Carlo e Licia

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sabato 8 agosto 2020

Arte Moderna in Italia 1915-1935 - Testi dei Critici, 16. ANTONIO DEL GUERCIO (MAZZACURATI, MENZIO, RICCI).



Post Precedenti:

1. RAFFAELE MONTI ( I ) - 16 giugno 2018
2. IDA CARDELLINI (LORENZO VIANI) - 28  settembre 2018 
3. UMBRO APOLLONIO (NATHAN, BIROLLI) - 19 settembre 2019
4. MARCELLO AZZOLINI (GUERRINI, CHIARINI, VESPIGNANI). 6 ottobre 2019
5/I. FORTUNATO BELLONZI (BOCCHI, D'ANTINO). 12 novembre 2019
5/II. FORTUNATO BELLONZI (MORBIDUCCI, SAETTI). 28 dicembre 2019
6. ALDO BERTINI (CREMONA, MAUGHAM C., PAULUCCI). 22 gennaio 2020.
7. ANNA BOVERO (BOSWELL, CHESSA, GALANTE). 5 febbraio 2020.
8. SILVIO BRANZI (SCOPINICH, BALDESSARI, NOVATI, SPRINGOLO, RAVENNA, KOROMPAY, ZANINI). 23 febbraio 2020.
9. GIOVANNI CARANDENTE (COMINETTI, MARINI). 4 marzo 2020.
10. ITALO CREMONA (REVIGLIONE). 7 maggio 2020.
11. ENRICO CRISPOLTI, I (BALLA, EVOLA, ALIMANDI, BENEDETTA). 2 aprile 2020.
12. ENRICO CRISPOLTI, II (COSTA, DIULGHEROFF, DOTTORI, FILLIA). 6 aprile 2020.
13. ENRICO CRISPOLTI, III (ORIANI, PANNAGGI, PRAMPOLINI, MINO ROSSO), 10 aprile 2020.
14. RAFFAELINO DE GRADA I (BOLDINI, ANDREOTTI). 22 giugno 2020.
15. RAFFAELINO DE GRADA II (BERNASCONI, CARPI, CARENA, FUNI). 6 luglio 2020.


Individuo bilingue, nel senso francese-italiano, naturalmente, Antonio Del Guercio (1923, Parigi – 2018, Roma) non so a che titolo abbia fatto parte del team schedatorio degli artisti esposti alla Mostra 1915-1935. Forse perché amico di Crispolti? Escluderei un motivo legato a Firenze, giacché non credo che nel 1966 fosse già professore ordinario di Storia dell'arte contemporanea all'Università della città, altrimenti me ne sarei accorto, per quanto sia distratto e indifferente a certe notizie, le quali ti cascano addosso comunque. La città è piccola, la gente mormora, proprio come nel paesino di Tina Pica e Gina Lollobrigida.

E' fattuale, comunque, che questo Antonio Del Guercio non ha mai, non dico rivendicato, ma nemmeno pubblicizzato il 

fatto di aver preso parte alla realizzazione della Mostra 1915-1935; anzi nel curriculum proprio nel 1967 vanta soltanto il suo impegno in John Hearthfield dadaDato che ho sempre pensato che Andrea del Guercio B – che ho incontrato in questi giorni nella preparazione di un post –fosse suo figlio, dopo aver visto su Wikipedia che Antonio “lascia due figlie, avute dalla moglie..., una ragazza (sic!) di Bologna, e tre nipoti”, mi viene un dubbio al riguardo. D'altra parte il Del Guercio B (anche così usa lui definirsi) non mi pare rivendichi la paternità dell'altro. Devo concludere che i due critici d'arte sono soltanto omonimi? Certo è che entrambi vantano la loro aderenza e gravitazione nell'area longhiana.

F.R. (3 giugno 2020)











Pittore e scultore portato per temperamento a forme corpose, con una continuità prensile della contemporaneità italiana e francese, Renato Marino – nome con cui era noto e pubblicato – Mazzacurati (1907-1969) è stato un artista socialmente impegnato ed antifascista di chiaro orientamento ideologico vicino al PCI. La scheda della mostra 1915-1935 è esauriente per quel che riguarda la sua attività espressiva, così come anche la scheda del Catalogo/Mostra Arte in Italia 1935-1955, a cura di Antonello Trombadori e Valerio Rivosecchi, che riportiamo tra le illustrazioni.

