Carlo e Licia

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venerdì 15 marzo 2019

Cinquant'anni di pittura in Italia (1960) - Federici




Mi chiedevo da quando Renzo Federici (1921, Mantova – 1999, Firenze) si è incontrato con questo blog (vedi post del 25 novembre 2018 Il 1948 dei critici d'arte – Atti, 5. Comunicazioni e post del 31 dicembre 2018 Necrologi, ricordi e resoconti, 2) come mai mio padre avesse voluto pubblicare in “SeleArte” (n. 49, gen.-feb. 1961, pp. 36-41) un articolo firmato da uno studioso italiano contemporaneo poco noto e proprio sull'arte del XX secolo, argomento sul quale interveniva sulla rivista soltanto lui. Rivedendo la corrispondenza intercorsa tra Federici e Ragghianti, una delle poche superstiti de “La Strozzina”, dalla quale si evincono diversi saggi di egocentrismo irresponsabile del primo che avevano fatto piuttosto arrabbiare il secondo, mio padre, mi chiedevo perché questi avesse chiesto all'ex. collaboratore di scrivere su “SeleArte”.
Che Carlo L. Ragghianti fosse generoso, addirittura magnanimo e disposto se non proprio a giustificare, a comprendere atteggiamenti di distacco dovuti alla ricerca di una propria realizzazione, di una “carriera” indipendente, è risaputo e a noi familiari ben noto. Il babbo 
diventava severo, a volte – rare – inflessibile, anche se ne soffriva e molto (si pensi al caso Gnudi), soltanto qualora ci fosse “tradimento” non solo personale ma anche metodologico e scientifico. Inoltre, e soprattutto, C.L.R. non ha mai manifestato rancore: tanta delusione, qualche amarezza che comunque erano comportamenti e manifestazioni accettati e apprezzati quasi sempre senza riserve o rimostranze da parte di sua moglie Licia e, poi, anche da parte mia (quale collaboratore volontario, inevitabile perché fattivo e fedele).
Però è un dato di fatto che a “SeleArte” i collaboratori di Ragghianti dei quali è stato accolto un testo sono stati veramente pochi e quasi sempre pubblicati per consentire loro di realizzare un titolo prestigioso che rendesse più agevole il momento del distacco dalla rivista, come nei casi di Lara V., Masini, Roberto Ciardi, Gian Lorenzo Mellini, ad esempio. Per quel che riguarda Federici, il 3 agosto 1960 egli risponde a Ragghianti la cui lettera non risulta nel dossier o perché manoscritta (e quindi non copiata) o perché – non da lui – andata distrutta, in questi termini:


Non ingannino “che di storia dell'arte ne so molto poco”, “mandarmi … qualcosa di molto semplice e alla buona”, mascheramenti abbastanza primitivi per celare la propria reale alta considerazione di sé, la rancorosa modestia del megalomane frustrato. Meno ipocrita e più esplicita la puntura sarcastica “ma di chi abita in villa...”, che svela tendenze alla Uriah Heep di dickensiana memoria.
Resta da chiarire il motivo della richiesta di collaborazione da parte di C.L.R., giacché per “SeleArte” in linea di massima non erano previsti contributi esterni alla redazione (C.L.R. e Licia Collobi), salvo eccezioni chiaramente motivate e di alto profilo. Per “Critica d'Arte”, invece, richiedeva o accettava volentieri collaborazioni esterne, purché coerenti con l'impostazione scientifica e metodologica della rivista.
Alla fin fine penso di poter affermare che l'invito al tormentato e instabile Federici fosse stato un atto di generosità per incoraggiarlo a realizzare la sua decisione di lasciare la casa editrice Einaudi di Torino e di poter tornare a Firenze da un lato. D'altro canto tramite “SeleArte” allora diffusa in decine di migliaia di copie, C.L.R. intendeva aiutare Federici, di cui stimava l'ingegno, nel reinserimento del pretenzioso ambiente fiorentino. 
Oltre a ciò mio padre si adoperò concretamente ad agevolare le aspirazioni di insegnamento del Federici prima presso l'Istituto d'arte di Porta Romana e successivamente presso l'Accademia di Belle Arti di Firenze. E' molto probabile anche che R. sia intervenuto, con Alfredo Righi e Pier Carlo Santini, per facilitare l'incontro del critico lombardo con Maria Luigia Guaita e “il Bisonte”. Il libro prescelto per la recensione fu un'opera di Giuseppe (Bepi) Mazzariol in quegli anni editorialmente molto attivo e già autore con Terisio Pignatti di un'eccellente Storia dell'Arte italiana (Mondadori, 1957). Si trattava di un volume strenna con magnifiche illustrazioni a colori, che Ragghianti aveva apprezzato ma non commentato perché – essendo noto il profondo legame di stima e amicizia che lo legava al Bepi – il proprio intervenuto non fosse considerato da terzi malevoli conventicolare. Quindi l'assegnazione al Federici fu anche un atto importante di fiducia nei suoi confronti. Comunque il primo marzo 1959 C.L.R. aveva scritto a Mazzariol una lettera (che riproduco qui sotto trascritta, dato il pessimo stato di conservazione della fotocopia) che nella prima parte si riferiva al Negozio Olivetti magistralmente realizzato da Carlo Scarpa a Venezia.



Rilevo che le considerazioni precedenti su Renzo Federici possono sembrare poco “simpatiche” e soprattutto riduttive nei confronti di un personaggio di qualità ma anche certamente di carattere
balzano, umorale. Perciò mi riservo di documentare puntualmente la corrispondenza in un prossimo e definitivo post, del quale si parlerà ancora di questo inconsueto e bizzarro studioso.
F.R. (20 gennaio 2018)


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