Carlo e Licia

Carlo e Licia

Archivio

Cerca nel blog

sabato 20 febbraio 2021

Tono Zancanaro, 2 - Pisa 1964: Montella, Ragghianti, Santini.

 Per i precedenti post in questa serie vedi:

Finalmente Tono Zancanaro. 1. La "Divina Commedia". 25 gennaio 2021


Soprattutto per mio padre, mia madre e per me – in misura minore per gli altri Ragghianti – il 1964 si caratterizzò come l'anno di Tono Zancanaro per ciò che riguarda gli artisti contemporanei. Non credo che C.L.R. lo conoscesse in precedenza di persona; ne conosceva certo una parte dell'attività fin dall'immediato dopoguerra (C. Levi), poi tramite Antonietta Raphael Mafai “retour de Chine” (dove nel 1956 viaggiò con Tono e altri in una lunga, “epica” permanenza) in occasione della mostra a “La Strozzina”; poi sicuramente altre fonti imprecisabili. Mia madre forse ne aveva sentito parlare e visto qualche immagine in redazione di “seleArte”; per quel che mi riguarda l'arte di Tono fu un incontro del tutto sorprendente, mentre la conoscenza dell'uomo rappresentò la stupefacente conferma che l'abito non fa il monaco, che la capacità di esprimersi in modo originale può manifestarsi e albergare in chiunque, dovunque. Su questa base “naturale” poi – ma non spesso – si sviluppa con studio, applicazione e dedizione l'artista.

Non sono a conoscenza di quali vicende organizzative l' Istituto di Storia dell'Arte dell'Università di Pisa – diretto da C.L.R. – stabilì di tenere questa esposizione. Né so perché il saggio di presentazione fosse affidato allo scrittore Carlo Montella – preside di scuola media come mestiere di sussistenza – di cui, constatando oggi l'oblio che lo circonda, in Appendice farò un ricordo breve, essenziale. Certamente Carlo L. Ragghianti partecipò in prima persona all'iniziativa di mostrare a Pisa l'opera del Maestro, come dimostra il saggio che scrisse subito dopo l'inaugurazione e fu pubblicato ne “la Stampa” di Torino il 24 aprile, a esposizione ancora in corso.

Purtroppo non ricordo per quale circostanza abbastanza importante non potei accompagnare il babbo all'inaugurazione, cosa che era accaduta spesso perché mi dava anche l'occasione di partecipare a cene dell'Istituto dove potevo conoscere o conoscere meglio assistenti e allievi che venivano più raramente a Firenze. Ricordo con particolare simpatia l'amico Piero Pierotti (nei confronti del quale resto in debito perenne per via del singolare libro La Torre Pendente di Pisa), coinvolto in lunghe chiacchierate politiche, peraltro coincidenti nei principi. Immagino ancora oggi lo sconcerto rappresentato da Tono irrompente in quell'ambiente prevalentemente accademico e quindi un po' serioso e sofisticato, ma un “zinzino” provinciale. Già Tono, grande artista poliedrico, generoso, talvolta gioviale e buffonesco giullare, però sempre dedito coerentemente alla sua missione creatrice.

Qualche settimana dopo quell'evento il Maestro – come talvolta si definiva ridendo e scherzando sì, ma! – invase la famiglia Ragghianti, con la quale da allora si incontrò da 4/5 a 2/3 volte l'anno (molto spesso l' 8 aprile, senza però mai aver dichiarato che quel giorno coincideva col suo compleanno!), per tutti gli anni seguenti, fino alla sua morte il 3 giugno 1985, quando perdemmo l'amico fraterno, il Maestro d'arte ma non di vita.

Tono infatti non pretendeva di insegnare, proporre od imporre niente a nessuno, ascoltare, partecipare sempre.

Nell'ineffabile Wikipedia, che accoglie le interpretazioni e le integrazioni più disparate e discutibili e talora respinge quelle motivate da documentazioni e testimonianze di congiunti e di specialisti Tono Zancanaro compare in primis come atleta (hockey su pista 1925-30), poi come artista. Una paradossale successione (al di là della pura cronologia) che lo avrebbe certamente divertito. Bene ha fatto perciò chi ha suggerito questa impostazione surreale. Per il rimanente – la peraltro succinta voce – è piena di approssimazioni e di clamorose lacune critiche e di ridicole 

presenze. Assente un profilo artistico di cronaca e di interpretazione. Manca persino la constatazione che Tono è stato uno degli artisti più prolifici e capillarmente diffusi nel territorio nazionale anche sotto forma di micro-collezionismo.

