Il caso dell'editoria
assistita da governi, enti, banche, ecc. o asservita addirittura a
interessi particolari delle medesime istituzioni è un vecchio
problema nel nostro paese. Esso è ieri come oggi particolarmente
fiorente nonostante la crisi economica, circoscritta in realtà
soprattutto a chi paga le tasse e che è onesto in tutte le proprie
manifestazioni sociali. Sarà l'editoria assistita anche domani
fiorente perché sollecita una miriade di interessi indiretti e
collaterali e perché – sociologicamente – premia le uniche
“virtù” veramente apprezzate nella nostra nazione: furberia e
privilegio. Tuttora troppe edizioni della Zecca, della Treccani, di
banche, di appositi organi editoriali, ecc. pubblicano libri e
collane spesso culturalmente irrilevanti con criteri che nulla hanno
a che spartire con quelli istituzionali o di pubblica
utilità. Questa notizia da
“SeleArte” (n.4, gen.-feb. 1953) non è nemmeno divertente. Ci
ricorda soltanto la continuità fra uno stato formalmente democratico
ed uno stato dittatoriale. Infatti lo dimostra la nullificazione
negli ultimi ottant'anni del voto popolare non gradito, non conforme
che viene disatteso di fatto da chi detiene il potere reale,
intercambiabile secondo convenienza e opportunità in destra,
sinistra, centro e fantasiose varianti improprie. Il critico d'arte
di “incredibile trivialità” al quale si fa accenno nel testo è
Francesco Sapori (1890-1964) compiaciuto estensore de Il duce e
l'arte ed altre agiografie, poligrafo fascistissimo. Nel
dopoguerra è stato soltanto dimenticato, mai sanzionato ovviamente.
F.R. (15 giugno 2018)
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