Carlo e Licia

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lunedì 30 luglio 2018

{glossario} Ellenistico.



Il fatto di disprezzare e detestare una persona, per quanto motivato sia, non deve – e non dovrebbe – esimere dal riconoscerne pregi e talenti, là dove sussistano. Di conseguenza la mia repulsione nei confonti di Ranuccio Bianchi Bandinelli (varie volte espressa anche in questo blog) non mi dispensa dal riconoscere il suo indubbio e importante, per certi versi determinante apporto nella definizione metodologica di cosa rappresenti l'archeologia nell'ambito di una ricerca storia moderna, consapevole da un lato delle interrelazioni tra ambiti differenti e dall'altro di come essa sia distinta ma congiunta con la storia dell'arte. Non è quindi un caso che Carlo L. Ragghianti accettasse la con-redazione della rivista "Critica d'Arte" di R.B.B. come copertura "indispensabile", voluta da Federico Gentile (Editore e direttore per gli aspetti legali), sul piano dell'ortodossia politica (fascista).
La collaborazione tra Ragghianti venticinquenne disoccupato perché senza tessera fascista e Bandinelli trentacinquenne professore universitario, latifondista (si veda la casa dove abitava), fascista (accompagnerà in divisa Hitler nelle visite ai musei romani!), la collaborazione – dicevo – fu tutt'altro che distesa, amichevole, anche se non si avverte palesemente nella lettura della rivista. Non era possibile che un giovane dinamico, consapevole della propria levatura di studioso e di innovatore metodologico come C.L.R accettasse le continue, insistenti querule lamentele, ipocritamente ricattatorie del satollo gerarca accademico, incurante – forse irridente – delle enormi difficoltà in cui si dibatteva il giovane lucchese.
A proposito delle querimonie del R.B.B. esistono ancora – e sono inedite del tutto – un gruppo di lettere da lui inviate a C.L.R., alle quali praticamente mio padre non rispondeva quasi mai. Esse sono, tra l'altro di una pedanteria e sordità umane deprimenti. Non le ho ancora consegnate all'Archivio di Lucca perché temo la solita longa manus mistificatrice espressione o complice delle bande settarie degli adepti ancora viventi (cui invio cordiali accidenti) e dei loro beneficiati tuttora settari. Temo anche astuti resoconti che coll'apparenza di esporre fatti secondo R. trovano il modo di denigrare, beh diciamo, inficiare la sua ricerca (vedasi – ad es. - un articolo su Mondrian di qualche anno fa). Per concludere questa parentesi devo dire che non ho ancora deciso se distruggere questa corrispondenza unilaterale (sì, proprio!) o come vincolarne la salvaguardia affinché non soddisfi pettegolezzi e distorsioni. Sì enormi, lo ribadisco perché l'ho saputo
non solo da mio padre – per altro en passant, ma soprattutto dal mio mancato maestro Delio Cantimori, col quale ebbi un brevissimo discepolato prima della sua morte sciagurata ed improvvisa. Era notorio che il "Micio" Cantimori nella tarda mattina tendesse a rilassarsi, a divagare "slacciando" la corazza difensiva della propria riservata timidezza. Accadde, dopo un seminario assurdo, surreale, concepito ad evidentiam per scoraggiare i discenti (Ci faceva leggere il Manifesto di Karl Marx in tedesco, incurante del fatto che nessuno di noi sapesse quella lingua. Io, poi, allora "per principio" – e glielo dissi: sorrise e continuò – mi rifiutavo di praticare la lingua nella quale si era espresso il Nazismo). Mentre seduti a tavolino bevevamo aperitivi al Bar d'angolo tra Piazza S. Marco e Via Cavour, Cantimori rievocò gli anni romani e mi raccontò di mio padre e di come egli si ingegnasse per trovare scuse per non offendere l'orgoglio di Carlo invitandolo a mangiare a sue spese, raccontò di come Gino Parenti gli confidasse che R. non poteva reggere a lungo bevendo solo acqua per scongiurare i morsi della fame...Rievocò anche il Maestro qualche aneddoto divertente come quello (noto, credo) in cui lui e C.L.R. ascoltarono a casa sua una consultazione psicoanalistica del coinquilino Servadio attraverso una porta e un'eco inedebita, ma soprattutto delle tese vicende redazionali della "Critica d'Arte", per le quali R. appariva scostante e inaffidabile ( non si recava a Firenze dall'editore per banali beghe editoriali: certo che no; con che soldi?), che qualche volta ritardava la consegna di un testo per chiudere il numero della rivista (certo, ma il perché stava nel fatto che R. doveva completare la stestura di una tesi a pagamento – ne ricordo una sulle patate! - procurate dal solerte faccendiere ed amico Gino Parenti garante del reciproco anonimato tra "negro" e abbiente candidato dottore). Beh, il vecchio mite Cantimori a un certo punto si commosse talmente da dover andare il bagno con urgenza per celare la propria commozione. Io, francamente imbarazzato, ero furioso: avrei peso a cintolate quel ..., cicerone di Hitler, gerarca accademico, riciclato da comunista (!), Direttore Generale della Pubblica Istruzione/Belle Arti nel 1945, barone di Togliatti Palmiro, sedicente "pentito" borghese.
Come dicevo all'inizio, il R.B.B. qualche dote l'aveva e, così come per tanti "conoscenti" o "collaboratori" di R., lo ricordo con la riproposta di questo suo scritto pubblicato ne "La Critica d'Arte" (a.I, f.V, giu. 1936, pp. 259,260).
F.R.

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