Carlo e Licia

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mercoledì 6 novembre 2019

Censure sull'arte.

1. Censura d'attualità

Sono già diversi anni che la comunità internazionale attiva sul web e sui social si è indignata contro la decisione da parte del colosso mediatico Facebook di applicare una politica di censura sulle immagini che è permesso ai privati di pubblicare sui propri profili Facebook.
Nel regolamento infatti sono espressamente riportati le tipologie di contenuti non ammessi sulla piattaforma social: tra i contenuti violenti, autolesionisti e di istigazione all'odio e le minacce e attacchi verso terzi, troviamo anche la dicitura “Nudità o altri contenuti sessualmente espliciti”.
Niente da dire sull'attenzione da parte del team di Facebook a limitare l'accesso o il fortuito capitare di giovani e anche giovanissimi su immagini e altro tipo di contenuti pornografici, erotici o sessualmente espliciti. Il problema e l'ondata di critiche e sostenuto dissenso si è però scatenata quando una serie di casi al limite del ridicolo ha reso noto alla comunità di utenti di Facebook che questo stesso algoritmo, usato per determinare quali immagini o post contravvengano alle linee guida del regolamento e quindi siano da censurare, viene anche applicato al nudo artistico. Numerose opere d'arte di interesse, pregio storico e artistico internazionale sono state colpite da questa indiscriminata e bigotta pratica di forzato silenzio: alcuni esempi sono le sculture di Antonio Canova, la Sirenetta di Copenhagen, i nudi di Tiepolo o di Modigliani, addirittura la foto artistica della piccola Kim Phuc che correva nuda per scampare all'attacco al Napalm durante la Guerra del Vietnam.
Testimonianze artistiche, storiche, sociali importanti e che non hanno assolutamente sfondo sessuale o erotico, se non forse nell'inevitabile mente malata di qualcuno psicologicamente disturbato. E' disarmante la totale superficialità con cui viene portato avanti questo processo, organizzato per essere incapace di valutare la natura e l'intento espressivo di quella particolare rappresentazione di nudità: dovrà pur esserci una differenza tra il modo in cui guardiamo una foto pornografica fine a sé stessa ed il David di Michelangelo o immagini che testimoniano le atrocità compiute in zone di guerra e che capitano di mostrare qualcuno svestito! Questa assurda decapitazione di riproduzioni e foto artistiche sul sito di Facebook viene operata da un team di moderatori sparsi per il mondo che lavorano per segnalazione, spesso censurando preventivamente l'immagine non appena qualche utente (ignorante, bigotto, mancante evidentemente della sensibilità non solo artistica ma anche umana di comprendere il messaggio che sta dietro all'opera di nudo in quanto tale) decide di manifestare la propria ottusità segnalandola come inappropriata, oscurando quindi il post e spesso “punendo” anche l'utente responsabile della pubblicazione con blocchi temporanei del profilo (una sorta di esilio a tempo dal social media) senza controllare la legittimità della segnalazione se non in un secondo momento, ripristinando eventualmente il post qualora  


venga trovata infondata. Nel caso della celebre foto già citata, manifesto della brutalità della guerra del Vietnam negli anni Sessanta e Settanta, dopo moltissimi reclami il team di Facebook ha deciso di ripristinare il post ed il profilo del giornalista norvegese che l'aveva pubblicata, con queste parole: 
“Un'immagine di un bambino nudo – c'è scritto – normalmente, violerebbe i nostri community standard, e in alcuni Paesi potrebbe addirittura essere considerata un'immagine pedopornografica. In questo caso, riconosciamo la storia e l'importanza globale di questa immagine nel documentare un particolare momento storico. Grazie al suo status di immagine iconica di importanza storica, il valore della sua condivisione supera il valore della protezione sociale attraverso la rimozione, quindi abbiamo deciso di ripristinare l'immagine su Fb ”.
E' vero che in quanto piattaforma privata di proprietà di Mark Zukerberg hanno effettivamente il diritto legale di stabilire le proprie linee guida ed il proprio regolamento interno – consultabile sul sito stesso, ma piuttosto approssimativo nelle spiegazioni – e che gli utenti che decidono di iscriversi e creare un profilo su Facebook sono tenuti ad informarsene e, qualora non siano d'accordo, hanno la scelta a loro disposizione se rimanere o meno tra i milioni di persone che danno potere e allargano non solo le casse ma anche i tentacoli di influenza del gigante americano.
Tuttavia, ognuno di noi ha l'incontrovertibile libertà di esprimere il proprio disaccordo qualora fenomeni di questo tipo mettono a serio rischio la capacità soprattutto delle nuove generazioni – che vi incentrano purtroppo gran parte della loro vita e che le elevano a fonti da cui imparare i propri valori, le proprie convinzioni ed interessi – di sviluppare la sensibilità che permette di andare a fondo, di vedere non solo il capezzolo sullo schermo ma di comprendere che la differenza sta nel valore aggiunto, nel messaggio, nella storicità, nell'espressione del talento e della creatività artistica che rende la specie umana così unica...e che non tutto è solo e morbosamente incentrato sulla sessualità fine a sé stessa.
Perché invece non lasciare che si continui ad ammirare l'ingegno umano dimostrato nelle varie forme d'arte che si sono susseguite nei secoli...e magari dare maggior importanza alla censura di pagine private e gruppi facebook che inneggiano all'odio razziale, alla violenza verso chi è diverso o semplicemente non va a genio a qualche imbecille limitato, ai ragazzi incitati al suicidio, alle forme di espressione di ideali fascisti e nazisti e all'intolleranza tra esseri umani? Perché tutelare e andar cauti nei confronti della loro libertà di espressione...e non di quella dei grandi artisti del passato e del presente che ci hanno insegnato che qualcosa di buono effettivamente l'uomo la può anche creare?
Irene Marziali Francis (28 ottobre 2019) 


