Carlo e Licia

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venerdì 28 dicembre 2018

L'Arte Moderna in Italia, 1915/1935 - 11. Quinto MARTINI, MANZU'


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1. 30 dicembre 2017
Presentazione di Carlo L. Ragghianti.
Criteri del Catalogo, Bibliografia generale. Comitato d'onore; Comitato esecutivo; Comitato tecnico; Comitato di consulenza nazionale; Consiglio A.T.T. di Firenze; Consiglio de “La Strozzina”;  organizzatori percorso museografico; segreterie; fornitori dell'esposizione.
2. 31 dicembre 2017
Criteri assegnazione schede critiche; criteri per la consultazione del Catalogo e quelli distintivi di questa rievocazione.
Artisti: ALCIATI, Nino BARTOLETTI, Pasquarosa BARTOLETTI, BIASI, BONZAGNI, BOSIA, BUCCI, CHECCHI, COSTETTI, FERRO.
3. 28 febbraio 2018
Artisti: GALIZZI, GEMITO, GRAZIOSI, Piero MARUSSIG, OPPI, PENAGINI, PRENCIPE, SPADINI, WILDT.
4. 25 marzo 2018
Artisti: BACCI, DUDREVILLE, GOLA, MAGRI, PARESCE, RAMBELLI, BARTOLI NATINGUERRA, GUIDI.
5. 15 aprile 2018
Artisti: BARTOLINI.
6. 4 maggio 2018
Artisti: SAVINIO, TROMBADORI, MONACHESI, FONTANA, MUNARI, FRANCALANCIA.
7. 3 luglio 2018
Artisti: FURLOTTI, METELLI, BARBIERI, BROGGINI, CAGLI, CAPOGROSSI.
8.
Artisti: CESETTI, FAZZINI, GENNI WEIGMANN, GENTILINI, GUTTUSO.
9. 16 settembre 2018
Artisti: Edita e Mario BROGLIO.
10.  20 novembre 2018 (1 parte), 5 dicembre 2018 (2 parte).
Artisti: LEVI, MAFAI, RAPHAEL MAFAI.


