perché essi furono confortati dalla accessione quotidiana di almeno uno di noi quattro figli. La moglie Licia non poté andarlo a trovare perché impedita da terapia intensiva, rottura del femore e calo totale di cateratte.

Queste cronologie mi sono venute in mente in seguito al ritrovamento di un dossier d'archivio intitolato “Pisa” infilatosi in altro incartamento di tutt'altro argomento. Il conseguente computo temporale è approssimativo ma attendibile. Ne consegue l'impressionante dato della ridotta presenza in famiglia, da quando essa fu costituita nell'autunno del 1938.

Oltretutto vanno anche considerate altre assenze dal domicilio famigliare: per primi i due forzati soggiorni (1942 e 1943) nelle patrie galere per motivi politici, presunti, perché non provati dal Tribunale Speciale. Reali però, stante l'attività cospiratoria e organizzativa intensa e di alta qualificazione anti regime esplicate incessantemente dal 1935/36 al 25 luglio 1943, con responsabilità cospirative crescenti in cinque regioni del Paese.

Riguardo alla città di Pisa non intendo relazionare in analogia a quanto fece C.L.R. stesso per la dedizione alla città di Firenze (vedasi Un residente per Firenze, 1929-1986 in “SeleArte”, n.20, 1994, pp.6-17; riprodotto in questo blog il 9 novembre 2017).

Circa l'intero insieme dei soggiorni pisani, riporterò in questo post soltanto i casi contenuti nella citata cartellina. Sono marginali ma significativi, con una documentazione esemplare contenuta, sufficiente, che può essere integrata dalle carte conservate nell'Archivio Ragghianti di Lucca. Ricordo per primo il caso della progettazione e realizzazione del nuovo Istituto di storia dell'Arte dell'Università, attività “enorme” durata molti anni, nella quale R. fu coadiuvato da Luporini, Cardellini, i primi assistenti ereditati da Marangoni e altri. Un carteggio importante negli Archivi dell'Istituto (si spera), di cui a Lucca sono presenti soltanto tracce episodiche. Sempre a Pisa dovrebbero trovarsi altre pratiche ed iniziative con notevoli documentazioni (le Esposizioni, ad es.) oltre ad altre realizzazione che conosco poco e di cui non ho documentazione significativa (soprattutto le Scuole speciali, tanto apprezzate da Federico Zeri che ne fu docente). Di notevole importanza, poi, la collezione Timpanaro, che fu molto ampliata e che adesso credo non graviti più intorno all'Istituto. Poi le collane di libri e cataloghi, ecc. ovviamente. Ignoro il sussistere delle documentazioni delle attività didattiche e scientifiche di mio padre e a lui collegate (registrazioni audio e trascrizioni di lezioni, ad es., così dei seminari) e tutto ciò che non è accessibile agli estranei (famigliari compresi) per norme stabilite dall'Ateneo. Ricordo che, dopo aver accompagnato C.L.R. all'Istituto di Firenze, non ho mai potuto assistere a lezioni, seppur defilato, perché non ero auditore registrato e pagante.

Il dettaglio cronologico di questa rassegna di documenti inerenti C.L.R. a Pisa si apre con la lettera del 9 febbraio 1956 inviata a Enzo Carli, nella quale mio padre perora l'insistente richiesta del pittore Giuseppe Viviani, l'artista più prestigioso e creativo e detestato operante nella città in quegli anni. Questa lettera è stata trascritta perché il dattiloscritto è leggibile con difficoltà.

Trovo che il contenuto rappresenti un esempio della bonarietà di C.L.R., il quale sosteneva criticamente anche comportamenti inusuali purché autentici e significativi. Non si tratta dell'andazzo allor corrente della “sacralità dell'artista” promossa dal PCI nei confronti dei “Maestri” collaborazionisti, bensì il riconoscimento dell'umana complessità che porta un creatore a “bloccarsi” per situazioni comunemente considerate marginali, talora isteriche, ma in realtà freno a ben più originali espressioni e alla creazione di “opere d'arte”.

Quattro anni dopo (1960) Ragghianti chiede al Ministro della Pubblica Istruzione (sen. Giuseppe Medici prima, poi sen. Giacinto Bosco) di essere nominato Direttore Onorario del Museo Nazionale di San Matteo a Pisa. Ciò certo non per vanagloria ma per poter così dirimere il “conflitto” tra il Museo e il confinante Istituto di Storia dell'Arte, il quale necessitava di spazi accatastati (e, ritengo, inutilizzati) al Museo per la propria progettata notevole espansione. In merito a questa vicenda R. il 15 giugno 1960 scrisse lettere sostanzialmente simili a Emilio Lavagnino, Giulio Carlo Argan e Bruno Malajoli (Direttore Generale BB.AA.) riscontrabili nell'Archivio della Fondazione di Lucca.

Sempre per motivi di difficoltosa leggibilità, la lettera del 14 febbraio 1961 di R. a Manara Valgimigli (1876-1965) è stata trascritta. L'illustre filologo classico e poeta, nato un anno prima di mio nonno, frequentando a Lucca gli studi liceali ne fu buon conoscente. Invece C.L.R. lo conobbe, grazie ad Augusto Mancini, nel 1928 incrociandolo nel trasferimento all'Università di Padova in seguito alle minacce di estremisti fascisti. Socialista dal 1888, Valgimigli è stato uno studioso fondamentale per la formazione di molti intellettuali italiani. Anche la mia generazione studiò su suoi libri e ebbe insegnanti suoi allievi, come Dino Pieraccioni, o amici suoi di vecchia data e miei come Tono Zancanaro, che ne era addirittura un esegeta non convenzionale. Come si evince dalla lettera C.L. Ragghianti gradì l'occasione di contribuire a risolvere un problema del Maestro.

