Carlo e Licia

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venerdì 23 luglio 2021

Arte Moderna in Italia 1915-1935 - Testi dei Critici, 28. GIAN LORENZO MELLINI. (VITTORINI, SALIETTI, SANI, DE JURCO, BUGIANI)

 


Post Precedenti:

1. RAFFAELE MONTI ( I ) - 16 giugno 2018
2. IDA CARDELLINI (LORENZO VIANI) - 28  settembre 2018 
3. UMBRO APOLLONIO (NATHAN, BIROLLI) - 19 settembre 2019
4. MARCELLO AZZOLINI (GUERRINI, CHIARINI, VESPIGNANI). 6 ottobre 2019
5/I. FORTUNATO BELLONZI (BOCCHI, D'ANTINO). 12 novembre 2019
5/II. FORTUNATO BELLONZI (MORBIDUCCI, SAETTI). 28 dicembre 2019
6. ALDO BERTINI (CREMONA, MAUGHAM C., PAULUCCI). 22 gennaio 2020.
7. ANNA BOVERO (BOSWELL, CHESSA, GALANTE). 5 febbraio 2020.
8. SILVIO BRANZI (SCOPINICH, BALDESSARI, NOVATI, SPRINGOLO, RAVENNA, KOROMPAY, ZANINI). 23 febbraio 2020.
9. GIOVANNI CARANDENTE (COMINETTI, MARINI). 4 marzo 2020.
10. ITALO CREMONA (REVIGLIONE). 7 maggio 2020.
11. ENRICO CRISPOLTI, I (BALLA, EVOLA, ALIMANDI, BENEDETTA). 2 aprile 2020.
12. ENRICO CRISPOLTI, II (COSTA, DIULGHEROFF, DOTTORI, FILLIA). 6 aprile 2020.
13. ENRICO CRISPOLTI, III (ORIANI, PANNAGGI, PRAMPOLINI, MINO ROSSO), 10 aprile 2020.
14. RAFFAELINO DE GRADA I (BOLDINI, ANDREOTTI). 22 giugno 2020.
15. RAFFAELINO DE GRADA II (BERNASCONI, CARPI, CARENA, FUNI). 6 luglio 2020.
16. ANTONIO DEL GUERCIO (MAZZACURATI, MENZIO, RICCI). 8 agosto 2020
17. TERESA FIORI (INNOCENTI). 1 settembre 2020.
18. CESARE GNUDI (FIORESI, PIZZIRANI, PROTTI). 2 ottobre 2020.
19. VIRGILIO GUZZI (MANCINI, CAVALLI, MONTANARINI, PIRANDELLO). 19 novembre 2020.
20. MARIO LEPORE (DEL BON, LILLONI). 21 dicembre 2020.
21. LICISCO MAGAGNATO (NARDI, PIGATO, FARINA, TRENTINI, ZAMBONI, BERALDINI, SEMEGHINI). 21 gennaio 2021.
22. CORRADO MALTESE (GERARDI). 4 marzo 2021.
23. FRANCO MANCINI (PANSINI, NOTTE, BRESCIANI, CRISCONIO, CIARDO, GATTO, VITI).  3 aprile 2021.
24. GIUSEPPE MARCHIORI, 1 (ROSSI, LICINI). 3 maggio 2021.
25. GIUSEPPE MARCHIORI, 2 (SEVERINI, SPAZZAPAN). 28 maggio 2021.
26. MICHELANGELO MASCIOTTA, 1 (LEGA, VENNA LANDSMANN, CALIGIANI, COLACICCHI). 7 giugno 2021.
27. MICHELANGELO MASCIOTTA, 2. (DE PISIS, PEYRON, LEVASTI, CAPOCCHINI). 18 giugno 2021.


Benché di solito l'assegnazione delle schede sugli artisti fosse decisa sulla base di competenza specifica, la redazione del Catalogo della mostra ricorse a altri studiosi – o sopperì redazionalmente – in casi di abbandono o per altri motivi singolari. Così fu il caso di Gian Lorenzo Mellini, il quale accettò un modesto aiuto perché rimasto con la casa allagata durante l'alluvione del 4 novembre 1966. Ciò ovviamente non toglie nulla alla qualità e attendibilità dei suoi elaborati.

