Carlo e Licia

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lunedì 16 agosto 2021

Arte Moderna in Italia 1915-1935 - Testi dei Critici, 31. GIACINTO NUDI. (RAFFAELE CASTELLO).

 


Post Precedenti:

1. RAFFAELE MONTI ( I ) - 16 giugno 2018
2. IDA CARDELLINI (LORENZO VIANI) - 28  settembre 2018 
3. UMBRO APOLLONIO (NATHAN, BIROLLI) - 19 settembre 2019
4. MARCELLO AZZOLINI (GUERRINI, CHIARINI, VESPIGNANI). 6 ottobre 2019
5/I. FORTUNATO BELLONZI (BOCCHI, D'ANTINO). 12 novembre 2019
5/II. FORTUNATO BELLONZI (MORBIDUCCI, SAETTI). 28 dicembre 2019
6. ALDO BERTINI (CREMONA, MAUGHAM C., PAULUCCI). 22 gennaio 2020.
7. ANNA BOVERO (BOSWELL, CHESSA, GALANTE). 5 febbraio 2020.
8. SILVIO BRANZI (SCOPINICH, BALDESSARI, NOVATI, SPRINGOLO, RAVENNA, KOROMPAY, ZANINI). 23 febbraio 2020.
9. GIOVANNI CARANDENTE (COMINETTI, MARINI). 4 marzo 2020.
10. ITALO CREMONA (REVIGLIONE). 7 maggio 2020.
11. ENRICO CRISPOLTI, I (BALLA, EVOLA, ALIMANDI, BENEDETTA). 2 aprile 2020.
12. ENRICO CRISPOLTI, II (COSTA, DIULGHEROFF, DOTTORI, FILLIA). 6 aprile 2020.
13. ENRICO CRISPOLTI, III (ORIANI, PANNAGGI, PRAMPOLINI, MINO ROSSO), 10 aprile 2020.
14. RAFFAELINO DE GRADA I (BOLDINI, ANDREOTTI). 22 giugno 2020.
15. RAFFAELINO DE GRADA II (BERNASCONI, CARPI, CARENA, FUNI). 6 luglio 2020.
16. ANTONIO DEL GUERCIO (MAZZACURATI, MENZIO, RICCI). 8 agosto 2020
17. TERESA FIORI (INNOCENTI). 1 settembre 2020.
18. CESARE GNUDI (FIORESI, PIZZIRANI, PROTTI). 2 ottobre 2020.
19. VIRGILIO GUZZI (MANCINI, CAVALLI, MONTANARINI, PIRANDELLO). 19 novembre 2020.
20. MARIO LEPORE (DEL BON, LILLONI). 21 dicembre 2020.
21. LICISCO MAGAGNATO (NARDI, PIGATO, FARINA, TRENTINI, ZAMBONI, BERALDINI, SEMEGHINI). 21 gennaio 2021.
22. CORRADO MALTESE (GERARDI). 4 marzo 2021.
23. FRANCO MANCINI (PANSINI, NOTTE, BRESCIANI, CRISCONIO, CIARDO, GATTO, VITI).  3 aprile 2021.
24. GIUSEPPE MARCHIORI, 1 (ROSSI, LICINI). 3 maggio 2021.
25. GIUSEPPE MARCHIORI, 2 (SEVERINI, SPAZZAPAN). 28 maggio 2021.
26. MICHELANGELO MASCIOTTA, 1 (LEGA, VENNA LANDSMANN, CALIGIANI, COLACICCHI). 7 giugno 2021.
27. MICHELANGELO MASCIOTTA, 2. (DE PISIS, PEYRON, LEVASTI, CAPOCCHINI). 18 giugno 2021.
28. GIAN LORENZO MELLINI. (VITTORINI, SALIETTI, SANI, DE JURCO, BUGIANI). 23 luglio 2021.
(I numeri 29 e 30 saranno prossimamente pubblicati).

Nato agli inizi degli anni Trenta, Giacinto Nudi ebbe un padre possessivo, fascista durante il regime, quindi dopo la guerra Intendente di Finanza a Livorno, il quale – ne ho sempre avuto l'impressione – condizionò l'esistenza del figlio con una presenza costante. Questo comportamento, a differenza del “gemello” di Giacinto, Raffaele Monti il quale, sia pur confusamente riuscì a distaccarsi completamente dal proprio ingombrante genitore.

