Post precedenti:
1. 30 dicembre 2017
Presentazione di Carlo L. Ragghianti.
Criteri del Catalogo, Bibliografia generale. Comitato d'onore; Comitato esecutivo; Comitato tecnico; Comitato di consulenza nazionale; Consiglio A.T.T. di Firenze; Consiglio de “La Strozzina”; organizzatori percorso museografico; segreterie; fornitori dell'esposizione.
2. 31 dicembre 2017
Criteri assegnazione schede critiche; criteri per la consultazione del Catalogo e quelli distintivi di questa rievocazione.
Artisti: ALCIATI, Nino BARTOLETTI, Pasquarosa BARTOLETTI, BIASI, BONZAGNI, BOSIA, BUCCI, CHECCHI, COSTETTI, FERRO.
3. 28 febbraio 2018
Artisti: GALIZZI, GEMITO, GRAZIOSI, Piero MARUSSIG, OPPI, PENAGINI, PRENCIPE, SPADINI, WILDT.
4. 25 marzo 2018
Artisti: BACCI, DUDREVILLE, GOLA, MAGRI, PARESCE, RAMBELLI, BARTOLI NATINGUERRA, GUIDI.
5. 15 aprile 2018
Artisti: BARTOLINI.
6. 4 maggio 2018
Artisti: SAVINIO, TROMBADORI, MONACHESI, FONTANA, MUNARI, FRANCALANCIA.
7. 3 luglio 2018
Artisti: FURLOTTI, METELLI, BARBIERI, BROGGINI, CAGLI, CAPOGROSSI.
8.
Artisti: CESETTI, FAZZINI, GENNI WEIGMANN, GENTILINI, GUTTUSO.
9. 16 settembre 2018
Artisti: Edita e Mario BROGLIO.
10. 20 novembre 2018 (1 parte), 5 dicembre 2018 (2 parte).
Artisti: LEVI, MAFAI, RAPHAEL MAFAI.
11. 28 dicembre 2018.
Artisti: Quinto MARTINI, MANZU'.
Gabriele Mucchi
(1899-2001) è uno dei pochi uomini di tutti i tempi di cui si può
dire sia vissuto nell'arco di tre secoli. Quando ho avuto la fortuna
di conoscerlo secondo la cronologia convenzionale era già quasi
“vecchio” (1967), alle soglie della pensione. Però, salvo alcune
manifestazioni di pedanteria dovute anche al carattere, Mucchi allora
dimostrava 45/50 anni ben portati. Inoltre nella sua solitudine in
Italia (in Germania aveva la seconda moglie, il figlio bambino -
n.1961 - e uno staff anche domestico) provvedeva di persona a tutti
gli oneri domestici con invidiabile disinvoltura. Ricordo ancora
l'ammirato sbalordimento di mia madre quando en passant appurò
che Mucchi si faceva anche il bucato e stirava tutto salvo le camicie
perché quelle “sovietiche” erano di tessuto autostirante.
Carlo L. Ragghianti
conobbe Mucchi prima della guerra così come quasi tutti gli aderenti
e sostenitori di “Corrente”, cui certamente dedicheremo un post.
Di conseguenza qui non riproduciamo la lettera del 27 sett. 1970 a
C.L.R., meticolosa ed importante riguardante la partecipazione a quel
“movimento” di Mucchi e Genni (la sua prima moglie tedesca e
scultrice – vedi post del 15 agosto 2018). Il quasi cinquantennio
di amicizia, saltuario ma costante si concluse con un augurio
profetico di Ragghianti il quale nel 1984 poco prima della propria
morte scrive l'espresso seguente:
Né nel catalogo della
mostra né in questa sede Mucchi viene accostato a Genni Wiegmann
(come invece avviene per Mafai e Raphaël)
nello stesso ambito cronologico ed artistico. Le ragioni si
riscontrano nel fatto che Genni aveva già una personalità artistica
consolidata e un passato personale fortemente caratterizzato dalla
formazione nell'ambito di Rosa Luxemburg e del comunismo teutonico. I
coniugi certo condivisero politicamente l'ideologia leninista ma la
loro espressività è indipendente e difforme.