Di Gian Lorenzo Mellini (1935-2002) sono stato amico, credo che anche lui mi considerasse tale, o perlomeno persona gradita, degna di qualche attenzione ma non della sua considerazione paritetica. Il fatto sta che egli in realtà alla fin fine non riconoscesse la dignità a nessuno, nemmeno ai “grandi” incontrati, casomai invece la concedeva a volenterosi collaboratori. Già, il problema di G.L.M., nobiluomo di Verona (dico così perché ho visto che ci teneva molto e poi perché non so se il conte fosse lui o il fratello, il titolare della distinzione o – come detta la Costituzione – “predicato del nome”) era l'opinione di sé: alta, indiscutibile, sempre offesa dall'insufficiente riconoscimento degli altri.

Per la realizzazione del secondo volume e l'impostazione di altri segmenti de L'Arte in Italia per l'editore Gherardo Casini – dopo l'abile abbandono della nave in cattive acque del topo tattameo – G.L.M. Fu capo redattore con me redattore adiutore per il biennio 1968-69. Non solo non litigammo mai, ma non ci furono nemmeno screzi, perché l'indubbia grande intelligenza di Gian Lorenzo era anche fattiva (non dispersiva come quella – ad es. – di Raffaele Monti). Procedeva tutto bene in ufficio anche perché per quasi tutto il periodo quello fu l'unico reddito certo di Mellini, fino cioè all'incarico presso l'Università di Torino – dove si trovò malissimo, facendomi relazioni veramente cupe delle agitazioni operaie e studentesche – che gli procurò Carlo L. Ragghianti tramite “zio” Aldo Bertini.

Naturalmente la crescente insoddisfazione nei confronti di Casini – talvolta persino inadempiente nel pagare i compensi pattuiti – portò ad un improvviso litigio telefonico, cui dall'altro lato del tavolone redazionale assistei sgomento, divertito, partecipe. Infatti, di fronte al'arrogante tono del Casini, G.L.M. perse le staffe e gli cantò un'intemerata da togliere il pelo ad una tigre. L'altro, incredulo, indignato, furibondo ebbe quasi un infarto; ansante riattaccò la cornetta del telefono. Questo è un vero patatrac, un casino gigantesco, pensai che la redazione e l'opera fossero spacciate, pensai al babbo (che già aveva l'arma la piede nei confronti del Casini; però anche noi prestavamo il fianco scoperto grazie a collaboratori ritardatari. Tutti allievi di C.L.R., faccio notare!). Però pensai anche che al posto di Gian Lorenzo, dato il mio carattere collerico, anche violentemente in certe circostanze, avrei reagito altrettanto fuori dalle righe.

Quindi, siccome anche G.L.M. alla fin fine era stravolto e … consapevole del casino suscitato, finì che lo consolai.

Personalmente, come ho detto, m'ero affezionato a G.L.M. anche al di là della stima, perché avevo intuito che la sua costante frustrazione era spontanea, caratteriale ma fondata su una certa moralità. Non aveva nulla a che spartire con la volgare ambizione carrieristica di altri allievi di mio padre. Tant'è vero che – e lo scrive anche G.L.M. – a differenza di altri che tradirono mio padre (anche bassamente, addirittura inutilmente perché avrebbero raggiunto i loro desiderata comunque in terra caecorum) lui non lo tradì e – ritengo – nemmeno lo lasciò per banali motivi di personale incompatibilità, come avvenne dolorosamente per Eugenio e Giacinto. Quando avvenne il distacco con C.L.R. ciò fu dovuto all'irrefrenabile volontà del suo ego di non volersi – equilibratamente, dico io – confrontare serenamente con l'altro, considerato “ermeneuticamente” quindi metodologicamente superato. Si veda, comunque, su “Labyrinthos” (n.35-36, 1989, pp.171-227) l'interessante intervista di Loredana Raucci intitolata Sull'ermeneutica delle arti figurative.

Effettivamente credo che la chiave distintiva del pensiero di G.L.M. Consistesse in una concezione ermeneutica della storia dell'Arte. La parolona in sé è di semplice spiegazione: arte o scienza dell'interpretazione. Il che, tramite Heidegger (detestato da me perché nazista, da C.L.R. anche per motivi teoretici) sarebbe secondo il vocabolario Treccani “l'istituzione di continue correlazioni tra il sé e l'essere in un processo dove dalla totalità delle manifestazioni umane alle sue parti e viceversa”. Ciò consentì al critico “attraverso un processo di interiorizzazione, di raggiungere un contatto interpretativo con l'autore [o l'oggetto] studiato”. Certamente un modo di ragionare corretto, anche se non direi proprio rivoluzionario né ulteriore, tanto per non andar lontano, al pensiero – ad es. – di mio padre.