Però M.M. a questa primaria esigenza espressiva accompagnava anche quella di “battutista”, fulmineo e fulminante che ha divertito (e anche fatto arrabbiare) moltissimi personaggi illustri nonché l'intera comunità culturale italiana. Tra lui e Mino Maccari – per altro verso – sono stati e restano (giacché molte loro definizioni circolano ancora) pilastri di un umorismo acuto, preciso indagatore di manie e tic, mai volgari gratuitamente.

Carlo L. Ragghianti, poco dotato di humour, e quel poco di tipo molto personale, poco appariscente, è stato sempre assai divertito dalle battute di Mazzacurati, che “collezionava” fin da quando era stato Sottosegretario alle BB.AA. nel 1945, appuntandosele poi via via.

Nel primo fascicolo di “seleArte” (lug.-ago. 1952, p. 76) C.L.R. volle inserire una colonna della rubrica “acquaforte” – dedicata a polemiche culturali e sociali – , intitolata Critica epigrammatica, contenente una preziosa silloge di definizioni di Mazzacurati, testo concluso con: “Piccoli, taglienti ritratti di un'epoca che spesso possono formare invidia da parte di una critica di molte maggiori parole”.

Temo non sia stato un caso né un errore bensì una “censura” iperprotettiva e malintesa della personalità di Ragghianti il fatto di non aver registrato nella Bibliografia degli scritti questa gustosa colonna di giudizi sintetici ed emblematici di tanti personaggi dell'arte. E' vero che nel testo il nome di Mazzacurati non compare, però una semplice occhiata avrebbe ricordato a chiunque fosse anche marginalmente partecipe all'ambiente artistico italiano che quella era la “lingua” di M.M. 

Comunque anche in caso di ignoranza specifica, l'articoletto doveva essere registrato per poi poterlo indicizzare tra gli “Argomenti” come critica epigrammatica.

Non so se i suddetti “ritratti” di M.M. siano stati pubblicati in altri libri, certamente una non piccola quantità è stata ripresa da Bruno Caruso (1927-2018), disegnatore tra i più efficaci ed espressivi del secolo scorso, nel suo libro Credono di essere noi. Ricordo di Marino Mazzacurati (Dalia editore, Roma 1988). Le 74 pagine el volumetto sono illustrate con molti suoi disegni al tratto anche caricaturali.

Riguardo la Mostra Arte moderna in Italia 1915-1935, mi sembra interessante riportare integralmente la lunga lettera di Mazzacurati a Ragghianti, come la sintetica risposta del critico, il quale in quei giorni era subissato di impegni, scadenza, ecc. Questa corrispondenza è una documentazione significativa perché dimostra ancora una volta che buona parte degli artisti della prima metà del secolo erano anche persone di ottima cultura, talora a livelli tali da trasformarle anche in “intellettuali” profondamente inseriti nella vita culturale della nazione. Una notevole differenza con l'oggi dove constatiamo la “scomparsa” del mondo accademico nella percezione culturale e la quasi generale ghettizzazione degli artisti visivi e non in ambienti sempre più circoscritti e realmente ininfluenti nella consapevolezza e diffusione culturale.

Di sé Mazzacurati nel 1962 scrisse sulla difensiva perché una parte della critica avvertiva nel suo lavoro un eclettismo, talvolta un po' disordinato: “ Qualche volta, per mia ostinazione

a rifiutare l'unilateralità dei mezzi di espressione, sono stato accusato di eclettismo. E' una accusa che non mi spaventa: la cultura può essere eclettica, l'ignoranza mai”.

Spiegando così certe sue contraddizioni non casuali ma intrinseche alla propria cultura, per una valutazione e comprensione dell'opera di questo artista figurativo – tra i più elaborati declinatori del picassismo, nonché “realista” a ben guardare non lontano da Guttuso e Mucchi e dall'ortdossia leninista, penso che valga la pena di citare il cardinalizio giudizio di Raffaellino De Grada, il quale nel catalogo celebrativo M.M. Opere antifasciste. XXX della Resistenza (Reggio Emilia, 1974) osserva: “Per quarant'anni il nome di Renato Marino Mazzacurati è stato collegato ai fermenti più vivi dell'arte moderna italiana”. Collegato, appunto, non protagonista.

