Indubbiamente questo
artista olandese del Seicento nella storiografia sembra essere
tuttora considerato con i medesimi termini che la monografia del
Collins (1953) ricostruisce e analizza oppure deplora perché
limitativi. Licia Collobi nella recensione su “SeleArte” (n.16,
gen.-feb. 1955) li indica ed ad essi aggiunge sue osservazioni circa
la grandezza originale, concludendo che Seghers non è un artista
avulso dal suo tempo, al quale si riconosce in genere un'originalità
circoscritta all'ammirazione da parte di Rembrandt e alle invenzioni di
tecniche grafiche talmente difformi dalla prassi da non avere
prosecutori. Questi modi di operare di Seghers saranno infatti
pienamente apprezzati soltanto nel Novecento, secolo in cui si
riconosce – non senza contrasti anche cruenti, si pensi
all'ideologia nazista – piena legittimità ad artisti non
convenzionali come Man Ray, Burri, Fontana ecc. . Da notare, en
passant, che su Wikipedia in bibliografia si cita soltanto un
libro del 1839. Nel 2017 al Metropolitan Museum di New York si è
tenuta una mostra che ancora insiste sul cliché immaginifico,
ma non critico, di Seghers pittore di paesaggi “misteriosi”. Ne
consegue che questo studio del 1955 di Licia Collobi mantiene la sua
carica di analisi critica e di stimolo ad approfondire i reali
aspetti innovativi di Seghers. Sempre L.C. Nel 1967 su “Critica
d'Arte” (rubrica “SeleArte”, n.89, p.1) è anche costretta a
deprecare che “a questo grande non venga dedicata una mostra di
maggior ampiezza e risonanza”, riferendo di un'esposizione presso
il Rijksmuseum di
Anversa. Genio misconosciuto,
quindi, Hercules Seghers il quale non fece scuola e non ebbe seguaci,
però definirlo semplicemente così non assolve la critica – dai
contemporaneai ad oggi – dall'analizzare, spiegare, ricostruire in
modo insufficiente l'opera dell'artista olandese per il quale
“grafica e pittura si identificano perfettamente: non avviene una
traduzione o una riduzione della pittura alla stampa, ma la grafica è
espressione diretta e totale, di una natura pittorica pari a quella
dei dipinti, di tono, di valore, d'impasto, senza cioè struttura
disegnativa o plastica”.
In chiusura mi pongo
l'interrogativo filiale del perché mia madre abbia nel terzo rigo
della recensione del 1955 usato il termine espianati in luogo del
consueto spiegati. Non è certo nel suo stile complicare la
comprensione di un testo ricorrendo ad artifizi scrittorii. Questa
parola rara, poco usata, viene dal latino “explanare”; oggi è
dimenticata tanto che non risulta in molti vocabolari ed è assente
anche nell'imponente Devoto-Oli in due volumi. Certo, non è che
questo fatto abbia importanza in sé, però mi intriga. Forse si
tratta di una risposta indiretta a C.L.R., all'epoca ancora molto
presente ed attivo nella rivista, il quale può averle fatto qualche
sgradita osservazione. Altrimenti sono orientato a pensare che
l'autrice voglia irridere la pomposità di fonti critiche consultate
e controllate nel corso di questa sua indagine. Mah!
F.R. (29 maggio 2018)
Addendum del 4 luglio 2020
Addendum 2
La breve nota che segue fu pubblicata in "SeleArte", n.29, mar.-apr. 1957, p.54.
Si vede che questo "enigmatico" artista ha problemi con la sorte, fatto di cui ci scusiamo e - fatti i debiti scongiuri - speriamo non siano sfuggiti altri scritti sull'argomento.
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