Oltre l'esperienza Casini, nel 1968 Gian Lorenzo mi fece conoscere un suo amico pittore, Gino Corsi, agente in servizio della polizia ferroviaria presso Firenze-Leopolda. Dopo averlo conosciuto e apprezzato, interessai C.L.R., il quale scrisse volentieri una pagina di presentazione di questo sconosciuto, sul quale se riesco a trovare ulteriore documentazione farei volentieri un post. Poi, buso (come si dice a Trieste): per molti anni di Mellini seppi soltanto vaghe notizie indirette e dirette come la querelle sull'autoritratto di Raffaello, nella quale nel mio piccolo reputo avesse ragione.

Dopo la morte del babbo (1987) e dopo alcuni miei vani tentativi di trovare un editore per il manoscritto dello studio su Caravaggio respinto senza fosse nemmen letto con cocenti rifiuti, pensai di rivolgermi a Mellini che sapevo essere fondatore e direttore di una rivista. Interpellato lui consentì ad incontrarmi. Al corrente che nel frattempo G.L.M. aveva avuto problemi cardiaci, lo trovai in apparente ottimo stato. Nel suo studio – a dire il vero un po' teatrale, con un tavolo da lavoro lungo una dozzina di metri, sopra una pedana alta da terra mezzo metro, con una zona salotto appartata con poltrone di cuoio stile club britannico – mi accolse cordialmente, come se ci fossimo visti l'ultima volta la settimana precedente, non oltre vent'anni prima. Dopo il cordiale incontro, concluso con una cena al vicino Fagioli, gli affidai il manoscritto su Caravaggio.

Debbo riconoscere che feci un errore. E non è abbastanza giustificazione il fatto che mi trovassi in condizioni di esasperazione continua, di preoccupazione economica, di ansia per un futuro tutt'altro che roseo. E' vero che avevo subito il trappolone uiesco, e ne vivevo gli strascichi; è vero che ero ferito dalla mancanza della pur minima solidarietà da parte di chi me la doveva, vicino o lontano che fosse. Senza parlare della squallida faida familiare in fieri che ha sputtanato la famiglia Ragghianti senior. Comunque errore fu: mea culpa.

In effetti G.L.M. Pubblicò il dattiloscritto (in “Labyrinthos”, n.29, 1996-97, pp.123-200 più una nota al testo di G.L.M., pp. 200-206) con filologia acribia esemplare, però come un articolo tra gli altri, cioè senza il rilievo “editoriale” che avevo chiesto e che era stato concordato. Anche il titolo (c. frammento … 1973) ha un che evidente di riduttivo, quasi di marginale. Va bene che io mi posso sbagliare, ed anche di molto, su argomenti complessi, filologici e controversi, però escludo che mio padre si fosse speso per tanto tempo per realizzare un saggio “marginale”. Che lo scritto fosse realizzato a pezzi a intervalli di tempo, corrisponde a una caratteristica quasi costante nella sua operatività. Quando accennai a qualche rimostranza mi resi conto subito che Gian Lorenzo credeva di aver agito come previsto. Però secondo se stesso, personaggio nel quale una piccola ritorsione editoriale, allusiva non di sostanza (giacché il testo era integro), era come uno scherzo, o un non cale. Eccolo il nocciolo del mio errore: fu appunto scordare che Mellini riduceva al proprio metro di giudizio ogni situazione intellettuale, escludendo alternative o punti di vista differenti. Avrei dovuto anche sospettare che egli su Caravaggio avesse idee proprie ben precise e che di conseguenza, sia pur rispettosamente come in questo caso, non valutasse le altrui opinioni oggettivamente. Non a caso la sua nota a pie' di pagina 206 recita: “spero di poter pubblicare quanto prima mie vecchie analisi ermeneutiche su alcune opere del C. ...”.

Dal fatto, invece, che la pubblicazione del saggio di Ragghianti non abbia allora avuto nessuna risonanza non imputo la sede di pubblicazione e non mi meraviglia: l'articolo n.1 dell'ostracismo denominato damnatio memoriae è tacere, ignorare l'attività di chi si vuol eliminare, così facendo non potendo sopprimerlo.

