Carlo e Licia

Carlo e Licia

Archivio

Cerca nel blog

sabato 28 dicembre 2019

Arte Moderna in Italia 1915-1935 - Testi dei Critici, 5/II. Fortunato Bellonzi. (MORBIDUCCI, SAETTI).



Post Precedenti:

1. RAFFAELE MONTI ( I ) - 16 giugno 2018
2. IDA CARDELLINI (LORENZO VIANI) - 28  settembre 2018 
3. UMBRO APOLLONIO (NATHAN, BIROLLI) - 19 settembre 2019
4. MARCELLO AZZOLINI (GUERRINI, CHIARINI, VESPIGNANI). 6 ottobre 2019
5/I. FORTUNATO BELLONZI (BOCCHI, D'ANTINO). 12 novembre 2019



Di estrazione operaia ed artigianale, Publio Morbiducci (1899-1963) è stato un personaggio piuttosto contraddittorio nella vita e nell'arte. Dagli esordi fu scultore, però anche pittore di vero talento con dipinti contigui per certi aspetti all'attività di Melli ma con impronta originale e decisa. Praticamente di questa produzione pittorica sorprendente è conosciuta e riprodotta quasi soltanto quella del 1915, anno in cui M. fu arruolato per il fronte ma riformato per motivi di salute. La precocità pittorica è uno dei motivi che lo associano a Fortunato Bellonzi, pittore promettente ma negatosi presto all'uso dei pennelli. Altro motivo che li associa è un contorto percorso politico sfociato nel dare supporto esterno alla Democrazia Cristiana, carente negli ambienti intellettuali ed artistici.
Morbiducci, iscritto nel 1915 al Partito Socialista, nel 1921 è vicino al neonato P.C.I.; nel 1925 restituisce la tessera socialista perché “il partito era poco serio”; nel 1929 espone alla Prima Sindacale fascista del Lazio; nel 1932 realizza un busto di Mussolini; nel 1933 si iscrive al Partito Nazionale fascista (dove rimane fino al 25 luglio 1943). Rispunta nel 1946 riammesso all'Accademia di San Luca (nella quale era stato associato nel 1937); nel 1950 partecipa alle iniziative della Democrazia Cristiana; nel 1951 entra nel sindacato Cisl-artisti e quindi diviene rappresentante nella Quadriennale di Roma, di cui Bellonzi era Segretario generale.
La sua “scheda” nel Catalogo della Mostra 1915-1935 è una delle poche in cui la Redazione è intervenuta sia con una nota aggiuntiva, sia con modifiche al contenuto espresso da Bellonzi, lasciando però inalterato il testo che riguarda l'adesione alla bolsa retorica scultorea fascista che “seppe assolvere con dignità, malgrado i limiti opprimenti di una retorica d'obbligo”. Invece fu un “pompiere” spesso riprovevolmente opaco, sordo espressivamente, con disegni (ad es.) francamente di un accademismo deplorevole (salvo certi fogli di nudi femminili in cui prevale il richiamo dell'istinto).
Comunque negli ambienti romani “tradizionalisti”, estranei ed ostili agli artisti più o meno gravitanti intorno al P.C.I. (da Cagli e Guttuso, Turcato, Mafai, ecc. ecc.), Morbiducci ebbe e mantenne (es. la “Voce Repubblicana” del 19-20 novembre 1999) e forse tuttora mantiene una considerazione professionale e di ammirazione perché lo scultore è riuscito “a trovare … un suo modo di rinnovarsi e di continuare a fare l'artista”.
La monografia (l'unica che mi risulti), sempre del 1999, che gli dedica l'Accademia di San Luca ricapitola l'attività di Morbiducci in maniera abbastanza esauriente, con qualche contorcimento e qualche omissione visiva. Giulio Ciucci, segretario generale dell'Accademia, scrive “omaggio … della città di Roma ad uno dei suoi artisti, un tempo assai noto e oggi dimenticato. Ragghianti aveva esposto nel 1967 alcune opere giovanili dell'artista, eseguite nel 1915 … ma in secondo piano erano passate le sue sculture più tarde segnate da un monumentalismo di cui veniva colto solo l'aspetto deteriore …”. Pour cause, direi. E, sia chiaro, ciò avvenne non per censura politica, giacché per Carlo L. Ragghianti (e per noi suoi allievi e/o proseliti) un'opera se è espressiva e originale è arte; d'altra parte se la sua forma è inespressiva e il contenuto è ideologico, estraneo si è di fronte soltanto a tradimento, negazione dell'arte, si ha oscenità visiva, quindi un oggetto riprovevole, censurabile.
Comunque, nella documentazione che segue mostreremo anche alcune nefandezze scultoree di Morbiducci. Del quale, per sua disdetta si può asserire tranquillamente che sia stato un artista declinante, che ha – cioè – espresso il meglio di sé all'inizio dell'attività, peggiorando progressivamente la qualità, praticamente senza riscatto (e non fuorvino il giudizio gli ammiccamenti ad altri scultori nelle sue opere tarde).
F.R. (12 settembre 2019)