Forse Gabriele Mucchi
dalla critica oggi prevalente può non essere apprezzato, anche per
la disapprovazione del suo fare espressivo legato a canoni e tecniche
soccombenti o generalmente rinnegati criteri estetici. Può darsi
certo, ma più che certo è che la vis pittorica che lo
animava è consapevole costruzione, meditata e declinata secondo un
severo tirocinio, appreso nella prassi familiare. La sua pittura ha
un ductus sicuro, deciso, è autentica, è un'originale
interpretazione di una cultura artistica che altrimenti declinata è
risultata disastrosa con casi di pittori mero strumento a servizio di
un potere oppressivo, talora delirante, prostituzione del fare arte,
cioè. Comunque la sua coerenza espressiva, congiunta al carattere
tetragono nel quale il fideismo politico viene metabolizzato fino a
risultare inedito, è singolare nel suo genere. Mucchi riesce così a
esprimersi senza avvilenti compromissioni con le direttive
ideologiche e senza – per altro – contraddirle con ruffianerie ed
artifizi (come diversi suoi coetanei). Egli resta palesemente un
artista fedele al proprio immaginario.
Credo che da considerazioni ben altrimenti espresse da mio padre nella “scheda” iniziale sinteticamente e dal suo saggio sulla grafica e dalla corrispondenza, non cospicua ma densa, si possa capire perché due personalità così distanti si incontrassero partendo dal comune rispetto per la altrui visionaria volontà di capire e di far capire la valenza, l'incidenza fondamentale dell'arte nella vita dei singoli e dell'umanità. Il percorso visivo della pittura di Mucchi è qui di seguito sintetizzato in una sequenza cronologica essenziale ma sufficientemente indicativa del procedere dell'artista. Mancano purtroppo alcune illustrazioni di quadri importanti o che ritengo particolarmente espressivi, ciò a causa della scarsa leggibilità delle riproduzioni in bianco/nero. Cito soltanto La morte del Che Guevara. Riporto poi anche la “scheda” del Catalogo Arte in Italia, 1935-55 a cura di Mario De Micheli, amico ed equilibrato compagno di partito di
Mucchi perché indicativa dell'interpretazione ufficiale del P.C.I., allora ancora determinante nella formazione dell'opinione pubblica corrente. Concludono la rassegna due dipinti che reputo significativi anche
stilisticamente. In effetti sono le ultime due opere che ho visto
nella cronologia di Mucchi, di cui ignoro la consistenza e la qualità
di lavoro dei 25 anni ulteriori della sua esistenza. Anche su
Internet parrebbe non facile reperire alcunché. Comunque Violenza
(1976) è un'opera vibrante di aggressività cainesca, legata – ho
letto – all'uccisione di P.P. Pasolini. L'altro dipinto è Il
Vate (1979) feroce – non so quanto voluto sia il riferimento
ritrattistico a De Chirico – indicazione di disfacimento.
Così le parole con cui
Davide Lajolo, altro vecchio compagno, termina l'articolo Mucchi
il sentimento e la ragione (“Il Mondo”, 2 ottobre 1975):
“Oggi tutti capiscono però perché Mucchi ha voluto e saputo
essere sempre coerente nei contenuti e nel linguaggio”, da un lato
le posso leggere anche come valide per la successiva attività
dell'artista. In questo caso l'artista nel tempo successivo
risulterebbe vittima della propria coerenza avendo esaurito la vena
principale della sua miniera. Però nel ductus dei due dipinti
citati intravedo una novità di stile – come sopra detto – che in
Violenza e nello spietato e penetrante Il Vate potrebbe
indicare una vena inedita. Non saprei dire, in mancanza di documenti,
però quanto sfruttata in seguito da Mucchi.
Sempre nell'ambito delle
ipotesi plausibili mi ha colpito, e incuriosito, che tra tutte le
molte opere di Mucchi che ho potuto vedere non ho riscontrato nessun
autoritratto, così come invece avviene tra tutti (o quasi) i suoi
colleghi di quel periodo storico. Anche le fotografie che lo
ritraggono non sono molte, però quelle note sono evidentemente
studiate, comunicative, come si addice alle persone che tengono alla
visibilità sociale, sentimento non estraneo in Mucchi.
L'artista modenese, poi
milanese e tedesco (nel dopoguerra tedesco della DDR comunista) era e
restò incrollabile ( e credo che lo sia stato anche dopo il crollo
del Muro di Berlino) nelle proprie convinzioni sociali, politiche e
artistiche. Per quel poco che l'ho conosciuto penso che soffrì, con
l'intensità di cui possono soffrire solo i credenti, il
dissolvimento del suo sogno in terra: il comunismo leninista e
sovietico (1989). Così propendo a pensare che quando all'inizio
degli anni Ottanta l'Impero comunista cominciò a scricchiolare, egli
per orgoglio e pudore non si fece più vivo con la nostra famiglia,
salvo un paio di cartoline anodine e il citato invito per le
celebrazioni dei suoi 85 anni.