Tra Carlo L. Ragghianti e Quinto Martini (1908-1990) c'è stato indubbiamente un rapporto d'amicizia e di stima saldo e duraturo però condizionato nell'esprimersi da rigidezze ideologiche dapprima da parte di R. – antifascista senza se e senza ma – più tardi da parte di Martini divenuto comunista osservante. Ragghianti poi non accettava le scelte di schieramento tattico dello sculture, spesso collaterale della parte culturalmente ambigua e politicamente profittatrice nei confronti del popolo reale, in analogia dell'odierno Partito democratico ma allora più efficace nel controllo grazie al “centralismo” dell'apparato comunista.
In definitiva propendo a pensare che essi si siano conosciuti ancora adolescenti attorno al 1926-27, cioè prima che il “fiorentino” Ragghianti entrasse nella pisana Scuola Normale Superiore. D'altra parte le discussioni adolescenziali, anche aspre, quasi sempre cementano una duratura amicizia. Comunque al povero e artisticamente ancora incerto, ondivago “Martini Q.” (per distinguerlo, sfottendolo, dal grande Arturo Martini) in due passi della storica recensione della Terza Quadriennale di artisti italiani (“La Critica d'Arte”, a. IV, n.1, gen.-mar. 1939, pp. 5,6) Ragghianti fece una secca stroncatura, più severa di quanto meritasse l'artista. Cosa che poi C.L.R. nella Nota postuma a p. 101 de Il Caso De Chirico riconobbe (non solo per Martini ma per diversi altri artisti di quell'esposizione) derivante dal palese filofascismo – talora ipocrita – di tanti artisti. Per la precisione a p.5 il critico scrive: “Il Martini Q. dichiara: “la Natura e Soffici sono stati i miei soli maestri”: e ci vorrà perdonare se questo matrimonio inaudito fra l'infinita Natura e l'esilissimo Soffici appare strano e un po' grottesco, come certi sperticati accoppiamenti di Rabelais. Anche il Martini Q., con sanità tutta nostrana, crede che “sfogliare riviste per aggiornarsi” sia “intellettualismo e moda””.
A p. 6 aggiunge categoricamente: “Continuando la rassegna fra i più giovani, si alternano gli episodi di piccolo stilismo nucleare che affoga subito nella banalità manovale del porre e del levare, come il Martini Q., il Biagini, ecc.”.
Dato che ho nel frattempo rinvenuto il Catalogo della III Quadriennale, riporto in allegato le pagine (130-133) che esso concede a Martini Q. e che comprendono una “dichiarazione d'intenti”, due riproduzioni di sculture e l'elenco delle opere esposte.
Poi silenzio critico fino alla Mostra “Arte Moderna in Italia, 1915-1935”, quando C.L.R. evocò a sé la stesura della scheda che apre questa sezione del post. Lo scritto non è severo, nemmeno espansivo però. Certo è implicitamente un attestato di stima retrospettivo della qualità volenterosa delle sculture e delle pitture di Martini.
Nell'aprile 1937 (anno XV dice soltanto il cataloghetto) Martini espone all'allora à la page Galleria La Cometa di Roma dove, tramite la presentazione di Ardengo Soffici, egli è consacrato artista di livello nazionale. Anche C.L. Ragghianti vide quella mostra ed ebbe così l'occasione di riconsiderare, come ha poi scritto, le recenti opinioni espresse sull'artista. Riproduciamo il dépliant della mostra con lo scritto del Maestro di Rignano e due belle sculture.
L'altro e ultimo incontro critico avvenne nel 1979 quando Ragghianti scrisse una presentazione per Inferno, una cartella di litografie. Riproduco due brevi lettere di R. sull'argomento e il saggio introduttivo da copia del dattiloscritto originale, dato che non ho mai visto la cartella.
Nell'espressivo ritratto che fece nel 1942 Carlo Levi a Quinto Martini se ne intravede la franchezza, così come la cordialità nella fotografia con Ugo Capocchini ad una delle inaugurazioni de “La Strozzina” tra il 1950 e il 1955. Seguono riproduzioni di pitture, sculture e disegni in una panoramica sommaria ma convincente dell'attività dell'artista, conclusa dal testo dedicato al Parco Museo di Seano, cittadina dove Martini nacque. In questo luogo, che espone in una ambientazione museograficamente veramente riuscita una gran parte della sua produzione scultorea, le opere si integrano nella natura circostante e insieme si fondano, muti testimoni, nel paesaggio circostante ancora visibile nel tradizionale assetto toscano. Questo Parco è un'opera pienamente riuscita, direi “commuovente” nella discreta esaltazione   
delle sculture e per il coinvolgimento di stupore “ecologico” che riesce a stabilire con il visitatore. Ringrazio ancora una volta Adriano Gasparrini che mi ci ha portato una quindicina (?) di anni fa e osservo che questo Museo monografico riesce ad essere originale, differente da altre ambientazioni unilaterali di artisti (penso a Manzù, a Burri...) nelle quali l'eccesso di presenza dell'autore trasforma – almeno in parte – l'espressività e la singolarità dell'artista in una indistinta presenza oppressiva e talora mortificante.
Con questa imponente realizzazione voluta “per lasciare ai concittadini un segno, un ricordo della mia passione per l'arte” Martini entra in profonda sintonia con le intenzioni sempre perseguite da Ragghianti di rendere pubbliche e vitali per i cittadini le opere d'arte nella massima quantità possibile, sia pur con sforzi e tempi propri sofferti e sottratti agli studi dedicandoli a queste nobili imprese.
Meno noto è l'aspetto (anche questo conquistato da autodidatta) di uomo di cultura e occhio critico di questo scultore nato pittore. In proposito, dal libro Scritture e sculture. Donatello, Michelangelo, Rodin (Pananti editore, Firenze 1990) riportiamo le pagine nelle quali Martini respinge decisamente l'attribuzione a Michelangelo del Crocefisso (ora nella Casa Buonarroti) “scoperto” dalla studiosa Margret Lisner. Ignoro se C.L. Ragghianti fu a conoscenza di questo scritto anch'esso in profonda sintonia con l'opinione negativa riguardo l'attribuzione: ricordo che mio padre definiva “un pesciolino” quel Crocefisso.
L'opera scultorea di Quinto Martini trova una sorta di coronamento nel volume Q.M./30 ritratti/Scrittori e artisti 1948-1986 (Polistampa, I cataloghi del Vieusseux 4, Firenze 1992) che ricorda ritraendole trenta personalità fiorentine o legate alla città. Qui illustriamo il volume con le parole di Raffaele Monti (p.11,12) autore con Giorgio Luti, Marco Fagioli dei testi critici che accompagnano le riproduzioni delle sculture e una documentazione di testimonianze. A questo proposito fui e sono piuttosto amareggiato e deluso nel vedere accento a uomini degni come Betocchi, Montale, Luzi e persone inevitabili come Bargellini, Facibeni, Soffici, un tipo a dir poco discutibile e ambiguo come Siviero.
E poi, e soprattutto, manca Carlo L. Ragghianti. Ritengo non sia un caso, né una deliberata offesa. Voglio credere che sia qualcosa a che fare con la psicoanalisi. Quindi, almeno per me, imperscrutabile. Inoltre, siccome Martini Q. non era un ipocrita, voglio pensare che non abbia inserito l'amico Ragghianti per evitargli certe compagnie non gradite e certi accostamenti che sarebbero risultati per lui imbarazzanti. Si può avanzare anche una ipotesi – a dire il vero meschina e maligna ma che all'epoca sentii sostenere “autorevolmente” all'U.I.A. di Firenze – nella quale si propugnava che l'assenza del ritratto di Ragghianti dipendesse da una ripicca dovuta al non coinvolgimento di Martini nell'iniziativa di costituire il Museo d'Arte Moderna di Firenze tramite le donazioni degli artisti in seguito all'alluvione del 4 novembre. In effetti Quinto Martini non fu interpellato (almeno durante il periodo d'emergenza, cioè fino a fine dicembre) e non fu presente nell'esposizione del 27 febbraio 1967 nel Salone dei Dugento in Palazzo Vecchio. Escludo subito e tassativamente che mio padre abbia operato una discriminazione per motivi personali verso un valido artista che per di più conosceva bene. Ed anche dichiaro che il non aver interpellato subito Quinto Martini è stato imperdonabile anche da parte mia perché non pensai alla sua opera che in parte già conoscevo
. Ma va anche considerato che mio padre – ed anch'io, nel mio piccolo – all'epoca fu veramente oberato in modo quasi insostenibile (ricordo la preoccupazione della mamma per la sua salute che ogni mattina mi raccomandava di sorvegliare). Va tenuto presente, poi, che coadiuvanti con margini di autonomia come Monti, Lo Vullo, Nudi soprattutto, nel loro ambito di iniziativa in certi casi indulgevano a privilegiare (niente di escludente per terzi volontariamente) artisti amici loro. M'auguro, comunque, che nei mesi successivi, dopo la cessazione della mia gratuita partecipazione, Martini – così com'è avvenuto per non pochi altri artisti – sia stato interpellato cooptato con le necessarie adeguate scuse.
F.R. (23 ottobre 2018)
