Più o meno nello stesso periodo con Gian Lorenzo e Sergio (se ben ricordo) Tacchi – funzionario per il PCI all'assessorato alla Cultura di Firenze e già Proto delle Officine Grafiche (cooperativa stampatrice di “Critica d'Arte” fino al 1980) – proponemmo l'organizzazione di un Convegno su C.L. Ragghianti e altre concrete iniziative al presidente della Cassa di Risparmio di Lucca (e della Fondazione Ragghianti) ing. Giurlani. Le proposte, di cui Mellini garantiva la serietà scientifica, erano volte a riportare al centro della Fondazione il promotore C.L.R., stante la crisi dell'Ente irrisolta dopo la morte di Santini. Potrei anche risparmiarmi di scriverlo: non ci fu nessun esito positivo. Naturalmente, pensai allora.

In definitiva voglio comunque ricordare che, anche per mio padre, Gian Lorenzo Mellini è stato un intellettuale e uno storico dell'arte originale, senz'altro con Pier Carlo Santini e Raffaele Monti il più dotato tra gli allievi maschi di C.L. Ragghianti.

G.L.M. fu davvero un personaggio umorale, bizzarro ma non strampalato, anzi meticoloso, il cui ingegno autenticamente superiore alla media s'è rovinato spesso in conseguenza di una sorta di albagia, spontanea, naturale, non coltivata né tanto meno proterva.

Mancò forse di caritas intellettuale, per cui nonostante l'ermeneutica fu come sordo a forme di comprensione della cultura del prossimo e del fare dell'uomo, nel quale occorre anche sapersi immedesimare con francescana pietas.

F.R. (29 giugno-1 luglio 2021)


Nota – Il testo di Caravaggio di Carlo L. Ragghianti conto di riproporlo nel blog, possibilmente illustrato puntualmente. Conto anche di aggiungere ai due post di Necrologi, ricordi, resoconti (31 dicembre 2017; 31 dicembre 2018) un'altra raccolta contenente lo scritto pubblicato da Mellini dopo la morte di R. prima su “Labyrinthos” (n.11, 1987) poi nel volume Pietramala (Ed. Bolis, 1991, pp.118-136).







Questo dignitoso artista pisano, assistente di Carlo Carrà all'Accademia di Brera, è ammirevole per solida continuità stilistica, derivata dalla pittura toscana post macchiaiola, esercitata senza polemica e attenta a forme della contemporaneità.

Poco indagato della critica militante, su di lui – vissuto dal 1890 e al 1979 – riporto la presentazione (Collana d'Arte Galleria Macchi-Giardini editori, Pisa 1973) di Fortunato Bellonzi. Pisano anch'egli e inizialmente pittore di formazione alquanto differente – vedasi post del 12 novembre 2019 – Bellonzi sottolinea la sottile attenzione di Vittorini e grandi colleghi, da Manet a Kokoschka e Antonio Mancini.

Il critico d'arte, allievo di Marangoni e amico di C.L. Ragghianti, ricorda poi come dalle lastre incise da Vittorini, “operate con una tecnica peritissima, trasse i primi avvii, rivolti poi ad esiti ben diversi, uno dei nostri massimi incisori, Giuseppe Viviani”.

F.R. (14 giugno 2021)





Nel caso di Salietti si tratta certamente di un pittore abile, professionale, tanto che Carlo L. Ragghianti così ne descrive le peculiarità in due passaggi del saggio La III Quadriennale d'arte di Roma (“La Critica d'Arte”, IV, n.1, f. XIX, p.3, 1939 e Ibidem, V, n.1, f. XXIII, p.113, 1940) scrivendo: “Il Salietti confessa che da quando ha cominciato a 'riflettere seriamente sulle funzioni della pittura', si è accorto che gli artisti moderni si preoccupavano troppo di 'accaparrarsi subito un giudizio definitivo, quasi per sentirsi entrati nella storia...', mentre 'gli antichi a questo non pensavano; in compenso la storia la facevano'. In conseguenza, decise 'a un dato momento' di 'mettersi a dipingere con quest'animo. La mia pittura doveva essere anzitutto della buona pittura, coi suoi valori assoluti ed eterni'. Et forum sileat.” e quindi: “il Salietti uniforma in una stesura moderata, di poche e grame ma affaccendate risorse, un po' tuttofare, interni, figure, ritratti, bambini, costumi popolari, in cui, mediante una buona economia di materiali pittorici moderni e di costate cura di evitare maldestre spiacevolezze, di sagge privazioni e concessioni, reca al livello del juste-milieu benpensante ma non reazionario una pittura accortamente equidistante da Grosso e da Derain”.

