Carlo e Licia

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martedì 24 dicembre 2019

Mario Luzi e Venturino Venturi in "Critica d'Arte", e complementi.

Venturino Venturi (1918-2002) a causa della mentalità retriva pre-Basaglia imperante nella medicina delle malattie mentali fino (e talvolta oltre) gli anni Cinquanta, fu ricoverato – per quello che non era altro che un forte esaurimento nervoso – in manicomio. Ero ancora ragazzetto ma ricordo benissimo che sorse e si sviluppò decisa una campagna articolata perché lo scultore fosse curato diversamente e dimesso subito. Mio padre, che già conosceva ed apprezzava Venturino, si adoperò per questa causa di cui parlavano spesso Alfredo Righi, Pier Carlo Santini ed altri abituali frequentatori dello Studio Italiano di Storia dell'Arte in Palazzo Strozzi. Mi colpì soprattutto le veemenza indignata ed attiva con cui si batteva pro Venturino l'allor giovane Ida Cardellini (assistente di mio padre fin dal suo accesso alla cattedra di Pisa del 1° gennaio 1949) che generosamente smosse “mari e monti” per questa causa umanitaria.
Comunque, anche grazie alla contiguità con Emilio Greco nella creazione di quel mirifico parco di Villa Garzoni a Collodi, Venturino da allora fu una presenza costante per la mia attenzione all'ambiente artistico fiorentino e limitrofo, come l'appartata Loro Ciuffenna dove l'artista viveva ed operava.
Carlo L. Ragghianti ebbe da quel tempo sempre cordiali rapporti con Venturino, come in questo blog si può verificare nel fascicolo di “SeleArte” (IV s., n.4, autunno 1989, pp.33-44) che fu postato il 19 dicembre 2016.
Non so perché ma fino al 1968 non conoscevo Mario Luzi, salvo accenni di mia madre circa la sua poesia, i soliti pettegolezzi sull'aspirazione al Nobel da parte dello scrittore, il fatto che fosse – bontà sua – stato “aio” di Enrico Guaita (Gnagna nei nostri anni universitari), nipote della indomita Maria Luigia. Però fui io a curare e impaginare il fascicolo di “Critica d'Arte” (n.96, giugno 1968, pp. 13-18) dove pubblicammo il saggio di Mario Luzi, la cui lettura confermò, confortò e sviluppò le mie confuse osservazioni sulla grandezza di Venturino.
Vent'anni dopo – trent'anni fa – lo scritto intitolato Venturino Venturi negli anni '60 Mario Luzi consegnò in Redazione un nuovo intervento sul grande scultore di Loro Ciuffenna, che di nuovo io impaginai e curai. Questo saggio fu stampato, col suggestivo titolo L'arte e la vita, Venturino Venturi, in “Critica d'Arte” (IV s., n.20, apr.-giu. 1989, pp.75-80) la quale riprendeva la pubblicazione – con formato più grande – dopo la morte del fondatore e Direttore Carlo L. Ragghianti (3 agosto 1987).
Di questa IV serie fui il Responsabile e il Redattore Capo, dato che altri stavano annusando il vento cercando il loro ubi consistam, senza volersi ancora esporre o schiarare nell'Università Internazionale dell'Arte e presso l'editore Panini.
Nel ventennale intervallo tra le due pubblicazioni, ebbi l'onore di conoscere un po' più che con il banale “buongiorno, come sta?” Mario Luzi, una persona veramente colta e dedita alla tramitazione del sapere soprattutto nei confronti dei giovani. Egli era, infatti, un professore per vocazione ma soprattutto un poeta di impostazione classica.
Grazie a Piero Pananti ebbi poi l'opportunità di andare a trovare diverse volte il Maestro Venturi nel suo studio suggestivo di Loro Ciuffenna. Debbo riconoscere e in un certo senso confessare (perché esprimere determinati propri sentimenti equivale a svelare aspetti della propria interiorità) che avevo la sensazione di fronte a Venturino di essere un astante ammesso alla consuetudine di vita e spiritualità di un sant'uomo, di un guru. Venturino lavorava (e insieme anche parlava pacato, quasi ispirato) con gesti antichi, rituali ed evocativi. In un certo senso mi sentivo come un familiare di un apostolo ammesso alla presenza di un profeta. Tornavo a Firenze veramente rasserenato, anche se non sapevo esattamente di cosa e per cosa.
Sempre grazie al caro e prezioso amico Piero Pananti – che per Venturino oltre a grande stima ed ammirazione aveva una sorta di pietas filiale marcata ma gentile, com'è nella sua natura – debbo a fine degli anni Novanta aver avuto una lastrina incisa dall'artista, destinata a illustrare e impreziosire un fascicolo del domestico “SeleArte” (IV serie, 1988-1999).

