Carlo e Licia

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martedì 4 settembre 2018

Cavalcaselle e Ragghianti






Avendo quasi terminata la stesura del post su Cavalcaselle, avvertivo la mancanza di qualcosa, un'incompletezza strutturale tra i testi di Ragghianti riproposti. Ragionando a mente fredda finalmente ricordo che mio padre ha scritto un libro importante per la storia della critica d'arte Il profilo della critica d'arte in Italia, edito nel 1948 dalle Edizioni U di Firenze da un manoscritto elaborato nel 1942 di getto durante la detenzione nel carcere delle Murate in attesa di giudizio per cospirazione contro il regime fascista. Siccome ritengo che le parole dell'autore spieghino al meglio la genesi di questo Profilo, trascrivo i paragrafi finali della sua “Presentazione”:




Nel 1973 Ragghianti propose all'Editore Vallecchi di ristampare il libro con degli importanti Complementi, che l'a. riteneva indispensabili. Questa seconda edizione fu da me ristampata in anastatica ingrandita nei caratteri e su carta di qualità, con l'aggiunta di un ritratto di C.L.R. disegnato da Rodolfo Ceccotti, sacrificato con malizia dal graphic designer, e di un'esauriente Biografia dell'autore. L'editore di questa terza edizione è stata l'Università Internazionale dell'Arte, Firenze 1990 e da essa riproduciamo le pagine su Cavalcaselle.
Giovan Battista Cavalcaselle è sempre stato considerato da Carlo L. Ragghianti un precursore, ammirato anche come personaggio (genio analfabeta) e stimato per come seppe interpretare le opere d'arte; considerazioni che lo portarono “a una riflessione simpatetica e ad una commossa ammirazione” come scrive Antonino Caleca. Perciò quando ho ritrovato le pagine che nell'immediato dopoguerra Ragghianti dedicò a Cavalcaselle, sollecitato da Luigi Russo anche a far “titoli” per concorrere all'insegnamento universitario per il quale era indubbiamente vocato, ho deciso di riprodurle integralmente. Il profilo di Cavalcaselle fu pubblicato su “Belfagor” (vol.I, 1946, pp. 445-451) nella rubrica “Ritratti critici di contemporanei”. Completa è anche la riproposta del saggio Come lavorava un critico nell'Ottocento (da “SeleArte”, n.2 sett.-ott. 1952, pp.3-9), che ha anch'esso un taglio propedeutico e storico critico; contiene anche alcune illustrazioni dei disegni che lo studioso eseguiva metodicamente come strumento di analisi critica e di individuazione stilistica delle opere d'arte che gli capitava di vedere. Queste illustrazioni sono fondamentali, sufficienti a mostrare l'originale metodo che il Cavalcaselle seguiva di vero e proprio scavo dei dipinti. In questo scritto si ricorda che i quaderni di schizzi sono conservati nella Biblioteca Marciana di Venezia e che la loro edizione “darebbe la possibilità di valutare pienamente l'enorme lavoro del Cavalcaselle”. A questo proposito nel 1946 C.L.R. scriveva: “ … e appare veramente strano che nessun giovane studioso abbia mai impreso tale auspicabilissimo e meritorio lavoro” a proposito di “una ricognizione critica e intelligente e completa del vastissimo materiale di appunti e note manoscritte lasciate dal Cavalcaselle”. Ci provò successivamente egli stesso, anche se non era più “un giovane studioso”. con esiti infausti a causa delle solite gelosie e dei soliti (mi auguro oggi non più) sequestri di materiali e fonti originali da parte di funzionari pubblici che confondono il loro servizio se non in vera e propria sinecura in riserva, in privativa per i propri eventuali studi. Di questa vicenda di “protezionismo accademico-burocratico quasi esemplare nel suo genere”, scrive R., ho trovato qualche indicazione e quando avrò verificato altre carte pubblicherò nel blog un intervento puntuale al riguardo. Nel 1988, l'anno dopo la morte di Ragghianti, vidi la notizia che era stato appena pubblicato il volume Cavalcaselle. Il pioniere della conservazione dell'arte italiana scritto da Donata Levi, una studiosa che non conoscevo ma di cui sapevo essere stata in qualche modo una delle sue ultime allieve all'Università di Pisa. 