Ovviamente per motivi censorii R. non riporta l'omaggio al regime fascista esplicito nelle note autobiografiche per la II Quadriennale del 1935, però accenna digressioni sulla propria attività, riconducendole agli effettivi limiti della teoresi in favore della prassi pittorica.

Autore assai prolifero nei dipinti, Salietti fu anche assiduo collaboratore a “La lettura”, rivista mensile de “Il corriere della sera”, di cui riproduciamo le tavole riguardanti L'arrivo della primavera a Firenze (marzo 1938; però le tempere sono del 1929). Ricordiamo riproposte anche quelle pertinenti le Riviera di Levante (giugno 1935, testo di Arnaldo Frateili). Sempre su “La Lettura” nell'aprile 1919 Salietti aveva illustrato con disegni a carboncino il racconto Le ali di Térésah (Corinna Teresa Ubertis, 1877-1964, moglie del fascista Ezio Maria Gray).

La scheda del Catalogo/Mostra “Arte in Italia 1935-1955” (edito nel 1992) pertinente questo pittore non è firmata da nessun critico né appartenente al Comitato esecutivo, né tra i collaboratori esterni. Essendo l'unico caso del Catalogo, il fatto non è soltanto curioso ma assume la dimensione di un modesto enigma.

Dato che un pittore della notorietà e qualità di Salietti, nonché della sua prolificità pittorica, è improbabile che sia stato “ripescato” all'ultimo momento qualche interrogativo è lecito. Se non si tratta banalmente di un pasticcio redazionale, personalmente io propendo che questa scheda sia stata stesa con urgenza in sostituzione di un testo risultato inadeguato.

Perciò l'autore anonimo è Alfredo Righi, il quale – anche se non nominato nel libro per vergognosa appropriazione indebita di Edifir – fu il redattore incaricato da U.I.A. di allestire e poi fornire tutti i materiali (testi e illustrazioni) all'editore-stampatore per procedere all'impaginazione. In proposito si veda il post del 18 aprile 2019 dove mi dispiaccio del gravissimo affronto e torto praticato nei confronti di Alfredo Righi e della sua collaboratrice Simona Merlino da parte della direzione dell'Università Internazionale dell'Arte di Firenze e dell'Edifir, emanazione dell'editore Pacini di Pisa.

L'attività di Salietti viene illustrata in questo post riproponendo lo scritto di Filippo De Pisis su “Emporium” (1, 1942, pp.3-10) e viene collocato nella sequenza illustrativa, dopo la Scheda 1935-1955, perché le opere illustrate e i riferimenti sono posteriori al 1935. Tornato in Italia per via della guerra, non meravigli questo testo di De Pisis poeta, scrittore abbastanza prolifico e uomo di vasta cultura. In particolare questo testo critico è coinvolgente, sorprendente per certi versi giacché la premurosa recensione si conclude con: “La pittura di Salietti rappresenta insomma una nota tipica della pittura italiana contemporanea con i suoi pregi e i suoi difetti. Nelle opere più recenti il Salietti tende a una semplificazione e intensità sempre maggiori”. Un modo indiretto per dire che l'artista stava adeguandosi al linguaggio espressivo più moderno.

F.R. (17 giugno 2021)


P.S. - Due precisazioni. Nella p.10, l'ultima del saggio di Filippo De Pisis, compaiono in basso degli scarabocchi a matita. Non li ho cancellati perché temo, anzi son quasi certo di averli tracciati io mentre ero in braccio al babbo, seduto davanti al tavolo di lavoro. Essendo l'articolo di De Pisis vistosamente estratto dalla rivista, voglio precisare – dato che questo tipo di intervento è stato spesso citato nei post – che C.L.R. ha sempre sfascicolato riviste per trarne estratti per l'Archivio o illustrazioni per la fototeca. Sistematicamente poi nel caso di pubblicazioni e di libri con contenuti casualmente utili o di scarso o nullo valore critico ma ricche di illustrazioni o documenti, C.L.R. ha provveduto a sfascicolare per conservare l'utile ed eliminare il superfluo. In effetti prima delle classificazioni con risposta immediata rese possibili dal computer, un estratto, un ritaglio, una illustrazione erano accessibili con tempi lunghi e manovre anche complesse. I materiali erano così più accessibili con sistemi divisorii empirici.

