Della infinita serie non si può – quasi – mai stare
tranquilli sugli uomini circa la loro integrità morale e circa gli
accadimenti conseguenti. I dati riguardanti un essere umano una volta
noti, studiati, analizzati determinano la storia quando essi hanno
una certa rilevanza, altrimenti incidono sulla cronaca, la quale col
passare del tempo può assurgere a storia, con la esse minuscola. Il
mutamento di dati, notizie, documenti a causa di nuove acquisizioni o
scoperte rende necessario il più delle volte riconsiderare ciò che
si considerava storicizzato. Comunque fa tanta tristezza – e rabbia
e amarezza – riscontrare scheletri nell'armadio di tante persone
insospettate, ritenute addirittura guide od esempi da seguire.
Adesso, dopo tanti casi, ma qui ha senso ricordare soltanto per la
Germania. Günter
Grass (1927-2015) e da noi la recente vicenda di Eu(parlo di tutto)
Scalfari, si apre il sipario sull'ultimo – a mia conoscenza –
cioè su Emil Hansen noto come Nolde (1867-1956).
Per quanto possa
essere triste e procurare disgusto, è necessario ricordare che
bisogna distinguere tra l'uomo artista e il medesimo individuo nelle
sue altre manifestazioni. Spesso questa ripartizione è incoerente.
Succede all'atto pratico, per fare un esempio illustre, che nell'uomo
Caravaggio (1571-1610) convivano un essere sciagurato e violento fino
all'omicidio e un artista così dotato ed originale da farlo
considerare – giustamente – uno dei più illustri di tutti i
tempi. Contemporaneamente egli va giudicato con riprovazione per la
vita scellerata con i suoi atti criminali indubbi. Il genio non ha
diritto ad assoluzioni morali né a “sconti” particolari: non
esiste – e là dove viene praticata è sopruso – la sacralità
dell'artista.
Questa ultima
pratica resiste, è diffusa ed è incoraggiata da regimi autoritari e
da situazioni sociopolitiche totalizzanti nelle quali i nostri sono
sempre buoni e gli altri sempre cattivi. Ricordo, in tempi a noi
recenti, come il P.C.I. “sacralizzasse” gli artisti iscritti e
fiancheggiatori, spesso al di là del ridicolo: Guttuso, per esempio,
non a caso veniva gerarchicamente comparato ad un cardinale, e come
tale trattato e imposto. Persino personaggi a noi cari come Tono
Zancanaro, si comportavano come unti del signore nell'ambito delle
organizzazioni collegate al partito e a coloro che ne traevano
vantaggi: offerte frequenti di esposizioni antologiche in centri
importanti, e una visibilità mediatica non tanto dovuta al merito in
sé ma all'appartenenza partitica, nuova forma di massoneria.
A proposito di
artisti moralmente spregevoli è recente la scoperta
dell'ignominia di Emil Nolde il quale era in realtà antisemita
e poi un nazista fanatico. Per sua sfortuna stava “antipatico” a
Hitler il quale non si degnò nemmeno di dare riscontro ad un
“piano”, concepito ed elaborato dal pittore per eliminare tutti
gli ebrei dall'Europa, proposto zelantemente e direttamente da Nolde.
Questi, comunque, fu attivo nella persecuzione delle persone, tanto
che non si peritò di denunciare come ebreo Max Pechstein, che non lo
era nonostante il suono del cognome. Anzi il Führer
– pittore mancato perché accademicamente respinto – che si
considerava un intenditore definì pubblicamente le tele e gli
acquarelli di Nolde “schizzi di un bambino demente”,
inserendolo tra gli artisti definiti dal regime “degenerati”.
Però, data la militanza, non subì fino al 1941 (quando gli si vietò
di esporre e vendere) nessuna angheria anche perché gli alti
gerarchi come Hermann Göring
compravano a caro prezzo le opere del pittore da loro molto
apprezzato.