2. Ragghianti, la censura e il caso "Non uccidere" di Autant Lara.

In questo momento quello della censura non sembra argomento di particolare attualità in Italia, salvo che nell'aspetto direi permanente di autocensura costantemente esercitato nei media da giornalisti embedded o da quanti altri hanno a che fare con la preparazione e la diffusione delle notizie (di ogni genere). D'altro canto la censura è uno dei pericoli incombenti sulla democrazia perché essa è aggressivamente sostenuta da un ceto politico autoreferenziale che da sempre va progettando soluzioni di censura preventiva sulle acquisizioni di notizie di giustizia (intercettazioni telefoniche, specialmente) in modo da rendere l'opinione pubblica ignorante di qualsiasi informazione accertata e non facilmente manipolabile.
Carlo L. Ragghianti è stato poco coinvolto in prima persona, che io sappia, su problemi attinenti direttamente la censura, contro la quale - è bene ricordarlo – aveva svolto una intensa attività durante la sua clandestinità (costituita da lettere e da dattiloscritti battuti in più copie di programmi, notizie dall'estero, propaganda specifica, ecc.) dagli anni universitari alla liberazione dalla occupazione tedesca e del suo regime “Quisling” fascista al Nord e al Centro del Paese (1930-1945).
Nel 1957 C.L.R. recensì il volume The Freedom to Read, Perspective and Program (in: “Criterio” n.8/9, 1957, pp. 723-725). Si trattava di un “rapporto”, indirizzato alle istituzioni pubblicistiche e alle biblioteche degli U.S.A., concernente lo stato dello sviluppo in azioni (di origine politica e religiosa soprattutto) tendenti a limitare la libertà di leggere.
Nel 1961 si verificò una virulenta campagna clerico-fascista (un anno dopo Tambroni, Genova e Reggio Emilia) contro la diffusione nei cinema del film Non uccidere di Claude Autant-Lara. Proiettata alla Mostra del Cinema di Venezia, la circolazione della pellicola fu proibita dalla Commissione di Censura in Italia (in Francia pure, stante l'agonia della guerra di indipendenza dell'Algeria, fino al 1963) a causa dell'argomento del film: l'obiezione di coscienza al servizio militare di leva, per la quale – ricordo – che allora ancora i Testimoni di Geova, per es., venivano tutti incarcerati per anni a Gaeta!
A questo proposito Ragghianti presiedette un dibattito tenuto con una affollata ed appassionata partecipazione di giovani (in prevalenza studenti ma anche operai e lavoratori) alla storica Casa del Popolo di Rifredi, di cui riproduco l'invito a stampa. In questa manifestazione il film fu soltanto un punto di partenza per stigmatizzare politicamente la persecuzione e pretendere il riconoscimento giuridico all'obiezione.
In relazione a questa censura la rivista “Il Ponte” organizzò una inchiesta curata da Fernaldo Di Gianmatteo il quale l'11 ottobre '61 scrive a R. che: “gli farebbe molto piacere ricevere anche la sua risposta, tra tutte particolarmente autorevole e meditata....su “Censura e spettacolo in Italia”. Così a critici e studiosi fu inviato un questionario, che riproduciamo, le cui risposte sarebbero state pubblicate nella rivista: quelle di C.L.R. furono tre fitte pagine di osservazioni e commenti. Ignoro se il testo di C.L. Ragghianti fu o come fu pubblicato da quella rivista che non seguivo ritenendola settaria. Di conseguenza, a chi può interessare, penso che non sarà difficile una verifica data la diffusione dell'organo.
Leggendo le risposte al Questionario di Ragghianti si ha subito l'impressione che in questo testo vengano 



