Chi mi conosce avverte e
sopporta il pessimismo congenito, rafforzato e razionalizzato dalla
metodologia storiografica derivata dal Tolstoj di Guerra e Pace
e dalla formazione universitaria improntata su Cantimori, che pervade
spesso le mie osservazioni sociali, sociologiche e storiche.
Oggi non c'è dubbio –
purtroppo – che stiamo assistendo alla disgregazione dell'Europa
tendente a divenire federazione, mentre sembra sussistere in affanno
la tendenza a una confederazione fragile, non paritetica, a guida
diarchica di Germania e Francia, se tutto va bene. Non è da escludere
quindi il dissolvimento del nobile intento del pensiero europeista
scaturito dalla catastrofica, orrenda Seconda Guerra Mondiale in
suolo europeo. La causa principale di questa non escludibile ipotesi
va individuata nell'ottuso risveglio nazionalsovranistico, dilagante
in ogni angolo del continente, ben foraggiato da “concorrenti”
come U.S.A., Russia, e perché no, Cina. Per non dire degli
integralismi islamici e degli zombies francamente nazisti.
Nell'immediato è
necessario, penso, come con un vaccino antirabbico richiamare e
quindi ricordare e chiarire gli effetti concreti dell'orrore
derivante dalla presunzione di purezza razziale e di superiorità
nazionale del passato nazifascista, il quale prima di tutto va
contrastato colla e nella propria consapevolezza di coscienza etica.
Questo “richiamo”,
tra non molti altri, può essere il libro Zone di guerra,
geografie di sangue tristemente oggi indispensabile non solo a
ricordare – documentato – un doloroso aspetto della nostra
storia, ma per meglio conoscere e rintuzzare la sfacciata,
sbandierata volgarità neofascista e neonazista annidiata tra i
cosiddetti moderati di centro-destra. In questa larga fascia della
popolazione italiana prolifera in modo subdolo il culto “sovranista”
(nazionalista ed autoritario). Esso sta risultando certamente più
pericoloso per la democrazia di quanto non lo siano i movimenti
ostentatamente derivati dal nazifascismo sconfitto nel 1945.
E' dal 1948 – settanta
anni fa! – che “le forze della reazione in agguato” (talvolta
persino il retoricume può essere efficace) attentano alle libertà
riconquistate con la Resistenza – acquistate poi via via con
migliorie e nuovi diritti civili – con ininterrotti tentativi
eversivi fino ad ora fortunatamente, e spesso fortunosamente,
respinti e sconfitti. Ricordare che cos'è la Guerra in generale e quella civile in particolare e cosa siano le loro estreme manifestazioni, quali ne siano le conseguenze poi, è oltretutto un dovere della dignità di noi stessi, nei
confronti della nostra responsabilità verso i figli (che troppo spesso non abbiamo saputo educare civilmente) e quelle nei confronti degli inconsapevoli nipoti che saranno i testimoni … e i giudici della nostra esistenza trascorsa in questo minuscolo pianeta.
Zone di guerra, geografie di sangue è perciò un libro importante, che va conservato accanto ai testi fondanti della nostra comunità democratica e che si configura anche come un discrimine da una parte tra cittadini responsabili, disponibili a cercar di capire le conseguenze di un futuro (tramite il passato) pieno di oscure e negative minacce, dall'altra tra cittadini irresponsabili, pronti a qualsiasi fanatismo e nefandezza pur di non affrontare razionalmente e, sì, anche secondo Costituzione, l'avvenire.
F.R. (20 settembre 2018)
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