Purtroppo il trasloco delle nostre biblioteche e del mio Archivio da Firenze a Vicchio alla fine del 1999/inizi 2000 – congiunto a una certa ristrettezza pecuniaria derivante dall'acquisto per contanti della nuova casa contenitrice delle carte, nonché la rottura della stampante (costosa!) - mi costrinsero a sospendere la pubblicazione di “SeleArte”. Non escludo a posteriori che nel subcosciente agisse a pro della cessazione del periodico – più che il riscontro dello scarso interesse suscitato nei selezionati ricevitori – soprattutto l'incongruenza del rapporto tra risultato e fatica di progettarlo prima e realizzarlo poi personalmente e manualmente, cioè comporre i testi e realizzare le illustrazioni b/n al tratto, impaginare, stampare, foglio per foglio e confezionare con punti metallici, imbustare, indirizzare, affrancare e portarlo alle PP.TT. Per la distribuzione (il tutto gratis!).

La lastrina di Venturino nel frattempo era stata stampata (non ricordo se da Rodolfo Ceccotti o da un artigiano operante per Guido Pinzani) e le copie firmate dall'autore nella consueta tiratura (1-100 + I-X).
Dato che si trattava di un dono per la mia rivista, era assolutamente da escludere ogni tipo di cessione contro denaro, né un uso improprio. La tiratura, quindi, restò per qualche tempo in beato letargo.
Quando Rosetta ed io venimmo a Vicchio a vedere per la prima volta quella che sarebbe stata la sede delle nostre dimore, ci trovammo di fronte ad uno “scheletro” da tetto a ipogeo, con completate soltanto le fondamenta e i piani intermedi, senza finiture e con gli impianti da inserire. Siccome, per le tresche tra quei … di agenti immobiliari e derivato sottobosco, non saremmo stati risarciti della vendita di Villa La Costa (in senso proprio; così l'aveva “battezzata” C.L.R., in un raro – e incompreso – lampo di umorismo) fino alla sua consegna agli acquirenti totalmente svuotata e con le loro divisioni murarie già realizzate, non avevamo la disponibilità necessaria per acquistare o prendere impegni immediati per la nuova casa. I venditori di Vicchio volevano essere pagati a rate, sì, ma da subito e fummo costretti a fare i salti mortali per conciliare quelle esigenze tanto divergenti.
Al di là della parte “soldi”, dovemmo provvedere, aiutati dai cari amici Gasparrini ed altri, a trovare fornitori e maestranze che costruissero l'abitabilità della struttura, ecc. Dovetti, per consentire i lavori, trovare due magazzini nei quali parcheggiare libri, archivi, mobili e quant'altro fino alla conclusione della mattonellatura e delle finestrature. Non furono certo tutte rose e fiori, né tutti i fornitori furono professionalmente irreprensibili e competenti senza bisogno di assillanti controlli. Però ce la facemmo senza debiti o altre inadempienze.
Alla fine di tutte queste traversie mi sentii in debito verso tante persone nei confronti delle quali non sapevo come sdebitarmi e manifestare gratitudine, almeno simbolicamente. Fu così che mi venne in mente la tiratura dell'incisione di Venturino come oggetto-ricordo tangibile della realizzazione di una “casa Ragghianti”, per contenuti continuazione delle nostre peculiarità famigliari.
Previo consenso dell'autore, che trovò degno lo scopo sostitutivo, Leonardo Baglioni realizzò una “copertina” (con titolo a p.1; a p.2 un mio sonetto “mi figue, mi rasin”, per dirla alla francese) contenente un esemplare della figura attonita ma benevolmente benedicente l'umanità (buoni e cattivi) realizzata da Venturino. Naturalmente consegnai anche ai “collaboratori” insoddisfacenti l'incisione, ammonendoli che eravamo consci del loro cattivo servizio negli ultimi versi della proesia.
Nel 2001 Venturino Venturi ci lasciò – m'auguro serenamente – addolorati però consci dell'onore di averlo conosciuto e frequentato, convinti anche che il suo “genio” è di quelli che sfidano i secoli.

F.R. (28 ottobre 2019)






P.S. - A post concluso, rinvengo l'estratto dalla lettera del 23 marzo 1953 inviata da Carlo L. Ragghianti ad Egone Fischl, commerciante – mi pare – in pellami e collezionista svizzero, praticamente l'unico con cui mio padre continuò ad avere rapporti di consiglio dopo il conseguimento della cattedra universitaria dal 1 gennaio 1949. Questo intervento conferma l'interesse attivo di C.L.R. per Venturino, vittima dell'accanimento medico diffuso all'epoca. L'artista infatti, si trovava in pessima condizione economica, mentre era essenziale avere cespiti certi per evitare misure di “protezione”, praticamente coercitive e limitanti l'espressione creativa. Non so se Venturi e R. si conoscessero già di persona, certo è il coinvolgimento di mio padre nella “catena” di soccorso a favore di uno scultore e disegnatore di grande e meritato avvenire.
F.R. (28 novembre 2019)




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