Prima di affrontare la scheda di questo scostante nondimeno grande artista ( binomio in vero non raro) ero preoccupato delle dimensioni sesquipedali che essa avrebbe avuto. Invece, con in mano il materiale prescelto, constato che c'è il rischio contrario, che cioè la scheda risulti troppo breve, almeno in relazione all'importanza indiscussa che già Manzù rivestiva nel panorama degli anni Trenta (pur ricco di esponenti di primo piano). Naturalmente in questo caso, come in quelli analoghi, mi atterrò abbastanza strettamente ai termini cronologici della Mostra del 1967, limitando l'illustrazione di questo post a opere eseguite entro la fine della guerra mondiale (1945), stante la continuità stilistica dell'artista. Comunque per ricordare e riproporre gli interventi di C.L. Ragghianti riguardanti l'opera di Manzù, oltre questo, occorreranno diversi post, il cui totale – in paragone cartaceo – avrebbe la consistenza di un libro.
Dopo la consueta “scheda” firmata C.L.R. che illustra alcune opere esposte in mostra, il percorso visivo espone un Autoritratto, appartenuto ad Enrico Vallecchi, quindi le due sculture della collezione Della Ragione (oggi al Museo del Novecento di Firenze). A questo punto dovrei riprodurre il testo che Ragghianti spedì da Londra alla Redazione di “La Critica d'Arte” (vedi a. V. n.1, f. XXIII, gen.-mar. 1940, pp. 107-110). Esso, però è in parte stato pubblicato qui nel post su Medardo Rosso (vedi 25 ottobre 2018) e sarà poi riprodotto integralmente nella monografia di C.L.R. Manzù, (Edizioni il Milione, Milano 1957, 2a ed., giacché R. contestò come scorretta la prima), i cui testi pubblicheremo in un apposito post successivo a questo. Invece qui riproponiamo le illustrazioni (dopo le pp. 107-109 del catalogo della Quadriennale 1939) della seconda parte dell'articolo di “La Critica d'Arte”, le quali nella monografia sono posizionate lontane tra loro. Concludiamo la rassegna con le riproduzioni di dodici sculture, seguite da dodici disegni, dimostrativi del fatto incontestabile che Manzù è stato anche un eccezionale disegnatore. Un curioso aneddoto conclude questo post “redazionale”. In calce alla fotocopia di un disegno riprodotto a p.10 del Catalogo monografico 


