Dopo
aver riproposto gli scritti antebellici e quelli pubblicati su
“seleArte” negli anni '50-'60 da Carlo L. Ragghianti all'interno
del post Arte moderna in Italia 1915-1935, testi critici:
Carandente (Cominetti, Marini) –
vedere 4 marzo 2020 –
e successivamente Incontro con Marino Marini
– v. 10 marzo 2020
– ritenevo accantonato il
rapporto tra il critico lucchese e l'artista pistoiese, almeno per
quel che riguarda questo blog.
Non
avrei intenzione, infatti, di addentrarmi sulla questione degli
sforzi (e dei risultati, poi riconosciuti come indiretti)
di mio padre per portare l'opera di Marini a Firenze. Questa
reticenza dipende in parte dal fatto –
credo – che essi
siano già stati indagati; dall'altro dal fatto della mia viscerale
antipatia nei confronti dell'uomo, uno smidollato ondivago per
carattere, e snob d'animo, quale mi è sempre sembrato M.M. mi
infastidisce.
Mi
corre l'obbligo, a questo punto, di sottolineare che Marino Marini è
stato un grandissimo artista, uno di quei pochi che saranno ricordati
come i protagonisti del proprio secolo.
La
cronaca recente della ancora non risolta –
presumo –
diatriba sulla intenzione di accentrare a Firenze anche quanto
custodito e promosso culturalmente dalla Fondazione Marini che ha
sede a Pistoia, mi riporta a mente tramite uno dei suoi protagonisti
– difensore dello status
quo –
lo studioso Marco Borrini una analisi critica condivisibile sul
rapporto Ragghianti-Marini. Essa fu pubblicata sotto forma di
“scheda” (pp. 326, 327), nel poderoso, utile e tuttora vitale Catalogo della Mostra C.L.R. e il carattere cinematografico della visione (Charta, 2000), progettata con passione da Marco Scotini.
Siccome, come dicevo, il testo della scheda merita di essere ricordato, lo ripropongo oggi con la riproduzione di alcune opere di Marini. Nato
nel 1967 a Pistoia, Marco Borrini si è laureato a Bologna con Renato
Barilli, ha svolto e svolge un'intensa attività di organizzatore
culturale e di studioso. Difende la permanenza a Pistoia della
Fondazione Marini, che tra l'altro offre qualificata attività con
personale specializzato anche perché:
Per
quel che può valere, personalmente ritengo non solo giusto ma
importante culturalmente che la sede e le attività della Fondazione
rimangano a Pistoia. Oltre alle altre considerazioni da più parti
sostenute, questo Istituto rappresenta una determinante testimonianza
della fertile e qualificata presenza nel Novecento della alta qualità
intellettuale ed artistica della scultura e in particolare
nell'ambito di una città per certi versi marginalizzata dalla
concorrenza –
lecita – di altri
centri urbani toscani. Voglio ricordare soltanto che a Pistoia è
nato ed ha operato Jorio Vivarelli, altro notevolissimo scultore, di
cui rammento ancora la coinvolgente casa-museo. Mi sembra opportuno
citare anche la Fonderia Michelucci, che ho sentito fin da bambino
sempre lodare tra le migliori d'Italia e del mondo da qualificati
artisti (uno per tutti: Emilio Greco) e studiosi competenti in
materia.
F.R.
(17 aprile 2020)
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