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giovedì 9 luglio 2020

Giuseppe Prezzolini, 1.


Politicamente e culturalmente sono stato, e rimango, sostanzialmente estraneo al pensiero di Giuseppe Prezzolini. Però non v'è dubbio che qualche pregio lo ha avuto, lasciando così qualche traccia nella cultura laica del nostro Paese. Come “intellettuale” è stato un interprete di Benedetto Croce in senso conservatore e a portare il pensiero del filosofo alle estreme conseguenze di uno stallo permanente di una sorta di paresi che lascia spazio solo all'eversione di destra, come ben si vede oggidì.
Sia chiaro che la mia ammirazione, il mio rispetto, nonché la devozione ricevuta per “li rami” paterni nei confronti di Croce resta intatta. Noto soltanto che, oltre ad essere grande storico della cultura e del pensiero, il filosofo di Pescasseroli si impantanò anche in un mediocre conservatorismo colluso con il peggior filofascismo effettivo.
Quando fu agente politico dal 1944 al 1948/49, Croce di fatto risultò interprete della concreta reazione al pensiero moderno (per altro spesso di retroguardia e sgangherato) derivazione però e stimolo delle nuove esigenze (sacrosante) etiche e sociali di tanta umanità reale, vivente, oppressa e sfruttata.
Non a caso mio padre non seguì Croce politicamente; anzi egli e le sue innovative intenzioni politiche furono le vittime dirette dell'ottusa, sconsiderata politica liberale, la quale facendo cadere il Governo Parri – proprio mentre stava diventando operativo dopo i primi sei mesi postbellici confusi e convulsi dell'Italia e del mondo – aprì le porte all'inevitabile primo compromesso storico, di cui i Patti Lateranensi nella Costituzione repubblicana furono il coronamento. Questo “antipasto” sì che era un ircocervo: e cioè l'incoerenza esistenziale che ha partorito il Partito Democratico.
Anche il pensiero filosofico di Croce, congelato senza sbocchi e indirizzi, ha risentito di un'involuzione che nei seguaci pedissequi si è risolta in ritualità sterile e autoreferenziale.
Carlo L. Ragghianti non è caduto in questa trappola tomistica, ha individuato e percorso vie nuove tuttora praticabili con sbocchi originali e potenzialmente antitesi 
dialetticamente innovativa ricca di declinazioni eccentriche.
Personalmente sono grato a Prezzolini in conseguenza di un episodio nel quale egli era implicato, del tutto a sua insaputa. Mi è anche “simpatico” per certi suoi tratti di vita ai quali si è accostata la mia esistenza. La riconoscenza deriva dal fatto che grazie a lui il caro e tuttora compianto Delio Cantimori mi dette la lode all'esame di storia moderna. In una prova tutto sommato abbastanza brillante ma banale, forse anche per un po' di imbarazzo del “Micio” – come lo chiamava mio padre – nel dover giudicare il figlio di un caro amico. Fatto sta che Cantimori evidentemente pensò di facilitare il mio palese imbarazzo di trovarmi a tu per tu giudicato da un grande storico (una leggenda, come direbbero oggi), chiedendomi cosa sapessi e pensassi di Prezzolini.  In verità del controverso vociano avevo letto i titoli e gli indici dei libri nella biblioteca del babbo e del Vieusseux; avevo studiato quanto sostenuto al riguardo da Saitta e da Spini nei manuali, nonché Garin e... avendo assistito – più che partecipato – a qualche sgangherata discussione inerente tra i pochi colleghi con i quali ero in amicizia. Però, con l'improntitudine dei vent'anni, con l'inaspettata rielaborazione della memoria latente, riuscii a esporre per cinque minuti vivacemente e con coerenza. Risultato – dopo un paio di minuti di rito giudicante interprofessorale – trenta e lode e una stretta di mano con complimenti.
L'affermazione che alcuni tratti della personalità di Prezzolini mi fossero aprioristicamente simpatici discende principalmente dal fatto che egli, scocciato e reattivo nei confronti dell'andamento scolastico, durante un anno di liceo – all'insaputa della famiglia – smise di frequentare la scuola e si dette alla frenetica lettura di libri nelle biblioteche, nonché alla scoperta della città. Ciò è quel che esattamente feci anch'io nel 1955-1956, in prima liceo. Prezzolini fu più “rigoroso” di me, perché non prese la maturità né frequentò l'università. E fece bene. In quel luogo (mi riferisco alle facoltà umanistiche), salvo eccezioni, i momenti di formazione sono veramente pochi, il resto – sopratutto la “vie de Bohème”, più o meno praticata, la politica, ecc. – sono piacevole tempo perduto. Si consideri anche che agli inizi degli anni Sessanta l'università era anche moralmente diseducativa perché intendeva dare un'educazione privilegiata, incoraggiare atteggiamenti corporativi, e quindi di fatto operava una discriminazione classista. Tanto per fare un esempio: i bidelli interpellavano già da matricole noi studernti “signorino!”. Seri, non beffardi o a presa per i fondelli.
Rapporti diretti di C.L. Ragghianti con Prezzolini non mi pare che ce ne siano stati. Giudizi e commenti sì, scritti parenteticamente in altri contesti; parlato: certamene con me, prevalentemente per inciso e on demand. Riporto in questo post le due lettere nelle quali mio padre scrive specificatamente di Prezzolini. Nella prima, il 19 gennaio 1978, rivolta ad Elio Gabbuggiani – allora sindaco di Firenze – C.L.R. approva l'acquisizione del fondo documentario sullo scrittore e caldeggia la sua collocazione al Gabinetto Vieusseux. La seconda – significativa – datata 22 gennaio 1984, Ragghianti la rivolge a Lapo Mazzei, Presidente della Cassa di Risparmio di Firenze, a proposito del Centenario dalla nascita di Prezzolini, morto da pochi mesi. Come esempio dei citati acquarelli di Guarnieri, riproduco la coeva pagina pubblicitaria di “Nuova Antologia”, risuscitata e diretta da Giovanni Spadolini. In un prossimo post conto di pubblicare una serie di testi sull'ineffabile fondatore della mitica “Voce”.

F.R. (15 marzo 2020)






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