Il saggio di Montella si conclude osservando che “Non può esservi dubbio su ciò [“una gioia non metafisica, ma lievitata di storia”] quando quella gioia viene esaltata da un uomo come Zancanaro, di cui non sapevamo immaginare un solo segno non ispirato da un'idea, non ammortizzato in una visione totale della realtà”.

Col titolo Come uomo e come artista segue un testo di Tono Zancanaro (Autototono egli definiva questi suoi non rari interventi, talora illuminanti, sempre interessanti). In sostanza l'autore chiede: “Si può tirare una conclusione che per altro non sarebbe se non il succo, la quintessenza, quello cioè che conta dal mio essere operaio della pittura, o artista?”. Tono conclude lo scritto rispondendosi: “Il mio lavoro desidera essere confortante non solo perché opera d'arte, di poesia, ma antica certezza che l'angolo ferino dell'uomo va via via sparendo; e dall'uomo e dalla poesia”.

Il Catalogo della mostra di Pisa – con 25 illustrazioni – si conclude con l'elenco delle opere esposte divise tra “Disegni e stampe” (1-160), “Dipinti e sculture” (161-172) e “Ceramiche Terracotte Vetri” (173-196).

Dal citato articolo de “La Stampa” di Torino riporteremo soltanto l'intestazione, dato che il testo di C.L.R. è di fatto una prima stesura, pubblicato col titolo (da lui non condiviso), dettato dal direttore Giacomo De Benedetti, Satira, ricerca e fantasia nei disegni di Tono Zancanaro. Il saggio nella stesura definitiva, consistente in qualche variante e aggiunta, fu pubblicato in “Critica d'Arte” (a. XIII, n.s., n. 63. giugno 1964, pp. 13-28) col titolo Tono Zancanaro. Delle 17 illustrazioni molte sono identiche a quelle del Catalogo di Pisa. Ciò dipese da una sinergia di risparmio, come allora si usava fare di frequente. Ho riprodotto, comunque, lo studio – importante – integralmente, per non alterare l'aspetto originale e i riferimenti, basandomi anche sul fatto che repetita iuvant.

Sono tuttora convinto che questo primo scritto di C.L.R. su Tono sia stato a suo tempo carissimo all'artista perché gli riconosceva – prima del fondamentale scritto sui disegni del Gibbo (1971) – d' aver superato la tappa capitale per l'inquadramento e la comprensione consacrandolo nel panorama internazionale. La frase conclusiva così recita: “ S'è troppo guardato, e con troppa soggezione, a molte esperienze internazionali. Tono Zancanaro non può essere una scoperta, ma avverte con autorità che nella storia dell'arte moderna, se sia una storia secondo poesia, bisognerà fare molto posto ad artisti italiani”. Considerazione tuttora valida, perché ancor oggi c'è sottovalutazione (e ignoranza) di molti maestri italiani del secolo ventesimo.

Il ricordo del “lancio” pisano del 1964 sul piano nazionale dell'attività di Tono si conclude con la riproduzione dell'articolo di Pier Carlo Santini, chiamato da C.L.R. a sostituirlo saltuariamente nel fornire a “L' Espresso” articoli in sua vece. Non gradita a Scalfari e ad altri del settimanale la rubrica e i suoi scrittori, ben presto si giunse alla cessazione del rapporto con il giornale. In proposito si veda anche nel blog il post del 24 aprile 2019. Anche Santini riconobbe l'originalità e la “novità” mediatica (si direbbe oggi) di Zancanaro, sostenendo che “quale che voglia essere la valutazione del merito più intrinseco si deve prendere atto di un eccezionale prestigio grafico”.

F.R. (24 gennaio 2021)




Appendice

Carlo Montella (1922, Napoli – 2010, Pisa) nel 1937 si trasferisce a Pisa, dove risiederà fino alla morte. La sua vicinanza e comprensione delle arti figurative si spiega anche con l'essere laureato in Estetica; per guadagnare continuativamente da vivere per sé, la moglie e due figli fece il preside di scuola media. Come romanziere esordì nei “Gettoni” di Einaudi, diretti da Elio Vittorini, con I parenti del Sud (scritto nel 1951). E' stato autore di sette romanzi, il più noto e apprezzato dei quali Incendio al catasto (1956) è stato tradotto in russo e tedesco.

Autore Vallecchi, nel senso di Enrico V., che saltuariamente omaggiava il babbo con le sue edizioni, lessi i libri di Montella, anche perché “reclamizzati” su “Criterio”, con soddisfazione soprattutto per l'essere lontano dalla prevalente tendenza letteraria a forme di solipsismi (per non usare termini volgari) di troppi letterati nostrani dell'epoca.