Bolognese di nascita e quindi veneziano adottivo, l'artista Bruno Saetti (1902-1984) è stato uno di quei rari pittori che è riuscito a mantenere un livello estremamente elevato grazie all'inflessibile rigore compositivo, inalterato nelle fasi fermamente distinte della propria attività, estraniandosi sempre ai linguaggi delle cosiddette avanguardie. La sua figurazione fino al 1935 si esprime soltanto tramite la pittura ad olio con le tecniche tradizionali. Da quella data Saetti è dedito continuativamente anche alla tecnica dell'affresco, centrata in prevalenza sul tema del sole sovrastante un muro, declinati in una varietà costante non monotona. Sotto 
questo aspetto Saetti è collegabile al Maestro Giorgio Morandi, come sottolineò il Comune di Bologna quando volle associare i suoi due comunque notevoli artisti donando a Saetti lo spazio sepolcrale pubblico contiguo a quello del grande Maestro di Via Fondazza. Anche Giulio Carlo Argan, la cui attenzione critica è generalmente dedita ad altre forme espressive, riconosce: “che il suo lavoro è stato e rimane un esempio di onestà di intento e di impegno”. Pier Carlo Santini, in un articolato saggio del 1972 in occasione di una mostra presso la galleria Menghelli di Firenze, a proposito di muri di Saetti specifica:



Artista completo, Saetti ha praticato anche disegno ed incisione con sicuri risultati paritetici a quelli pittorici, nonché si è cimentato con la scultura e il mosaico, cui ha dedicato il gravoso impegno di “decorare” la Cappella degli Angeli, ricavata da un annesso alla propria abitazione di Montepiano di Prato. Tra l'altro, infatti, Saetti è stato un artista dedito all'arte sacra, praticata con spirito laico, derivante dalla propria profonda convinzione di essere “un socialista cristiano”, che vive in coerenza con ideali di generosità, tolleranza, operosità. La professione di fede di Saetti non è ostentata né rivendicata, è probabilmente il motivo reale dell'assegnazione della “scheda” critica a Fortunato Bellonzi, anch'egli cristiano praticante ma non gregario.
Nella Mostra Arte Moderna in Italia 1915-1935, le “schede” sugli artisti, come si può pragmaticamente rilevare erano di norma assegnate ai critici sulla base di due criteri prevalenti: area geografica di appartenenza e specialismo accertato, collegati ai loro studi o ai loro interessi culturali. Come abbiamo puntualmente notato, soprattutto nella sezione “schede redazionali”, si sono presentati diversi casi di latitanza generale dei membri della Commissione – dovuti a motivi vari – cui sopperì Ragghianti con la 
collaborazione di Raffaele Monti, Segretario generale della Mostra. Posso assicurare che furono escluse rigorosamente colleganze commerciali con e tra artisti e gallerie. Con quest'ultime ci furono collaborazioni di prestiti o di aiuto nel reperimento di singole opere d'arte. In pochissimi casi furono operati di “imperio” tagli e modifiche effettuati esclusivamente di fronte a palesi eccessi encomiastici.

Risultano quattro testi scritti appositamente su Bruno Saetti da parte di Carlo L. Ragghianti. Ovviamente esistono citazioni o riferimenti puntuali a Saetti contenuti in altri scritti di Ragghianti, come ad es. l'articolo su la XXXI Biennale di Venezia (“L'Espresso”, Roma 23 settembre 1962) o su “SeleArte”. E' questa una ricerca che può essere fatta soltanto in vista di un approfondimento monografico, oppure nell'ambito di schedature sistematiche.
Il primo intervento dedicato al pittore è un estratto dal più volte citato saggio La III Quadriennale d'Arte Italiana (“La Critica d'Arte”, a.V, n.1, XXIII, feb.-mar. 1940). Si tratta di una valutazione sostanzialmente riduttiva (si veda in proposito nella prima parte di questo post alla voce Bocchi), che contiene riflessioni di carattere generale. Lo riproduciamo integralmente:



Il secondo scritto di Carlo L. Ragghianti è del 1977, quando il critico pubblicò la pagina di presentazione alla cartella “Sei muri” di Saetti, stampata da Pistelli per la Galleria della 
grafica Palazzo Vecchio di Firenze che lo diffuse anche tramite un opuscolo con le illustrazioni a colori dei sei muri, e poi sul quotidiano “La Nazione”. Qui sotto eccone il testo:

Del 1981 è il terzo scritto, un saggio che C.L.R. dedica con le pp. 93-95 nel Catalogo – monografia (a c. di Tommaso Paloscia, Salani editore) della mostra antologica a Palazzo Strozzi, all'interno del quale furono riprodotte le quindici importanti opere della donazione di Bruno Saetti alla Città di Firenze per il costituendo Museo d'arte contemporanea, allora ancora
chiuso nei Magazzini comunali nonostante le insistenze di esporlo da parte di C.L. Ragghianti. Questo scritto fu poi pubblicato nel 1982 (pp. 257-70) con il titolo Con Saetti a Montepiano nel volume Bologna cruciale 1914 e saggi su Morandi, Gorni e Saetti. Da questo libro, per via di una migliore veste tipografica, lo riproduciamo assieme a sei affreschi della donazione a Firenze:







L'ultimo intervento di C.L. Ragghianti riguardante l'opera di Saetti, sempre edito da “Galleria d'Arte Palazzo Vecchio” nell'ottobre 1983, in un catalogo a cura di Franco Solmi. Anche in questa breve e densa pagina il critico riflette sugli affreschi di Bruno Saetti (il quale morirà l'anno seguente) e ci affida il ricordo, come possiamo leggere qui di seguito, di 
un artista che “recapitola il suo passato, è propenso a momenti di sensitiva melanconia e di nostalgia. La sua arte non ha derive o svolte per questo, ma si accenta di nuove tonalità effettive, di temperati abbandoni, talvolta di ricordi tra accesi e teneri”.
F.R. (11 settembre 2019)












Nessun commento:

Posta un commento