Ancora da studente Nudi fu vicino a mio padre, scelto nel 1953 come docente per la laurea, il quale il 12 settembre 1958 scrisse a Riccardo Musatti riguardo alla progettata Mostra Storica del Disegno italiano di Architettura (vedasi “SeleArte”, IV serie, n.18, primavera 1993, pp. 35-54; e il post del 15 settembre 2017) e a proposito di Giacinto Nudi “... l'eventuale impiego del mio eccellente scolaro, aiuto ed amico”.

E via via così negli anni successivi Nudi fu uno dei più affezionati e presenti amici di tutta la nostra famiglia; mio in particolare per la relativa vicinanza di età e il sostegno, la guida dialettica della mia formazione.

Ancora nel 1969, Giacinto così scrive a C.L.R. “...la presenza di quanto lei ha fatto per me con affetto paterno in tanto tempo. Di questo e di quanto mi ha dato con il suo insegnamento desidero ringraziarla” nella lettera del 9 dicembre, che riproduco integralmente nella seguente breve documentazione. In essa si colloca anche la lettera dell'11 luglio 1970, che termina con “Deferenti e affettuosi saluti” (il primo aggettivo non è per piaggeria ma per residui di formalismo meridionale presenti in Giacinto da sempre, insieme all'ironia e al blando sarcasmo). 





Dopo la lettera “tecnica” – riguardante un eventuale conflitto di interessi, situazione allora considerata cosa seria – non per polemica, di mio padre del 21 settembre 1971 non c'è stata più notizia, traccia di Giacinto Nudi nei rapporti con C.L.R. né a Firenze, né a Pisa; né con me o altri amici fiorentini come Alfredo Righi, Nino Lo Vullo (il “Barone”; idolatrato da Giacinto per la sua signorilità formale ancorata al mondo di Proust).








e così sia.

F.R. (17 luglio 2021)



In merito alla suddetta lettera, io non ho informazioni circa la diceria circolante del conflitto di interessi. So per certo, però, che Giacinto già da anni era fraterno amico (anzi amicissimo) di Ferruccio Marchi e di sua moglie Alessandra Pandolfini (proprietari del CentroDi), tanto che Nudi abitava in un appartamento di loro proprietà, al piano sottostante casa loro, nello stesso stabile d'Oltrarno. Non so per certo ma lo credo con sicurezza che Giacinto non avrebbe mai commesso scorrettezze, né formali; né di tipo economico.

Ci sono state per R. delusioni e amarezze e qualche tensione con varie personalità: ad es. Antonello Trombadori e Ingrao; è vero anche con altri come Briganti o Bianchi Bandinelli. Però con questo secondo tipo di personaggi pesarono nella distanziazione più che la loro imprevedibile adesione politica, la loro partecipazione ad ambienti ambigui di intellettualità fondamentalmente elitaria e snobistica (talvolta moralmente riprovevole) non certo “comunista”.

Fatto sta che di Giacinto, quasi mezzo secolo dopo, ho scoperto casualmente su Internet la data di morte (2017) scovando un necrologio (l'unico!) di Antonio Pinelli, al quale mi associo, più per affettuosa sofferenza che per piena convinzione circa “l'inflessibile rigore” (definizione in contraddizione della sua volontaria inescusabile scomparsa dopo il 1971 dall'orizzonte di brave persone che gli volevano bene come noi Ragghianti). Ecco il testo del necrologio:






Raffaello Castello (1905-1969) è stato un personaggio singolare, insolito nel panorama della pittura italiana del Novecento per la formazione iniziata come allievo di Enrico Prampolini, poi per i suoi studi e le sue ricerche avvenuti all'estero (dalla Polonia alla Francia, dalla Germania allo Svizzera, soprattutto). Come artista figurativo la sua attività si è svolta quasi esclusivamente a Monaco di Baviera e a Capri, dove era nato.

E' stato uomo di mondo e a suo modo una sorta di precoce “latin lover”: ha avuto una relazione con Françoise Sagan, per esempio. Quando si è sposato – per amore – la simpatica e graziosa Beatrice aveva la metà dei suoi anni.