L'attenzione critica su Montella fu ed è rimasta modesta, quando non addirittura nulla. Presente nel tutto sommato valido Dizionario degli autori italiani contemporanei (p. 852), impostato da Geno Pampaloni per la sua Vallecchi, edito nel 1974 in quella diretta e fatta fallire da Giancarlo Buzzi. Il Dizionario critico della letteratura italiana del Novecento di Enrico Ghidetti (serioso studente di Lettere a Firenze nei miei stessi anni) e Giorgio Luti (non so perché e come amico di Maria Luigia Guaita) ignora del tutto il povero Montella: però tratta Carlo Chiaves e Delfino Cinelli e chi sa quanti... diciamo “letterati”. Stesso risonante silenzio è riservato allo scrittore pisano nella Storia Generale della Letteratura italiana (in ben 16 grossi volumi) curata da E. Borsellino e Walter Pedullà...là, là.

Tra gli estratti dell'Archivio riscontro l'articolo Chi parte all'alba di Arnaldo Bocelli (1900-1974), abituale collaboratore de “Il Mondo” di Mario Pannunzio. Si tratta della recensione dell'omonimo libro di Montella, pubblicata nel numero del 31 dicembre 1957. Scrive Bocelli: “Perché il temperamento di Montella non è monocorde, e qui quella drammaticità, non essendo temperata se on in piccola parte da venature di comico o di grottesco, spinge il suo realismo verso un naturalismo secco, a momenti documentario...”. E' in questo clima che ho letto con fervore adolescenziale Montella, lontano dalla volgarità gratuita dei libri coevi di P.P.P. o dalla vuotaggine autoreferenziale di troppi autori post fascismo. Bocelli, giornalista e critico letterario romano, fu assai attivo e di solido stampo laico. Ho preferito in questa sede ricorrere a lui piuttosto che al contemporaneo ma scontato Enrico Falqui (1901-1974); Catafalqui, secondo l'ineffabile Mazzacurati (vedi post dell' 8 agosto 2020) il quale annoiò alcune mie giornate di redattore Vallecchi passate nella curatela di un segmento delle appendici della sua sesquipedale serie Novecento letterario. Noioso come la pioggia, non mi capacito come egli potesse aver generato il figlio Antonello, uno dei più brillanti ed originali autori e registi di spettacolo della allora giovane televisione pubblica italiana. Riscontrando una biografia di Montella mi accorgo con rinnovato dolore e pietà della rimozione da me operata (come spesso m'accade dopo le disgrazie) circa la tremenda sventura, l'agghiacciante tragedia “greca” che si abbatté su Carlo Montella nel 1998: dovette uccidere il figlio Claudio, da tempo affetto da malattia mentale, per salvare la vita alla madre – sua moglie – dalla follia matricida.

 


Dello scrittore Montella riporto – con a fianco la pagina pubblicitaria comparsa più volte su “Criterio” 1957-58 – l'elenco dei romanzi, penso tuttora degni di attenzione, deplorando l'ingiustificata damnatio memoriae che li concerne.

Concludo questa essenziale documentazione riproducendo il biglietto di solidarietà che Carlo Montella spedì a Eugenio Luporini (coordinatore con “L'Astrolabio” di Ferruccio Parri del consenso all'azione di Ragghianti) in occasione della vergognosa aggressione del duo Longhi-Previtali circa la gestione dei fondi derivanti dalle donazioni in seguito all'alluvione di Firenze del 4 novembre 1966. In proposito si vedano nel blog i post: Un gesto incivile (28 dicembre 2017; e in “Critica d'Arte”, n. 90. nov. 1967), Fanno perdere la pazienza (3 dicembre 2019, e in “Critica d'Arte” n. 96, giu. 1968).

A questo biglietto fa seguito la Cartolina Postale, senza data e con timbro illeggibile, spedita da Montella a Nino Lo Vullo presso “La Nazione” dove egli lavorava. Nel testo si parla dell'inaugurazione della mostra (dato il destinatario presso “La Strozzina”, evidentemente) di Amanda T (illeggibile). Un piccolo mistero non risolvibile da parte mia, né – direi – da parte delle autrici del volume “Mostre permanenti” C.L.R. in un secolo di esposizioni, benemerita edizione della Fondazione Ragghianti di Lucca,

dove il nome della Amanda T... non compare nell'indice dei nomi. Che si tratti di una delle mostre non effettuate dopo la loro ideazione non mi pare risultare nelle carte Mostre rapite del citato volume. Spero che dalla Fototeca della Fondazione di Lucca e da quanto da esse di recente recuperato riguardante “La Strozzina” possa risultare una traccia per risolvere questo piccolo enigma, che però ha la sua importanza.



Nessun commento:

Posta un commento