Anche il nostro Archivio familiare di Vicchio è stato concepito e strutturato con questi criteri empirici. Però, purtroppo, non avendo il tempo per provvedere alla manutenzione necessaria per la conservazione ordinaria, si è venuto a creare un certo disordine, che per gli “estranei” - temo – può sembrare caos.

Premetto subito che l'Appendice riguardante Carlotta De Jurco (1873-1950) non significa legame personale od artistico di qualche genere con l'opera di Alberto Sani (1897-1964). Questi due singolari artisti furono appaiati in Catalogo ma disgiunti (e altrettanto lo furono in sede espositiva a "La Strozzina") per motivi organizzativi e di economia all'interno della pianificazione dell'ente proponente.

In questa sede mi è parso che la atipicità di entrambi questi personaggi costituisca ancor oggi un motivo di unitarietà simbolica e, di conseguenza, di ricordarli come avvenne nel 1949. Altro motivo a favore del ricordare la De Jurco lo trovo nella lettera – di seguito qui riprodotta – del 9 agosto 1966 a Anita Pittoni nella quale C.L. Ragghianti si rammarica per la forzata assenza dell'artista tra quelli selezionati per la mostra Arte Moderna in Italia 1915-1935.

Alberto Sani "è un ingenuo", uno scultore non collocabile, come afferma acutamente Mellini. Si deve a Bernardo Berenson se la sua attività è stata individuata, considerata e proposta all'attenzione degli studiosi e del pubblico. Dopo questa nota redazionale, si ripropone la Scheda di Silvia Massa riguardante la mostra – la prima in assoluto per lo scultore – e il catalogo presso "La Strozzina" nel nov.-dic. 1949.

L'esauriente (non esaustiva, che è un anglismo di significato leggermente differente) scheda è tratta dal volume "Mostre permanenti". Carlo L. Ragghianti in un secolo di esposizioni (Fondazione Ragghianti, Lucca 2018) e viene a sua volta seguita dalla riproduzione della metà del catalogo pertinente Sani; la metà sull'opera della De Jurco sarà invece inserita nell'Appendice.

Il saggio integrale di Berenson (da Commentari, I, 1, gen.1950) di testo e illustrazioni precede il facsimile del dépliant della Mostra delle sculture di Alberto Sani presso la Gallerya Odyssia di Roma, con un nota di Dario Neri, sempre del 1950, il quale fu il tramite l'effettivo scopritore del talento di Sani e della conoscenza di Berenson con l'artista e la sua poderosa opera considera alla fin fine: "...un fenomeno affascinante: il fenomeno di un artista, di un vero artista, fuori del suo tempo".

Concludo: 1. ricordando che su l'autentico boscaiolo che fu Sani esiste un breve filmato della Settimana Incom diffuso da GoogleArts e Youtube, tutto sommato toccante nonostante il piglio retorico dei cinegiornali dell'epoca; 2. sottolineando che Alberto Sani (sebben riconosciuto e poco noto) è stato un eccezionale lapicida, originale, più che autodidatta frutto di autogénesi.

F.R. (16 giugno 2021)


Appendice. Carlotta De Jurco.

Si veda per quel che riguarda questa intrigante artista la precedente scheda n.13 della Mostra presso "La Strozzina". Quindi, tenendo conto delle scarse informazioni su questo personaggio sul web o altrove, si ricorda che la De Jurco fu una nobildonna triestina decaduta, sensitiva, pittrice in stato di semitrance, autrice di disegni "automatici" (fenomeno che nel suo complesso attirò l'attenzione di Carlo L. Ragghianti anche in altre occasioni).

Ultrasessantenne, Carlotta De Jurco fu esposta per la prima volta nel 1936 da Anton Giulio Bragaglia, poligrafo e studioso di fotografia e spettacolo, atipico personaggio della cultura che tra l'altro fu attivo praticante di fenomeni "paranormali" (a sua volta studiato con curiosità e interesse da C.L.R.). Conseguenza di questa esposizione fu l'articolo a firma Ugo Milelli, pubblicato ne "La Lettura" del giugno 1937, che riproduciamo in facsimile.

