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domenica 23 dicembre 2018

Arti decorative in Italia 1920-1950 - La forza della modernità

Teresa Filieri, allora direttrice della Fondazione Ragghianti di Lucca, avverte nella sua pagina introduttiva al volume La forza della modernità – Arti in Italia 1920-1950 che i curatori dell'esposizione e dell'eccellente catalogo mettono “in luce le inequivocabili, coerenti e strettissime relazioni culturali intercorrenti tra i molteplici aspetti che le arti decorative assumono tra il 1920 e il 1950 e quanto contemporaneamente avviene nei più noti e indagati campi delle arti figurative”. Effettivamente Maria Flora Giubilei e Valerio Terraroli – e i loro collaboratori Nico Stringa, Alessandra Tiddia, Gioacchino Barbera, Claudia Casali, Olivia Rucellai, Stefania Cretella, Monica Vinardi, Giulia Gueci– riescono pienamente a raggiungere l'obiettivo prefissatosi di integrare la conoscenza delle cosiddette (fino a qualche tempo fa) arti figurative canoniche con quelle impropriamente dette arti minori, nonché arti decorative. Complimenti davvero per la ricca e rara – in certi casi direi rarissima – documentazione visiva e per i testi e gli apparati che illuminano artisti assai meno noti di quanto meritino.
Affrontando con il consueto ritardo questo corposo volume (cm.27h x 23,5 e di ben 400 pagine) dal titolo post futurista, incisivo e convincente, constato che di fatto esso viene a configurarsi come la necessaria, complementare integrazione di gran parte del periodo 
investigato dalla storica mostra Arte Moderna in Italia 1915-1935 (1967, che con integrazioni stiamo riproponendo nel nostro blog) e del successivo catalogo a cura di Pier Carlo Santini, Arte in Italia 1935-1955 (1992).
A questo proposito muovo un unico rilievo e una personale osservazione. Il rilievo è che nel titolo sarebbe più chiaro specificare Arti decorative; l'osservazione consiste nell'esplicitare formalmente questo legame più che rafforzato, evidenziato da una continuità con lo studioso Ragghianti evocata (e la ringraziamo) da Teresa Filieri e da una simbolica circostanza rappresentata dal fatto che l'editore dell'opera è proprio la “Fondazione” che Carlo e Licia Ragghianti vollero istituire anche come sede di continuità e di sviluppo del loro lungo e veramente cospicuo lascito culturale e professionale.
Positivo il recupero in questa chiave di tutti gli artisti indagati, mentre specialmente va sottolineato quello di artisti come Giò Ponti (non solo architetto!) Luigi Bonazza, Domenico Baccarini, Francesco Nonni e altri non presi in considerazione dalla Commissione che scelse gli artisti esposti nel 1967. Altrettanto interessante e coinvolgente è mostrare opere meno note e studiate di maestri come l'unico che cito, cioè Arturo Martini.
F.R. (1 settembre 2018)



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