Della sua avventurosa biografia fino al 2006 si è saputo praticamente soltanto quando risultante dalla puntuale e dettagliata presentazione in Catalogo nel 1961 al Centro Culturale Olivetti di Ivrea scritta da Luigi Carluccio e da quanto ha scritto Giacinto Nudi nel catalogo Opera grafica da lui curato per l'Istituto di Storia dell'Arte dell'Università di Pisa nel 1965. A questa basilare tappa per la piena conoscenza dell'artista nel mese di ottobre dedicherò un apposito post, il quale conterrà anche una selezione di disegni di Castello non riprodotti nel catalogo o non esposti.

Nel 2006 il fratello minore di Castello, Giuseppe (con la collaborazione della moglie Laura di Biasio – pittrice e unica allieva di Raffaele – e del prof. Giovanni Mancino) ha realizzato l'imponente volume R.C. Maestro dell'astrattismo italiano ed europeo, Arte Tipografica, Napoli. Il libro contiene una dettagliata e preziosa ricostruzione delle vicissitudini di Raffaele Castello, ed è arricchito da un poderoso apparato illustrativo a colori di opere anche poco note o inedite.

In questa sede, però, l'attenzione critica e storica è focalizzata sul Catalogo R.C. Mostra dell'opera (1927-1960), con saggio di Carlo L. Ragghianti, tenutasi presso La Strozzina di Firenze dal 25 maggio al 12 giugno 1960. Questo saggio è fondamentale per la conoscenza e la considerazione poi data all'artista in Italia, dove era fin'allora praticamente ignorato o molto sottostimato, come si rileva anche dalla scheda n.78 del volume “Mostre permanenti” C.L.R. in un secolo di esposizioni (pp. 225,226; edito da Fondazione Centro Studi Ragghianti di Lucca).

A questo proposito mi duole rilevare che il primo paragrafo di detta scheda è errato, probabilmente per una confusione dell'estenditrice del testo nell'organizzazione del materiale preparatorio. Da ciò consegue una considerazione sbagliata dei fatti, basata nell'anticipazione al 1956 (anziché nel 1961) della pubblicazione del Catalogo (e della Mostra) per il Centro Culturale Olivetti di Ivrea a cura di Luigi Carluccio. Perciò estrapolo questo paragrafo iniziali, riproducendo invece il resto della scheda, conforme alle finalità dell'opera.

Nel n.46 di “SeleArte” (lug.-ago. 1960, p.26) assieme alla tavola a colori f.t. Composizione XII, Koln, 1932, C.L.R. dà notizia della mostra a La Strozzina, sottolineando l'originalità dell'opera di Castello nell'ambito della pittura astratta europea. Ripropongo di nuovo questo dipinto (dopo la riproduzione a colori dal Catalogo della Mostra 1915-1935), perché esso è stato riconosciuto di particolare importanza sia dall'autore del percorso dell'artista, sia perché si tratta di un quadro la cui composizione si inserisce dialetticamente in un numeroso contesto di artisti per affinità espressiva e “sfida” in cui si sono cimentati da Delaunay in poi, fino a Sal Levitt ho visto, dei quali mostro soltanto qualche esempio che ho sottomano. Insisto su questo dettaglio circa Composizione XII, dipinto di proprietà di mia sorella Rosetta, perché è stato unanimemente dalla critica considerato un capolavoro, se non addirittura il capolavoro di Castello, e perché esso rappresenta il sentire dell'A. che ha voluto - regalandolo a C.L.R. - rafforzare la visibilità della sua "creatura". 

Nel fascicolo speciale di “SeleArte” n.48 (ott.-dic. 1960, tav. f.t.) Arte italiana d'oggi di C.L.R. – vedasi i nostri post sull'argomento e il primo in particolare del 27 gennaio 2020 – viene riprodotto a colori il dipinto Canti nordici, 1959 di Castello. Qui lo cito perché l'opera è inserita in diverse bibliografie nonostante l'assenza di un testo specifico di riferimento.

Raffaele Castello morì a Napoli in un tragico incidente di incuria ospedaliera sessantottina due anni dopo la mostra 1915-1935 di Palazzo Strozzi. In quel periodo Castello ci venne a trovare due o tre volte, chiaramente provato da problemi oculari che ostacolavano il suo lavoro. Sapemmo del suo decesso da un telegramma del comune amico Alfredo Parente, il quale nel 1959 aveva presentato a mio padre l'artista di Capri.