Breve premessa: controllando le scarsissime voci sul web che riguardano Carlotta De Jurco, noto la presenza di un problema anagrafico, probabilmente di facile soluzione controllando in loco l'anagrafe di Trieste. Comunque, secondo le fonti accessibili l'artista è nata nel 1873 e morta nel 1950. Anita Pittoni, presentatrice in Catalogo, invece indica come nascita "Trieste l'11 agosto 1871" e per la morte precisa essere avvenuta "l'11 ottobre del 1941". Data l'autorevolezza della Pittoni anche come studiosa, non sono in grado di indicare date certe. Posso solo ipotizzare che per la nascita nel catalogo che "La Strozzina" si sia verificato un refuso. Per la data di morte il divario mi è 


inespicabile. Anita Pittoni (1901-1982), amica epistolare di mia madre Licia Collobi – triestina – conobbe i Ragghianti quasi certamente in occasione di questa mostra per la quale scrisse la presentazione. Allora questa intellettuale era già ben nota e stimata per le sue molteplici attività di poetessa, di stilista di moda, di editrice dello Zibaldone. Dato il carattere era anche rispettata e temuta nell'ambiente culturale della città in quegli anni del dopoguerra occupata dagli alleati e ancora una volta separata dalla madre patria (almeno secondo i nazionalisti).

Anita Pittoni fu tra l'altro consultata nella fase preparatoria della Mostra "Arte Moderna in Italia 1915-1935" ed è rispondendole che Carlo L. Ragghianti nella lettera del 9 agosto 1966 rimarca a proposito dell'esclusione di Carlotta De Jurco il proprio rammarico. Ribadendo il proprio interesse per l'attività dell'artista (tarsie e ricami compresi) C.L.R. espone il proprio progetto di una esposizione successiva "dedicata al disegno e alla grafica del medesimo periodo" riservando alla De Jurco una "significativa rappresentanza". Purtroppo questa idea non poté essere messa in cantiere per le difficoltà ancor più presenti nel reperimento di opere d'arte di grafica e per lo scarso interesse per le forme espressive "minori" (così dette) ritenute meno importanti da amministratori pubblici e pubblicisti d'arte legati ai media. Di conseguenza questa modesta (date le disponibilità dell'immediato dopoguerra) rassegna de "La Strozzina" rimane l'unica testimonianza dell'attività di una artista originale, schiva, dignitosamente isolata e generalmente incompresa.

F.R. (19 giugno 2021)

Vissuto per quasi l'intero sec. XX, Pietro Bugiani (1905-1992) è stato un significativo artista toscano attivo creativamente quasi soltanto nella seconda parte della prima metà del secolo. Come sottolinea nella scheda della Mostra 1915-1935 Gian Lorenzo Mellini il suo nucleo originale si svolse tra gli anni Venti e i Trenta consolidando la declinazione rosaiana di paesaggio e di ritratto. Molto legato a Ardengo Soffici e da sempre amico e collaboratore del conterrano arch. Michelucci (Stazione di Firenze), Bugiani fu molto attivo negli ambienti artistici e intellettuali di stampo fascista (Maccari, Bargellini).

Nel dopoguerra è attivo anche come restauratore; come pittore le opere migliori che esprime sono legate alle 

proprie origini, altrimenti gli si può riconoscere soltanto una sicura professionalità. 

Nel 1998 venne pubblicato da Musolino&Maschietto il catalogo Pietro Bugiani tra le due guerre, in occasione dell'antologica nella città natale, Pistoia. All'interno di questa monografia Giovanna Ragionieri scrive un saggio con un'analitica ricostruzione e cronistoria, suffragate da documenti epistolari delle vicende del pittore. Questi nella Notizia autobiografica del 1970 (che riproduciamo) conclude con lapidaria onestà: “Cinquant'anni di lavoro testimoniano della serietà e dell'impegno con cui ho sempre operato: il tempo è galantuomo e farà il resto”. E così è stato: poca risonanza ma riconoscimento positivo, equo ed equilibrato nella storia della pittura italiana.

F.R. (22 giugno 2021)



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