Un caso di
degenerato “ad personam” dal dittatore. Questo fatto, con
complicità di una qualche “Odessa” analoga alla nostra P2,
consentì dopo la guerra a Nolde di accreditarsi come una vittima
del nazismo. Nel 1968, addirittura fu pubblicato il romanzo
Deutschstunde (tradotto
in italiano nel 1973 da Einaudi) scritto da Siegfried Lenz ispirato
alla figura di Nolde mitologizzato vittima del regime. In più il
“furbacchione” Nolde nella sua autobiografia “dimenticò” il
passato razzista e l'adesione al nazismo; mentre la Fondazione a lui
intitolata, e tuttora agente, ha occultato e “ripulito” circa
venticinquemila documenti compromettenti.
A
partire dal 2013 alcuni storici dell'arte hanno cominciato a rendere
noto il passato del pittore. Oggi, in Germania, si chiede di togliere
tutte le opere di Nolde dai Musei pubblici. Quest'ultimo fatto è un
errore di merito grossolano, ingiusto e sospetto – come tutte le
richieste smaccatamente demagogiche – di nascondere altri “altarini
e scheleri” compromettenti.
Non
è stato per indulgenza, lassismo o complicità che in Italia Sironi
e altri artisti (tra cui Rosai) compromessi col fascismo non sono
stati emarginati nella conoscenza dell'opera loro e nella visibilità
del loro lavoro. Le opere d'arte non sono state – e non meritavano
di esserlo – discriminate, proprio e semplicemente perché opere
d'arte.
Può
dispiacere doverlo ammettere ma la creazione originale di opere
d'arte – da chiunque ne sia l'artefice – se di fatto ottiene un
riconoscimento unanime, secondo validi canoni estetici, è arte
e come tale va distinta da altre manifestazioni umane e, inoltre, va
tutelata come bene comune.
Si
può odiare Wagner come persona, ad esempio, e ad ascoltarlo provare
anche un qualche disagio, ma è demenziale negare alla sua musica
una veridicità espressiva di portata universale e
perenne. (Comunque, io preferisco pensare e dire: “Viva Verdi!”).
Analogamente non si possono svilire la qualità e l'autenticità
espressiva di poeti e scrittori quali sono stati Ezra Pound
(1885-1972) e Louis Ferdinand Céline (1894-1961) giustamente puniti
ed emarginati socialmente per il loro collaborazionismo fascista e
filogermanico, né irridere un Robert Brassillac (1909-1945), però
giustamente fucilato per tradimento e collaborazionismo.
Una
dimostrazione di questa assertiva distinzione, effettuata a proposito
di ogni essere umano, diventa clamorosa se questi è un artista, un
creativo originale. Intendo quindi esemplificare il caso di Nolde con
la riproduzione di un breve testo (l'unico che mi risulta dedicato a
Nolde da Carlo L. Ragghianti) tratto da “seleArte” (n. 24,
mag.-giu. 1956, La
Biennale di Venezia,
p.30) e da due recensioni redazionali scritte da Licia Collobi con
probabile intervento di R. sempre su “seleArte” (n. 52, 1961, pp.
32,33; e n. 63, 1963, pp. 70,71) a cui si aggiungono alcune
illustrazioni a colori di opere del pittore tedesco di origine
danese. Quanto scritto in questi testi, infatti, si riferisce
esclusivamente alla qualità e alla originalità dei dipinti e degli
acquarelli senza farsi condizionare da elementi “sociologici”
estranei all'arte. Sono anche certo che queste osservazioni
sarebbero state sostanzialmente identiche se fossero stati già noti
ai Ragghianti i precedenti antisemiti e poi razzisti di Nolde.
Non mi sento, però, di garantire che gli autori, a conoscenza della
turpitudine morale dell'artista, avrebbero pubblicato proprio quelle
iniziative riguardanti le opere di Nolde e non, invece, altri
argomenti artisticamente equivalenti ma aulenti a disposizione della
redazione.
F.R.
(14 giugno 2019)
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