Politicamente
e culturalmente sono stato, e rimango, sostanzialmente estraneo al
pensiero di Giuseppe Prezzolini. Però non v'è dubbio che qualche
pregio lo ha avuto, lasciando così qualche traccia nella cultura
laica del nostro Paese. Come “intellettuale” è stato un
interprete di Benedetto Croce in senso conservatore e a portare il
pensiero del filosofo alle estreme conseguenze di uno stallo
permanente di una sorta di paresi che lascia spazio solo
all'eversione di destra, come ben si vede oggidì.
Sia
chiaro che la mia ammirazione, il mio rispetto, nonché la devozione
ricevuta per “li rami” paterni nei confronti di Croce resta
intatta. Noto soltanto che, oltre ad essere grande storico della
cultura e del pensiero, il filosofo di Pescasseroli si impantanò
anche in un mediocre conservatorismo colluso con il peggior
filofascismo effettivo.
Quando
fu agente politico dal 1944 al 1948/49, Croce di fatto risultò
interprete della concreta reazione al pensiero moderno (per altro
spesso di retroguardia e sgangherato) derivazione però e stimolo
delle nuove esigenze (sacrosante) etiche e sociali di tanta umanità
reale, vivente, oppressa e sfruttata.
Non
a caso mio padre non seguì Croce politicamente; anzi egli e le sue
innovative intenzioni politiche furono le vittime dirette
dell'ottusa, sconsiderata politica liberale, la quale facendo cadere
il Governo Parri – proprio mentre stava diventando operativo dopo i
primi sei mesi postbellici confusi e convulsi dell'Italia e del mondo
– aprì le porte all'inevitabile primo compromesso storico, di cui
i Patti Lateranensi nella Costituzione repubblicana furono il
coronamento. Questo “antipasto” sì che era un ircocervo: e
cioè l'incoerenza esistenziale che ha partorito il Partito
Democratico.
Anche
il pensiero filosofico di Croce, congelato senza sbocchi e indirizzi,
ha risentito di un'involuzione che nei seguaci pedissequi si è
risolta in ritualità sterile e autoreferenziale.
Carlo
L. Ragghianti non è caduto in questa trappola tomistica, ha
individuato e percorso vie nuove tuttora praticabili con sbocchi
originali e potenzialmente antitesi
dialetticamente innovativa ricca di declinazioni eccentriche.
Personalmente sono grato a Prezzolini in conseguenza di un episodio nel quale egli era implicato, del tutto a sua insaputa. Mi è anche “simpatico” per certi suoi tratti di vita ai quali si è accostata la mia esistenza. La riconoscenza deriva dal fatto che grazie a lui il caro e tuttora compianto Delio Cantimori mi dette la lode all'esame di storia moderna. In una prova tutto sommato abbastanza brillante ma banale, forse anche per un po' di imbarazzo del “Micio” – come lo chiamava mio padre – nel dover giudicare il figlio di un caro amico. Fatto sta che Cantimori evidentemente pensò di facilitare il mio palese imbarazzo di trovarmi a tu per tu giudicato da un grande storico (una leggenda, come direbbero oggi), chiedendomi cosa sapessi e pensassi di Prezzolini. In
verità del controverso vociano avevo letto i titoli e gli indici dei
libri nella biblioteca del babbo e del Vieusseux; avevo studiato
quanto sostenuto al riguardo da Saitta e da Spini nei manuali, nonché
Garin e... avendo assistito – più che partecipato – a qualche
sgangherata discussione inerente tra i pochi colleghi con i quali ero
in amicizia. Però, con l'improntitudine dei vent'anni, con
l'inaspettata rielaborazione della memoria latente, riuscii a esporre
per cinque minuti vivacemente e con coerenza. Risultato – dopo un
paio di minuti di rito giudicante interprofessorale – trenta e lode
e una stretta di mano con complimenti.
L'affermazione
che alcuni tratti della personalità di Prezzolini mi fossero
aprioristicamente simpatici discende principalmente dal fatto che
egli, scocciato e reattivo nei confronti dell'andamento scolastico,
durante un anno di liceo – all'insaputa della famiglia – smise di
frequentare la scuola e si dette alla frenetica lettura di libri
nelle biblioteche, nonché alla scoperta della città. Ciò è quel
che esattamente feci anch'io nel 1955-1956, in prima liceo.
Prezzolini fu più “rigoroso” di me, perché non prese la
maturità né frequentò l'università. E fece bene. In quel luogo
(mi riferisco alle facoltà umanistiche), salvo eccezioni, i momenti
di formazione sono veramente pochi, il resto – sopratutto la “vie
de Bohème”, più o meno praticata, la politica, ecc. – sono
piacevole tempo perduto. Si consideri anche che agli inizi degli anni
Sessanta l'università era anche moralmente diseducativa perché
intendeva dare un'educazione privilegiata, incoraggiare atteggiamenti
corporativi, e quindi di fatto operava una discriminazione classista.
Tanto per fare un esempio: i bidelli interpellavano già da matricole
noi studernti “signorino!”. Seri, non beffardi o a presa per i
fondelli.
Rapporti
diretti di C.L. Ragghianti con Prezzolini non mi pare che ce ne siano
stati. Giudizi e commenti sì, scritti parenteticamente in altri
contesti; parlato: certamene con me, prevalentemente per inciso e on
demand. Riporto in questo post le due lettere nelle quali mio
padre scrive specificatamente di Prezzolini. Nella prima, il 19
gennaio 1978, rivolta ad Elio Gabbuggiani – allora sindaco di
Firenze – C.L.R. approva l'acquisizione del fondo documentario
sullo scrittore e caldeggia la sua collocazione al Gabinetto
Vieusseux. La seconda – significativa – datata 22 gennaio 1984,
Ragghianti la rivolge a Lapo Mazzei, Presidente della Cassa di
Risparmio di Firenze, a proposito del Centenario dalla nascita di
Prezzolini, morto da pochi mesi. Come esempio dei citati acquarelli
di Guarnieri, riproduco la coeva pagina pubblicitaria di “Nuova
Antologia”, risuscitata e diretta da Giovanni Spadolini. In un
prossimo post conto di pubblicare una serie di testi sull'ineffabile
fondatore della mitica “Voce”.
F.R.
(15 marzo 2020)
Nessun commento:
Posta un commento