Mi chiedevo da quando
Renzo Federici (1921, Mantova – 1999, Firenze) si è incontrato con
questo blog (vedi post del 25 novembre 2018 Il 1948 dei critici
d'arte – Atti, 5. Comunicazioni e post del 31 dicembre 2018
Necrologi, ricordi e resoconti, 2) come mai mio padre avesse
voluto pubblicare in “SeleArte” (n. 49, gen.-feb. 1961, pp.
36-41) un articolo firmato da uno studioso italiano contemporaneo
poco noto e proprio sull'arte del XX secolo, argomento sul quale
interveniva sulla rivista soltanto lui. Rivedendo la corrispondenza
intercorsa tra Federici e Ragghianti, una delle poche superstiti de
“La Strozzina”, dalla quale si evincono diversi saggi di
egocentrismo irresponsabile del primo che avevano fatto piuttosto
arrabbiare il secondo, mio padre, mi chiedevo perché questi avesse
chiesto all'ex. collaboratore di scrivere su “SeleArte”.
Che Carlo L. Ragghianti
fosse generoso, addirittura magnanimo e disposto se non proprio a
giustificare, a comprendere atteggiamenti di distacco dovuti alla
ricerca di una propria realizzazione, di una “carriera”
indipendente, è risaputo e a noi familiari ben noto. Il babbo
diventava severo, a volte – rare – inflessibile, anche se ne soffriva e molto (si pensi al caso Gnudi), soltanto qualora ci fosse
“tradimento” non solo personale ma anche metodologico e
scientifico. Inoltre, e soprattutto, C.L.R. non ha mai manifestato
rancore: tanta delusione, qualche amarezza che comunque erano
comportamenti e manifestazioni accettati e apprezzati quasi sempre
senza riserve o rimostranze da parte di sua moglie Licia e, poi,
anche da parte mia (quale collaboratore volontario, inevitabile
perché fattivo e fedele).
Però è un dato di fatto
che a “SeleArte” i collaboratori di Ragghianti dei quali è stato
accolto un testo sono stati veramente pochi e quasi sempre pubblicati
per consentire loro di realizzare un titolo prestigioso che rendesse
più agevole il momento del distacco dalla rivista, come nei casi di
Lara V., Masini, Roberto Ciardi, Gian Lorenzo Mellini, ad esempio. Per quel che riguarda
Federici, il 3 agosto 1960 egli risponde a Ragghianti la cui lettera
non risulta nel dossier o perché manoscritta (e quindi non copiata)
o perché – non da lui – andata distrutta, in questi termini:
Non ingannino “che di
storia dell'arte ne so molto poco”, “mandarmi … qualcosa di
molto semplice e alla buona”, mascheramenti abbastanza primitivi
per celare la propria reale alta considerazione di sé, la rancorosa
modestia del megalomane frustrato. Meno ipocrita e più esplicita la
puntura sarcastica “ma di chi abita in villa...”, che svela
tendenze alla Uriah Heep di dickensiana memoria.
Resta da chiarire il
motivo della richiesta di collaborazione da parte di C.L.R., giacché
per “SeleArte” in linea di massima non erano previsti contributi
esterni alla redazione (C.L.R. e Licia Collobi), salvo eccezioni
chiaramente motivate e di alto profilo. Per “Critica d'Arte”,
invece, richiedeva o accettava volentieri collaborazioni esterne,
purché coerenti con l'impostazione scientifica e metodologica della
rivista.
Alla fin fine penso di
poter affermare che l'invito al tormentato e instabile Federici fosse
stato un atto di generosità per incoraggiarlo a realizzare la sua
decisione di lasciare la casa editrice Einaudi di Torino e di poter
tornare a Firenze da un lato. D'altro canto tramite “SeleArte”
allora diffusa in decine di migliaia di copie, C.L.R. intendeva
aiutare Federici, di cui stimava l'ingegno, nel reinserimento del
pretenzioso ambiente fiorentino.
Oltre a ciò mio padre si adoperò concretamente ad agevolare le aspirazioni di insegnamento del Federici prima presso l'Istituto d'arte di Porta Romana e successivamente presso l'Accademia di Belle Arti di Firenze. E' molto probabile anche che R. sia intervenuto, con Alfredo Righi e Pier Carlo Santini, per facilitare l'incontro del critico lombardo con Maria Luigia Guaita e “il Bisonte”. Il libro prescelto per la
recensione fu un'opera di Giuseppe (Bepi) Mazzariol in quegli anni
editorialmente molto attivo e già autore con Terisio Pignatti di
un'eccellente Storia dell'Arte italiana (Mondadori, 1957). Si
trattava di un volume strenna con magnifiche illustrazioni a colori,
che Ragghianti aveva apprezzato ma non commentato perché – essendo
noto il profondo legame di stima e amicizia che lo legava al Bepi –
il proprio intervenuto non fosse considerato da terzi malevoli
conventicolare. Quindi l'assegnazione al Federici fu anche un atto
importante di fiducia nei suoi confronti. Comunque il primo marzo
1959 C.L.R. aveva scritto a Mazzariol una lettera (che riproduco qui
sotto trascritta, dato il pessimo stato di conservazione della
fotocopia) che nella prima parte si riferiva al Negozio Olivetti
magistralmente realizzato da Carlo Scarpa a Venezia.
Rilevo che le
considerazioni precedenti su Renzo Federici possono sembrare poco
“simpatiche” e soprattutto riduttive nei confronti di un
personaggio di qualità ma anche certamente di carattere
balzano, umorale. Perciò
mi riservo di documentare puntualmente la corrispondenza in un
prossimo e definitivo post, del quale si parlerà ancora di questo
inconsueto e bizzarro studioso.
F.R. (20 gennaio 2018)
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