sull'artista, pubblicato dalla Galleria Forni di Bologna (1980), si trova la scritta autografa “già proprietà Ragghianti, acq. 1940 a Milano”. Ciò mi ha fatto tornare in mente il tutto sommato bel disegno – benché un po' troppo accademico per i gusti di C.L.R., e forse anche un po' “caramelloso”, compiaciuto – della raccolta di mio padre che egli non amava e che – raccontava – aveva ricevuto da Manzù in cambio di un altro disegno che l'artista gli aveva richiesto di riavere con qualche insistenza. Nella lettera di C.L.R. alla Galleria Forni si chiede se il disegno è disponibile (riservandosi poi di proporre lo scambio tra i due disegni, come mi disse quando smistando i materiali d'ufficio lessi quella “strana” notazione sotto la riproduzione). Nella risposta si dichiara che l'opera è indisponibile perché tra quelle che Manzù aveva conservato (e attribuito poi) per sé e per il suo amatissimo figlio Pio, precocemente scomparso. Entrambe le lettere sono riprodotte.
Il fatto che C.L. Ragghianti avesse acquistato era cosa più che rara, perché egli non era collezionista (l'unico suo acquisto, che io sappia, fu un dipinto del mio amico Rodolfo Ceccotti, per incoraggiarlo nel passaggio da artista esordiente ad affermato). Non ho idea del perché (e da babbeo non glielo chiesi, ma non credo fosse per un regalo) il critico volesse acquistare proprio quel disegno, certo lo considerava in modo particolare. Comunque la successiva richiesta di scambio da parte dell'autore gli dispiacque. Però Ragghianti ha sempre sostenuto che la proprietà ultima di un'opera d'arte (salvo capricci o “vendette” alla De Chirico) è dell'autore e che, di conseguenza, quando questi richiede indietro la sua creazione il legale proprietario pro tempore ha l'obbligo morale di ottemperare alla richiesta.
Di questo tipo di istanza ricordo un altro episodio familiare riguardante una Testa femminile di Emilio Greco operata in cera nera ed esposta sulla credenza di sala da pranzo a lato del Paesaggio di Morandi. Però è un'altra storia che vedrò di completare, sempre come direbbe lo Strambi, “a dio piacendo”.














Postilla – Rinvengo i dépliants-catalogo che la galleria “La Cometa” di Roma, voluta e finanziata dalla famosa collezionista e mecenate Anna Laetitia Pecci Blunt (donna volitiva, viziata e arrogante, che da vecchia conobbi, circondata da tre avvenenti nipoti altezzose, con Raffaele Monti in missione alla Reggia di Marlia – allora sua proprietà – per ottenere il nulla osta per l'esposizione Arte in Italia 1915-1935 di alcuni dipinti di sua proprietà). La coadiuvarono il sempre citato Corrado Cagli e Libero De Libero, che dai documenti sembrerebbe la persona che si accollò la gran parte del lavoro inerente la gestione di quella prestigiosa sede.
Giacomo Manzù fu uno degli artisti ivi considerati con maggior attenzione, fu presentato nel 1937 da Carlo Carrà con sincera ammirazione. Nel noto catalogo di disegni (successivo a quello più conosciuto dei dipinti) della storica mostra tenuta a New York nel 1937, Manzù è presente con il poderoso Nudo femminile, qui riprodotto.



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