considerati e approfonditi argomenti successivamente sviluppati in Traversata di un trentennio (1979; vedere nel blog i post della ristampa del libro dal 31 novembre 2017 al 13 agosto 2018). Soprattutto alcuni punti anticipano la dimostrazione nel libro che alcune parti della nostra Costituzione non sono state attuate né nel 1961, né nel 1979, né – purtroppo – lo sono tuttora. Disgraziatamente in tutte le proposte di revisione costituzionale fin qui presentate – oltre alle autentiche aberrazioni e palesi involuzioni democratiche renziane respinte con referendum popolare – gli articoli inattuati rimangono tali o non sono considerati coerenti con la struttura del futuro Stato ipotizzato dopo l'esperienza fascista. Importante è poi la risposta al punto (2), con le debite distinzioni tra il piano strettamente giuridico e quello prassista del “comune sentimento morale”. Particolarmente importante mi sembra il penultimo paragrafo della lettera che dimostra perché la censura “è, sempre, una vergogna e una sciocchezza”.
Collego a queste poche notizie ragghiantiane sull'argomento il saggio Critica e censura (“Critica d'Arte”, n. 64, sett.-ott. 1964) di Vittorio Stella un “filosofo” crociano con cui C.L.R. ritengo ha, mi vien da dire invano, tentato di ottenere per “Critica d'Arte” e altre opportunità culturali come l'U.I.A. di Firenze collaborazioni e interventi depurati del “gergo” filosofico, perciò leggibili e comprensibili anche da parte delle persone colte non specialiste. In questo caso si svolge essenzialmente una polemica con Rosario Assunto, anch'egli filosofo professionista, sempre con riferimenti all'inchiesta de “Il Ponte”. Non solo perché ovviamente lo scritto è stato pubblicato con l'approvazione di C.L.R., ritengo che esso abbia valida relazione con l'argomento e importanza non solo documentaria ma formativa anche oggi perché si dibatte sul concetto che la questione della censura è essenzialmente un problema di libertà, un problema etico. Devo però ammettere che quando lo lessi feci una certa fatica perché rallentato dal linguaggio esoterico per specialisti, i quali si eccitano con parole come axiologia, invece di pensare al lettore utente e dire semplicemente “filosofia dei valori, divisibile in due rami: etica ed estetica”. Purtroppo anche C.L.R. talvolta non è esente da questa pratica quando – ad es. - proprio nella sua lettera sulla censura nella penultima riga spara pornopsia (sembrerebbe un neologismo!) forse perché un po' seccato di essere costretto per dovere civico a collaborare con una testata di cui non apprezzava alcuni importanti collaboratori.
Quello dell'abuso del linguaggio specialistico diviene vizio, e quindi colpa, con ricadute sociali non indifferenti ma gravi perché ha portato una buona parte dei lettori di oggi (ognuno dei quali in democrazia ha diritto di voto) a disprezzare i “professoroni”, facendo il gioco dei mestatori che inducono i cittadini a cadere nelle fauci spalancate dei demagoghi salvinei. Certo ha ragione Benedetto Croce a sostenere che concetti complicati non si possono esprimere in “parole povere”. Però non si debbono nemmeno esprimere in termini iniziatici, esclusivi, castali. Altrimenti – se ben ricordo lo scrive anche Gramsci – quale sia l'organizzazione sociale umana, la reazione sarà di brutale semplificazione... a danno di quegli “intellettuali” scollegati da parte di coloro che non possono essere intellettuali, né detentori del sapere perché esso è stato reso incomprensibile alla massa, per la quale si dovrebbe invece tramitarlo in termini intelleggibili al fine della sua partecipazione alla gestione del bene comune.

F.R. (24 giugno 2019)


3. Censura in SeleArte.

Su un piano di corrente, di consueta – allora – e banale pratica di censura riguardante il nudo nelle opere d'arte e in fotografia, rinvengo su “SeleArte” due esempi illuminanti della mentalità coercitiva tuttora prospera ed attiva. Il primo (n.9, nov. - dic. 1953) riferisce un curioso fatto, tra comico e penoso, avvenuto nella Spagna franchista e risoltasi con grossolana ipocrisia. Il secondo articolo (n.11, mar. - apr. 1954) riporta le osservazioni pertinenti di Riccardo Musatti, esponente del Movimento di Comunità e dirigente Olivetti, a proposito della pratica – davvero


scandalosa – di coprire con “foglie di fico” le pudenda delle statue nelle riproduzioni dei manuali scolastici di ogni ordine e grado. Segue un commento di C.L. Ragghianti, severo ma anche sgomento per la pochezza della classe politica che consentiva quell'andazzo e non reagiva nemmeno alla patente inosservanza costituzionale. Non resta allora che boicottare i manuali e le opere che si assoggettavano alle intimidazioni clericali, suggerisce R. e colpire il reazionario e il bigotto là dove veramente gli duole: il portafoglio.
F.R. (1 ottobre 2019)

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