Teresa Filieri, allora
direttrice della Fondazione Ragghianti di Lucca, avverte nella sua
pagina introduttiva al volume La forza della modernità – Arti
in Italia 1920-1950 che i curatori dell'esposizione e
dell'eccellente catalogo mettono “in luce le inequivocabili,
coerenti e strettissime relazioni culturali intercorrenti tra i
molteplici aspetti che le arti decorative assumono tra il 1920 e il
1950 e quanto contemporaneamente avviene nei più noti e indagati
campi delle arti figurative”. Effettivamente Maria Flora Giubilei e
Valerio Terraroli – e i loro collaboratori Nico Stringa, Alessandra
Tiddia, Gioacchino Barbera, Claudia Casali, Olivia Rucellai, Stefania
Cretella, Monica Vinardi, Giulia Gueci– riescono pienamente a
raggiungere l'obiettivo prefissatosi di integrare la conoscenza delle
cosiddette (fino a qualche tempo fa) arti figurative canoniche con
quelle impropriamente dette arti minori, nonché arti decorative.
Complimenti davvero per la ricca e rara – in certi casi direi
rarissima – documentazione visiva e per i testi e gli apparati che
illuminano artisti assai meno noti di quanto meritino.
Affrontando con il
consueto ritardo questo corposo volume (cm.27h x 23,5 e di ben 400
pagine) dal titolo post futurista, incisivo e convincente, constato
che di fatto esso viene a configurarsi come la necessaria, complementare integrazione di gran parte del periodo
investigato dalla storica
mostra Arte Moderna in Italia 1915-1935 (1967, che con
integrazioni stiamo riproponendo nel nostro blog) e del successivo
catalogo a cura di Pier Carlo Santini, Arte in Italia 1935-1955
(1992).
A questo proposito muovo
un unico rilievo e una personale osservazione. Il rilievo è che nel
titolo sarebbe più chiaro specificare Arti decorative;
l'osservazione consiste nell'esplicitare formalmente questo legame
più che rafforzato, evidenziato da una continuità con lo studioso
Ragghianti evocata (e la ringraziamo) da Teresa Filieri e da una
simbolica circostanza rappresentata dal fatto che l'editore
dell'opera è proprio la “Fondazione” che Carlo e Licia
Ragghianti vollero istituire anche come sede di continuità e di
sviluppo del loro lungo e veramente cospicuo lascito culturale e
professionale.
Positivo il recupero in
questa chiave di tutti gli artisti indagati, mentre specialmente va
sottolineato quello di artisti come Giò Ponti (non solo architetto!)
Luigi Bonazza, Domenico Baccarini, Francesco Nonni e altri non presi
in considerazione dalla Commissione che scelse gli artisti esposti
nel 1967. Altrettanto interessante e coinvolgente è mostrare opere
meno note e studiate di maestri come l'unico che cito, cioè Arturo
Martini.
F.R. (1 settembre 2018)
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