Il 31 agosto 1981 mio padre risposte a Giuseppe Castello spedendogli una lettera, di cui do riproduzione in fotocopia pessima (cosa di cui mi scuso). Sono costretto a scegliere questa soluzione perché questa lettera – riprodotta nell'ultima pagina di testo (p.384) della monografia del 2006 – è stata mutilata. Non voglio usare l'espressione “censurata”, perché mi parrebbe ridicolo farlo di fronte alla frase “Con sua moglie Beatrice è stato spesso da noi ospite graditissimo” e altri tagli minori. Comunque non essere di un mestiere ma occuparsene non consente di togliere, riassumere, manipolare o modificare un testo altrui, citato come tale, soprattutto se epistolare, quindi confidenziale o ufficiale. Spero sia l'unico caso in questa edizione che in precedenza ho lodato.

Non so se Giacinto Nudi, il quale fu certamente molto amico di Castello, abbia lasciato qualche sua testimonianza in merito ai loro rapporti ulteriori e differenti da questa scheda 1915-1935 e dal Catalogo Opera grafica.

Data la mole di novità iconografiche intervenute dopo il 1965 e di approfondimenti culturali, nonché stante l'oblio di buona parte della saggistica critica su Castello, reputo sia necessaria opportunità postare a sé stanti altri materiali sull'artista. Come una ricapitolazione della “fortuna critica”, illustrata anche con foto di importanti incontri del pittore può costituire un post. Può rendersi interessante anche un post che pubblichi poesie di Castello, cui lui molto teneva (e sempre più valutato, vedo). Ambedue questi prossimi post conterranno riproduzioni di opere del maestro caprese, soprattutto tecniche miste, in gran parte non riprodotte in questa sede.

In chiusura di questo redazionale ho un interrogativo circa la diffusione e l'eventuale reperibilità delle opere di Castello. Da dati biografici disponibili, adesso piuttosto soddisfacenti, è chiaro che l'artista all'estero fu pittore abbastanza prolifico, conosciuto e con un certo mercato in Germania e a Monaco in particolare prima e – soprattutto dopo – la guerra. Dovrebbero esistere opere dell'anteguerra in Francia e in Svizzera; forse anche in Polonia. Dati comunque sconosciuti o poco noti, tali che temo, questo aspetto non sia stato approfondito dopo il revival italiano dal 1960 e il 1969.

Per quel che mi riguarda, devo dichiarare che, con i documenti visivi oggi conosciuti siamo in grado di dare finalmente una esauriente panoramica della sua attività. Raffaele Castello si consolida come un unicum nell'ambito dell' “astrattismo” europeo, con rilevanti e frequenti momenti di liricità sinfonica diretta con mano ferma e risoluta. Un pittore, un Maestro di indubitabile capacità, degno di essere considerato un valore permanente dell'arte del Novecento.

F.R. (22 luglio 2021)

Come accennato nel testo redazionale questo importante dipinto Composizione XII, Koln 1932, fu donato da Raffaele Castello a Carlo L. Ragghianti. Il dipinto, però, fu assicurato per la Mostra 1915-1935 da Licia Ragghianti. Il fatto non è casuale, tanto meno un ripiego fiscale. Va ricordato che C.L.R. non ha posseduto in tutta la vita adulta niente che non fosse effetto personale (abiti ecc.) o strumento di lavoro (libri, foto, ecc.), gli orologi ad esempio furono sempre regali. Circa le opere d'arte, R. le accettava come attestato di amicizia ma le consegnava patrimonialmente alla moglie, così come la casa, l'automobile, ecc. Questo atteggiamento spiega in buona parte le “distrazioni” accadute a Palazzo Strozzi, perché se non portava per qualche motivo subito a casa il dono, per una sorta di

autogiustificata “usucapione”, dopo qualche tempo qualcuno, non sempre lo stesso – come dimostrano le cancellazioni delle dediche, che ho visto varie volte de visu o in cataloghi d'arte – si sentiva autorizzato ad appropriarsene. Ciò cessò con la mia maturazione (1959/60) e l'attenzione che riponevo nel preservare questi attestati di stima e di amicizia. Carlo L. Ragghianti cedette alla Fondazione di Lucca i propri strumenti di lavoro. Le opere d'arte, essendo della moglie, furono da lei lasciate (purtroppo dico a posteriori) ai quattro figli. Che mi ricordi non ho mai sentito dire a mio padre: “E' mio!”. Biblicamente, secondo i detti di Salomone, il babbo fu coerente alle proprie convinzioni profonde, morì “nudo” (senza beni) così com'era nato.



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