Per la nostra famiglia erano tempi difficili per la perdita di C.L.R. e di problemi di ogni genere derivanti dallo stati di salute disastroso di nostra madre, ragion per cui non acquistai questo volume (per altro non mandato per recensione su “Critica d'Arte”). Vedo adesso su Internet che il libro è praticamente introvabile oppure è disponibile in antiquariato ad una cifra sostanziosa (che non mi sento di sostenere oggidì), nonostante il generale crollo del mercato dei libri usati. Mi rallegro con l'autrice per l'evidente successo editoriale, che voglio pensare derivi dall'esauriente qualità del contenuto. Purtroppo non ho così modo di verificare quanto auspicato da Ragghianti nelle prime righe di questo post sia stato affrontato e risolto – e come – in questo studio della Levi.
All'epoca sfogliavo assiduamente il “Tuttolibri” allegato a “La Stampa” di Torino e il 20 febbraio 1988 lessi una calorosa recensione del libro di Donata Levi firmata da Claudio Savonuzzi. Sopravvissuto alla deportazione degli ebrei ferraresi con la famiglia sterminata, Savonuzzi fu assai vicino, qualcosa di più di uno scolaro, a mio padre nello Studio Italiano di Storia dell'Arte di Palazzo Strozzi e nella fase iniziale de “La Strozzina”, ed anche collaboratore di “Critica d'Arte” (1949-50) nella prima ripresa postbellica con Sansoni. Anche mia madre Licia si affezionò a quel brillante giovane, inquieto e discontinuo, intelligentissimo pare, che però bisbocciava con Alfredo Righi ed era in “tenzone” con i colleghi e gli altri collaboratori di C.L.R. quali Parronchi, Federici, forse il “ventilatore” Marco Forti. In seguito Savonuzzi divenne giornalista professionista e persino romanziere (Nella linea d'ombre, 1969, Vallecchi editore, gestione Pampaloni “adiuvato” da Alfredo Righi). In questa veste S. chiese a mio padre di sostenerlo e promuoverlo presso i giurati del Premio Strega, cosa che egli fece benché non troppo convinto della validità del romanzo. D'altra parte tutte le (poche) fonti su Savonuzzi ignorano il contenuto reale del libro riportando più o meno il “soffietto” pubblicato nel Dizionario degli Autori Italiani contemporanei (Vallecchi 1974) che recita “è sotto l'apparenza di un giallo alla Graham Green e nella ricchezza delle implicazioni psiconanalitiche, un saggio raffinato e sin quasi esoterico sull'archetipo dell'uomo come ci si presenta nella nostra età di terrore e nevrosi”. Bello, eh! Wikipedia indica come autore della scheda Enzo Ronconi, che di sicuro fu coordinatore di quest'opera collettiva. Leggendo la recensione di Savonuzzi al Cavalcaselle di Donata Levi rimasi sorpreso, poi mi indignò che proprio lui su questo argomento non trovasse il modo di citare esplicitamente Carlo L. Ragghianti, perché è evidente che lo ha utilizzato dato che il profilo scritto per “Belfagor” risale a quando S. gli era “scholaro” e assistente allo Studio, con Righi scombinato segretario dattilografo.
Vedo che come spesso m'accade sono stato un po' severo, quasi drastico, nei confronti del povero Savonuzzi (1926-1990), intrappolato in un freudismo di comodo perché provato da orribili sciagure in gioventù. Di conseguenza dedicherò alla sua persona un post incentrato sul suo discepolato e sulla sua vita successiva. Osservo in questa scheda, però, che egli, come il Righi e altri collaboratori anche piuttosto assidui di C.L. Ragghianti mi hanno sempre indignato – quando me ne rendevo conto: in certi casi ci ho messo decenni ad accorgermi di certi “difetti” – la codardia morale e la mancanza di lealtà, valori sacrificati per vivere spesso dissennatamente, sempre comodamente in complice codardia con i più. Ora che ciò accada nelle relazioni superficiali per quieto vivere o personale vantaggio è moneta corrente nelle convivenze. Però essere stati sleali nei confronti di R. è aggravato dal fatto che egli accordava a chi lo avvicinava per “lumi” o per aiuto fiducia praticamente illimitata (ma anche ampia indulgenza negli errori e nelle incapacità naturali). Ciò nell'ambito etico, giacché le sue iniziative culturali e sociali erano sempre disinteressate e a volte al pubblico beneficio. Comunque su questo argomento mi riservo di tornare a mente sgombra e non oberata da scadenze.
Tornando al grande uomo che fu G.B. Cavalcaselle, da tre pagine estratte dalla “Critica d'Arte” (post ragghiantiana – me incluso –, n.4, 1999, pp.23-25) non so come finite nell'Archivio dato che la rivista non era più mandata alla famiglia Ragghianti, trovo un resoconto su un Convegno Internazionale dedicato a Cavalcaselle. Qui, dopo una citazione del nome di R. entre autres a pochi capoversi dalla fine di questa relazione leggo: “Un altro momento importante per la valutazione critica del Cavalcaselle lo si deve … agli studi condotti da Carlo L. Ragghianti, la cui portata è evidenziata dall'intervento di Antonino Caleca, dove si ripercorrono le tappe che avvicinano alla 'comprensione e all'apprezzamento … del genio analfabeta Cavalcaselle anticipando al 1937-38 l'incontro del Ragghianti con gli aspetti del Cavalcaselle che lo porteranno ad una riflessione simpatetica e ad una commossa ammirazione' [Grazie, Caleca]”.
F.R. (5 giugno 2018)

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