Devo anche ricordare che
Mucchi mascherava una certa timidezza accentuando il proprio egoismo
e talvolta mostrava un comportamento impavido che poteva renderlo
antipatico a chi lo conosceva poco (gli uscieri dell'ufficio non lo
sopportavano per il suo paternalismo nei loro confronti) o alle
persone di indole buona e gentile come mia sorella Rosetta e, seppur
più smaliziata, mia madre Licia Collobi.
Mucchi era una persona
naturalmente egocentrica che si crede compassionevole verso gli
altri, ragion per cui procedeva come un caterpillar nella vita,
spesso inconsapevole – altrimenti, all'apparenza, incurante – di
quel che suscitava intorno a sé. Personalmente ero riuscito a
trovare un ubi consistam con lui, avendo capito che era del
tutto inutile contraddirlo. Questo suo difetto non limitava la sua
generosità e correttezza sostanziale del rapporto interpersonale
perché era sempre presente il suo anelito di giustizia sociale e di
riscatto dell'umanità sofferente.
Mi scuso se ho debordato
dagli argini di mia competenza nella riproposta di alcuni post
relativi alla Mostra “Arte Moderna in Italia, 1915-1935”, ma nel
caso di Gabriele Mucchi ho avuto un rapporto intellettuale inconsueto
sia per la pacatezza nonostante la distanza ideologica (che allora
poteva essere molto conflittuale), sia per l'umana esperienza con un
monolite senza apparenti incrinature e al contempo contraddittorio.
Tanto per fare un esempio: viveva serenamente i privilegi del regime
comunista nella DDR perché leninisticamente dovuti a chi orientava
ed educava le masse; al contempo aveva un severo e costante senso del
dovere verso di esse come insegnante e come artista “esemplare”.
La sua vita ricchissima di fatti notevoli e di esperienze culturali
straordinarie era tale da incantare, da farmi sentire partecipe e
testimone di una storia complessa ed articolata, altrimenti confinata
nei limiti della manualistica storica e storico artistica.
F.R. (20 novembre 2018)
Postilla, 1 – Nel
luglio 1938 nella veneziana Galleria “Arcobaleno” Mucchi espose
sei nature morte e cinque disegni (tra cui riprodotto un volto
maschile, che ritengo sia un Autoritratto). La mostra era la
n. 3 tra quelle monografiche; gli altri due pittori esposti furono
Fiorenzo Tomea e Giorgio De Chirico. Ho sostituito nella fotocopia
qui sotto riprodotta il dipinto in bianco/nero, illeggibile, con uno
coevo quasi certamente lì esposto. Nel 1936, in una collettiva
presso la Galleria “La Cometa” di Roma, Mucchi aveva esposto il
ritratto femminile che si può vedere a fianco.
Postilla, 2 – Dalla
corrispondenza intercorsa tra Mucchi e Carlo L. Ragghianti in seguito
alla Mostra “Arte Moderna in Italia, 1915-1935”, mi sembra
opportuno riprodurre la curiosa lettera del pittore, inviataci dalla
Germania Est il 4 ottobre 1970. Questa testimonianza riguarda
l'attività del Maestro dal 1955 al '70 ed è comunque un
interessante documento che mostra alcuni tratti del carattere di
Mucchi. La parte a me indirizzata riguarda il reperimento da parte mia di illustrazioni che, come già altre volte, gli avevo procurato per documentare i suoi corsi accademici. La Germania dell'Est era carente di documentazioni di qualità e a colori, che da noi erano ormai accessibili facilmente ed economicamente.
Appendice (2 febbraio
2018) – Nelle vicissitudini preparatorie del post su Gabriele
Mucchi (diviso poi in due sezioni: Pittura e Grafica), è andata
smarrita la pagina di “SeleArte” (n.23, mar.-apr. 1956, p.27)
contenente la recensione di C.L.R. alla monografia sull'artista
curata da Sergio Salmi.
E' l'unico documento che
attesta, prima del Catalogo della mostra 1915-35 e del libro sulla
grafica – affetto della seconda parte di questo post assieme
all'opera di Aligi Sassu – l'attenzione critica e l'amicizia tra
questi tre personaggi della cultura visiva dell'epoca.
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