Il 10 agosto 1966, C.L.R. scrive a Salvatore Pizzarello (1906-1969), pittore pisano amico fin dagli anni universitari (del quale si è trattato nel post su Fortunato Bellonzi del 28 dicembre 2019), aderendo al suo appello circa il Convento delle Benedettine di Pisa. La mozione per impedire lo sfacelo di un complesso storico come quello era giustificata perché “edificio singolare e significativo per cui è legittima e auspicabile … la tutela mediante notifica di monumento nazionale”.

E' del 30 maggio 1969 la lettera di C.L.R. a Franco Russoli (1923-1977) laureato con Marangoni poco prima della chiamata di R. all'Università di Pisa. Lo studioso, funzionario BB.AA. a Milano, aveva segnalato a R. un “disgustoso documento” diffamatorio circa il suo comportamento di docente e del modo di vivere nelle giornate trascorse a Pisa. Non si tratta soltanto di una spregevole denigrazione, si tocca un tasto importante per R. sostenitore indefesso – tra l'altro – dell'esempio come componente educativa, pedagogica nell'ambito scolastico, fondamentale nel suo ruolo di docente, cui teneva moltissimo, con orgoglio. Tanto che io ho, ad es., sempre sostenuto che R. si considerava in primis insegnante, attività ritenuta primaria e indispensabile. 

La risposta di C.L.R., serena, non risentita ma lesa nella propria dignità, dettaglia le “32 ore che dedico settimanalmente all'Università”. 

Le serate, passate per anni in Normale, poi nell'Albergo dei Cavalieri, posso testimoniare erano dedicate ai propri studi ed alla corrispondenza. Ovviamente manoscritta, ragion per cui – salvo eccezionali minute – non c'è traccia nell'Archivio di Lucca né in quello dell'Istituto, salvo inerenze dirette. Già, tutte le corrispondenze dall'Istituto, salvo alcune con aspetti personali trattenute in copia e ora in Archivio a Lucca, sono state conservate? Per gli altri interlocutori di queste missive notturne c'è solo da sperare che loro o i loro eredi non le abbiano disperse o distrutte.

Più corposo l'incartamento riguardante il Ponte Solferino sull'Arno. Ricostruito dopo la guerra, perché lesionato dai tedeschi, subito dopo l'alluvione del 4 novembre 1966, che devastò Firenze, il ponte crollò. Si manifestò la consueta disputa se ricostruire il ponte “com'era” oppure di indire un qualificante Concorso allo scopo di progettare un'opera originale, di valore estetico notevole, urbanisticamente adatta ai traffici in continuo aumento.

A tamburo battente C.L. Ragghianti, interpellato, rilasciò il 19 novembre 1966 una dichiarazione favorevole alla seconda ipotesi ricostruttiva, cioè di un ponte “che dia le migliori garanzie costruttive ed estetiche”. La soluzione auspicata da C.L.R. prevalse, però ci vollero tre anni solo per indire il concorso e, dopo la scelta del progetto, il ponte fu costruito tra il 1972 e il 1974.

Nel frattempo Ragghianti intervenne il 7 agosto 1967 con una lettera all'Ing. Lumini, Soprintendente ai Monumenti, nella quale esprimeva la propria preoccupazione. Riproduco, poi, un foglio di appunti presi durante la riunione del Comitato per la Ricostruzione tenuta nella sede della Soprintendenza il 26 febbraio 1968. Quindi è del 13 gennaio 1970 la lettera di C.L.R. al Sindaco di Pisa con la quale in tre pagine lo studioso invita a dar corso ai lavori necessari per la ricostruzione del ponte. Finalmente il 15 gennaio 1970, C.L.R. scrive al Soprintendente Lumini una lettera piuttosto decisa a causa dell'inattività dei lavori previsti, che infatti partiranno nel 1972.

Chiude questa rassegna, essenziale e stocastica, di documenti su Pisa riguardanti anche C.L. Ragghianti, la polemica per il restauro della Chiesa di San Zeno, condotto dal Soprintendente Ubaldo Lumini con criteri contestati dal predecessore Sanpaolesi.

In questo post non riproduco né l'articolo di Lumini – dal quale riporto qualche illustrazione – pubblicato in “Antichità Viva” (n.6, 1974) né il conseguente “libello” difensivo del Lumini (gen. 1975) pesantemente criticato dal Sanpaolesi. Stampo invece la lettera lietamente soddisfatta e grata di Lumini a C.L.R., nella quale il 22 settembre 1972 si invita lo studioso lucchese all'inaugurazione del restauro di San Zeno e alla conseguente mostra.

Questa pubblica manifestazione evidentemente scatenò l'ira dell'ex, esposta nel suo libro sulla Cattedrale e altre chiese pisane. Ubaldo Lumini come sopra detto risponde per le rime con l'articolo e poi con la lettera del 15 gennaio.

Riproduco l'importante ed illuminante missiva che il 24 luglio 1975 C.L.R. indirizzò al povero Lumini, il quale – lo ricordo persino io, estraneo – aveva molto sofferto per via di quella situazione.

Come appendice, solo perché nell'incartamento e perché d'argomento locale e scritta in vernacolo pisano, riproduco “visita del Sindaco Niccolini a Sua Maestà a San Rossore”, versificazione manoscritta da Matteo Marangoni ma di autore ignoto.

Tra Ragghianti e Marangoni furono abbastanza consueti questi scambi di discendenza goliardica, così come l'ineffabile Enrico Vallecchi, un esperto vero e proprio del ramo. Mio padre, più giovane di una generazione, se ne divertiva e talora conservava (o trascriveva) questa “letteratura”. Gli altri due, inoltre, essendo di temperamento più socievole e “burlone” se ne dilettavano.

F.R. (1 novembre 2021)

















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