F.R. (20 giugno 2020)























Curiosamente l'analisi critica di Francesco Menzio (1899-1979) non fu affidata ai critici che hanno scritto le altre schede riguardanti i suoi colleghi ed amici del Gruppo dei Sei di Torino (Anna Bovero: J. Boswell, I. Chessa, N. Galante, v. post del 5 febbraio 2020; Aldo Bertini: E. Paulucci, v. post 22 gennaio 2020; C. L. Ragghianti: Carlo Levi, v. post 20 novembre 2018). E' indubbio infatti, che l'ottimo professionista Menzio sia ad essi collegato dal comune legame e stilisticamente dalla convinta e coerente discendenza da Felice Casorati. Come moltissimi artisti italiani anche Menzio è stato visitatore o residente a Parigi a lungo e più volte ed ha viaggiato per l'Europa tra le due guerre. In questa sede riportiamo anche l'appropriata scheda del Catalogo/Mostra Arte in Italia 1935-1955 elaborata dalla solerte collaboratrice a quell'opera Rita Selvaggi, della quale non riesco a trovare notizie sul web, dove

imperversa e le si sovrappone tale Rita Selvaggio. Ripropongo anche la presentazione del critico e poeta (nonché amico di Gobetti e poi partigiano e studioso stimato da C.L. Ragghianti) Sergio Solmi (1899-1981) alla personale di Menzio presso la importante Galleria della Cometa di Roma nel 1938. Segnalo , infine, dal “Dizionario Biografico Treccani” la voce Menzio di F. Lombardi. Si tratta di un testo esauriente che informa anche della “fortuna” critica del pittore torinese, precisando – con una citazione non virgolettata, almeno in parte tratta da un testo di Paolo Fossati – che Menzio restò “fedele a una scelta di realismo soffice, riservato, morbido...sostanziato da un'incessante meditazione sul fare pittorico”.

F.R. (21 giugno 2020)



















Del pittore Paolo Ricci (1908-1896) che è stato anche politico comunista e giornalista, si osserva d'emblée che la sua statura umana ha fatto aggio sulle altre doti naturali o coltivate appassionatamente. Ne è conseguito che in vita abbia riscosso più riconoscimenti pubblici di quanti dopo degni delle sue reali capacità.

Ciò è avvenuto perché da un lato la sua “popolarità” era frutto del proprio operare (senza rapporti gerarchici e malgrado il tepore del PCI nei confronti di un vero uomo di popolo), dall'altro lato la sua rigidità ideologica non ha convinto gli interessi speculativi del mercato, fors'anche perché chi deteneva suoi dipinti era loro affezionato e non era disposto a prestarsi alle manovre tipiche del commercio delle opere d'arte.

Osservo che, benché legato ai “circumvisionisti” partenopei, la sua scheda critica non è stata elaborata dalla Redazione della Mostra la quale ha firmato le schede postate il 23 luglio 2019: probabilmente per evitare uno sbilanciamento ideologico non condiviso pienamente.

Nel 2008, nel centenario della sua nascita è stata pubblicata una monografia curata da Donatella Ricci e Mario Franco. Accurata, mi è stato detto.

La qualità piuttosto discontinua constatata nelle riproduzioni dei dipinti che ho potuto vedere, mi convince che l'operato pittorico di Ricci fosse piuttosto condizionato dall'ideologia, cioè troppo cogente in certe soluzioni visive e lasciato poco libero verso certe declinazioni oniriche.

Paolo Ricci non è Guttuso, anche se lo guarda con devozione; si fa coinvolgere dal ritrattato proletario o borghese che sia (il che in sé è un bene) però non riesce a sublimare la propria impressione empatica, giacché la stesura pittorica resta diligente ma piuttosto pesante (come si vede nel bel ritratto di Macchiaroli, benemerito e coraggioso editore meridionale del primissimo dopoguerra).

La scheda del Catalogo/Mostra Arte in Italia 1935-1955, che riportiamo, è scritta da Raffaellino De Grada – dal 1984 divenuto militante di Democrazia Proletaria – a dimostrazione che il PCI ufficiale diffidava ancora dello spontaneismo di Paolo Ricci. Penso, in conclusione, che si sia trattato più di un personaggio originale, che si estraneava dall'accademismo e dalla koiné artistica, abbastanza incurante dello stile pur ricercando nelle opere migliori soluzioni anche favolistiche.

F.R. (6 giugno 2020)







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